Febbraio 28th, 2018 admin
SU TWITTER L’ENDORSEMENT PER L’ATTUALE PREMIER
Ci mancava solo Enrico Letta. E’ arrivato, alla vigilia del 4 marzo. Dalla Polonia dove l’ex premier si trova in visita, ad incontrare Adam Michnik, editore e saggista, voce dell’anti-comunismo e dell’anti-totalitarismo polacco, parte il tweet di endorsement a Paolo Gentiloni, un tweet che non nomina il Pd e che guarda al dopo-elezioni. Meglio: guarda a un centrosinistra unito, cruccio di tutti i ‘padri nobili’ che hanno fatto un endorsement per l’attuale premier, da Letta a Prodi, Veltroni.
Matteo Renzi non c’è nel ragionamento di Letta. E questo aggiunge gelo al gelo tra i due.
E’ un Letta che, pur facendo ormai da tempo un altro mestiere (Sciences Po, Parigi), non ha mollato la politica attiva. E intende continuare a farla.
L’ex premier guarda all’attuale capo del governo come figura inclusiva del centrosinistra, una leadership che si è autoalimentata nei fatti di quest’ultimo anno in contrasto a quella di Renzi, sempre meno amato nelle frange non renziane del Pd.
E non è un mistero che un Pd senza Renzi dopo le elezioni faccia gola anche agli ex Dem confluiti in Leu. Massimo D’Alema lascia la porta aperta ad una futura reunion a queste condizioni.
Pierluigi Bersani commenta il tweet di Letta con nostalgia. Con Letta, dice l’ex segretario del Pd, “ogni tanto ci sentiamo. Lui credo che si trovi anche bene nella strada che ha preso. Certamente le cose sarebbero dovute andare diversamente, anche io non ho digerito quel campanellino lì”.
Il campanellino che Letta cedette a Renzi nel passaggio di consegne a Palazzo Chigi nel 2014 continua a riecheggiare nel centrosinistra.
Suona un allarme sinistro che potrebbe scoppiare dopo il 4 marzo, dipende dai risultati elettorali, certo. Il leader di minoranza Dem, Andrea Orlando, commenta l’uscita di Letta tra gli applausi in un incontro con il Pd di La Spezia: “Un segnale importante di apprezzamento per una leadership che si è consolidata in questi mesi. Il punto di ripartenza è Paolo Gentiloni, in grado di tenere insieme una coalizione più articolata. Gentiloni che non mai ha cercato il conflitto fine a sé stesso. Una certa arroganza, autosufficienza e prepotenza non credo abbia aiutato nei risultati il Pd”.
Ufficialmente, dal quartier generale del segretario arrivano commenti positivi su Letta. Luca Lotti: “Bene, se Enrico Letta sostiene il centrosinistra abbiamo qualche voto in più e questo è importante. Maurizio Martina: “Le parole di Enrico Letta sono importanti. Come Pd e centrosinistra andiamo avanti con impegno per un’Italia più forte e più giusta”.
Ma ugualmente filtra irritazione, in anonimato, perché alla vigilia del voto nessuno vuole aprire scontri frontali. “Letta è parte di quel Pd che ha stentato a mobilitarsi per la campagna elettorale e che ora parla per rafforzare quell’area del Pd che usa Gentiloni per disarcionare Renzi…”, sbotta una fonte renziana. Già, ma a quale scopo preciso?
Forse per un governo di scopo. E’ l’idea che sta girando molto nei Palazzi della politica in questi ultimi di campagna elettorale.
Nel Pd renziano c’è la consapevolezza che, se le urne non dovessero dare una maggioranza definita, potrebbe mettersi in azione quello che chiamano ‘il partito del Quirinale’. Vale a dire il tentativo del presidente della Repubblica di mettere insieme una maggioranza europeista con Gentiloni, se non premier, quanto meno capofila dell’area dei parlamentari Dem certamente disponibili a fare una scelta di responsabilità e sostenere un governo con Forza Italia e Liberi Uguali.
Persino la seconda carica dello Stato, Pietro Grasso, leader candidato di Leu, non chiude a un governo con Forza Italia e Pd “solo per fare la legge elettorale”, seppure poi precisi che sarebbe disponibile ad appoggiare anche un governo con il M5s. E Renzi?
Qualche ora dopo il tweet di Letta, Renzi afferma che, se il Pd mancherà l’obiettivo di essere primo partito in Parlamento, “il Pd è pronto ad andare all’opposizione: non è che ce l’ha detto il dottore di andare al governo”.
