Novembre 20th, 2014 admin
I NUOVI VOLTI RENZIANI TRA ESTETISTE, GAFFES E IMPREPARAZIONE
Accessori indispensabili per una serata sul divano: telecomando, cuscino anticervicale e dosi massicce di
Maalox.
Ogni volta che accendono la tv, quelli del back office, aumentano di un punto il loro rischio di bruciori di stomaco.
Sono le truppe nelle retrovie del Renzi I, i parlamentari del Pd lasciati in panchina, costretti al quotidiano confronto con il front office del Nazareno.
E Matteo volle che quel ruolo - di certo complesso, ma di garantita carriera - fosse riservato quasi in esclusiva alla pattuglia femminile della sua squadra.
Lungi da noi, quindi, mettersi a costruire categorie di genere sulla efficacia comunicativa del renzismo: è che - tolti i Gozi, i Nardella, i Carbone e la new entry Andrea Orlando - è di donne che ci tocca discutere quando parliamo delle relazioni pubbliche del Pd.
Otto ne ha messe al governo e una è diventata Lady Pesc.
Ma mai, quando Federica Mogherini saliva a capo della politica estera europea, avremmo immaginato di ritrovarci con Lady Like. Copyright di Alessandra Moretti, europarlamentare (ieri vivisezionata da Libero insieme alle colleghe di cui parleremo più avanti: zero interrogazioni, zero mozioni, zero report, si piazza 670esima su 749 quanto a produttività) ora in corsa alle primarie per il candidato governatore del Veneto: “Si dice che sono quella che può mettere più in difficoltà Zaia”, confessa.
Ma si fosse limitata a non peccare di modestia, sarebbe il meno.
No, la Moretti, al Corriere.it ha snocciolato il nuovo impegno per la cittadinanza tutta: “Ho deciso di andare dall’estetista ogni settimana”.
È lo stile “Lady Like” e se non vi piace peggio per voi.
“Sappiano che non ci intimidiscono”, tuona la Moretti a chi dovesse osare criticare la tinta ogni sette giorni.
Ieri ha chiesto a Twitter di “verificare” il suo account: guai a scambiarla per un fake, vuole che si sappia che è tutta farina del suo sacco.
Poi, chiude ogni messaggio con #Alè: è il diminutivo del suo nome, ma sa tanto di overdose da Floris. E proprio lì, martedì sera, Pina Picierno (all’europarlamento lei è 394esima, a metà classifica) ha subìto “la prova della piazza”, come profeticamente recitava il titolo della trasmissione.
Già temprata dai cori di scherno quando sostenne che con 80 euro ci si fa la spesa per due settimane, non paga di aver accusato la Camusso di essere leader di un sindacato che si regge su tessere false e pullman pagati, l’altra sera ha tentato di parare i colpi di Fuksas e Costamagna ripetendo ossessivamente la parola “cambiamento”.
Stile di squadra. Ecco la replica di Simona Bonafè (due interrogazioni e quattro discorsi, 414esima a Strasburgo) al dibattito aperto dal collega M5S Piernicola Pedicini su idrocarburi, estrazioni petrolifere e altre questioni ambientali: “Mi sembrano questioni talmente tecniche che in questa sede che è più politica forse varrebbe la pena concentrarci su altre tematiche e soprattutto evidenziare lo sforzo tutti insieme, perché di questo si tratta, veramente per portare dei cambiamenti fin da ora alle politiche di cambiamento climatico”.
O le domande sono troppo tecniche o non sono abbastanza “di rinnovamento”.
Così spiegò il ministro Marianna Madia ai giornalisti che volevano sapere se per lei la Pubblica amministrazione “si può chiamare unfardello”.
In attesa della risposta, perfino la Cisl ha deciso di scioperare.
Ciò che non poté il Jobs Act, poté la Madia.
Lei sì che è “di rinnovamento”.
