Novembre 5th, 2020 admin
“UN RISCATTO PERSONALE, HO VISSUTO SULLA MIA PELLE IL PESO DELLE DISCRIMINAZIONI”
Il sì alla Camera alla legge contro l’omotransfobia è «un sogno realizzato» per Alessandro Zan.
Il deputato democratico, “padre” del ddl, racconta a Open: «Ho sentito sulla mia pelle il peso delle discriminazioni. Le prese in giro a scuola, alle elementari, alle medie e ovviamente alle superiori. Cercavo di camuffarmi per evitare di essere insultato o emarginato, cercavo di essere conforme a uno stereotipo, nascondevo in sostanza il mio orientamento, persino al mio compagno di banco. Chissà come avrebbero reagito i miei compagni di scuola se lo avessero saputo».
«Dedicato a chi subisce discriminazioni e violenze»
Quando ieri ha sentito «la Camera approva» – 265 sì, 193 no e un astenuto con le deputate di Forza Italia Giusi Bartolozzi, Renata Polverini e Stefania Prestigiacomo che hanno votato a favore della legge – ha esultato pensando «a chi non ha una voce e a chi subisce discriminazioni e violenze ogni giorno». Con questa legge, donne come Martina ed Erika, nel mirino dei leoni da tastiera perché lesbiche, o come Camilla, a cui i vicini di casa avrebbero bucato le quattro gomme dell’auto, potranno avere giustizia. «La dedico a loro», dice Zan.
Adesso la battaglia si sposta in Senato
In Aula la situazione non è idilliaca con un centro-destra che si oppone fermamente alla legge e «alcune battutine non rivolte a me direttamente» ma che rendono il clima sempre più teso.
Poi, però, ci sono le “aperture”, come quelle di Forza Italia «che ha una componente più liberal e attenta ai diritti». Ma la battaglia è solo all’inizio: dopo l’ok della Camera («se non avessero presentato tutti quegli emendamenti, l’avremmo approvata prima»), bisognerà superare lo scoglio del Senato dove i numeri sono più risicati. «Ci proviamo per riuscirci, è fattibile. Il ddl arriverà in Senato tra qualche giorno ma verosimilmente verrà approvato, se tutto dovesse andare bene, nei primi mesi del prossimo anno, comunque entro primavera, sperando di poter contare sul sostegno di una parte dell’opposizione».
Sul resto dell’Aula, come ad esempio su Lega e Fratelli d’Italia, Zan sa di non poter contare affatto: «Ho sentito cose irripetibili, Sgarbi ha persino parlato di pedofilia. Vengono da una cultura sessista e patriarcale, una destra arretrata, omofoba, misogina».
(da Open)
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Ottobre 21st, 2020 admin
UNA FORTE E NECESSARIA PRESA DI POSIZIONE PUBBLICA
Che Bergoglio fosse d’accordo con le unioni civili per le persone dello stesso sesso, lo si sapeva, almeno da dieci anni. Ma certamente una presa di posizione pubblica così forte, come quella di oggi, sia pure attraverso uno strumento “liquido”, come un documentario anticipato alla stampa durante la Festa del Cinema di Roma, non era però pensabile.
Tanto che il Papa parla di diritto delle coppie gay ad avere una famiglia, e per i figli di poter frequentare la chiesa.
Bisogna ricordare che già il 19 marzo del 2013, che il giorno stesso dell’inizio del pontificato di papa Francesco, il «New York Times» ha riferito che nel 2009 e nel 2010, durante il dibattito nazionale in Argentina sui matrimoni gay, il cardinale Bergoglio dietro le quinte avrebbe cercato di favorire una soluzione di compromesso che avrebbe incluso le unioni civili per le coppie dello stesso sesso.
Una fonte di questa storia era stato stata il giornalista argentino Sergio Rubin, coautore con Francesca Ambrogetti del primo libro-intervista con Bergoglio intitolato “Papa Francesco. Il nuovo papa si racconta “(Salani, Milano 2013). La versione di Rubin era stata però smentita dal direttore dell’Agenzia di informazione cattolica argentina (Aica), l’agenzia di stampa della diocesi di Buenos Aires, Miguel Woites. In particolare Woites ha negato “che il cardinale Bergoglio abbia mai favorito le unioni civili”.