Un modo per cominciare a esaminare ogni scenario possibile dopo il voto. Un modo per avvertire chi vorrebbe fare i conti senza l’oste: della serie, ‘il segretario sono io’. E il segretario avrà un gruppo parlamentare di sua espressione, scelto accuratamente al momento della composizione delle liste.
Avvertimenti. Tutto dipende da come andrà domenica. Certo, chiariscono dal quartier generale renziano, Renzi ha sempre detto no a un governo con gli estremisti, dalla Lega a M5s. Sul resto, si vede.
Si vedrà, ma nella pentola del centrosinistra più di qualcosa ha già cominciato a bollire.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 29th, 2018 admin
“UN REGALO IMMERITATO A BERLUSCONI E AL M5S”
“Sono attonito per quel che è accaduto. Sia per il merito che per il metodo: durante questo fine settimana si è consumata una vicenda dai contorni tragici”.
A parlare, in un colloquio con La Stampa, è l’ex premier Enrico Letta, e la vicenda a cui si riferisce è lo strappo sulle liste elettorali del Pd.
“Ricevo reazioni indignate da tutta Italia: non mi capitava da tempo…”, dice Letta. “Leggo i sondaggi e non soltanto per quelli, sono preoccupato”, aggiunge l’ex premier, sostenitore di Andrea Orlando pur non essendo iscritto al Pd.
“Nel rapporto con l’opinione pubblica”, aggiunge, questa vicenda si traduce in un altro insperato e immeritato regalo a Berlusconi e ai Cinque Stelle. Una incredibile corsa verso l’abisso”.
A criticare duramente la segreteria di Matteo Renzi è anche Marco Meloni, amico di Letta, sostenuto dall’area di Orlando, anche lui escluso dalle liste:
“In questo Pd evidentemente non c’è spazio per chi, pur criticando e dissociandosi da alcune scelte, distingue tra un segretario pro tempore e la fedeltà a valori che restano comuni. Nella formazione delle liste è stata premiata soltanto la fedeltà e per farlo si è agito con arbitrio e violenza. Premiando quasi ovunque amici e amiche”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 13th, 2017 admin
“SU REGENI PRESI IN GIRO DALL’EGITTO”
“Il Pd non riesce più ad aggregare, a essere attraente e attrattivo” e “il centrosinistra si sta rassegnando a giocare un gioco secondario, a non vincere le prossime elezioni”. Lo ha detto Enrico Letta, intervistato da Massimo Giannini a ‘Circo Massimo’ su Radio Capital.
“Noto una contraddizione: il Pd, l’Ulivo e il centrosinistra - ha spiegato - hanno sempre ricercato leggi elettorali che ricercavano l’aggregazione perché era la parte politica italiana più aggregante, questa era la forza del centrosinistra. Oggi la contraddizione è che il Pd sembra scegliere questa legge elettorale che è quella rispetto a cui la capacità di aggregazione non conta, consapevole che la sua capacità di aggregazione è minore e si è visto alle amministrative. Il Pd non riesce più ad aggregare, ad essere attraente e attrattivo”.
Secondo Letta c’è “una situazione per la quale il centrosinistra si sta rassegnando a giocare un gioco secondario, a non vincere le prossime elezioni e sta guardando il ritorno di Berlusconi e questa è la vera notizia: la legislatura termina con il ritorno di Berlusconi”.
Letta ha ribadito di non essere iscritto al Pd (”non è una notizia: non ce l’ho da anni la tessera”) evitando ogni polemica con Matteo Renzi, che nel suo libro lo aveva definito in “modalità broncio” dopo la caduta del suo governo. “Sono in modalità sorriso”, ha assicurato l’ex premier.
Quindi un suggerimento ai politici italiani. “Chi fa politica deve dire cosa vuole fare e non diventare il follower dei propri follower”. “C’è la tentazione di seguire coloro che seguono, mentre il politico deve dire cosa vuole fare e poi la gente decide se voltarlo o no. Non è solo un vizio della Lega o dei 5 Stelle, mi sembra generalizzato”, ha aggiunto l’ex premier.
Come appare l’Italia dall’estero? “C’è fiducia per la prospettiva dell’economia ma preoccupazione per un possibile stallo politico”, ha affermato l’ex premier.
Da fuori confine, ha sostenuto, “si ha l’immagine di un Paese che sta avendo qualche utile e importante segnale di recupero”, che “otto mesi fa era considerato un buco nero per il sistema delle banche, adesso il picco della situazione sembra” risolto, ha aggiunto.
“Tutti - ha insistito l’ex presidente del Consiglio - guardano con attenzione all’Italia perché l’anno prossimo sarà il grande Paese europeo che voterà e la preoccupazione riguarda il potenziale vicolo cieco politico rispetto a un destino già scritto con la peggiore legge elettorale che ci possa essere e a un sistema che presumibilmente non darà alcuna maggioranza”.
