Febbraio 11th, 2019 admin
LA CRISI CON LA FRANCIA, IL CASO VENEZUELA, GLI STRASCICHI DELLA SEA WATCH, TAJANI GLI NEGA LA CONFERENZA STAMPA, JUNCKER LO RICEVE MA POI SE NE VA
“Certo così non ce l’aspettavamo…”. Il tonfo abruzzese si sente anche a Strasburgo.
Alla vigilia dell’arrivo del premier Giuseppe Conte, che domani parlerà in plenaria qui al Parlamento europeo, il morale non è alto tra gli eurodeputati pentastellati.
E domani potrebbe non andare meglio: la trasferta di Conte a Strasburgo è di quelle toste. Tanti i dossier aperti che lo dividono dal resto d’Europa: la crisi con la Francia, il caso Venezuela, gli strascichi del caso Sea Watch con tutti i nessi e connessi sull’immigrazione, a valle del braccio di ferro pre-natalizio tra Roma e Bruxelles sulla manovra, che a suo tempo fece arrabbiare molto i partner dell’Unione.
La lista dei ‘nemici’ è lunga per il premier italiano. L’isolamento è palpabile: anche il presidente Antonio Tajani gli nega la conferenza stampa che di solito tiene con i capi di governo in visita al Parlamento e concede solo un colloquio. Proprio come ha deciso Jean Claude Juncker oggi: in extremis.
Il presidente della Commissione europea infatti non sarà in aula ad ascoltare Conte che oggi in un’intervista a Politico.eu anticipa: “Vogliamo scuotere l’Europa….”.
In calcio d’angolo, oggi è stato inserito in agenda un bilaterale tra Conte e Juncker qui all’Europarlamento alle 14.45, prima della sessione plenaria che inizia alle 17.
Ragion per cui, il premier aveva chiesto di poter anticipare l’intervento in Parlamento. Non è stato possibile, troppo tardi. Quelle due ore di buco verranno impegnate con un incontro tra Conte e gli europarlamentari italiani.
Comunque: dopo il bilaterale, Juncker se ne tornerà a Bruxelles. Dopo la plenaria, Tajani e Conte dovrebbero fare delle conferenze stampa: separate.
Fonti M5s fanno notare che Tajani non fece conferenza stampa nemmeno con Angela Merkel qui a Strasburgo, quando fu il turno della Cancelliera in plenaria prima di Natale. Anche Emmanuel Macron non fece una conferenza stampa con Tajani, ma in quel caso fu il francese a volare via un minuto dopo la plenaria. Nel caso di Conte la storia è diversa. E comunque solo alla scorsa plenaria Tajani ha trovato il tempo per fare conferenza stampa con l’ospite di turno, il premier spagnolo Pedro Sanchez.
A due giorni dalla batosta elettorale del M5s e del trionfo della Lega in Abruzzo, la visita di Conte a Strasburgo è per Tajani l’occasione giusta per far pesare anche nella forma la presenza di un vincolo forte di centrodestra che si spella le mani per vedere la fine dell’esperimento gialloverde di governo.
Già ieri Salvini e Tajani insieme erano a Basovizza per il giorno del ricordo delle foibe: una mossa che è stata notata qui a Strasburgo. Anche per la scivolata, in stile nazionalista, di Tajani: “Viva Trieste, viva l’Istria italiana, viva la Dalmazia italiana, viva gli esuli italiani, viva gli eredi degli esuli italia”. Si sono infuriati i croati. Il presidente si è difeso: “Non era una rivendicazione territoriale…”. Si risente anche la Commissaria europea ai trasporti Violeta Bulc, il presidente risponde: “La storia è la storia”
A poco più di tre mesi dalle elezioni europee di maggio, Tajani lavora alacremente alla costruzione di un’alleanza tra “Popolari, conservatori e Liberali” (parole sue), dopo il voto.
E’ la stessa maggioranza che lo ha eletto allo scranno più alto dell’Europarlamento a gennaio 2017. E Tajani non fa mistero del fatto che vorrebbe riprovarci: riconquistare la stessa carica dopo il 26 maggio.
Il risultato del centrodestra in Abruzzo gli dà conforto. Certo, è un centrodestra trainato dalla Lega, primo partito che ormai ha superato Forza Italia. Ma il vento di destra che spira in tutta Europa conforta la parte del Ppe più vicina alle posizioni di Viktor Orban e di Matteo Salvini. L’auspicio insomma è che la folta pattuglia leghista che sarà eletta a maggio entri nel gruppo dei Conservatori (Ecr) con i polacchi di Jaroslaw Kaszcynski, magari staccati da Marine Le Pen, più ostica da inglobare in un’alleanza con i Liberali dell’Alde (dentro ci sarebbe anche Emmanuel Macron) e con gli stessi polacchi (per ragioni storiche).
