destra di popolo

INTERVISTA AL PROF. CARILLO, DOCENTE DI STORIA DEL PENSIERO POLITICO: “ADESSO AL GOVERNO C’E’ UNA TECNOCRAZIA PER LA RESTAURAZIONE”

Marzo 4th, 2021 admin

“IL FINE E’ QUELLO DI FAR MANEGGIARE I SOLDI AI SOGGETTI “GIUSTI”"

Il Governo dei Migliori è una grande opera di restaurazione messa in atto anche al fine di far maneggiare i soldi ai soggetti “giusti”. Proviamo a decifrarne l’origine e la natura con Gennaro Carillo, professore ordinario di Storia del pensiero politico e di Filosofie della polis, studioso degli antichi e di Vico, di potere e democrazia.
Professore, cosa è tecnicamente questo Governo dei Migliori? Una forma della democrazia? Un suo commissariamento? Un’oligarchia?
È un referto anatomo-patologico, piuttosto. La certificazione che quella che continuiamo a chiamare democrazia rappresentativa non esiste più o gode di pessima salute. Quello che è salutato come governo dei migliori è l’ennesima conferma di un processo di trasformazione della democrazia in tecnocrazia e, più in generale, del governo in governance. La sede della decisione politica si sposta verso poteri senza delega, legittimati solo dal possesso esclusivo di un sapere tecnico.
Quali sono i rischi della tecnocrazia?
L’opacità della decisione politica, presa in nome di una tecnica non discutibile e sciolta dall’obbligo di rendiconto. Già Erodoto, invece, sosteneva che non c’è democrazia dove non c’è bisogno di rendere ragione delle decisioni. E quanto più il potere è invisibile, scrive Spinoza, tanto più si alimentano la superstizione, l’infelicità e la tristezza del popolo.
A leggere i giornali, sembrerebbe una nuova aristocrazia dei competenti. Una Repubblica platonica. È così, anche se 15 ministri su 23 sono in politica da anni?
In un Paese come il nostro, incline alla genuflessione, l’apertura di credito verso il governo ha toccato vertici grotteschi di quello che Arbasino definiva “leccaculismo”, malattia nazionale. Se è indubbio che una parte della compagine governativa, a cominciare da Draghi, è fatta di esperti, la parte restante contraddice la retorica dei migliori. Anzi, rivela le ragioni meno confessabili della caduta del secondo governo Conte. Al quale nessuno ha perdonato il vizio d’origine: essere un outsider, non riconducibile a nessuna delle “famiglie” politiche che bloccano il sistema. La continuità è quanto di più antiplatonico possa immaginarsi: la polis perfetta presuppone l’azzeramento del personale della polis storica, una rifondazione radicale dell’assetto politico.
È una reazione delle élite contro gli incompetenti?
Non vedo élite all’orizzonte. Non le vedevo prima, non le vedo oggi. La retorica dell’uno vale uno ha fornito un assist formidabile alla retorica del merito. Ma il paradosso è che populismo e tecnocrazia sono il recto e il verso di una stessa medaglia: la crisi della democrazia rappresentativa. Che la competenza si formi in ambiti distinti dalla politica, dovrebbe poi far piangere lacrime amare a chi oggi, invece, esulta.
Se questa è una restaurazione, quale evento è stato la rivoluzione delle masse? Il Sussidistan, come lo chiama il capo di Confindustria?
Il reddito di cittadinanza è stato un tentativo di risposta, per molti versi sbagliata, a un problema reale. Che la sinistra abbia rinunciato a politiche redistributive del reddito e non abbia fatto argine alle derive censitarie della società italiana, accettate come se obbedissero a una legge di natura, è la causa principe del suo declino. Anche l’ostinazione a non vedere che il costo della crisi pandemica non è ripartito equamente produrrà conseguenze drammatiche. Ma è difficile che, con Salvini al governo, si possa anche soltanto pensare di onerare i garantiti con un tributo di solidarietà nazionale.
Il rischio è perdere anche quei minimi diritti sociali che i cittadini e i lavoratori del ’900 hanno conquistato?
Molti governi di centro-sinistra hanno fatto a gara con quelli di centrodestra nello smantellamento dei diritti sociali. La crisi pandemica sta completando quest’opera.
I giornali influenti sono posseduti da editori che hanno interessi nella finanza e nell’imprenditoria. È per questo, e per l’arrivo di 209 miliardi, se la figura di Draghi narrata dai media è quella di un demiurgo?
Il sistema dei media è un sistema bloccato. L’effetto loop prodotto da certi talk show politici, il cui format ripete i canovacci della commedia dell’arte, con maschere fisse, è nauseante. Nel discorso pubblico, anche Draghi diventa un costrutto semiotico, il re taumaturgo.
Il Governo dei Migliori è il governo di quelli che hanno sempre maneggiato i soldi?
Si è rivelato finora quello della restaurazione, del ripristino dell’ordine infranto. È qualcosa di più profondo dell’enorme massa di denari in arrivo.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

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PUTIN CI VUOLE RIFILARE LO SPUTNIK, IL VACCINO CHE SOLO IL 38% DEI RUSSI E’ DISPOSTO A FARE (E LUI STESSO NON L’HA FATTO)

Marzo 4th, 2021 admin

IN COMPENSO L’HA PIAZZATO IN 40 PAESI, DALL’ANGOLA AL GUATEMALA… CASO STRANO IN ITALIA GLI SPONSOR SONO LEGA E FORZA ITALIA