Enrico Letta affronta poi il Caso Regeni, invitando l’Italia a non farsi prendere in giro dal Cairo. “E’ incredibile che la vicenda sia ancora insoluta e che continui a esserci questo balletto inaccettabile delle autorità egiziane. Su questo non credo ci possa essere realpolitik: bisogna reagire con fermezza. Le autorità egiziane hanno dimostrato di prenderci in giro e l’Italia non può farsi prendere in giro di fronte a una tragedia come questa”.
(da “Huffintonpost”)
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Settembre 1st, 2017 admin
L’EX PREMIER PARLA DEL SUO FUTURO
Enrico Letta annuncia l’addio alla politica: “Oggi tocca ad altri”.
Tornerebbe a far politica?, gli chiede Chiara Giannini del Giornale: “No, assolutamente no - risponde - Sto benissimo dove sono”.
Così l’ex premier chiarisce i suoi progetti per il futuro, un futuro lontano dall’agone.
Un’intervista confessione al Giornale nella quale Letta spiega le ragione del suo addio
È stata una scelta che ho fatto, quella di impegnarmi in una professione che mi appassiona e credo sia giusto così. Oggi tocca ad altri assumersi le responsabilità politiche per le scelte che fanno. Io osservo e do il mio contributo in un altro modo
L’ex premier poi tocca tutti i temi d’attualità come il tema del terrorismo: “È difficilissimo da combattere, quello suicida ed è il più terribile. Sicuramente c’è bisogno di cooperazione tra le forze di polizia e lo scambio di informazioni”.
L’ex premier poi vaticina la fine dei partiti tradizionali
C’è necessità di risposte diverse da quelle date dai partiti nel passato. Quelli tradizionali sono crollati - dice -, si sono suicidati. Credo ci sia bisogno di interrogarsi su quali siano le forme con cui fare politica. Ho seri dubbi sul fatto che la costruzione dei vecchi partiti sia la soluzione. Continuare su strade che hanno una difficoltà a far transitare messaggi positivi nuovi è sbagliato, perché i partiti tradizionali sono visti dai cittadini come tutto ciò che è privilegio, conservazione e classe dirigente che non ascolta i problemi
Sentito anche dalla Stampa Letta ha invitato l’Italia a non restare indietro nel progetto di integrazione europea lanciato da Francia e Germania
Tutti gli indizi dicono che Macron e Merkel stanno per avviare con forza un progetto di rilancio dell’integrazione europea”, “si comincerà dopo il voto tedesco e il quadro dovrà essere chiarito entro metà 2018″.
L’Italia non deve perdere questo treno, “deve essere nel vagone di testa”, anche se “c’è il rischio di un’instabilità politica” legata al voto di primavera.
(da “Huffingtonpost”)
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Aprile 28th, 2017 admin
“ALTRO CHE TAXI, IO HO VISTO LA DISPERAZIONE DI QUELLA GENTE, DI MAIO E’ INADEGUATO A GUIDARE IL PAESE”
“La cosa che mi fa rizzare la pelle è lo scarto tra l’uso della parola taxi e la disperazione che ho visto
sui volti dei migranti. Ricordo il naufragio del 2013 a Lampedusa: non c’erano abbastanza bare per i 366 corpi recuperati. Ricordo le facce dei sopravvissuti, i feretri bianchi dei bambini”.
Enrico Letta - da premier - lanciò la missione Mare Nostrum perché non accadesse ancora.
“Anche quella fu definita un fattore attrattivo, e invece, da quando è stata chiusa, gli sbarchi sono triplicati e sono aumentati i morti in mare”.
Il suo ultimo libro, Contro venti e maree. Idee sull’Europa e sull’Italia, ha un intero capitolo dedicato all’immigrazione. E agli errori della politica, che ne fa tema di polemica elettorale invece di metterla al centro delle sue strategie.
Secondo il procuratore di Catania, alcune ong potrebbero essere finanziate dai trafficanti con l’intento di destabilizzare l’economia italiana. Che ne pensa?
“Che la magistratura deve svolgere il suo compito, è importante che ci sia il massimo approfondimento davanti a ipotesi del genere, ma il commento geopolitico esula dall’inchiesta. La giustizia parli con i fatti, sono d’accordo con il ministro Orlando”.
Le navi delle Ong che si posizionano nelle acque internazionali davanti alla Libia non sono un “pull factor”, un fattore attrattivo, come le definisce Frontex?