Naturalmente su questo i leghisti non si espongono ora. Continuano a rincorrere il sogno di un nuovo gruppo che comprenda tutti i sovranisti, da Kaszcynski a Le Pen. Ma se dall’alto dei suoi voti (Abruzzo docet, insieme ai sondaggi) Salvini vorrà sedersi ad un tavolo di maggioranza dove si decidono le future cariche europee (dal presidente dell’Europarlamento a quello della Commissione e del Consiglio, nonché il Commissario che tocca all’Italia e qui i leghisti puntano all’Agricoltura) non potrà che accomodarsi accanto ad un Ppe orientato più di destra e ai Liberali.
Scippando il posto al premier Conte, se davvero la Lega prevarrà sul M5s anche nelle urne europee. Del resto, anche nella crisi con la Francia, aperta dall’incontro di Di Maio e Di Battista con i gilet gialli, Salvini ha assunto una posizione tattica di ricucitura, non di scontro frontale con Macron.
Dal canto suo Conte arriva dunque in un campo ostile. In aula non ci sarà il ‘moderato’ Juncker, bensì il ‘mastino’ dell’austerity in Commissione Jyrki Katainen, vicepresidente per lavoro, crescita, investimenti. E all’orizzonte non emergono parlamentari pronti a fare interventi di sostegno al premier italiano. Solo insidie.
A cominciare dai francesi, avvelenati per l’incontro pentastellato con i gilet gialli. Alla vigilia del suo arrivo a Strasburgo, Conte tenta una ricucitura in extremis: “Con Parigi c’è stato un equivoco, spero torni presto la normalità“.
Già ma quale normalità? Nessuno ne avrà voglia, né da parte italiana, né francese: la campagna elettorale è entrata nel vivo ormai. Poi c’è tutta Europa schierata con Juan Guaidò, irritata per la posizione di non ingerenza del governo italiano sulla crisi in Venezuela. Posizione che - sarà un caso - proprio oggi Salvini tenta di puntellare ricevendo a Roma una delegazione pro-Guaidò da Caracas.
E che dire degli olandesi? I più arrabbiati per il braccio di ferro sulla manovra economica, quelli che avrebbero voluto la procedura per debito eccessivo per l’Italia a tutti i costi.
Ora hanno di nuovo munizioni a loro favore per i dati negativi dell’economia del Belpaese, certificati solo la scorsa settimana dalla Commissione europea che ha tagliato le previsioni di crescita del pil dal 1,2 allo 0,2 per cento.
Per non parlare del fatto che proprio il governo dell’Aja è anche il più furioso con Roma per le accuse sul caso Sea Watch, nave battente bandiera olandese che il governo italiano pretendeva sbarcasse lì al nord Europa e non in Sicilia.
Alla vigilia, gli eurodeputati del Pd preparano il terreno ostile chiedendo a Conte di spiegare le “sue responsabilità sul caso Diciotti”, la spina nel fianco del governo gialloverde, il vero problema dei rapporti con Salvini, sul quale pende la richiesta di autorizzazione a procedere del tribunale dei ministri di Catania, al voto tra poche settimane in giunta e poi in aula tra i mal di pancia pentastellati.
Ancora su Politico.eu, Conte evita di commentare i risultati in Abruzzo e assicura che il governo va avanti: “Abbiamo 4 anni davanti”.
Ma l’architettura politica che si porta dietro qui a Strasburgo appare precaria, soprattutto in vista delle europee, in vista del gruppo in cui entreranno i pentastellati eletti in Europa: ancora non c’è.
Non c’è da aspettarsi un assist nemmeno da Nigel Farage, attuale partner dello stesso gruppo Efdd con il M5s. “Abbiamo scelto strade diverse: noi siamo europeisti”, dicono ora i pentastellati a Strasburgo prendendo le distanze dal ‘padre’ della Brexit, che ha annunciato la nascita di un nuovo partito per le europee (Brexit party) se il Regno Unito dovesse davvero ritrovarsi a eleggere i suoi eurodeputati a maggio nel caso in cui l’addio all’Unione non fosse completato (sempre più probabile).
Un Europarlamento ancora scosso dall’attentato terroristico avvenuto esattamente due mesi fa (oggi diverse cerimonie in ricordo dei giornalisti rimasti uccisi: Antonio Megalizzi e Bartosz Orent-Niedzielski) aspetta Conte al varco.