Paola Zanca
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Renzi | Commenta »
Novembre 20th, 2014 admin
SI E’ FREGATO DA SOLO: SECONDO LA BANCA DATI DI OPENCIVITAS HA SPESO 40 MILIONI DI EURO DI TROPPO… DATI CHE FANNO RIVALUTARE AL CONFRONTO PERSINO ALEMANNO
Della “sua” Firenze ha sempre fatto vanto, ma i numeri ora gli danno torto.
Ventisei milioni più del dovuto per vigili e rifiuti, 6 per la viabilità, 2 per i trasporti.
E alla fine dei conti, con 40 milioni di euro, la Firenze di Renzi batte Milano e Roma nella classifica nazionale dei Comuni spendaccioni.
Tra i capoluoghi, soltanto Potenza riesce a far peggio.
E’ quanto emerge dalla banca dati OpenCivitas messa a disposizione dal ministero dell’Economia a tutti i cittadini e a tutti gli amministratori locali sui costi di gestione dei servizi pubblici essenziali degli enti locali.
Nero su bianco, il sistema di calcolo certifica il rapporto tra le spese effettivamente sostenute e il fabbisogno standard, cioè la spesa considerata necessaria sulla base di indicatori che tengono conto non solo della popolazione ma anche dei servizi offerti, delle caratteristiche territoriali e degli aspetti sociali, economici e demografici. Ebbene i dati hanno subito fatto emergere scarti importanti tra regioni del Sud, poco attente al sociale, ma anche una sorta di classifica delle città più e meno virtuose nel gestire servizi pubblici essenziali come l’anagrafe, gli asili nido, l’istruzione, la polizia locale, i rifiuti, trasporti e così via.
Perugia è al fondo e Lamezia e Campobasso – a sorpresa – risultano tra le meglio gestite.
Ma la vera sorpresa è un’altra: interrogando la banca dati emerge che Firenze, la città amministrata da Renzi tra il 2009 e il 2014, è tra le peggio messe.
Peggio di Milano, Torino e Roma appunto.
Alla base di tutto c’è un indice numerico calcolato confrontando tra spesa storica e fabbisogno “corretto”.
Senza entrare nei tecnicismi, si può dire che se il valore è positivo (verde) se la spesa storica è inferiore al fabbisogno standard, è negativo (rosso) se è superiore e significa che l’ente spende più del necessario.
Il bello è che tutti i cittadini possono tuffarsi nel sistema, trovare il proprio Comune e fargli la radiografia, confrontando i risultati con quello a fianco o dall’altra parte dello Stivale.
Le note metodologiche avvertono che i risultati in devono essere utilizzati come parametro di giudizio sull’operato di un’amministrazione, ma quando quasi tutti gli indicatori virano al rosso qualche dolore in casa propria è giustificato.
La curiosità spinge allora ad andare a farsi gli affari in casa di Renzi che, da premier, ha dato l’impulso finale a questa politica di revisione dei fabbisogni standard che servirà poi per ripartire i trasferimenti statali non più secondo spesa storica ma attraverso indici calcolati di merito.
Ebbene, com’è messa la Firenze amministrata da Renzi?
cominciano le sorprese: il posizionamento della spesa per quasi tutti i servizi gestiti da Palazzo Vecchio in rosso.
La spesa storica del 2010 è stata di 390 milioni, lo standard individuato ora come parametro corretto è di 351 milioni.
Quindi Firenze ha speso qualcosa come 39 milioni di euro più rispetto al necessario, il 10,6%.
Il dettaglio delle funzioni di spesa è questo.
Per la polizia locale si sono spesi 50 milioni anziché 36, cioè il 27% in più.
La spesa per la gestione del territorio ha assorbito 19,6 milioni contro i 15,2 calcolati come spesa corretta (+22%).
Quella per lo smaltimento dei rifiuti è stata di quasi 80 milioni rispetto a 65, cioè il 16% più di quella standardizzata.
Anche la spesa per gli asili nido è fuori dal benchmark per 5,2 milioni di euro.