Ma John Allen, il più influente vaticanista di lingua inglese, direttore del sito Crux, interpellò allora tre diverse fonti che gli avevano confermato che Bergoglio aveva lavorato, di fatto, per le unioni civili, considerandole il male minore. Tra loro “due funzionari della Conferenza episcopale argentina e almeno altri due giornalisti, Mariano de Vedia, de «La Nación», e Guillermo Villarreal, secondo il quale a quel tempo era ben noto come la posizione moderata di Bergoglio fosse osteggiata dall’arcivescovo di La Plata, Héctor Rubén Agüer. Non c’erano divergenze sul fatto che occorresse opporsi ai matrimoni gay, ma le posizioni differivano sulla durezza dell’opposizione e sulla possibilità di raggiungere una posizione di compromesso sulle unioni civili. Villarreal ha descritto la situazione di stallo sulle unioni civili come l’unica votazione che Bergoglio abbia perso durante i sei anni della sua presidenza della Conferenza episcopale argentina.
«Quel voto respinse a maggioranza l’endorsement a favore delle unioni civili avanzata dall’allora cardinale.» In ogni caso Bergoglio pubblicamente non ruppe mai l’unità della posizione della Conferenza episcopale argentina. Né fece mai dichiarazioni pubbliche.
Da allora sono passati dieci anni e soprattutto Bergoglio è diventato Papa.
Del resto bisogna riferirsi alla esperienza dell’arcivescovo di Buenos Aires per comprendere come papa Francesco abbia orientato nel 2015 e nel 2016 la posizione della Conferenza episcopale italiana sulla legge voluta dal governo italiano di Matteo Renzi, accettandone la formulazione.
Resta il fatto che il più recente documento della Chiesa cattolica che contiene valutazioni sulle unioni gay, l’esortazione apostolica postsinodale “ Amoris laetitia” di papa Francesco, firmata il 19 marzo 2016, abbia toni molto differenti.
Essa costituisce il documento in cui il Papa prende posizione con la forza del magistero, con il quale ha tirato le somme dei due Sinodi convocati sulla famiglia (straordinario del 2014 e ordinario del 2015). E anche qui le affermazioni sono diverse da quelle contenute nel documentario di oggi.
Innnanzitutto, l’esortazione tratta del tema dei matrimoni gay solo in un paragrafo, il 251, che nella versione italiana (Libreria Editrice Vaticana) è composto di appena tredici righe. In esso il pontefice afferma che: «Nel corso del dibattito sulla dignità e missione della famiglia, i Padri sinodali hanno osservato che “circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia”; ed è inaccettabile “che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi[…]”. E questo con gli occhi rivolti alla situazione dei Paesi emergenti, e in particolare africani.
Ma nel paragrafo 172 (“Amore di padre e di madre”) Francesco richiama per ben due pagine il «diritto» di ogni bambino di «ricevere l’amore di una madre e di un padre, entrambi necessari per la sua maturazione integra ed armoniosa», visto che «essi insieme insegnano il valore della reciprocità, dell’incontro tra differenti, dove ciascuno apporta la sua propria identità e sa anche ricevere dall’altro».
Mentre a pagina 53 della versione italiana, nel paragrafo 56, il documento affronta la sfida che emerge «da varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che “nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia» - così papa Francesco continua la citazione della Relatio finalis del Sinodo del 2015 «induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo”».
Quanto al referendum parzialmente abrogativo della nuova legge italiana sulle unioni civili annunciato da alcuni esponenti dello schieramento politico italiano di centro-destra per evitare l’equiparazione di fatto delle unioni civili al matrimonio, le adozioni gay e la stepchild adoption, (un’iniziativa sostanzialmente orientata a bloccare anche ogni possibilità di pratica di utero in affitto), il presidente della Conferenza episcopale italiana ha detto che si trattava di iniziative «doverosamente portate avanti dai laici», annunciando però che non ci sarebbe stata alcuna mobilitazione ufficiale della Conferenza episcopale. E infatti il referendum non si è fatto.
Papa Francesco, in un’intervista al quotidiano cattolico francese «La Croix» (16 maggio 2016) ha «consigliato» una strada da seguire (che non è citata oggi oggi dal documentario): l’obiezione di coscienza dei funzionari chiamati a registrare le unioni omosessuali. Alla domanda: «In un contesto laico, come i cattolici dovrebbero difendere le loro preoccupazioni su materie quali l’eutanasia o il matrimonio tra persone dello stesso sesso?», questa è stata la risposta del papa: «È al Parlamento che spetta discutere, argomentare, spiegare, ragionare. Così cresce una società. Una volta che la legge è votata, lo Stato deve rispettare le coscienze. In ogni struttura giuridica, l’obiezione di coscienza deve essere presente, perché è un diritto umano. Anche per un funzionario pubblico, che è una persona umana”.