Il virus non ha bandiere né nazionalità, il vaccino invece sì e, in controluce, sui flaconi delle dosi, alcuni governi e Stati preferiscono non intravedere il vessillo russo: lo Sputnik V non è semplicemente un siero anti-Covid-19, è “il vaccino di Putin”, una soluzione sanitaria sintetizzata in strategia geopolitica, proprio come tutto ciò che riguarda la Federazione.
Chi dice Sputnik dice Mosca: terra di veleni ed avvelenamenti, patria di complotti e sospetti, diritti umani negati e sanzioni. Trattato come arma strategica, descritto come tale dalla stampa nazionale, lo Sputnik rimane quel che è: un siero curativo, una profilassi che ha, secondo l’eminente rivista scientifica Lancet, più del 90% di efficacia.
Il vaccino Sputnik V vola proprio come il satellite in onore del quale è stato battezzato: raggiunge, con mille dosi, perfino Gaza, come comunica il Ministero della Difesa israeliano, dove verrà destinato ai sanitari in prima linea.
Lo avranno anche i camici bianchi in Bosnia. In via emergenziale lo userà, se necessario, anche il Messico. Si estende sulla mappa: si può assumere a San Marino, tra qualche settimana anche in Angola. Lo ha approvato la Siria di Assad quanto il dicastero della Salute di Accra, in Ghana.
Dal Guatemala all’Egitto: la luce verde l’ha data il Cairo e le frontiere le ha aperte la Georgia per quanti presentano, al confine, un certificato di vaccinazione. Il siero dell’Istituto Gamleya è prediletto da amici, alleati o vecchi ex Paesi satelliti dell’impero sovietico come Uzbekistan e Kirghizistan. Il Kazakistan è invece il primo Paese al mondo che lo produrrà fuori dai confini di Mosca.
Sovranisti vaccinali.
Tutti i Paesi di Visegrad, esclusa la tradizionale nemica Varsavia, hanno chiesto aiuto a Mosca e lo hanno ricevuto: prima Budapest, poi Praga, e adesso anche la Slovacchia, dove il primo carico di Sputnik è stato ricevuto lunedì scorso.
In coda rimane anche la Serbia che ha ricevuto le prime dosi a gennaio. Vienna, senza aspettare l’approvazione dell’Ema, dice si a Mosca: una decisione presa perché “l’agenzia del farmaco è troppo lenta”, ha ribadito il cancelliere Kurz.
Con oltre un milione di infetti dall’inizio della pandemia, Kiev, impelagata nel conflitto ormai congelato nell’est del Paese, ha chiesto aiuto all’Ue per poter rimanere lontana dal soccorso russo : in attesa di milioni di dosi di vaccino indiano e cinese, il presidente Volodimir Zelensky ha riferito che i negoziati sono in corso anche con gli Stati membri, ed in particolare la Polonia, per ottenere le fiale non usate.
In Russia invece, con circa 10mila nuovi casi di infetti al giorno, la curva dei contagi è in discesa. Però secondo la Tass, media allineato al Cremlino, sono solo 4 milioni i russi che hanno deciso di farsi vaccinare, nonostante Mosca abbia battuto sul tempo tutti gli altri nella scoperta della prima soluzione anti-Covid-19.
Sono numerosi gli scettici: forse per le falle dell’apparato logistico, forse per quelle dell’apparato mediatico che, nonostante la forza della sua propaganda, non è riuscito a delucidare i cittadini sull’importanza dell’immunizzazione.
Pochi russi decidono di difendersi con la profilassi, anche per i dati opachi. Avrebbe influenzato la scelta, secondo un sondaggio Levada di novembre scorso, la manipolazione delle cifre degli infetti: troppo basse per alcuni, troppo alte per altri, comunque non veritiere o reali.
Meno russi rispetto a dicembre scorso hanno paura di contagiarsi e solo il 38% oggi si dice pronto a usare il vaccino: oltre la metà teme effetti collaterali e preferisce aspettare i risultati di tutte le fasi del trial.
Alcuni però non hanno avuto paura. Andrej Bereznik, 49 anni, ha fatto la prima dose di Sputnik V a Reutov, periferia di Mosca: “Ho compilato un questionario, ho presentato il passaporto e sono stato immediatamente esaminato da un terapeuta. Ho aspettato in fila per circa 15 minuti, poi mi hanno dato un certificato di prima vaccinazione”.
Una prima siringa nella periferia di Mosca, un’altra, la seconda, nella periferia più siderale del Paese: la seconda fiala gli è stata somministrata a Varkuta dopo aver presentato il documento di assunzione della prima. Impiegato delle ferrovie, esattamente come i suoi colleghi e conoscenti a Krasnodars, Perm, Ulyanovsk, si preparava a mesi di attesa per ottenerlo: “Invece lo hanno fatto subito”.
“Per chi vuole farlo, c’è” riferisce la moglie di Andrey, Irina, professoressa d’inglese, che ha deciso di non assumerlo non per poca fiducia nello Stato, ma per la molta che ripone nel suo sistema immunitario: “Ho già preso il Covid-19 in una forma lieve, ho sviluppato gli anti-corpi, ma negli istituti esistono delle liste dove iscriversi per ricevere il vaccino in cliniche e policlinici”.
Lo chiamano “il vaccino di Putin” ma è proprio il presidente il grande assente tra i convitati di pietra, capi di Stato e leader che hanno mostrato le braccia nude alle telecamere per testimoniare ai loro cittadini l’evidenza della somministrazione. Nell’offensiva medica in corso nel Paese per fermare la pandemia, proprio il comandante capo non si è vaccinato.
Pesa, secondo alcuni sociologi e sondaggisti, la scelta e l’ombra lunga del leader maximo che ha rinunciato alla sua dose di Sputnik: forse è stato proprio Putin ad influenzare la popolazione, ipotesi quasi impossibile da dimostrare, ma declinabile, in Russia, per quasi tutto il resto.