“Questa gente parte in qualunque condizione. C’è una sottovalutazione del grado di disperazione che porta qualcuno a rischiare la vita, e troppo spesso morire, pur di arrivare in Europa. I dati Unhcr parlano di 15mila morti in mare nell’ultimo decennio. Altro che taxi!”
Si riferisce alle parole di Di Maio?
“Sconsiderate, come se stessimo parlando di persone che chiamano il 3570. È una terminologia riprovevole, che mostra l’inadeguatezza di chi si dice pronto a governare. Ma fa parte di una precisa strategia”.
Quale?
“I 5 stelle hanno deciso di solleticare le paure e l’istinto anti-immigrazione degli italiani distinguendosi da Salvini, ma ponendosi sullo stesso livello. Un gioco sporco. Mentre se la prendono con la gente che lucra sull’immigrazione, il messaggio subliminale è: ‘Con noi non ci sarà il buonismo della sinistra, faremo la faccia dura’. Dietro la parola taxi c’è il totale disprezzo di quel che avviene davvero”.
Una tragedia che l’Europa non sembra voler risolvere.
“Quella disperazione è figlia delle decisioni prese dai Paesi membri, non dall’Europa. Sono state le singole nazioni a non voler dare a Frontex gli strumenti e il mandato necessari ad affrontare la questione. Le Ong coprono un vuoto istituzionale, come spesso accade per il volontariato. Per questo non si può sparare nel mucchio, attaccando tutte sulla base di sospetti che riguardano qualcuno”.
Anche di Mare Nostrum si disse che attirava gli sbarchi. Non era così?
“La risposta è molto semplice. Sono stato attaccato anch’io. Mare nostrum è stata chiusa. Il giorno dopo è cessato l’afflusso dei migranti? No, si è raddoppiato, triplicato, c’è stato il naufragio del 18 aprile 2015 con oltre 700 morti. Si temeva di perdere voti con quella missione, ma, dopo, la situazione è peggiorata. Io non dico apriamo le porte, accogliamo tutti. Per gestire il fenomeno però bisogna farlo uscire dalla polemica elettorale contingente”
Il vicepresidente della Camera ha accusato di ipocrisia chi lo ha criticato. La sinistra è stata ipocrita, nei confronti dei migranti? Ha lasciato che a occuparsi delle paure di chi si sente invaso siano solo le forze xenofobe?
“Sì. Esiste un clamoroso difetto nella percezione del fenomeno da parte delle forze di sinistra. Col risultato che quest’onda ha finito per insistere sui territori della nostra Europa dov’era più facile che nascessero guerre tra poveri. I problemi non sono ai Parioli o nel sesto arrondissement di Parigi o a via Montenapoleone. La presenza dei migranti sta addosso alle classi disagiate”.
Cosa bisognerebbe fare?
“Frammentare il fenomeno. L’unica condizione per integrare è creare piccole comunità di immigrati ripartite in tutto il territorio. Solo così aumentano la conoscenza della lingua, l’accettazione dei costumi. La cattiva integrazione in Europa ha soffiato nelle vele delle forze di destra. In nome di questo disagio, Marine Le Pen prende voti di destra e di sinistra”.
Quel che potrebbe avvenire in Italia con Lega e M5S?
“Salvini usa toni ancora più inaccettabili di Di Maio per dire cose inapplicabili. La Grecia e l’Italia hanno decine di migliaia di chilometri di costa: anche a volerli chiudere tutti, come si fa?”.
Da dove bisogna cominciare per gestire meglio i flussi?
“Finché non si ha la capacità di distinguere tra rifugiati e migranti economici, non si rispetta il diritto del rifugiato e non si risolve il problema degli altri. Se si guarda agli arrivi dei profughi in Europa, i più vengono da Iraq, Afghanistan, Siria: Paesi dove le responsabilità dell’Occidente sono evidenti. Questi argomenti non possono riguardare una singola campagna elettorale. Se non li affrontiamo seriamente, andiamo verso il disastro. I sindaci in prima linea saranno disperati e i partiti xenofobi avranno benzina nei loro motori”.
(da “La Repubblica”)
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Febbraio 3rd, 2016 admin
“ALL’ITALIA SERVE UN’EUROPA CAPACE DI GESTIRE SICUREZZA E MIGRAZIONI”
Nel suo studio a Sciences Po, l’Istituto di studi politici, una delle Grandes Ecoles di Parigi, Enrico
Letta scruta la carrellata delle notizie del giorno e si ferma sul documento di apertura alla Gran Bretagna del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.