L’occasione è ghiotta per tanti in Europa. E subito dopo la plenaria, il premier tornerà al caos italiano. Dove il caso Abruzzo ha seminato incertezze e confusione. Ne deve essere arrivata un po’ anche in Basilicata, dove Conte si è recato in visita oggi inciampando su una gaffe: “…io, quale presidente della Repubblica, sono garante della coesione nazionale…”.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 11th, 2019 admin
I BIG SILENTI, LA BASE SCATENATA CONTRO CHI NON LI HA VOTATI
Maalox per tutti, suggerirebbe probabilmente Beppe Grillo. E forse a qualche fan del
Movimento 5 Stelle, rimasto deluso dai risultati delle elezioni regionali in Abruzzo, male non farebbe.
Mentre le dichiarazini dei big del partito sul risultato al di sotto delle aspettative si lasciano ancora attendere, i grillini usano le pagine Facebook per scatenare la propria delusione e frustrazioni.
Con commenti spesso molto duri nei confronti degli elettori del centro Italia. Basta fare un giro sulle pagin ufficiali dei 5 Stelle per trovarli, con spesso centinaia di “like” che sembrano dimostrare un disagio diffuso.
“Non fate più donazioni, tenetevi i soldi per voi”, suggerisce Vincenzo, riferendosi alla restituzione degli emolumenti fatta dagli eletti M5S.
“Le autombulanze che avete donato tornino indietro” rimbrotta Toti. “In quella regione devono morire di fame, con tutto quello che i 5 Stelle stanno cercando di fare per loro” arriva addirittura ad augurarsi Gelo, che raccoglie 180 like.
Potrebbero esere citati decine di altri commenti simili: c’è chi se la prende con i media, con i giornali che avrebbero aiutato la Lega, chi con Roberto Fico e i “sinistrorsi”, chi con Salvini che si starebbe prendendo i meriti dei pentastellati senza fare niente.
Non mancano poi gli sfottò di sostenitori di altri partiti.
Poche, anzi pochissime, le critiche nei confronti delle decisioni dei vertici su come impostare la campagna elettorale.
(da “L’Espresso“)
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Febbraio 11th, 2019 admin
NEL CENTRODESTRA IN CALO I MODERATI
A vincere è stato senz’altro il centrodestra. E soprattutto le sue componenti più estreme. L’Istituto Cattaneo ha fatto una analisi dei risultati abruzzesi, mettendo a confronto i dati di oggi con quelli delle ultime consultazioni nella regione.
E la prima conclusione evidente è il successo della duplice strategia di Salvini: un progressivo logoramento nei confronti dei Cinquestelle e il predominio crescente nel centrodestra.
Mentre i flussi di voto - rilevati su Pescara e Teramo - mostrano che l’emorragia di voti dal Pd ai 5Stelle sembra terminata. Mentre il Movimento, un tempo in grado di sottrarre voti a entrambi i poli tradizionali, ora perde consensi sia in direzione del centrodestra che del centrosinistra.
Elettori Pd delusi non scelgono M5S
Analizzando i dati di Pescara a Teramo, con i dati delle regionali 2019 messi a confronto con quelli delle politiche del 4 marzo 2018, l’Istituto Catteneo rileva che dal bacino elettorale del Partito democratico esce ben poco in direzione della candidata M5S Marcozzi.
La delusione di questi elettori, però, non è del tutto teminata: una parte minoritaria degli elettori dem a Pescara si rifugia nell’astensione (+13%).
Potrebbe trattarsi di cittadini che non riescono a riconoscersi nella linea Pd o che, più semplicemente, trascurano il voto amministrativo rispetto a quello politico.
Un po’ diversa la situazione a Teramo dove 16 elettori Pd su 100 passano al centrodestra, rispetto al 4 marzo.
Grillini in fuga verso entrambi i poli
Gli elettori M5S vengono divisi in quattro categorie: i fedeli, che rinnovano il voto per il proprio partito (sono il 38% a Pescara e il 29 a Teramo).
I disillusi, che passano all’astensione (28% a Pescara, 17 a Teramo).
I traghettati, che passano al centrodestra (22% a Pescara, il 34 a Teramo). E i pentiti (12 per cento a Pescara e 20 a Teramo), che tornano al centrosinistra.
Sono un gruppo più piccolo, ma politicamente significativo.
Fi e Lega, la “pigrizia” nel voto regionale
Forzisti e leghisti hanno in gran parte votato il candidato del loro schieramento (Marsilio). In entrambi i partiti però si registra una discreta perdita verso il non-voto rispetto alle politiche del 4 marzo (a Pescara il 26% per Fi e il 38 per la Lega; a Teramo il 61 per Fi e il 21 per la Lega.