(da “Huffingtonpost”)

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LA MOSSA DI ZINGARETTI ORA COSTRINGE IL PD A SCEGLIERE TRA DUE STRADE

Marzo 4th, 2021 admin

NUOVO CENTROSINISTRA O SIRENE CENTRISTE

È stata una decisione sofferta, quella di Nicola Zingaretti, ma non improvvisa. Le dimissioni da segretario del Pd arrivano dopo settimane di una guerriglia interna che si è rianimata dopo la fine del Conte bis, ma che aveva già avuto altri picchi nel corso del suo mandato. Il punto di non ritorno è stata l’ultima direzione del partito, nella quale Zingaretti ha proposto l’avvio di un congresso rifondativo, tutto centrato sull’identità e le proposte per rilanciare la principale forza della sinistra italiana.
La risposta che è arrivata dalle correnti ha gelato le speranze del segretario: una parte della minoranza ha chiesto primarie per mettere in gioco la leadership, un’altra ha ipotizzato una tregua da barattare con un cambio di linea.
Per Zingaretti è stata la prova che non c’era la volontà di discutere di temi, ma solo l’intenzione di logorarlo altri mesi in vista di una conta interna che, a suo giudizio, non sarebbe servita a un chiarimento bensì solo al regolamento di conti tra le diverse fazioni.
Lì è maturata la scelta di dimettersi, come “atto d’amore per il partito”, ha spiegato Zingaretti ai pochi a quali ha scelto di comunicare personalmente la decisione, e come “passaggio necessario per il chiarimento”.
Il Pd ha ora davanti due strade: una è la continuità del progetto di questi ultimi due anni, la costruzione di un campo di centrosinistra nuovo che sfidi la destra ricompattata dalla nascita del governo Draghi, nonostante la scelta di Giorgia Meloni di restarne fuori.
L’altra è sciogliere quel vincolo, nonostante la leadership del Movimento a Giuseppe Conte rappresenti una garanzia di prosecuzione del percorso, e riaprire un confronto con altre forze, quelle centriste, Italia viva, Azione di Calenda, più Europa.
Complicato ipotizzare Forza Italia, che non ha molte ragioni di sganciarsi dal “nuovo” Salvini. Toccherà a chi prenderà ora la guida confrontarsi con questa scelta strategica e lì – è la convinzione dell’ex segretario – si capirà se le sue scelte erano così balzane e sbagliate.
Ma le alleanze sono solo una parte del problema, nemmeno la più importante. La questione principale resta cosa è il Pd e cosa vuole fare da grande questo partito nato (male) tredici anni fa.
Da questo punto di vista le dimissioni di Zingaretti possono avere un effetto virtuoso – mettere un gruppo dirigente consunto e piagato dal trasformismo davanti all’esigenza di una svolta reale – oppure vizioso – provocare un arroccamento ulteriore della nomenclatura, magari con l’illusione che basti un bagno di folla alle primarie (quando i bagni di folla torneranno possibili) per simulare una ripartenza.

(da “La Repubblica”)

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DIMISSIONI ZINGARETTI: VERO ADDIO O MOSSA DA POKER?

Marzo 4th, 2021 admin

ORA TUTTI GLI CHIEDONO DI RESTARE, SPIAZZATI I FILO–RENZIANI

Nessuno se lo aspettava. Le dimissioni di Nicola Zingaretti da segretario del Pd lasciano tutti spiazzati. Anche i dirigenti dem, che lavorano a stretto contatto con lui, dicono di non essere stati informati, di averlo saputo da Facebook: “Mi vergogno – scrive – che da venti giorni si parli solo di poltrone e primarie”. È attraverso un post sui social che il numero uno dei democratici si è congedato, almeno per il momento, dando appuntamento all’assemblea nazionale del 13-14 marzo che “farà le scelte più opportune e utili”.
C’è però chi giudica questo gesto come uno spariglio “una buona mossa di poker. Una mossa per anticipare la discussione e chiuderla definitivamente in Assemblea”. Insomma, Zingaretti punterebbe alla riconferma in assemblea.
Matteo Ricci, neo coordinatore dei sindaci dem, lo ha subito auspicato a stretto giro: “Comprensibile e condivisibile lo sfogo di Zingaretti, ma Nicola deve rimanere e continuare il suo mandato con la rinnovata spinta dell’Assemblea”.
Lo dice anche l’ex ministro Francesco Boccia: “Penso che l’Assemblea nazionale abbia una sola strada. Chiedergli di restare segretario del Pd che, grazie alla sua guida, è uscito da uno dei periodi più bui della sua storia”.
Ma Zingaretti intanto ha fatto la sua mossa, a distanza di due anni esatti da quando è stato eletto. Di fronte al bombardamento continuo che arriva dagli eletti di Base Riformista e da Matteo Orfini, e con la prospettiva di farsi logorare e logorare il partito, il segretario ha annunciato le sue dimissioni.
Oggi infatti fra i gruppi è molto forte la componente di Base Riformista che, però, non era presente al precedente congresso: i suoi aderenti erano, infatti, sparsi fra le fila renziane.
Solo dopo la scissione del partito operata da Renzi, con la nascita di Italia Viva, Luca Lotti e Lorenzo Guerini ritennero necessario dare vita ad un’area “liberale e moderata” per contenere - si diceva allora - le spinte centrifughe che avrebbero portato il partito troppo a sinistra.
Ne fa parte anche il capogruppo alla Camera Graziano Delrio tra i primi, insieme al suo omologo al Senato Andrea Marcucci, a chiedere un congresso che rimetta in discussione il segretario.
Ora però Delrio, colto anche lui di sorpresa, dice che “in un momento così grave e difficile per il Paese il Pd ha bisogno che Nicola, che ha sempre ascoltato tutti, rimanga alla guida del partito. Il dibattito interno è fisiologico e non deve essere esasperato. Ritroviamo insieme la strada”.
Un vero addio? O una mossa per stoppare lo ‘stillicidio’, come lo ha definito nel post su Fb in cui ha dato l’annuncio?
Anche Dario Franceschini fa quadrato attorno al segretario dimissionario, che nei giorni scorsi aveva parlato anche della necessità di rilanciare il partito: “Abbiamo sulle spalle non solo il destino del Pd ma una responsabilità più grande nei confronti di un paese in piena pandemia. Il gesto di Zingaretti impone a tutti di accantonare ogni conflittualità interna, ricomponendo una unità vera del partito attorno alla sua guida”.
A stretto giro, da poco diffuso il post delle dimissioni, arrivano nella sede del Pd, Marina Sereni, Luigi Zanda e Giuseppe Provenzano. Quest’ultimo dal Nazareno twitta: “Nicola Zingaretti ci ripensi, l’assemblea del Pd respinga le dimissioni del segretario”. E poi il vice Andrea Orlando, anche lui presente negli uffici dem: “Zingaretti ripensi la sua scelta”. Per adesso il mood nel partito è questo.