Eppure nel corso della visita negli Usa del settembre 2015, l’allora nunzio Carlo Maria Viganò aveva presentato al Papa una donna, funzionario di stato civile, che aveva fatto obiezione di coscienza negli Usa, ma l’iniziativa non fu considerata particolarmente felice da parte del Papa che aveva invece parallelamente accordato un colloquio privato ad un suo ex alunno argentino gay e al suo compagno.
Due notazioni geopolitiche infine. Innanzitutto il documentario presentato oggi a Roma è opera del regista russo Evgeny Afineevsky, candidato all’Oscar, e se c’è una chiesa cristiana contraria fortemente alle unioni omosessuali , essa è sicuramente la Chiesa ortodossa russa (con pieno appoggio di Putin). Quindi queste nuove dichiarazioni del Papa lo allontaneranno ulteriormente da Mosca.
In secondo luogo, casualmente, il documentario è stato presentato alla vigilia della proroga dell’accordo provvisorio tra Vaticano e Cina sulla nomina dei vescovi (che, lungamente prevista, sarà ufficialmente annunciata domani, data in cui ricorrono i due anni della prima firma).
Continua l’esperimento cinese, ma ormai è chiaro che l’Ostpolitik di Oltretevere non guarda più alla Russia, ma più ad Oriente.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 4th, 2020 admin
IL PROVVEDIMENTO VERRA’ ESAMINATO A SETTEMBRE
Se uso parole poco gentili verso una donna in quanto donna dalla mia pagina Facebook, se faccio lo stesso con un uomo in quanto gay, dicendo che ‘non mi piacciono’ i matrimoni omosessuali, le miei restano mere opinioni.
Se sono un prete e dissento sulle unioni dello stesso sesso e lo dico in una predica, se capita che durante una cena critichi aspramente una persona trans o lesbica e le sue condotte di vita, le mie restano idee personali espresse e nulla di più.
Se però alle mie parole aggiungo l’invito a prendere a schiaffi quella donna, quella persona gay, trans, bisessuale o lesbica, a farle una ‘faccia così’, a ‘levarla dal mondo’, o a diffamarla, a molestarla o quant’altro, a quel punto compio un reato, rischiando fino a quattro anni di carcere.
È più o meno questo lo scenario che si presenterà se la legge contro l’omofobia, contro gli atti discriminatori fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, sbarcata ieri alla Camera, dovesse diventare legge.
Inoltre, questi atti diventano un’aggravante di altri reati, come già accade per discriminazioni di odio etnico, razziale, religioso e nazionale
Cosa contiene il testo della legge contro la transomofobia
La proposta di legge Zan, dal nome del relatore di maggioranza, Alessandro Zan del Pd, a proposito dei cosiddetti delitti contro l’uguaglianza, già previsti dagli articoli 604-bis e ter del codice penale, alle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, aggiunge, riallacciandosi alla legge Mancino, aggiunge, come abbiamo detto, quelli legati ai caratteri sessuali.
La differenza, però, è che mentre se per la Shoah, per i crimini di genocidio, così come per quelli contro l’umanità e di guerra, per l’odio razziale e religioso, è reato anche la sola propaganda, per quelli compresi nella proposta di legge sarebbe reato solo l’istigazione (e non la propaganda).
Oltre a questo, la nuova legge mira a diffondere una cultura della tolleranza, con l’istituzione della giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, fissa il giorno 17 maggio.
Cosa vuol dire istigare per il codice penale
Istigare è un incitamento concreto a commettere reati, non è quindi qualunque manifestazione di opinione, ma un’esortazione “che abbia una efficacia determinante nei confronti delle persone a commettere un reato”, come spiega ad HuffPost il costituzionalista Davide De Lungo.
Ci deve dunque essere la reale capacità dell’istigazione a suscitare odio e potenzialmente a determinare un concreto rischio di commissione di condotte delittuose.
L’aspetto delicato è che, ad esempio, una determinata frase molto sgradevole e offensiva rivolta a una donna – perché il provvedimento è anche contro la misoginia – potrebbe sì essere un incitamento alla violenza e contenere una forma di istigazione, però sarà il giudice che, per condannare o meno il sospettato, dovrà “valutare in concreto la situazione alla luce di chi è l’autore, delle modalità la concreta attitudine della condotta a determinare la commissione del reato”.
Il rischio è di penalizzare le mere opinioni
La Carta all’articolo 21, primo comma, fissa il principio costituzionale secondo cui tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Stante questa base, come dicevamo, già esistono le fattispecie di reato che riguardano la propaganda e l’istigazione per discriminazioni razziali, etniche e religiose. “I reati d’odio – prosegue De Lungo – nel nostro ordinamento esistono dal 1975, con la normativa ONU sulle discriminazioni, e poi l’abbiamo attuata nel ’93”.
