SE FALLISCE L’EST L’ITALIA RISCHIA 14 MILIARDI
I PAESI DELL’EST RAPPRESENTANO IL 22% DEL’EXPORT… A RISCHIO 35.000 AZIENDE ITALIANE, BEN 18.000 SOLO IN ROMANIA
L’export verso i Paesi dell’Est vale da solo il 12% della bilancia commerciale italiana, se poi aggiungiamo gli ex Paesi Urss la quota raggiunge il 22%.
All’incirca 14 miliardi di euro che, con il crollo dei sistemi finanziari di oltre cortina, sarebbe messo immediatamente in discussione, con grave perdita per l’economia italiana.
A rischio non è solo una fetta di export con il relativo indotto italiano, ma le joint venture italiane su terreno straniero, spesso usate come testa di ponte verso i mercati del far east, la Turchia e i Balcani.
Le sedi di aziende italiane delocalizzate a Est sono appese al sottile filo degli asset tossici delle banche locali, tanto quanto le imprese nazionali.
Nell’area, infatti, operano oltre 35.000 imprese italiane, 18.000 solo in Romania, con un export cresciuto fino al 2008 al ritmo del 20%.
Di molti di questi Paesi siamo il primo partner commerciale con il nostro sistema bancario che ha supportato la crescita delle aziende.
Tornare indietro costerebbe immensamente di più al nostro sistema di imprese, penalizzando proprio le aziende più competitive che hanno scommesso sull’internazionalizzazione.
Ad esempio in Ucraina, nei primi 11 mesi del 2008, le esportazioni italiane hanno toccato i 2,2 miliardi di euro con un + 24,69%, mentre le importazioni hanno superato di poco i 2,3 miliardi. Kiev è uno dei più interessanti mercati per le imprese italiane, in particolare nel settore del mobile. Il mercato dell’arredamento cresce, infatti, a un tasso annuale del 25% e l’Ucraina rimarrà anche nel 2009 uno dei più promettenti mercati al mondo con una crescita del 15%.
Anche se le stime 2009 sulla vendita dei mobili per la casa ( +50%) e per l’arredi di ufficio (+ 25%) dovranno essere riviste al ribasso, con effetto diretto sui bilanci delle imprese italiane.
Una parte dei governanti dei Paesi dell’Est, con le loro colpe e ingenuità, rimproverano all’Ovest di voler erigere una nuova cortina di ferro protezionistica al posto di quella ideologica caduta nel 1989.
Temono che la nave europea, sballottata qua e là dalla tempesta dei mercati internazionali, voglia evitare il naufragio gettando a mare la zavorra dei Paesi ex comunisti.
Se quest’analisi potrebbe al limite essere indirizzata alla Francia, non lo è certo per l’Italia, per cui l’Est europeo rimarrà sempre una dinamo importante.
E tanto meno per Svezia, Austria e soprattutto Germania, ancora più esposte di noi oltre cortina. Ecco perché sul tavolo europeo si gioca costantemente, in tempo di crisi, una partita fondamentale per la tenuta della nostra economia.
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