Centrodestra, vincono le estreme
A vincere, questo è un dato indiscutibile, è stata la coalizione di centrodestra: il candidato alla presidenza Marsilio ha ottenuto il 48,3 per cento dei voti (oltre 299mila in termini assoluti), con un incremento di 18,7 punti percentuali. Ma il successo è soprattutto delle ali estreme della coalizione: la Lega, primo partito a livello regionale con il 27,5 per cento (nel 2014 non era neppure presente).
In calo invece i partiti moderati: Fi scende dal 16,7 al 9,7 (meno 58mila voti), l’Udc dal 6 al 3,2 per cento.
M5S in calo anche rispetto alle regionali
Non c’è solo il crollo rispetto al 40 per cento (o quasi) delle politiche, con un calo di 20 punti percentuali, pari a quasi 185 mila voti. Per i 5Stelle c’è un arretramento anche rispetto alle regionali del 2014: meno 22.865 voti, corrispondenti all’1,3 per cento.
Centrosinistra, positivo il dato dei partiti minori
Rispetto al 2014, il centrosinistra subisce un crollo. La coalizione, oltre a perdere la maggioranza in consiglio regionale, arretra dal 46,6 al 30,6 per cento, passando da 313 mila a 183 mila voti (meno 129 mila).
Rispetto alle politiche, lo schieramento allargato guidato da Giovanni Legnini cresce invece di circa il 13 per cento, arrivando al 30,6 per cento dal 17,6.
(da “Huffingtonpost“)
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Febbraio 11th, 2019 admin
UN LUCROSO ASSIST ALLE SPECULAZIONI DEI PRIVATI, DAI FONDI PER DIFESA A QUELLI PER LA COOPERAZIONE E RICERCA, BALLANO DECINE DI MILIONI…L’AFFARE DELLE MOTOVEDETTE LIBICHE AFFIDATE DAL VIMINALE A UN’AZIENDA DI ROVIGO
L’Ue, nel periodo 2021-2027, ha intenzione di destinare circa 33 miliardi di euro alla
gestione del fenomeno migratorio e, in particolare, al controllo dei confini
La cifra, inserita nel Mff, il Multiannual Financial Framework, (ed ora in discussione tra Commissione, Parlamento e Consiglio) rappresenta il budget complessivo Ue per la gestione delle frontiere esterne, dei flussi migratori e dei flussi di rifugiati.
Il fondo viene notevolmente rafforzato rispetto al periodo precedente (2016-2020) quando i miliardi stanziati erano 12,4. Meno della met
A questo capitolo di spesa contribuiscono strumenti finanziari diversi: dal fondo sulla sicurezza interna (che passa da 3,4 a 4,8 miliardi) a tutto il settore della cooperazione militare, che coincide sempre più con quello dell’esternalizzazione, come accade già per le due missioni italiane in Libia e in Niger.
Anche una parte dei 23 miliardi del Fondo Europeo alla Difesa e di quello per la Pace saranno devoluti allo sviluppo di nuove tecnologie militari per fermare i flussi in mare e nel deserto.
Stessa logica per il più conosciuto Fondo Fiduciario per l’Africa che, con fondi proveniente dal budget allo sviluppo, finanzia il progetto di blocco marittimo e terrestre nella rotta del Mediterraneo Centrale
La connessione tra gestione della migrazione, lobby della sicurezza e il business delle imprese private è al centro di un’indagine nell’ambito del progetto Externalisation Policies Watch, curato da Sara Prestianni.
“Lo sforzo politico nella chiusura delle frontiere si traduce in un incremento del budget al capitolo della sicurezza, nella messa in produzione di sistemi biometrici di identificazione, nella moltiplicazione di forze di polizia europea ai nostri confini e nell’elaborazione di sistemi di sorveglianza - sottolinea Prestianni -. La dimensione europea della migrazione si allontana sempre più dal concetto di protezione in favore di un sistema volto esclusivamente alla sicurezza, che ha una logica repressiva. Chi ne fa le spese sono i migranti, obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e propri o business”.
Tra gli aspetti più interessanti c’è l’utilizzo del Fondo alla ricerca Orizon 20-20 per ideare strumenti di controllo.
“Qui si entra nel campo della biometria: l’obiettivo è dotare i paesi africani di tutto un sistema di raccolta di dati biometrici per fermare i flussi ma anche per creare un’enorme banca dati che faciliti le politiche di espulsione - continua Prestianni -. Questo ha creato un mercato, ci sono diverse imprese che hanno iniziato ad occuparsi del tema. Tra le aziende europee leader in questi appalti c’è la francese Civipol, che ha il monopolio in vari paesi di questo processo. Ma l’interconnessione tra politici e lobby della sicurezza è risultata ancor più evidente al Sre, Research on Security event, un incontro che si è svolto a Bruxelles a dicembre, su proposta della presidenza austriaca: seduti negli stessi panel c’erano rappresentanti della commissione europea, dell’Agenzia Frontex, dell’industria e della ricerca del biometrico e della sicurezza. Tutti annuivano sulla necessità di aprire un mercato europeo della frontiera, dove lotta alla sicurezza e controllo della migrazione si intrecciano pericolosamente”.