Quando però si creano nuove fattispecie di reato, il problema è questo: “c’è il rischio che possa aprirsi un’indagine o avviarsi un processo per accertare che la condotta rientri o meno all’interno dei casi puniti”.
Per quanto la norma della nuova legge possa essere chiara, “potrà sempre esserci un pubblico ministero, un giudice o anche una persona offesa che possano ritenere diversamente e che quindi ci siano i presupposti per procedere”.
A che punto è l’iter legislativo
Ieri è finita la discussione generale, adesso si passa all’esame del provvedimento, preceduto da due pregiudiziali di costituzionalità presentate da Fratelli d’Italia e Lega. La Camera quindi esamina queste pregiudiziali e le vota. Se vengono bocciate, l’iter procede, se per caso viene approvata anche una delle due, allora il provvedimento è morto, perché viene ritenuto dall’Aula non costituzionale. “E’ all’ordine del giorno oggi, ma tutto depone perché, per forza di inerzia, avvenga a settembre”, spiega una fonte parlamentare vicina al dossier.
Si tenta di fare questa legge da vent’anni
La legge contro l’omofobia l’Italia la rincorre da più di vent’anni, prima con i militanti del mondo gay, poi nel 1999 con il primo tentativo di diversa matrice, questa volta cattolica, con il deputato del Ppi Paolo Palma.
Il problema, anche degli ultimi tentativi, come quello di Ivan Scalfarotto del Pd, è che naufragano sempre perché “sia i radicali del mondo arcobaleno che gli oltranzisti cattolici alla fine non accettano la minima mediazione”, dice la fonte.
“Quando Scalfarotto nella scorsa ha provato a trovare un punto di caduta, sulla Rete se lo sono mangiato dicendo che aveva ceduto, che si trattava di un compromesso al ribasso”.
In questi giorni nei palazzi della politica circolava la domanda ‘Ma come mai con tutte le emergenze che abbiamo ci occupiamo dell’omofobia?’. Tra le risposte in Aula, è arrivata quella del dem Walter Verini, che ha riportato alcuni numeri: “Nel 2017 sono state 324 le segnalazioni che non si siano tradotte in denunce di atti discriminatori o di atti di violenza per motivi di orientamento sessuale o di identità di genere”.
Nel 2018 “sono state 284 e nel 2019, 219”. E poi la sua stoccata ai contrari: “Alcuni sono nipoti di coloro che nei primi anni Settanta si opposero con tutti i mezzi alla legge che introdusse il divorzio”
L’Italia è in ritardo rispetto agli altri Stati europei
L’Onu il 13 maggio scorso ha sollecitato con una lettera il nostro Paese a muoversi con più leggi contro le discriminazioni, perché siamo considerati indietro rispetto alle altre nazioni dell’Europa occidentale.
Anche il Parlamento europeo è intervenuto più volte con delle risoluzioni per chiedere ma a tutti gli stati membri, non solo a noi, di legiferare in materia antidiscriminatoria. L’omofobia, intesa come atto violento o incitamento all’odio, è esplicitamente punita come reato con sanzioni in Danimarca, Francia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia. In quest’ultimo paese, la normativa è molto stringente: il colpevole di minacce o dell’espressione di disprezzo verso gli omosessuali può essere condannato da 6 mesi a 4 anni di carcere.
Lì, sullo stesso tema, nel 2005 è entrata in vigore la legislazione anche in materia di sicurezza sociale.
Quanto alla Norvegia, è stato il primo paese al mondo a includere gli omosessuali nella sua legislazione anti-discriminazione del 1981, rendendo penalmente perseguibile chi rifiuta beni o servizi a una persona per la sua “disposizione, stile di vita o tendenza all’omosessualità”. Qui si rischia il carcere fino a sei mesi.
Il codice penale danese dal 1971 punisce l’incitamento all’odio nei confronti degli omosessuali, quello sloveno dal 1994, lo spagnolo già dal 1995, l’islandese dal 1996, mentre in Ungheria è in vigore dal 1997 la legge sulla salute pubblica, che inquadra la stessa fattispecie.
Serbia, Montenegro e Repubblica Ceca, invecem ci sono arrivati nel 2000. In Francia dal 2004 chi insulta gay e lesbiche rischia un anno di carcere e fino a 45.000 euro di multa.