(da “Huffingtonpost”)

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NADIA URBINATI, POLITOLOGA DELLA COLUMBIA UNIVERSITY: “NON SI PUO’ TENERE DENTRO IL PD LA FAZIONE RENZIANA: HA UNO SCOPO DESTABILIZZANTE, VUOLE SOLO IL POTERE”

Marzo 4th, 2021 admin

“LA SEGRETERIA ROMANA NON CONTROLLA I TERRITORI, IL PD DEVE RIPRENDERE LA BANDIERA DELLA GIUSTIZIA SOCIALE”

La professoressa della Columbia University Nadia Urbinati commenta la crisi che attraversa il Partito democratico, tra le polemiche sulle nomine di ministri e sottosegretari nel governo Draghi e il fuoco amico della cosiddetta “base riformista”
Secondo Urbinati la lotta interna al Pd è dovuta alla debolezza strutturale di un partito in cui la segreteria romana non controlla i territori, nato per governare in un sistema maggioritario che, però, non ha funzionato.
Per questo motivo è necessaria una riforma dello statuto e che il Pd “prendi in mano la bandiera della giustizia sociale” contrapposta al progetto liberale di Renzi, “a cui occorre opporvi un partito social democratico”.
Professoressa Urbinati, il Pd è uscito fortemente ridimensionato dal governo Draghi, Zingaretti è al centro di diverse polemiche. Che momento è?
Certamente il governo, come è oggi, è sbilanciato visibilmente verso il centro-destra, per lo meno per quanto riguarda i Ministeri politici, perché il Ministero dello Sviluppo Economico e quello del Turismo (anche se quest’ultimo è senza portafoglio è però un volano per l’economia del Paese, come anche affermato da Draghi) rappresentano il Nord targato Lega. C’è una preponderanza di potere del centro-destra anche perché c’è una preponderanza di rappresentanza socio-economica del nord.
Intanto gli esponenti di centro-sinistra che fanno ancora parte del governo sono più soli, come Speranza.
Soli e in due ruoli esposti naturalmente a maggiore visibilità e tensione. Il Pd ha in mano i ministeri più oggetto di contestazione. Non solo il ministero della Sanità con Speranza, ma quello del Lavoro con Orlando dovrà affrontare problemi pesanti e serissimi. Draghi non è di destra o sinistra, è un tecnico della finanza; ma la sua scelta ha premiato il nord perché il nord è oggettivamente una parte trainante. Non è colpa di Draghi se il Nord non è Pd, un partito che ha un ruolo statale-istituzionale e quindi romano. Questo è emerso in maniera chiarissima in questa crisi e ora dovrà fare i conti con questa realtà. È nato nel 2008 come un partito che doveva vincere in un sistema maggioritario, un partito all’americana; e si è stabilizzato nella sua sede nazionale, quello che succede fuori di essa resta anche fuori del suo controllo.
Si è centralizzato a Roma.
Paradossalmente questa centralità romana è indicativa di minor potere sul territorio nazionale. Il Pd di via del Nazareno è un po’ solitario rispetto a quello delle Regioni e dei comuni. Le lotte intestine per la definizione dei candidati sindaco (si andrà a votare dopo l’estate) sono un segno della debolezza della segreteria nazionale sulle sue diramazioni territoriali, dove dominano i notabili, che sono quasi una classe a sé rispetto al Pd di Roma. Un problema serissimo che è ancora sotto cenere ma esploderà. L’Emilia Romagna per esempio può essere una polveriera di localismi litigiosi.
Proprio dall’Emilia Romagna arrivano alcuni segnali alla segreteria perché la base “riformista” che fa eco a Renzi vorrebbe sostituire Zingaretti con Bonaccini.
C’è una lotta proprio per questa debolezza strutturale della segreteria nazionale rispetto alle correnti interne. Le chiamo correnti, ma sarebbe meglio chiamarle fazioni, perché almeno nella prima repubblica c’era un pluralismo interno che il partito riusciva a tenere insieme con dosaggi equilibrati: ciò valeva per il Pci, la Dc e il Psi. Oggi questi equilibri unitari nel Pd non ci sono: c’è il partito di via del Nazareno, poi ci sono i vari partiti che afferiscono al Pd centrale ma sono relativamente autonomi se non antagonisti. Il Pd non è più un partito su tutto il territorio nazionale; e lo statuto, facendone una macchina elettorale, favorisce questo smembramento. È chiaro che le macchine elettorali sono tenute insieme dai notabili locali e i loro amici; la vittoria, i voti e le preferenze sono ciò che li legittima; la quantità è più importante della qualità della partecipazione, chi tira più voti è il più potente. Il Pd non sembra essere neppure un partito confederato; sembra un litigioso coacervo di fazioni. E la fazione renziana, quella detta riformista, rappresenta una mina vagante; in effetti a Renzi non interessa Italia viva, di cui si è servito per far saltare il governo, ma il Pd.
Renzi sta facendo con Zingaretti quello che ha fatto con Conte?
Sì e lo fa attraverso i suoi delegati, non direttamente; un gruppo agguerrito e che ha cercato di avere un candidato forte come Bonaccini. Ora non è il momento di aprire la crisi perché il presidente di Regione deve pensare al governo della pandemia in Emilia- Romagna. I conti verranno regolati più avanti, ora si posizionano le armate. Finché non entriamo nel semestre bianco l’unità è necessaria; ma una volta partito il semestre bianco, quando non si possono sciogliere le camere, il tappo messo alle fazioni (nel partito) e alle divisioni (nel governo) salterà.
Come deve essere modificato lo statuto?
Quello attuale è uno statuto costruito per eleggere plebiscitariamente un leader, che nella testa dei fondatori doveva essere anche il leader candidato al governo. Un partito che eleggeva segretario-e-potenziale-premier. Si tratta di un meccanismo che genera instabilità. Perché Renzi fece saltar il governo Letta? Una volta eletto segretario era quasi nelle cose che si imponesse come presidente del consiglio. Questa è la logica di un partito che deve governare. Il segretario che è anche il candidato presidente del consiglio, presume un sistema maggioritario. Che però non c’è o ha dimostrato di non funzionare. Il Pd non ha mai vinto, come ha messo in luce Giovanni Cuperlo ieri su “Domani”.
Ma se il bipolarismo è irrealizzabile così come un sistema elettorale maggioritario, il Pd deve essere qualcosa di diverso e riformarsi pensando alla base e non alla segreteria né solo a governare.
Quel partito era nato come un partito all’americana, leggero, capace di costruire candidature. Veltroni amava chiamarlo “partito liquido”. Ma i partiti liquidi, lo abbiamo visto, sono incapaci di resistere ai populismi. E poi non funzionano nelle democrazie rappresentative: lo vediamo con il M5S, costretto a diventare obtorto collo un partito per non essere spazzato via. Puoi essere leggero fuori dalle istituzioni ma dentro devi avere una struttura. Una scelta a mio modo di vedere sbagliata. E che è in sintonia con la struttura del Pd: fatto per vincere le elezioni, non per organizzare e tenere il consenso al di là delle elezioni se non vince. Un patto societario, inoltre, in cui i militanti non contano nulla, comunque meno degli elettori dei gazebo. Il Pd penalizza il militante mentre riconosce l’elettore generico (come lo statuto recita, è il partito “degli italiani e delle italiane”). Ma questo elettore che senza essere iscritto va al gazebo può essere anche un avversario: se sono un avversario posso volere che vinca un segretario che fa comodo al mio partito; quindi io e un numero di elettori come me possiamo determinare le elezioni del segretario del Pd. È assurdo ma realistico. Il Pd deve quindi darsi regole ed essere un partito, con militanti che contano, con una struttura che si innerva nei territori e metta a capo una segretaria nazionale. Solo così un partito è nazionale e non un litigioso insieme di autonome cittadelle.