“L’idea di combattere i traffici e tutelare i diritti nasce con Tony Blair, ma già allora l’obiettivo era impedire alle persone di arrivare in Europa - sottolinea Filippo Miraglia, vicepresidente di Arci -. Ed è quello a cui stiamo assistendo oggi in maniera sempre più sistematica. Un esempio è la vicenda delle motovedette libiche, finanziate dall’Italia e su cui guadagnano aziende italianissime”.
Il tema è anche al centro dell’inchiesta di Altreconomia di Gennaio, curata da Duccio Facchini. “L’idea era dare un nome, un volto, una ragione sociale, al modo in cui il ministero degli Interni traduce le strategie di contrasto e di lotta ai flussi di persone” spiega il giornalista.
E così si scopre che della rimessa in efficienza di sei pattugliatori, dati dall’Italia alla Tunisia, per il controllo della frontiera, si occupa in maniera esclusiva un’azienda di Rovigo, i Cantieri Navali Vittoria: “Un soggetto senza concorrenti sul mercato, che riesce a vincere l’appalto anche per la rimessa in sicurezza delle motovedette fornite dal nostro paese alla Libia”, sottolinea Facchini.
“Il Fondo Africa di 200 milioni di euro viene istituito nel 2018 e il suo obiettivo è implementare le strategie di cooperazione con i maggiori paesi interessati dal fenomeno migratorio: dal Niger alla LIbia, dalla Tunisia alla Costa d’Avorio - spiega l’avvocata Giulia Crescini -. Tra le attività finanziate con questo fondo c’è la dotazioni di strumentazioni per il controllo delle frontiere. Come Asgi abbiamo chiesto l’accesso agli atti del ministero degli Esteri per analizzare i provvedimenti e vedere come sono stati spesi questi soldi. In particolare, abbiamo notato l’utilizzo di due milioni di euro per la rimessa in efficienza delle motovedette fornite dall’Italia alla Libia - aggiunge -. Abbiamo quindi strutturato un ricorso, giuridicamente complicato, cercando di interloquire col giudice amministrativo, che deve verificare la legittimità dell’azione della Pubblica amministrazione. Qualche settimana fa abbiamo ricevuto la sentenza di rigetto in primo grado, e ora presenteremo l’appello. Ma studiando la sentenza ci siamo accorti che il giudice amministrativo è andato a verificare esattamente se fossero stati spesi bene o meno quei soldi - aggiunge Crescini -. Ed è andato così in profondità che ha scritto di fatto che non c’erano prove sufficienti che il soggetto destinatario stia facendo tortura e atti degradanti nei confronti dei migranti. Su questo punto lavoreremo per il ricorso. Per noi è chiaro che l’Italia oggi sta dando strumentazioni necessarie alla Libia per non sporcarsi le mani direttamente, ma c’è una responsabilità italiana anche se materialmente non è L’Italia a riportare indietro i migranti. Su questo punto stiamo agendo anche attraverso la Corte europea dei diritti dell’uomo”.
(da agenzie)
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Febbraio 11th, 2019 admin
L’ITALIA SEMPRE PIU’ ISOLATA IN EUROPA
Un asse Germania, Francia e Spagna per evitare la distruzione dell’Unione Europea. I lavori sono in corso, spiega il quotidiano spagnolo El Paìs, per iniziare a costruire il futuro dell’Ue in quella che viene definita l’era “post Brexit”.
Le voci sul nuovo asse si rincorrono da tempo, ma in queste ore il progetto di un “G3” ha visto un’importante accelerazione, con tanto di incontro – mercoledì 6 febbraio – nell’ambasciata tedesca di Madrid che “fonti del ministero degli Esteri” spagnolo, spiega El Paìs, definiscono “brainstoming”.
Francia e Germania stanno quindi lavorando per allargare alla Spagna il “trattato di Aquisgrana” firmato da Emmanuel Macron e Angela Merkel alla fine di gennaio.
Un trattato, “destinato a rivitalizzare la storica alleanza e adattarla alle nuove sfide”, che è stato fin da subito “aperto ad altri Stati”. Spagna in prima fila.