Nei Paesi Bassi non esiste una legge antidiscriminatoria per gli omosessuali, ma chi diffama pubblicamente un gruppo per la sua razza, religione, credenze personali o il suo orientamento sessuale è punito con il carcere fino ad un anno o con una multa fino a 4500 euro.
In Germania, diversamente, non esiste a livello federale una legge antidiscriminatoria di questo tipo. Per il resto, Finlandia, Cipro, Belgio, Austria, Irlanda, Lussemburgo e Gran Bretagna hanno norme più legate alla sfera lavorativa e al gap occupazionale. L’avvocato Matteo Bonini Baraldi, infine, ricorda ad HuffPost che “già dal 2015 quattordici Stati dell’Ue, tra cui Belgio, Francia, Spagna e Grecia considerano la finalità omofobica come circostanza aggravante o un elemento da prendere in considerazione nella determinazione della pena prevista per il reato”.
L’Italia, in sostanza, non farebbe altro che mettersi la passo con la realtà di oggi, ma la differenza con la maggior parte delle altre nazioni è che il nostro ordinamento è caratterizzato da un eccesso normativo che complica di molto l’interpretazione delle leggi.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 27th, 2020 admin
ERANO ACCUSATI DI AIUTO AL SUICIDIO PER LA MORTE DI UN MALATO DI SM DECEDUTO IN SVIZZERA
Mina Welby e Marco Cappato sono stati assolti dalla corte di assise di Massa perche il fatto non sussiste
dall’accusa di aiuto al suicidio per la morte di Davide Trentini, il 53enne malato di SM deceduto il 13 luglio 2017 in una clinica Svizzera.
Nel dispositivo della sentenza la corte d’assise ha assolto Mina Welby e Marco Cappato perche il fatto non sussiste riguardo all’istigazione al suicidio e perchè il fatto non costituisce reato riguardo all’aiuto al suicidio.
La richiesta dalla procura: Una condanna a 3 anni e 4 mesi per Mina Welby e Marco Cappato, accusati di aiuto al suicidio: è quanto chiesto dal pm Marco Mansi al processo a Massa (Massa Carrara) per la morte di Davide Trentini. “Chiedo la condanna - ha spiegato - ma con tutte le attenuanti generiche e ai minimi di legge. Il reato di aiuto al suicidio sussiste, ma credo ai loro nobili intenti. È stato compiuto un atto nell’interesse di Davide Trentini, a cui mancano i presupposti che lo rendano lecito. Colpevoli sì ma meritevoli di alcune attenuanti che in coscienza non mi sento di negare”.
(da agenzie)
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Luglio 17th, 2020 admin
TRE ITALIANI SU QUATTRO A FAVORE DELL’EUTANASIA… FAVOREVOLI ALLE ADOZIONI DA PARTE DI COPPIE OMOSESSUALI IL 42%
La possibilità di contrarre matrimonio fra persone dello stesso sesso è accettata dal 59,5% dei
cittadini italiani, una percentuale decisamente superiore a quella (40,8%) registrata nel 2015.
E’ uno dei risultati della ricerca “I temi etici: l’opinione degli italiani” curata dall’Eurispes. La possibilità di adozione anche per le coppie omossessuali trova invece contrari il 58% dei rispondenti, mentre i ’si’ raggiungono il 42% (erano il 31% l’anno scorso e il 27,8% cinque anni fa).
I matrimoni gay
E’ il 63,1% delle donne intervistate a dirsi favorevole alla possibilità di contrarre matrimonio tra persone dello stesso sesso; la percentuale maschile è notevolmente inferiore con il 55,8%, pur registrando un aumento, rispetto allo scorso anno, di quasi 10 punti percentuali (45,9%).
Contrari alla possibilità di adottare bambini anche per le coppie omossessuali sono il 55,1% delle donne e il 61% degli uomini.
A dire sì ai matrimoni gay sono il 77,1% dei 18-24enni (+17% rispetto ad un anno prima), il 70,1% dei 25-34enni, il 66,2% dei 35-44enni, il 55,7% dei 45-64enni e il 45,3% degli over 64.
Le droghe leggere
Nel 2020 solamente il 47,8% si dice favorevole alla legalizzazione delle droghe leggere, contro un 52,2% di pareri contrari. Si evidenzia, tuttavia, una ripresa del numero dei giudizi positivi di quasi quattro punti percentuali rispetto al 2019. Da sottolineare, inoltre, che dal 2016 al 2019 si era registrato un decremento dei consensi, passando dal 47,1% di favorevoli al 43,9%.