E commenta: «Col prossimo referendum, perdere la Gran Bretagna sarebbe, per davvero e non retoricamente, una spinta verso la dissoluzione dell’Europa. Immaginiamo la Gran Bretagna che lascia l’Unione vista con gli occhi degli asiatici o dei brasiliani: dopo tanti allargamenti sarebbero autorizzati a pensare, e non solo loro, ad un fatale arretramento. Dobbiamo saper cogliere l’occasione del referendum inglese per riformare l’Europa: così non va. Ma non la si riforma con l’anti-europeismo facile».
Oramai nell’opinione pubblica cominciano ad insinuarsi domande di fondo, semplici: questa Europa serve all’Italia? Quale Europa serve all’Italia?
«All’Italia serve stare in Europa anzitutto perché la geografia e la storia ci hanno immerso in un mare instabile. Per decenni abbiamo appaltato la politica di sicurezza agli americani e dunque se non stiamo dentro una rete di alleanze, dentro un sistema di difesa e di sicurezza, rischiamo di affondare. All’Italia serve un’Europa capace di gestire sicurezza e migrazioni, perché soluzioni nazionali non esistono. Non dobbiamo assolutamente staccarci, isolarci».
Il «Financial Times» torna ad evocare per l’Italia un destino greco: drammatizzazioni senza fondamento?
«Quando leggo cose come quelle che scrive il “Financial Times” mi preoccupo. Questo tipo di politica italiana verso l’Europa, molto aggressiva e incattivita, finisce per isolarci e rischia di farci diventare una seconda Grecia, piuttosto che il centro dell’Europa. Ma il nostro destino è sempre stato e deve restare lo stesso: Francia e Germania. Sì, devo esprimere una preoccupazione: ci stiamo isolando in modo preoccupante».
In questi giorni si è chiarito una volta per tutte il vero nervo scoperto di Berlino e Bruxelles: i conti italiani non tornano e metterebbero di nuovo a rischio il resto dell’Unione. Ma non è legittima la via italiana: meno tasse, un po’ di deficit per alimentare la domanda?
«È evidente che non è facile chiedere flessibilità con una legge di stabilità in deficit e priva di spending review. Se la flessibilità diventa uno strumento per fare deficit, ci sono problemi. Il governo sta alzando la voce per coprire questa legge di Stabilità».
Ora è facile negarlo, ma nel periodo nel quale ha governato il Paese le è venuta la tentazione di una scorciatoia, magari nel tentativo di far slittare uno dei termini di «rientro»?
«Nel breve periodo nel quale sono stato presidente del Consiglio la mia preoccupazione era quella di far uscire l’Italia dalla procedura di infrazione e in quella fase non era possibile immaginare altro. L’obiettivo lo abbiamo raggiunto, sono soddisfatto: è bene ricordarsi dove eravamo. Per evitare di tornarci».
La politica europea sull’immigrazione è entrata in una crisi inimmaginabile ancora qualche mese fa: un’Europa così non serve all’Italia…
«All’Italia serve un’Europa capace di gestire sicurezza e migrazioni, un’Europa nella quale torni la parola solidarietà, parola che fino a qualche tempo era considerata impronunciabile perché erano altri i termini che contavano, a cominciare da competitività. Solidarietà è una parola che oggi pronuncia la Germania, dopo la decisione di accogliere un milione di rifugiati. La pronuncia l’Italia che ha bisogno di solidarietà nella gestione dei flussi migratori».
Italia che sembra al centro di un ricatto: se c’è una seconda frontiera dietro le Alpi, noi non siamo dentro una tenaglia?
«Per noi il più grande pericolo è una mini-Schengen che escluda i mediterranei: un pericolo mortale. Vorrebbe dire che l’Italia esce dal cuore dell’Europa. E il cuore dell’Europa è passare le frontiere senza passaporto. Ma noi dobbiamo essere paladini di una vera battaglia, che non può essere quella per i 281 milioni sui fondi per i rifugiati. Dobbiamo batterci per realizzare un corpo di polizia frontaliero: cinquemila uomini, capaci di gestire, e bene, la frontiera esterna dell’Unione. Un vero corpo europeo. Con agenti italiani all’aeroporto di Berlino e tedeschi a quello di Atene. Non sarebbe una spesa in più ma una spesa in meno rispetto alla prospettiva di nuove frontiere interne. Se non si fa così, muore Schengen. Si fa una mini-Schengen che ci escluderà, perché la geografia ci penalizza».
Ma complessivamente non resta un forte pregiudizio anti-italiano a Bruxelles, retaggio di vecchie politiche e di vecchie leadership?