La guerra interna della base riformista è mossa dalle mire di Renzi o c’è una vera crisi di leadership per cui è necessaria una svolta che passi anche dal segretario?
Bisogna prestare attenzione a quel che vogliono i renziani: essi hanno un’idea di partito liberale, centrato su mercato, aziende e investimenti privati. Ma questo non c’entra con un partito di sinistra. La sinistra deve prendere in mano la bandiera della giustizia sociale. Nell’opera “Tra due repubbliche. Alle origini della democrazia italiana”, in occasione della nascita del Pds, Norberto Bobbio scrisse:  ‘Avrei però preferito che un grande partito di sinistra, invece di lasciarsi sedurre dalla riproposizione della rivoluzione liberale, quando tutti erano diventati liberali e naturalmente in primo luogo gli avversari, risollevasse la bandiera della giustizia sociale, che era sempre stata quella sotto la quale avevano percorso una lunga strada milioni e milioni di uomini e donne che avevano fatto la storia del socialismo. Se dovessi proporre un tema di discussione per la sinistra, oggi, proporrei il tema attualissimo, arduo ma affascinante, della giusta società. Continuo a preferire la severa giustizia alla generosa solidariet
L’idea è questa, i partiti devono distinguersi, non possono essere tutti uguali e la distinzione deve essere espressione interpretativa di un comune nucleo di idee e aspirazioni. Se un partito vuole posizionarsi a sinistra deve avere al centro un’idea di società giusta, che non vuol dire illiberale che sarebbe ingiusta; ma vuol dire che prima di tutto deve venire la giustizia sociale e in relazione a questo si discute di libertà. Si tratta di una visione complessa non semplicistica: che ha una concezione del ruolo sociale dello stato e della cooperazione sociale, all’interno di quello che dice l’articolo 3 della nostra Costituzione, secondo comma. In Italia, manca un partito come questo. Chiaramente social democratico, punto.
In questo senso, in questo momento di crisi il progetto di alleanza con il M5S non è un elemento confusionario e schiavo del momento elettorale?
Ci sono due cose diverse: la prima è l’identità di un partito, che deve essere legata al suo progetto di società. E l’idea di giustizia sociale non vuol dire briciole di solidarietà o carità ai poveri. Il secondo punto è con chi il partito intende allearsi alle elezioni, che non è meno importante perché i partiti devono vincere le elezioni. E non è difficile per il Pd a questo punto decidere, perché non può stare né con Forza Italia né con la Lega, ma dovrà posizionarsi con coloro che gli sono più vicini, che oggi sono i 5 stelle che aspirano ad avere Conte come loro leader, e Conte esprime un centrismo che guarda sinistra.
Quindi un nuovo Congresso ci vuole?
Il Congresso va fatto per definire l’identità ideologica e culturale del partito. Zingaretti aveva iniziato a occuparsi dell’identità del partito prima della pandemia con l’assemblea di Bologna; fu un segno di ricostruzione. Ma via zoom non si può far rinascere un partito. Occorre coltivare per ora gli aspetti ideali e culturali; incominciando col fare un discorso pubblico quotidiano, per seminare il terreno del centro sinistra, preparandosi a quando finirà la pandemia. Non è questione di Zingaretti sì o no. In questione c’è la costruzione di un discorso politico e culturale, di un campo ideale di riferimento.
Eppure i militanti sono bloccati nella polemica sterile, come quella sulla comunicazione di Zingaretti
Purtroppo il clima politico italiano è uno dei peggiori dell’universo perché è gestito e tenuto dai media; nessun partito ha una struttura autonoma, soprattutto il Pd. Anche il M5S i cui affiliati non sembrano poi tanto attivi nel blog. Tutti si alimentano e si avvelenano di talk show; i media determinano leader e temi. I talk show e i giornali stabiliscono il linguaggio, lo stile e il livello dello scontro, scelgono i leader da sostenere o attaccare. Occorrerebbe cambiare questa abitudine di mandare messaggi ai propri militanti attraverso i talk show. Un partito deve avere sue vie di comunicazioni con i suoi iscritti e simpatizzanti. La chiusura dell’Unità è stata una disgrazia perché senza un giornale occorre per necessità affidarsi ai mezzi altrui, i quali hanno i loro interessi e loro agende, che molto spesso non sono in sintonia con questioni di giustizia sociale.
Intanto però le figure chiave sono al governo in modo quasi continuativo con i propri ministri da anni, ma nonostante questo il Pd è invisibile, quelle persone sembrano state risucchiate dalla macchina istituzionale e non rappresentano i propri iscritti.
Non è solo una questione di ministri. Il Pd deve essere presente dove i problemi dei lavoratori sono presenti: all’Ilva e alla Whirpool, per esempio. Non deve essere impegnato sono nelle istituzioni, distante da un mondo che spesso sembra non conoscere più. E torniamo di nuovo al problema della struttura del partito. Una delle ragioni per cui il Paese è così diviso è anche perché non ci sono più partiti che lo uniscono, una volta spenti i partiti di massa che formavano classe dirigente dalla Sicilia fino alle Alpi. Ora i partiti sono gruppi di interesse o macchine di elezione, luoghi interni di potere, stanno a Roma o nei luoghi di potere locale, intorno ai palazzi. Il Pd di Zingaretti ha a cuore il partito; e allora, devono dedicare i prossimi mesi a una nuova bozza di statuto e a una nuova rinascita politico-culturale del partito. Si può tenere la fazione renziana dentro? Ad essere schietta penso proprio di no, perché questa fazione ha uno scopo destabilizzante, e vuole il potere. Se si tratta di una minoranza deve accettare il principio di maggioranza. Se non lo accetta e trama per rovesciare la direzione nazione, allora sembra difficile conviverci. Non è possibile continuare una guerra civile intestina sotto traccia e perenne. A Renzi converrebbe tanto riconquistarsi il partito, è evidente. Allora occorre opporvi un partito social democratico.
Ma il ritorno di Renzi dopo la guerra al Conte bis e l’appoggio a Draghi sarebbe inconcepibile
Lui ha il suo battaglione dentro, quando ha fatto le liste elettorali ha pensato a quando non sarebbe più stato segretario, ha pensato a come mantenere un potere interno. Non ha bisogno di entrare ora; se fosse eletto un segretario del Pd a lui vicino sarebbe come averlo ripreso. La fazione riformista è un problema serio. Zingaretti è un po’ come Conte, anche in questo caso dall’interno vengono i problemi. Se cade Zingaretti anche il Pd cade – non si può che anticipare un massacro in un partito che è già diviso; a quel punto dalle ceneri qualcuno si proporrà e dirà ‘Faccio io un nuovo Pd’. Per questo la funzione di Zingaretti va ben aldilà di essere un segretario