L’eutanasi
Intanto continua a crescere in Italia il ‘partito’ dei pro eutanasia, la cosiddetta “buona morte” consistente nella somministrazione diretta di un farmaco letale al paziente: ben il 75,2% degli italiani si è espresso favorevolmente rispetto a tale pratica, attestando un forte incremento del consenso negli ultimi cinque anni (i favorevoli erano il 55,2% nel 2015). Nel 2020, con 6 punti percentuali in più rispetto al 2019, il 73,8% dei cittadini si dichiara favorevole al testamento biologico, quella norma che permette di redigere anticipatamente un documento con valore legale nel quale viene stabilito a quali esami, scelte terapeutiche o singoli trattamenti sanitari dare o non dare il proprio consenso nel caso di una futura incapacità a decidere o a comunicare.
Il suicidio assistito, invece (ovvero l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico), trova gli italiani in maggioranza contrari (il 54,6% contro il 45,4% dei favorevoli). Ma i contrari nel 2016 arrivavano al 70,1%.
(da agenzie)
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Luglio 6th, 2020 admin
IL DECRETO SICUREZZA HA ALLUNGATO A QUATTRO ANNI I TEMPI BUROCRATICI PER OTTENERE LA CITTADINANZA A CHI NE HA DIRITTO… NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI BASTA UN ANNO, IN GRAN BRETAGNA E BELGIO SEI MESI
Gli “Italiani senza cittadinanza” riaccendono i motori. O meglio, non li hanno mai spenti. Il movimento dei figli e delle figlie di immigrati è da anni impegnato sul fronte di una riforma che cancelli lo ius sanguinis e introduca nel nostro Paese il cosiddetto ius culturae per ottenere il passaporto tricolore. Ma per ora non se n’è fatto nulla.
Oggi combattono contro il decreto sicurezza, che ha allungato a 4 anni i tempi burocratici necessari a ottenere la cittadinanza. In gioco ci sono i diritti di un milione di bambini, nati o cresciuti in Italia, da genitori stranieri.
L’appello di Jovana.
A parlare a nome degli “Italiani senza cittadinanza” è stata ieri Jovana Kuzman, dal palco degli “Stati popolari” in piazza San Giovanni a Roma: «Siamo oltre un milione di ragazzi e bambini che sono cresciuti in Italia, ma che ancora oggi non vedono riconosciuta la propria identità. Siamo prigionieri dell’attuale legge 91 del ‘92 per la concessione della cittadinanza, una legge ormai vecchia, incapace di rispondere alle esigenze di una società profondamente cambiata dagli anni ‘90. Dopo 20 anni in Italia dobbiamo ancora chiedere il permesso per rimanere nel Paese che consideriamo casa. Senza cittadinanza non si esiste: non possiamo votare, non possiamo scegliere liberamente quali lavori fare e perdiamo tantissime opportunità di studio all’estero. Per i nati in Italia attualmente è previsto un percorso differente, che permette l’ottenimento, seppur tardivo, della cittadinanza, per i tanti invece cresciuti qui ma nati all’estero non esiste niente di tutto ciò. Come movimento chiediamo innanzitutto di abrogare i decreti sicurezza. A cominciare dalla parte sulla cittadinanza. È una vergogna che per il primo decreto sicurezza dobbiamo aspettare altri 4 anni per le sole pratiche di cittadinanza o essere cittadini di serie B perché la nostra cittadinanza è diventata revocabile. Le pratiche devono durare al massimo un anno, come negli altri Paesi europei».
La denuncia degli Italiani senza cittadinanza.
«Il decreto sicurezza ci fa aspettare altri 4 anni per diventare cittadini, perché nessuno ne parla? – scrivono i responsabili del movimento – le risposte alle nostre richieste di cittadinanza devono arrivare entro un anno, come in altri Paesi europei. I 4 anni italiani sono una vergogna imposta dal decreto sicurezza che va abrogato».
Il movimento denuncia dunque i tempi burocratici per ottenere la cittadinanza: «Quello che i funzionari di altri Paesi europei devono fare in un anno, accettare o respingere una richiesta di cittadinanza, per quelli italiani richiede 4 anni. Sono 48 mesi, 1460 giorni che tengono ancora le nostre vite in sospeso e che si aggiungono a tutti gli anni in cui siamo cresciuti in questa nostra Italia senza esserne riconosciuti parte. È un vero e proprio accanimento politico nascosto tra le maglie della burocrazia e che prevede, per chi cresce nella scuola italiana, 10 anni di residenza continuativa per poter chiedere la cittadinanza a cui si sommano i 4 anni di attesa di una risposta dal ministero dell’Interno».