Nell’incontro, presenti il segretario di Stato spagnolo per l’Ue, Marco Aguiriano, e gli ambasciatori a Madrid di Francia e Spagna, sarebbero state identificate sei aree di “cooperazione” nei settori in cui l’Europa è maggiormente in affanno, tra le quali il bilancio europeo e la gestione “post elettorale”, con l’ormai probabile avanzata delle forze politiche anti-europeista “guidate dall’Italia di Matteo Salvini”.
Il primo punto, spiega El Paìs, è “ovviamente” quello delle migrazioni.
“Parigi, Berlino e Madrid puntano a una forte cooperazione con i Paesi ‘di transito’ per gestire i flussi”. In quest’ottica la proposta fatta dal ministro degli Interni, il basco Fernando Grande-Marlaska, è di una distribuzione dei migranti a livello continentale “gestita” da Francia e Spagna.
L’obiettivo: non farsi trovare impreparati al primo “governo europeo” senza il Regno Unito e con un’Italia “populista” e “anti europeista”.
Non solo “migrazioni”, però: la “missione” di questo G3 sarà anche quella di “unire le forze nella battaglia sui conti europei”, considerando il “buco” da 10 miliardi di euro dovuto all’uscita del Regno Unito dall’Ue.
I lavori “continueranno nelle prossime settimane” ma intanto “è stato preso l’impegno da parte dei segretari di Stato dell’Ue dei tre Paesi a tenere riunioni regolari prima di ogni summit europeo”.
Questa nuova alleanza “a tre” solleva però “grandi domande”, spiega El Paìs: “Tutta da vedere” sarà la capacità di “mantenere un’unica voce” su questioni calde come le migrazioni.
Come si rapporterà questa alleanza con la nuova “Lega anseatica” guidata dall’Olanda e che riunisce i Paesi “baltici e nordici” che stanno facendo pressioni affinché l’Ue si concentri più sul mercato unico e meno sulle questioni sociali?
E, soprattutto, riuscirà questo asse a contrastare il più forte a livello di consenso ma “meno organizzato politicamente” gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia), che si oppone a qualsiasi forma di “solidarietà” in tema di immigrazione?
(da agenzie)
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Febbraio 11th, 2019 admin
L’APPIATTIMENTO SULLE POSIZIONI SOVRANISTE PORTA ALLA SCONFITTA… SE SALVANO SALVINI DAI GIUDICI ALLE EUROPEE RISCHIO TRACOLLO
Sara Marcozzi, sconfitta e finita terza nella competizione abruzzese, non fa autocritica ma
preferisce soffermarsi sul dato negativo di Pd e di Forza Italia e parlare di «sconfitta della democrazia».
Eppure i 5 Stelle ottengono l’ennesimo insuccesso alle Regionali. Si difendono spiegando che non è corretto paragonare i voti presi alle ultime Politiche con quelli di questo voto. Nel 2108 portarono a casa 300 mila voti, con il 39,85 per cento. Ora sono 116 mila, quasi un terzo. Competizioni diverse, d’accordo. Ma anche il parallelo con le Regionali del 2014 è negativo: perché allora la percentuale fu del 21,35 per cento, con 143 mila voti presi. Cioè 27 mila in più di ora. Anche la percentuale oggi cala di più di un punto, al 20,16.
Ipotesi alleanze
Cinque anni, dunque, non sono bastati a far crescere il Movimento e a nulla sono servite le escursioni di tutta la classe dirigente nazionale a dar manforte alla Marcozzi. E dunque ora per il Movimento è tempo di riflettere. E di ragionare su un modello di voto locale che non li premia: presentarsi con una sola lista e pochi candidati, soprattutto al Centro Sud, è penalizzante rispetto agli altri candidati.
Per questo l’europarlamentare Laura Ferrara, probabile candidata in Calabria, annuncia: «Stiamo ragionando sull’alleanza con liste civiche». Ma anche il mancato radicamento sul territorio, con una classe dirigente locale non adeguata, è un fattore non irrilevante dei mancati successi.
C’è, naturalmente, un tema più nazionale.
Gianluigi Paragone minimizza: «Il voto delle amministrative è marginale e si prendono in considerazione aspetti della quotidianità. E’ un voto che riguarda soprattutto la sanità».
Ben diversa l’analisi di Elena Fattori: «Spostarsi a destra non paga. Abbiamo lasciato troppo spazio a Salvini, alle sue modalità comunicative. E gli elettori hanno scelto l’originale».