(da TPI)

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SALVINI (PROPRIO LUI) DICE CHE C’E’ BISOGNO DI UN’ORA DI EDUCAZIONE SOCIAL ALLE ELEMENTARI

Marzo 4th, 2021 admin

BISOGNEREBBE PRIMA FARLA ANCHE AI POLITICI

Prima lezione della settimana: mai mettere alla gogna una persona sfruttando la propria community di followers.
Seconda lezione: evitare lo shitstorm nei confronti di minori.
Terza lezione: impedire ai propri amici di accanirsi nei confronti delle donne. Immaginiamo che questi argomenti farebbero tutti parte di un programma didattico di educazione social alle scuole elementari.
Fa quasi strano che a proporlo sia il senatore della Lega Matteo Salvini. Ricordiamo soltanto una cosa: il suo sistema di comunicazione – e non è un soprannome, ma un nome sdoganato dagli stessi ideatori – viene chiamato “La Bestia”.
Matteo Salvini è intervenuto nella Sala Caduti di Nassyria del Senato per parlare della proposta di legge contro l’incitazione all’autolesionismo, in compagnia dell’altro parlamentare leghista Simone Pillon.
Si tratta di una proposta che mira a punire chi, in qualche modo, incita le persone – soprattutto se minorenni – a compiere atti di violenza contro la propria persona.
Non propriamente una novità nel quadro normativo, ma comunque una battaglia che può essere considerata bipartisan e condivisibile. Sicuramente, questa proposta di legge ha preso spunto anche da alcuni comportamenti dei minori sui social network, a partire dal caso della morte di una bambina di 10 anni di Palermo che stava registrando un video con il proprio cellulare, forse da pubblicare su TikTok.
Matteo Salvini – e ce lo ha detto da papà -, prima di entrare nel merito della questione, nel corso della conferenza stampa ha proposto, oltre all’ora di educazione civica, anche un’ora di educazione social, a partire dalle scuole elementari: «Un’ora di educazione social contro i pericoli della rete, a patire dalle scuole elementari – ha chiesto il leader della Lega -: perché soprattutto con le chiusure i bambini sono chiusi in casa spesso da soli con telefonino. Visto che ormai è una battaglia persa quella di togliere i cellulari ai più piccoli, almeno spieghiamo loro le cose di cui bisogna aver paura e su cui bisogna drizzare le antenne».
Già, è importante. Ben vengano dieci, cento lezioni di educazione social (ma più in generale, di educazione digitale). Ma non solo nelle scuole elementari.
Anche tra i banchi delle superiori, anche nelle case degli italiani, persino nelle sedi di partito o nelle aule delle istituzioni, compreso il Senato, compresi gli scranni della Lega, compreso il seggio di Salvini.