«Se il debito resta enorme, quelle sono cifre, non pregiudizi. Dell’Italia ci si può fidare ma in un tempo nel quale la comunicazione pesa, i giornali si leggono e si traducono, prendere a male parole o fare la politica del capro espiatorio con Bruxelles non funziona. Lo so che far polemica è un gioco per prendere voti in Italia. Ma attenzione all’effetto-paradosso: una polemica anti-europea per contendere voti a Grillo e Salvini, finisce per alimentare l’anti-italianismo all’estero e l’anti-europeismo in Italia. Soffiare su quel fuoco lì è un gioco a perdere. Non è con l’anti-europeismo che si cambia l’Europa, che invece va riformata. E non è con il nazionalismo che si salva l’Italia».
Regolamentazioni come il bail in servono all’Italia?
«In questo campo la battaglia italiana, anche nei confronti della Germania, non può essere quella dallo zero virgola col cappello in mano, ma invece quella di completare l’Unione bancaria, che è rimasta a metà, assieme al fondo di garanzia europeo. La strada la sta indicando Draghi: occorre completare l’Unione economica e sociale».
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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Agosto 15th, 2015 admin
“BISOGNA FINANZIARE L’ECONOMIA DEI PAESI DI ORIGINE DEI PROFUGHI PER CREARE LAVORO IN AFRICA”: QUELLO CHE IN DIECI ANNI DI GOVERNO IL CENTRODESTRA NON HA MAI FATTO
«La mia posizione rispetto all’immigrazione è quella di chi ha fatto la legge Bossi-Fini. Dovrebbe essere vietato immigrare quando non c’è lavoro perché è il lavoro che integra, altrimenti l’immigrazione rischia di disgregare il Paese».
Lo ha detto il presidente federale della Lega Nord Umberto Bossi, invitato a Genova da Bruno Ravera, uno dei padri fondatori della Lega Nord ligure per rilanciare il progetto politico del Carroccio in vista dei prossimi appuntamenti elettorali.
«Occorre trovare un’altra via - ha detto Bossi, - per esempio finanziando lo sviluppo di sistemi di accoglienza dei profughi nei paesi nordafricani e favorendo anche l’insediamento di imprese». E ancora:«Fino a quando non si risolvono i problemi in Africa non possiamo far niente perché l’Africa è un continente in cui abitano due miliardi di persone. E se si muovono tutte insieme saremo noi a dover scappare».
Bossi finge di dimenticare un dettaglio: che proprio quando il centrodestra era al governo l’Italia si era contraddistinta per non versare neanche quel minimo contributo per lo sviluppo di quei paesi, previsto dalla Ue.
Per la seria chi predica bene e razzola male.
Bossi ha anche parlato della Lega di oggi. «Le radici della Lega di oggi sono ancora quelle del movimento che ho guidato, ma bisogna stare attenti a non pensare che i voti siano tutto».
Assenti, complice il Ferragosto i vertici del Carroccio ligure, lancia un monito a Matteo Salvini. «A forza di andare a cercare i voti a tutti i costi si rischia di bloccare il progetto politico di cambiamento del Paese per quattro voti in più».
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Luglio 11th, 2015 admin
“LUI NON E’ CAPACE, NON E’ CATTIVO, L’ALTERNATIVA E’ GOVERNARLO DA FUORI”
Le strategie per prendere il posto di Enrico Letta, spiegate dalla viva voce di Matteo Renzi in una
telefonata dell’11 gennaio 2014, meno di un mese prima di suonare la campanellina dello sfratto al suo predecessore.
Renzi, si scopre oggi, propose a Letta l’onore delle armi, uno specchietto per le allodole o una promessa che non si poteva mantenere e nemmeno rifiutare: il Quirinale nel 2017 in cambio di Palazzo Chigi.
Ma Letta, che Renzi definisce “un incapace”, non accetta e così l’allora sindaco lo asfalta.
Nell’indagine di Napoli sulla Cpl Concordia c’è la vera trama della svolta politica.
Il 10 gennaio 2014 Renzi va a Palazzo Chigi con Delrio.
Qui avrebbe fatto la proposta all’allora premier, come racconta l’indomani. Ore 9.11, Renzi risponde al comandante interregionale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, allora indagato per una sospetta fuga di notizie che sarà archiviato su richiesta dello stesso pm Henry John Woodcock.
Renzi parla sul suo cellulare, una “utenza intestata – annotano i carabinieri del Noe – alla fondazione Big Bang”. Quel giorno compie 39 anni.
Renzi (R): Signor generale!
Adinolfi (A): Mi dicono fonti solitamente ben informate che ti stai avviando anche tu verso una fase di rottamazione.
R: È la disinformatia del partito…
A: Come stai amico mio? Tanti auguri, tanti auguri e complimenti. Matteo, spero di vederti in qualche occasione.
R: Con molto, molto piacere. La settimana prossima sarà un po’ decisiva perché vediamo se riusciamo a chiudere l’accordo sul governo. E…
A: Rimpastino?