“Da quattro anni a uno”.
Il movimento denuncia anche che «all’atto di richiesta della cittadinanza vengono versati 250 euro la cui destinazione dovrebbe essere dedicata ad abbassare i tempi, non certo ad allungarli così tanto. Chiediamo che i 4 anni di durata delle pratiche per l’accesso alla cittadinanza italiana, tempo vergognoso stabilito nel 2018 dal primo decreto Salvini, vadano ridotti a un anno, come è già previsto in altri Paesi europei. Questo è un punto irrinunciabile che chiediamo venga inserito subito nelle trattative sui decreti sicurezza». Secondo il dossier del movimento, «per esempio in Spagna il massimo di attesa dalla presentazione della domanda, per legge, è di un anno e stanno cercando di abbassarlo ancora; in Belgio e in Gran Bretagna le pratiche durano 6 mesi».
(da agenzie)
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Luglio 5th, 2020 admin
PER L’INDIPENDENCE DAY UN VIDEO DELL’ATTORE ED EX GOVERNATORE DELLA CALIFORNIA TESTIMONIA CHE ESISTE UNA DESTRA SOCIALE ANTI-RAZZISTA
Con un video creato insieme al network Attn, l’ex governatore della California lancia il suo
messagio agli Stati Uniti per la festa del 4 luglio
Se questo video fosse stato girato in Italia, se le immagini e le musiche scelte per il montaggio fossero riferite alla nostra cultura, forse ci sembrerebbe tutto un po’ pacchiano. Ma qui siamo negli Stati Uniti e il concetto di patriottismo è ben diverso dal nostro.
Qui il 4 luglio si celebra l’Independence Day, la festa che ricorda quando nel 1.776 le 13 colonie britanniche si staccarono dal Regno Unito.
Arnold Schwarzenegger, in collaborazione con il network Attn, ha deciso di omaggiare questa giornata con una lettera d’amore in formato video.
Il discorso inzia citando due ondate che hanno sconvolto la calma degli Stati Uniti negli ultimi mesi: la prima è quella del Coronavirus, che qui ha raggiunto oltre 2,7 milioni di contagi, la seconda è quella delle proteste per l’omicidio di George Floyd.
«Qualcuno potrà dire che non è tempo di rallegrarsi. Ci sono americani che non possono respirare se non con un ventilatore, altri che non possono respirare perché hanno un ginocchio schiacciato sul loro collo, altri ancora non possono respirare a causa dell’oppressione e del razzismo».
Schwarzenegger ricorda allora la sua storia, una biografia che sembra ricalcare perfettamente l’American Dream, il sogno degli Stati Uniti come terra delle possibilità in cui il duro lavoro paga sempre e chiunque può mettersi alla prova.
Prima bodybuilder, poi attore, uomo d’affari e governatore della California, Schwarzenegger è arrivato negli Stati Uniti a 21 anni e qui ha costruito dal nulla buona parte della sua carriera.
Ora di American Dream si parla ancora in riferimento ai dreamers, gli immigrati entrati illegalmente negli Stati Uniti quando erano ancora dei minorenni. Immigrati che Barack Obama aveva cercato di proteggere con una riforma mai digerita da Donald Trump.
Con il blocco delle frontiere per il Coronavirus sembrano ancora più lontani i tempi ricordati da Schwarzenegger. Eppure l’ex governatore ha chiuso il suo messaggio chiedendo di difendere ancora questo sogno: «Dobbiamo combattere ogni giorno per essere sicuri che questo sogno sia vero per un bambino nero di Minneapolis così come per un bodybuilder bianco nato in Austria. Buon compleanno America. Io ti amo!»
(da Open)
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Luglio 2nd, 2020 admin
SE L’ITALIA FOSSE UN PAESE CIVILE NON CI SAREBBE BISOGNO DI UNA LEGGE CHE SANZIONI COMPORTAMENTI VIOLENTI MOTIVATI DALL’ODIO DI GENERE
“Non c’è un pestaggio più grave rispetto a un altro, a questo punto presentiamo un bel disegno di legge contro l’eterofobia, perché non c’è differenza se vengo preso a schiaffi io o un altro”. In questa ennesima perla del leader della Lega e del centrodestra, Matteo Salvini, emerge tutta l’ostilità dei sovranisti italiani verso una norma che contrasti le discriminazioni e le violenze per orientamento sessuale, una delle piaghe che da sempre affliggono il Paese.
La verità è che se l’Italia fosse un Paese civile non ci sarebbe neanche bisogno di una legge come quella presentata dal deputato Alessandro Zan , una legge che sanzioni i comportamenti violenti motivati dall’odio di genere.