E lo spiega bene il deputato Giorgio Trizzino. Con un j’accuse violentissimo contro la Lega, sospettava di voler svuotare il Movimento: «Il governo del cambiamento è un’intuizione che potrebbe ricordare le “convergenze parallele” di Aldo Moro. Ma mentre Moro puntava a una geniale operazione di inclusione sociale e politica in nome di una idea grande della democrazia e della giustizia sociale, la Lega di Salvini, forte del consenso imprenditoriale del nord e di vaste fasce di popolazione del centro e del sud e della propria struttura organizzativa, ha puntato scientificamente fin dal primo momento a indebolire ideologicamente e politicamente il movimento 5S, con il chiaro obiettivo di usarlo fino in fondo prima di gettarlo via».
Con l’imposizione dei temi “razziali” e della sicurezza, dice Trizzino, si è «compromessa l’identità plurale, sociale e tollerante del Movimento M5S».
Il governo con la Lega, dunque, e la permanenza al potere, con tutto il carico di compromessi, avrebbero logorato il bacino di consensi e la «purezza» ideale dei 5 Stelle.
Inseguire la Lega nella deriva sovranista, spostandosi a destra, ha eroso quel capitale di trasversalismo e di novità che era la forza del Movimento.
Ora il crollo dei consensi può portare solo a due risultati: un rinnovamento della classe dirigente anche nazionale o un inasprimento dei toni contro l’alleato, magari a cominciare da un voto favorevole all’autorizzazione a procedere per Salvini.
Ma è un percorso stretto, che può portare alla caduta del governo e al ritorno a un Movimento d’opposizione.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Febbraio 11th, 2019 admin
IL 24 SI VOTA IN SARDEGNA E TUTTI DIVENTANO IMPROVVISAMENTE SOSTENITORI DELLA PROTESTA DEI PASTORI… CONTE E I MINISTRI IN VISTA, SALVINI SOLIDALE
Sono passate meno di 24 ore dall’esito del voto abruzzese e l’attenzione della politica si è repentinamente spostata di 550 chilometri in linea d’aria.
Dopo Pescara, Cagliari, capoluogo della prossima regione chiamata al voto tra due settimane.
La fretta, in realtà, tradisce il colpevole ritardo con cui i partiti nazionali hanno guardato alla protesta eclatante e crescente dei pastori sardi per il prezzo del latte ovino, così basso da mettere a rischio l’intera filiera.
Così, nemmeno il tempo di festeggiare la vittoria o riflettere sulla sconfitta in Abruzzo, e in Sardegna arrivano ben tre rappresentanti del Governo, premier incluso.
Mentre i partiti d’opposizione, perlopiù silenti fino a ieri, si affrettano a esprimere oggi tutta la loro solidarietà ai pastori in protesta da una settimana.
La storia degli allevatori sardi è ormai nota: in rivolta contro i produttori di formaggio (la maggior parte viene trasformato in pecorino romano) che hanno imposto un prezzo di mercato (sic) del latte troppo basso perfino per pagarsi i costi di produzione, da giorni ne riversano migliaia di litri per strada.
Il principio alla base della protesta è tanto immediato quanto efficace: meglio buttarlo che regalarlo agli industriali.
Circa 60 centesimi al litro, molto meno degli 85 centesimi dell’anno scorso, è quanto sono disposte a pagare le industrie casearie. Da ottobre scorso Coldiretti denuncia l’insostenibilità per la filiera a questi prezzi, ma è rimasta inascoltata.
Così una settimana fa i pastori hanno tolto i guanti: tra blocchi stradali, agguati ai tir e inondazioni di strade statali del frutto del loro lavoro, hanno raccolto la vicinanza di molte categorie, dai commercianti alle cooperative del comparto fino al mondo del calcio.
Metodi certamente poco ortodossi, ma che hanno prodotto l’effetto sperato sull’opinione pubblica.
Così in un solo giorno arrivano il premier Conte accompagnato dal ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio (Lega) e dalla ministra per il Sud Barbara Lezzi (M5S).
Via le dichiarazioni su come ricostruire le zone colpite dal sisma e sulle carenze infrastrutturali dell’Abruzzo, ora si parla solo del prezzo del latte: “La loro protesta e le loro istanze non possono rimanere inascoltate. Occorre comprendere subito le loro ragioni. Oggi pomeriggio sarò a Cagliari per avviare un Contratto istituzionale di sviluppo e sarà questa una buona occasione per incontrarli”, ha scritto il premier Conte su Facebook.
A tempo di record, già è stato predisposto un set di possibili soluzioni per i problemi dei pastori.
Il vicepremier Matteo Salvini ritiene sia da stabilire un “prezzo di minimo fissato per legge così come accade in altre filiere per evitare che ci sia qualcuno che specula”.
Per Centinaio non sono da escludere “aiuti di Stato” per venire in aiuto ai pastori anche se, riconosce, serve una soluzione strutturale del problema evitando di incorrere in infrazioni europee.