R: Sì, sì. Rimpastino sicuro. Rimpastone, no rimpastino! Il problema è capire anche… se mettere qualcuno dei nostri…
A: È lì il punto! O stare fuori, va bene?
R:No, bisogna star dentro.
A: Oppure stare dentro.
R: Stare dentro però rimpastone.
A: Significa arrivare al 2015.
R: E sai, a questo punto, c’è prima l’Italia, non c’è niente da fare. Mettersi a discutere per buttare all’aria tutto, secondo me alla lunga sarebbe meglio per il Paese perché lui è proprio incapace, il nostro amico. Però…
A: È niente, Matteo, non c’è niente, dai, siamo onesti.
In sostanza Renzi anticipa a un generale, non un suo consulente ma al limite un suo controllore, una strategia che nessuno ha mai svelato: la staffetta (il “rimpastone”) con un risarcimento, il Quirinale nel 2017, per l’inquilino sfrattato da Palazzo Chigi. Proposta rifutata.
Due i problemi, spiega Renzi al generale: Letta jr ha 46 anni, dovrebbe aspettarne tre per il compimento dei 50, soglia minima per il Colle, e non si fida.
Inoltre “il numero uno” alias Napolitano, giustamente, è contrario.
R: Lui non è capace, non è cattivo, non è proprio capace. E quindi… però l’alternativa è governarlo da fuori…
A: Secondo me il taglio del Presidente della Repubblica.
R: Lui sarebbe perfetto, gliel’ho anche detto ieri.
A: E allora?
R: L’unico problema è che … bisogna aspettare agosto del 2016. Quell’altro non c’arriva, capito? Me l’ha già detto.
A: Sì sì, certo certo.
R: Quell’altro 2015 vuole andar via e … Michele mi sa che bisogna fare quelli che… che la prendono nel culo personalmente… poi vediamo magari mettiamo qualcuno di questi ragazzi dentro nella squadra… a sminestrare un po’ di roba.
A: Sì sì, ho capito.
R: Purtroppo si fa così.
A: Non ci sono alternative, perché quello, il numero uno non molla e quindi che fai?
Renzi conferma che Napolitano è contrario e aggiunge: Berlusconi è favorevole.
Il patto del Nazareno c’era già 8 giorni prima di essere siglato. L’incontro Renzi-Berlusconi è del 18 gennaio, ma fu annunciato il 16, cinque giorni dopo la telefonata.
R: E poi il numero uno anche se mollasse… poi il numero uno ce l’ha a morte con Berlusconi per cui… e Berlusconi invece sarebbe più sensibile a fare un ragionamento diverso. Vediamo via, mi sembra complicata la vicenda.
A: Matteo, intanto t’ho mandato una bellissima cravatta.
R: Grazie.
A: (…) Se vuoi il colore lo puoi cambiare, ci sono dei rossi e dei neri, va bene? (ride)
R:No ma va bene, poi io amo il calcio minore per cui va bene.. un abbraccio forte.
A: Che stronzo! Ciao, ciao. Buon compleanno, buona giornata.
Per comprendere l’ultimo passaggio bisogna sapere che Adinolfi è milanista e amico fraterno di Adriano Galliani da trenta anni.
Inoltre è amico di Gianni Letta, come dimostrano altre conversazioni depositate nelle quali Letta senior lo sponsorizza mentre Letta jr lo fa fuori dalla corsa a comandante generale.
Inoltre è considerato vicino a Berlusconi. Forse per questo Renzi gli parla del leader di Forza Italia quasi come se fosse un amico comune, a differenza di Napolitano.
Se questo aiuta a capire perché Renzi, notoriamente viola, accetti una cravatta da un rossonero, non spiega perché il leader della sinistra italiana si faccia chiamare “stronzo” da un amico di Berlusconi, che vuole promuovere a capo della Finanza.
Ma questa è un’altra storia.
Vincenzo Iurillo e Marco Lillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 2nd, 2015 admin
PRODI: “ATENE NON SIA LA SARAJEVO EUROPEA”… MONTI: “BERLINO RISCHIA DI CAUSARE UNA RIVOLTA”… LETTA: “DOPO LA GRECIA, RISCHIA L’ITALIA”
Romano Prodi e Mario Monti sono preoccupati per le sorti dell’Europa e della Grecia.
I due ex premier italiani e maggiori rappresentanti in Italia dell’Unione Europea parlano della crisi ellenica in due interviste, il primo a Repubblica e il secondo al Corriere della sera.