Va bene, ma così fan tutti?
E sono tanti o pochi quei 40 milioni in eccesso rispetto alla spesa corretta?
Per capirlo si può fare un confronto con l’andamento della spesa di altre amministrazioni che diventa equiparabile proprio perché i parametri sono riportati a indici numerici assoluti, corretti rispetto alle differenze che possono derivare dal numero di residenti e dal contesto socio-economico.
Si scoprirà allora che la Milano di Letizia Moratti era amministrata con più oculatezza della Firenze renziana.
Il sindaco manager nel 2010 aveva speso 1,5 miliardi per gestire i servizi essenziali della metropoli, non solo meno dell’indice standardizzato di “buon governo” ma addirittura a credito: la differenza tra spesa storica e fabbisogno calcolato è positiva per lo 0,07%. Che in soldoni vuol dire 1.125 milioni di euro.
E Roma? Quasi tocca rivalutare l’amministrazione Alemanno e la “Roma Capitale” che lo Stato ha dovuto soccorrere con finanziamenti straordinari (il “salva Roma”).
Il Campidoglio risulta in negativo per 252 milioni di euro, ma è meno lontano di Firenze dallo standard corretto: il suo differenziale tra spesa sostenuta e corretta è in rosso del 7,68%, 3 punti sotto Firenze.
Perfino Torino, altra città dai conti tanto sballati da rischiare il tracollo, ha gestito i suoi servizi con più oculatezza registrando un saldo positivo di 67 milioni (7,6%) rispetto al parametro ideale di spesa.
Il paradosso che emerge dalla banca dati è che la trasparenza, a volte, finisce per punisce chi la fa.
La scelta di giudicare, premiare o penalizzare le amministrazioni sulla base di parametri quantitativi – senza valutare la qualità delle spese – può riservare sorprese ed effetti collaterali per chi la persegue.
Renzi ormai è premier e ha poco da temere per quei 40 milioni spesi in eccesso.
Il problema ricadrà tutto sui residenti e sul braccio destro che lo ha sostituito.
E’ il sindaco Dario Nardella che subirà le decurtazioni dei trasferimenti statali che si annunciano all’orizzonte.
“Se la legge di Stabilità resta così – ha detto Nardella – a Firenze mancano 50 milioni”.
E stavolta, forse, non dirà grazie all’amico di sempre.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Renzi | Commenta »
Novembre 19th, 2014 admin
A TESTA BASSA SUI COMPAGNI DI PARTITO E I SONDAGGI NON SONO ROSEI
“Adesso non è il momento delle polemiche. Si scavi il fango dalle città, si tiri via la melma delle pratiche
burocratiche, si realizzino le opere da fare. Vi aspetto, un sorriso”. Torna dall’Australia, Matteo Renzi. Ed è subito E-News. Vuole essere ricapitolativa e fiduciosa. È piuttosto lunga e recriminatoria.
Dalla riforma elettorale al Jobs Act (“quando la cortina fumogena del dibattito ideologico si abbasserà, vedrete che in molti guarderanno al Jobs Act per quello che è: un provvedimento che non toglie diritti, ma toglie solo alibi”), passando per l’Europa e le cene di finanziamento (“Quando io sono arrivato i dipendenti in forza al Pd erano 161, adesso sono 146 e io non ho fatto neanche un’assunzione. Le spese del passato ovviamente si fanno sentire”).
Nel nuovo stile renziano resta il “pensierino della sera” e il “sorriso finale”.
Manca il tono leggero e persuasivo.
“Non è più lui. Si vede lontano un miglio. Mia madre ha 94 anni e vede continuamente la televisione. M’ha chiesto: ‘Che è successo a Renzi? ’ S’è incupito, è nervoso, tratta male le persone”.
Parla Staino, vignettista, che Renzi lo conosce da sempre, anche se è sempre stato dall’altra parte della barricata.