Se l’Italia fosse un Paese civile personaggi come il senatore Simone Pillon o le associazioni che difendono la cosiddetta “famiglia tradizionale” sarebbero residuale coreografia, come i balli in costume alle sagre dei borghi medievali. Invece sono punti fermi di un partito che punta a governare.
Se l’Italia fosse un Paese civile nessun politico evocherebbe una sorta di “libertà di discriminare”, bollando come “censura” o “bavaglio” una norma che condanna chi ferisce con parole e atti violenti altri esseri umani; nessun politico utilizzerebbe il termine eterofobia per ridicolizzare quella norma, opponendo ad essa argomentazioni profonde quanto lo “gne gne gne” di un bambino di otto anni.
L’eterofobia non esiste perché in nessun Paese del mondo si finisce in galera o si viene ammazzati perché eterosessuali.
Non esiste perché nessuna ragazza o nessun ragazzo eterosessuale subisce atti di bullismo tra i banchi di scuola o per strada.
Non esiste perché nessuno storce lo sguardo vedendo un uomo e una donna che si baciano all’aperto.
Non esiste perché in nessuna famiglia un padre e una madre manderebbero mai il proprio figlio o la propria figlia eterosessuale da uno psicologo per “correggere” qualcosa e mai li caccerebbero di casa, non esiste perché nessuno è costretto a provare vergogna perché eterosessuale.
Eterofobia è l’ennesima parola falsa e vigliacca buttata lì, in pasto a quella folla urlante che ha bisogno di sfogare la sua rabbia, le sue frustrazioni e i suoi fallimenti su bersagli semplici e possibilmente fragili.
Se non ci fosse chi ha bisogno di discriminare – perché sulla discriminazione fonda parte del suo consenso – in Italia non ci sarebbe bisogno di una legge contro l’omofobia. Invece, purtroppo, in Italia una legge contro l’omofobia serve. Serve tantissimo.
(da TPI)
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Giugno 28th, 2020 admin
RIGUARDA SEMPLICEMENTE L’ESTENSIONE A MANIFESTAZIONI DI ODIO DEI REATI GIA’ PREVISTI PER LA DISCRIMINAZIONE RAZZIALE E RELIGIOSA, CON UN INASPRIMENTO DELLA PENA
La possibile introduzione di una legge contro la omotransfobia e la misoginia in Italia sta facendo molto discutere.
Come spesso accade nel campo dei diritti civili, a scontrarsi su fronti opposti sono, da un lato, i partiti di sedicente centrodestra e la Chiesa cattolica, in particolare dalla Cei (la Conferenza episcopale italiana), e, dall’altro, il centrosinistra insieme alle associazioni Lgbti.
In realtà, la legge contro la omotransfobia non riguarda la possibile concessione di nuovi diritti civili, bensì l’estensione a manifestazioni di odio fondate su omofobia o transfobia di alcuni reati, già previsti, legati alla discriminazione razziale o religiosa.
Secondo il mondo conservatore la legge istituirebbe, di fatto, un “reato di opinione”: “Affermare che l’unico matrimonio esistente è quello tra uomo e donna diventerà reato”, protestano da destra. A questi timori l’area progressista e liberal risponde con i dati sulle violenze per motivi di genere o di orientamento sessuale e parla di tentativo di “oscurantismo” da parte della Chiesa.
Il disegno di legge prevede di intervenire sui reati di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica o religiosa, attualmente previsti agli articoli 604-bis e 604-ter del Codice penale.
In particolare, si vorrebbe estendere l’istigazione a delinquere e gli atti di violenza (non la propaganda, invece) alle manifestazioni d’odio fondate su omofobia o transfobia. In pratica, commette reati motivati da “stigma sessuale, in particolar modo nei confronti delle persone omosessuali e transessuali” rischierebbe fino a quattro anni di reclusione.
“Non serve una nuova legge, esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio”, osserva la Cei». “Un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide”.
“In Italia esiste un serio problema di razzismo e discriminazione verso le persone omosessuali e transessuali”, sottolinea il deputato Alessandro Zan (Pd), relatore de disegno di legge contro la omotransfobia e la misoginia. “Affermare che ‘esistono già adeguati presidi’ per contrastare questo fenomeno significa non voler prendere atto di una dura realtà di discriminazione nei confronti della quale noi sentiamo la responsabilità politica ed etica di intervenire”, osserva la presidente della Commissione Giustizia alla Camera, la deputata M5S Francesca Businarolo.
(da agenzie)
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