Per esempio, Maurizio Martina del Pd ieri ha proposto la creazione di un fondo pubblico per il latte ovino da almeno 25 milioni di euro. Ma per Centinaio il rischio, “senza fare il catastrofista, è che oggi parliamo dei pastori, domani dei produttori di pomodori, poi di quelli delle zucchine, poi di quelli delle arance, poi c’è il problema delle olive: Il problema insomma è nella filiera tra l’agricoltore e il distributore”.
In altre parole è nel prezzo fissato dagli industriali che ogni anno devono trasformare circa 300 milioni di litri di latte, di cui il 60% in capo alle cooperative e il restante alle aziende casearie. Tutto il comparto conta circa 12mila imprese.
Di certo è il segnale che, archiviato l’Abruzzo, la campagna elettorale per la Sardegna può iniziare.
(da “Huffingtonpost”)
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Febbraio 11th, 2019 admin
IL PREZZO DI 60 CENTESIMI NON COPRE LE SPESE DI PRODUZIONE
La protesta del latte versato non si ferma e i pastori sardi minacciano di bloccare le elezioni
in programma per il prossimo 24 febbraio in Sardegna: la protesta nasce dall’irrisorio prezzo pagato dai caseifici che producono il pecorino romano: 0,60 centesimi al litro, una cifra inferiore ai costi di produzione secondo i pastori.
«Il prezzo giusto – secondo Elisabetta Falchi, vice presidente nazionale di Confagricoltura – dovrebbe essere di 1 euro, ma gli industriali fanno cartello».
Principalmente nelle province di Sassari e Nuoro si produce il 97% del pecorino romano con il latte di circa 2.700.000 pecore.
Il surplus di produzione del pecorino – meno richiesto dai mercati- ha rallentato la richiesta di latte abbattendone il prezzo.
La situazione rischia di provocare ricadute nel resto d’Italia. In particolare nel Lazio dove con il latte di circa 800 mila capi in 3 mila allevamenti, vengono prodotti pecorini, le caciotte stagionate di Amatrice, formaggi e ricotte della provincia di Frosinone.
Nel viterbese e nella Ciociaria il prezzo è ancora intorno ai 75-80 centesimi al litro (la metà comunque di 15 anni fa) ma è concreta la minaccia di alcuni caseifici di acquistare la materia prima in Sardegna visto il basso costo.
Oggi saranno denunciati per danneggiamento e violenza privata cinque persone – tre disoccupati di Ortacesus e due allevatori di Senorbì – per aver costretto sabato un autotrasportatore a versare in strada ben 11 mila litri di latte.
(da agenzie)
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Febbraio 11th, 2019 admin
“LA SANTANCHE’ DICE CHE CONTANO SOLO I SOLDI? LO DICONO ANCHE LE PUTTANE”
“Scontro Francia-Italia? La Francia ha ragione. Vorrei essere governato da Macron. Altra classe. Guarda questi qui di profilo, nemmeno Neanderthal“.
Così, in una incontenibile intervista a La Zanzara (Radio24), si esprime il fotografo Oliviero Toscani, che rincara: “Siamo diventati gli stupidi del villaggio globale grazie a questi due partiti che ci governano. Non ci caga più nessuno, non contiamo niente e facciamo ridere i polli. Una volta Grillo faceva gli spettacoli comici e questo spettacolo oggi lo abbiamo portato in Parlamento, in aula. Lo show continua”.
E sui due vicepresidenti del Consiglio aggiunge: “Non li nomino più quei due, portano sfiga. Mi sto toccando a pelle. Guardate cosa è successo da quando sono al governo: tutte sfighe, come la recessione. E facevano pure i fighi con la Ue. Vive la France!”.
Caustico anche il commento sul direttore di Rai Due, Carlo Freccero (“soffre di andropausa televisiva”) e sulla senatrice di Fratelli d’Italia, Daniela Santanchè, la quale, nella trasmissione “Alla lavagna”, su Rai Tre, aveva esaltato l’importanza del denaro per la libertà: “Ha detto che i soldi servono a essere liberi? Anche le puttane dicono questo. E’ una cosa becera, non puoi dirlo ai bambini. E’ proprio da internare“.
Battuta finale sul divorzio tra l’europarlamentare dem Cécile Kyenge e il marito Domenico Grispino, da un anno elettore della Lega: “Ovunque ci sono donne sante e mariti coglioni. E viceversa. Se dovessi avere una relazione con una donna della Lega, non ci starei sicuramente perché è una di cultura o una grande intellettuale o una intenditrice di Godard o di Welles. No. E’ impossibile, una militante della Lega non può essere una intellettuale. Fatemi l’esempio di uno della Lega acculturato. Fatemelo cazzo”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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