“Sono segni di debolezza. Lui ha la fortuna di quella faccia sorridente, che fa tutto facile. Ma le cose non sono andate come pensava. E adesso la gente gli tira le uova”.
C’è poi un problema di rapporti: “Lui stesso non lega: il suo cerchio magico comincia ad assomigliare a quello di Bossi e di Berlusconi. Io ho sempre pensato che lui sarebbe stato talmente intelligente da riuscire a coinvolgere anche la sinistra e il sindacato. E invece no: si è messo tutti contro, ha cercato la rottura subito”.
Lo dice con rammarico: “Io sono tra quelli che ha sperato che ce la facesse. Però, sta perdendo tempo. Con tutti questi problemi economici che ci sono, con questo disagio sociale, lui che fa? Un peggioramento dell’articolo 18. Fa ridere i polli pensare che questo possa risolvere qualcosa”.
La mette pure sul filosofico: “L’abolizione ideale dei corpi intermedi porta diritti a Tor Sapienza, con un populismo feroce”.
Che la dura realtà abbia avuto un impatto difficile sul presidente del Consiglio lo pensano in molti.
“Voglio vedere lei a fare il premier, con i soldi che non ci sono. Mentre piove, e tutti danno la colpa a lei”, commenta Marco Belpoliti, critico letterario e autore di un libro su Berlusconi che ha fatto scuola come Il corpo del capo: “Governare questo paese è come scendere con gli sci subito dopo che ha nevicato. È difficile restare in piedi”.
E i sondaggi in calo? “Non sono altro che la registrazione di stati d’animo. Noi siamo nella dittatura degli stati d’animo ”.
Alessandra Ghisleri, sondaggista di fiducia di Berlusconi, più che di cambi di comunicazione parla di “evoluzione”: “Renzi è diventato un presidente pressato dalle difficoltà fisiche ed economiche di questo paese”.
Le rilevazioni “registrano un calo costante, uno stillicidio. Anche se il premier resta al 46-47%”. I sondaggi, spiega, vivono di momenti: “Ora c’è la Tasi da pagare. E poi, a parte gli 80 euro, non c’è stata nessuna misura forte. Prima la gente vedeva il bicchiere mezzo pieno, ora vede quello mezzo vuoto”.
Mauro Calise, editorialista de Il Mattino (ultimo libro: Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader, La-terza, 2013) la mette così: “Se c’è del nervosismo in più questo proviene da una debolezza: Renzi ha capito che la partita non si gioca in Italia, ma in Europa. C’è un malessere incontrollabile, ha cercato di spalmare ottimismo e di incidere in Europa, ma non ci è riuscito quanto si aspettava”.
Il premier, da parte sua, non rinuncia a battere su tasti universali. Ancora la E-news: “Si chiamava Reyaneh. Aveva 26 anni. Si è difesa dal suo stupratore e per questo è stata condannata a morte e giustiziata. Questa è la sua lettera testamento”.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Renzi | Commenta »
Novembre 18th, 2014 admin
SE SALVINI PREVARRA’ SU GRILLO, IL VOTO REGIONALE RISOLVERA’ ALCUNI PROBLEMI MA GLIENE CREERA’ DI NUOVI
Il novembre di Renzi non è fatto solo di alluvioni, screzi sulla riforma del lavoro, rivolta nelle periferie e qualche passo indietro nei sondaggi.
C’è anche un miniappuntamento elettorale domenica prossima che è quasi un “midterm” nostrano, sia pure molto circoscritto.
Si vota come è noto in Emilia Romagna e in Calabria, due segmenti significativi dell’Italia di oggi.
Troppo poco, certo, per confermare o smentire la mappa politica emersa nelle elezioni europee di maggio. Ma abbastanza per richiamare l’attenzione del premier di ritorno dall’Australia. Ovvio che la tendenza all’espansione dei consensi prima o poi doveva arrestarsi e in fondo le percentuali di Renzi restano alte, grazie anche all’assenza di alternative.