(da agenzie)

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MANDRAGATA: SPARISCE LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI DEL PREMIER

Marzo 4th, 2021 admin

HA PARLATO DI TRASPARENZA NEL SUO DISCORSO AL PARLAMENTO, MA A QUASI UN MESE DAL SUO INSEDIAMENTO NEL PORTALE DEL GOVERNO NON HA PUBBLICATO IL SUO REDDITO, OBBLIGATORIO PER LEGGE

Mario Draghi parla poco. Di lui non si leggono virgolettati. Dichiarazioni bandite tanto che chiunque si permetta di virgolettare passaggi dei comunicati stampa di Palazzo Chigi, arriva puntuale la telefonata dell’ufficio stampa che precisa: “Nessun virgolettato. Non è il suo stile”.
La conferenza stampa post Cdm nella quale è stato presentato l’ultimo Dpcm lui non c’era. Ha lasciato ai ministri Gelmini, Speranza, le luci della ribalta. Dopo l’abbuffata videosocialtv a canali e reti unificate del predecessore, Giuseppe Conte, un po’ di sobrietà non guasta.
Tuttavia, una cosa è la sobrietà, un’altra è l’invisibilità. Sul portale del Governo per precisi obblighi di legge, il presidente del Consiglio deve pubblicare la dichiarazione patrimoniale nella quale i cittadini possono appurare il reddito, le proprietà, il possesso di partecipazioni societarie e azionarie.
Lo hanno fatto tutti. Tranne Draghi. A quasi un mese dal suo ingresso a Palazzo Chigi, quella pagina sulla trasparenza non è ancora stata aggiornata
Eppure, durante il suo discorso d’insediamento, il presidente Draghi fece un passaggio estremamente chiaro sulla trasparenza della Pubblica Amministrazione: “La trasparenza – disse al Senato- è il presupposto logico. I cittadini devono poter far sentire la loro voce, è la base per la responsabilità; quindi, accesso alle informazioni, siano essi dati quantitativi o qualitativi. Questo consente ai cittadini di analizzare l’attività e i processi decisionali pubblici, il tutto in un virtuoso rapporto di collaborazione tra istituzioni e collettività amministrate, che veda rispettato il principio del coinvolgimento attivo della cittadinanza nelle scelte e riesca ad alimentare e consolidare la fiducia nelle istituzioni, ma anche il necessario controllo sociale”.

(da LabParlamento)

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CRISANTI: “CONOSCO FIGLIUOLO DI PERSONA, CI SIAMO ANCHE SENTITI, MA PER LA GESTIONE DEI VACCINI BISOGNA FARE RIFERIMENTO AI COLOSSI HITECH”

Marzo 4th, 2021 admin

“C’E’ STIMA RECIPROCA CON IL GENERALE, MA PER UN CAMBIO DI PASSO NON SI PUO’ FARE A MENO DELLA RIVOLUZIONE TECNOLOGICA”

Un chiarimento dopo le polemice: “Da subito ho detto che il cambio di Arcuri con Figliuolo”, il Generale dell’Esercito diventato nuovo Commissario straordinario per l’emergenza Covid, “è sicuramente un segno di discontinuità importante. Io ho l’onore di conoscerlo: è una persona che stimo moltissimo e con la quale c’è una reciproca stima. Quello che volevo dire è che va bene il cambio passo, ma non si può fare a meno di ignorare rivoluzioni tecnologiche che hanno cambiato la vita di tutti. E con questo mi riferivo all’esperienza logistica, di automazione e informatica portata da Amazon, e nei confronti della quale siamo tutti giocoforza apprendisti. Quindi non era un riferimento ad personam che volevo fare”.
Chiarisce il senso del suo messaggio il virologo Andrea Crisanti, che ieri in occasione di un evento online della Fondazione Luigi Einaudi, parlando di logistica dei vaccini e della sfida che aspetta il generale Francesco Paolo Figliuolo, aveva chiamato in causa il colosso hi-tech.
“Auspicavo che queste competenze incredibili non fossero trascurate - precisa all’Adnkronos Salute - Amazon è una struttura che dimostra di poter consegnare 13,7 milioni di pacchi al giorno, ha capacità di movimentazione e distribuzione capillare e informatica che non hanno uguali in nessuna parte del mondo. Non ignoriamo queste competenze”, è l’invito ribadito dal direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Azienda ospedaliera di Padova e docente di Microbiologia dell’ateneo cittadino.
“In questo momento sicuramente di fronte a questi giganti siamo tutti quanti apprendisti. Ma il mio non era un riferimento alla persona in sé. Figliuolo l’ho anche sentito e ci siamo ribaditi la stima reciproca. Anzi, ha dimostrato l’apertura che serve in questo momento - conclude - E di buono c’è anche che l’Esercito ha recentemente sviluppato un sistema informatico che supporta la logistica, è sicuramente una struttura che potrà dare un contributo importante. Ci tengo che le mie libere manifestazioni di un pensiero non vengano interpretate come un attacco alla persona”.