Prodi, parlando con Repubblica, non crede all’uscita della Grecia dall’euro: “Comunque vada a finire il referendum, il danno di un’uscita della Grecia dall’euro sarebbe troppo grande. Si troverà un compromesso. Se tutto il mondo, da Obama ai cinesi, continua a ripeterci che bisogna trovare un accordo, vuol dire che c’è il diffuso sentimento di una catastrofe imminente che occorre evitare ad ogni costo (…) Tuttavia l’Europa, se vuole salvarsi, deve dotarsi immediatamente di una forte autorità di tipo federale, altrimenti sarà votata al fallimento”.
“Proprio perché la crisi è così piccola, un fallimento sarebbe clamoroso. Una istituzione che non riesce a governare un problema minuscolo come la Grecia che fiducia può dare sulla sua capacità di gestire un problema più grosso? Oggi non è all’orrizzonte, ma tutti sappiamo che , prima o poi, arriverà.Un non compromesso è un evento impensabile. Voglio vedere come Merkel, Juncker o Lagarde possono prendersi la responsabilità di lasciare la Grecia fuori dall’euro. Certo, l’irrazionalità della Storia è sempre in agguato. Anche la Prima guerra mondiale scoppiò per un piccolo incidente. Ma voglio sperare che Atene non sia la nostra Sarajevo.”
In un intervista al Corriere della sera, mostra la sua preoccupazione anche l’ex premier Mario Monti.
“Il negoziato continua - afferma -. È in evoluzione ora per ora. La posizione del governo greco, per quanto disordinata, sta cambiando: Atene è disposta ad accettare più cose di prima. E nell’Eurogruppo c’è una vasta disponibilità a riprendere in esame il dossier. Il tentativo è offrire a Tsipras qualcosa di più, in modo da indurlo a passare dal no al sì al referendum. È possibile un accordo su basi diverse dal passato: meno privatizzazioni, meno disagio sociale, una lotta più forte all’evasione e alla corruzione. Tutti i sondaggi indicano che il sì è in rimonta. E che la grande maggioranza dei greci, tra il 70 e l’80%, non vuole il ritorno alla dracma. Io, oltre a un grande amore, ho una grande fiducia nel popolo greco.”
Sull’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro, Monti dice: “Come ha detto Draghi, sarebbe un’esperienza del tutto nuova per tutti. È difficile prevedere le reazioni dei mercati, se venisse meno la certezza dell’irreversibilità della moneta unica. Qualcuno potrebbe avere la tentazione di scommettere contro altri Paesi (…) Non sarebbe l’Italia l’anello debole della catena. Spagna e Portogallo sono messe peggio di noi, che pure abbiamo un rapporto debito pubblico-Pil più alto. Ma pensiamo piuttosto a evitare questo scenario”.
“La Merkel - dice l’ex premier - vince solo se tiene la Grecia dentro l’euro e favorisce l’accordo finale. Se invece si avesse la sensazione che la Merkel e Schaeuble non hanno voluto l’accordo, in Europa ci sarebbe una rivolta degli spiriti, un tumulto delle anime: uno scenario drammatico, per l’Europa e per la Germania.”
Sulla questione greca interviene anche l’ex primo ministro Enrico Letta, con un’intervista al quotidiano Avvenire.
“Un accordo fra la Ue e la Grecia va perseguito a ogni costo. Perché una rottura costerebbe almeno 10 volte di più di qualunque intesa. E - attenzione - il costo maggiore sarebbe proprio per l’Italia”.
Letta sottolinea: “L’uscita della Grecia dall’euro sarebbe l’inizio del declino per il disegno europeo. Un declino irreversibile. Non vedo come si possa far uscire questo Paese e procedere tranquillamente facendo finta di nulla”.
Secondo Letta “una rottura avrebbe un costo almeno 10 volte maggiore di qualunque intesa. E il costo sarebbe più grave proprio per noi”, “la nostra esposizione verso la Grecia è la maggiore in rapporto al Pil, più anche di Germania e Francia” e “un default avrebbe un impatto sul deficit che ci farebbe sballare i conti, ci obbligherebbe a una manovra correttiva e particolarmente rigorosa per scongiurare l’idea che il prossimo, potenziale bersaglio della crisi dell’euro siamo noi”.
Inoltre “vedremmo sfumare in un sol colpo gran parte delle 5 condizioni - petrolio basso, cambio buono, bassi tassi d’interesse, più l’Expo e il Giubileo - di quella insperata congiuntura malgrado la quale assistiamo a una ripresa ancora stentata. Come in un gioco dell’oca torneremmo alle condizioni del 2012. E apriremmo a un’autostrada per l’affermarsi sempre più netto dei populismi nella politica”.
(da “Huffingtonpost”)
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