(da agenzie)

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LOMBARDIA, DAL FLOP VACCINI ALLA ZONA ARANCIONE RINFORZATO: MA IL MODELLO BERTOLASO NON DOVEVA SALVARE TUTTI?

Marzo 4th, 2021 admin

PRIMA DI FARE ANNUNCI ROBOANTI AVREBBERO FATTO MEGLIO AD ASPETTARE

Vi ricordate quando Salvini, ancora non diventato completamente europeista, spiegava di voler proporre a Mario Draghi il modello Bertolaso per imprimere una svolta decisiva alla campagna vaccinale in Italia?
Sembra passato un secolo. Intanto la Lombardia chiude le scuole e va in zona arancione rafforzato.
Il modello scelto da Draghi non è quello lombardo, anzi va in un’altra direzione, affidandosi al nuovo capo della Protezione Civile e al neo commissario per l’emergenza COVID Figliuolo che centralizzeranno le vaccinazioni.
E cosa è successo in Lombardia con le vaccinazioni over 80?
Dopo il flop iniziale delle prenotazioni che non funzionavano (la regione ha provato a dare la colpa a Tim ma non era andata così), sembra che il ritmo promesso non si stia realizzando. Il Fatto analizzava qualche giorno fa i dati elaborati da Lorenzo Ruffini di Youtrend:
L’assessore Letizia Moratti prevedeva di vaccinare 15 mila anziani nella prima settimana, 50 mila nella seconda, 100 mila nella prima di marzo. Previsioni che si scontrano con la penuria di vaccini. Così, molti dei 473.212 ultraottantenni che si sono già prenotati non hanno ancora un appuntamento. Non c’è certezza sulla disponibilità delle dosi, si è giustificata Regione. Per capire che non va tutto liscio, basta uno sguardo ai dati elaborati dal ricercatore Francesco Ruffino (Youtrend), secondo i quali ha ricevuto la seconda dose meno del 10% dei circa 3.369 over 80 vaccinati prima dell’inizio della Fase 1ter. E non va meglio per le altre fasce di età, tutte sotto il 10%. Tra il 18 e il 21 febbraio, a ricevere la seconda dose sono stati solo 1.626 lombardi
L’opposizione in regione, tramite il 5 Stelle Massimo De Rosa intanto denunciava: “Domenica hanno ricevuto la prima dose poco più di 2.000 over 80. Se si considera che in attesa ci sono circa 500 mila persone, di questo ritmo la loro salute sarà a rischio per molto tempo”, accusa l’M5S Massimo De Rosa, che aggiungeva: “Da inizio campagna hanno ricevuto la prima dose 14.000 over 80 su 500 mila”.
La situazione non è migliorata nel frattempo. Anzi. Proprio ieri Bertolaso, che paventa una zona rossa in arrivo per tutta l’Italia, si lamentava: “Avrei molti motivi per essere avvilito: due province sono in zona rossa e tutte le rianimazioni piene, oltre al problema delle convocazioni per gli over 80 con il sistema che continua a funzionare male”.
Ma del modello Bertolaso, che vorrebbe vaccinare 6 milioni di lombardi entro marzo, con 140 mila dosi al giorno nei 55 hub pubblici, cui si aggiungono le 30 mila giornaliere dei privati, dubitano in tanti.
Ad esempio è un rebus il personale necessario: a partire dai 4mila infermieri che mancano, come sottolineava il sindacato Nursing Up, per arrivare ai medici specializzandi, che per Bertolaso vanno precettati, ma che denunciano di “essere sfruttati a costo zero“.
Intanto i numeri parlano chiaro: Ats Milano dovrebbe somministrare dosi a 50mila persone al giorno mentre ad esempio il 1 marzo ne ha conteggiate appena 2.713.
Il Fatto di oggi fa un po’ di conti: “dal 18 febbraio al 1° marzo gli over 80 vaccinati sono stati 72.282, a fronte di una platea di 720.000. Mentre la fase 1, che avrebbe dovuto coprire tutti i 319.952 sanitari e ospiti delle Rsa, è ancora in corso (hanno ricevuto due dosi 243.027 persone, il 76%). I 200.000 insegnanti (esclusi quelli di nidi e materne) inizieranno le iniezioni l’8 marzo. Ma dovranno attendere l’sms dalla piattaforma che sta raccogliendo le adesioni, che però nel primo giorno di funzionamento ha mostrato più di un bug. Per esempio non accettava le prenotazioni di docenti non residenti in regione, ma che in Lombardia lavorano”.
Insomma, qualche tempo fa  Fontan presentava ricorsi contro la zona rossa: poi tutta l’Italia scopriva che se la Lombardia ci era finita era invece per un errore di calcolo dell’indice RT dovuto ai dati sbagliati che arrivavano dalla regione.
E non è tutto: questo grafico mostra come i dati dell’RT lombardo consolidati dimostrano che la regione, in zona gialla, si doveva trovare in zona arancione da una settimana:
A TPI Nicoletta, che riporta il grafico, ha spiegato: Praticamente, dall’excel della Regione Lombardia bisogna sommare le quattro colonne dei pazienti con “nessuno stato clinico”, “solo stato lieve paucisintomatico severo grave”, “con stato lieve paucisintomatico severo grave guarito” e “stato lieve paucisintomatico severo grave deceduto”.
Si otterranno così tutti i pazienti sintomatici. E per calcolare l’Rt basta usare questa formula. “C’è da dire – sottolinea il ricercatore – che se anche le altre regioni o pubbliche amministrazioni rilasciassero i dati dei sintomatici a inizio sintomi potremmo fare le stesse verifiche”.
Ora di certo la situazione non è rosea in nessuna parte del paese. Però nessuno ha detto di avere una ricetta magica per risolvere l’avanzata delle varianti e della terza ondata.
Gli unici a fare annunci roboanti sono stati Salvini e Bertolaso. Forse era meglio aspettare.

(da “NextQuotidiano”)

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