Tuttavia l’impressione è che l’opinione pubblica, a questo punto, abbia voglia di vederci chiaro nel fenomeno politico del 2014.
Il giudizio sul personaggio diventa più maturo, meno condizionato dal dinamismo mediatico.
E le difficoltà dell’autunno, in qualche caso più drammatiche del previsto, servono a misurare meglio i fatti del governo dopo le parole.
Renzi sa che la prima fase del suo mandato si è esaurita per sempre.
Ma proprio per questo ha bisogno di verificare il rapporto con gli elettori. Le regionali in Emilia Romagna e Calabria arrivano al momento opportuno: non sono un “test” troppo rischioso, ma nemmeno irrilevante.
Vincere, e vincere bene, può rappresentare il modo migliore per proiettarsi con fiducia verso le scadenze di fine anno.
D’altra parte, le polemiche con le autorità regionali sulle cause del dissesto territoriale dicono molto circa la fragilità della situazione.
Il successo di Renzi nei primi mesi di governo è stato rapido e impetuoso, ma può incrinarsi quasi alla stessa velocità.
Chissà se il presidente del Consiglio si è ricordato in questi giorni delle altalenanti fortune di un ottimo riformatore come Gerhard Schroeder, che nel 2002 fu rieletto cancelliere in Germania anche in virtù del modo serio e tempestivo con cui affrontò le inondazioni di quell’anno, mettendo proprio i piedi nell’acqua, ma nel 2005 non seppe gestire con la stessa serietà un’analoga emergenza e ne pagò le conseguenze.
In altre parole, a Renzi serve qualche risultato tangibile, che non sia solo l’arabesco infinito del patto con Berlusconi.
Ma serve anche un conforto elettorale. E l’unico possibile passa oggi da Bologna e Reggio Calabria. Due regioni dove il centrosinistra è atteso domenica alla vittoria, ma poi si tratterà di valutare le cifre e il merito dell’affermazione.
La Calabria, dopo l’inquietante tramonto della giunta Scopelliti, dovrebbe aggiungersi con agio al conto delle regioni governate dal centrosinistra.
Per Renzi sarà una notizia da valorizzare con la dovuta enfasi, visto che fino a pochi mesi fa non era scontata. Del resto, il centrodestra è diviso e i nomi presentati non proprio di primo piano. I grillini non incidono e la nuova Lega non è ancora arrivata così a Sud.
Quanto all’Emilia Romagna, il discorso è più complicato.
S’intende che il candidato del Pd, Bonaccini, è favorito. Ma sarà interessante contare i voti e misurare il peso dell’astensione.
Se c’è una parte d’Italia dove i quadri del partito tradizionale, il partito per cui Livia Turco piange in tv, sono ancora solidi, quella è l’Emilia Romagna.
E se c’è un pezzo d’Italia centrale in cui Salvini può fare le prove generali per superare Berlusconi e dare legittimità alla sua ambizione di guidare l’intero centrodestra, esso ha ancora i contorni della regione “rossa”.
Lunedì potrebbe essere proprio Salvini la figura che si pone in prospettiva come alternativa al centrosinistra. Soprattutto se avrà sconfitto Forza Italia e Grillo ed ereditato una fetta consistente dei suoi consensi.
Come dire che il piccolo “midterm” risolverà alcuni problemi a Renzi, ma gliene creerà di nuovi.
Stefano Folli
(da “La Repubblica“)
argomento: Renzi | Commenta »
Novembre 18th, 2014 admin
LE NOMINE NELLE SOCIETA’ CHE DOVEVANO SPARIRE
Cottarelli voleva ridurle da 8mila a mille. Renzi twittava: “Sfoltire”. 
Invece le aziende pubbliche continuano a dare incarichi. Da Poste a Finmeccanica fino ad Atac ed Eur, ecco la carica dei nominati.
Disboscare, ridurre, razionalizzare. Erano le parole d’ordine del governo sulle società controllate dallo Stato e sulle partecipate locali.
Ma mentre il commissario alla Spending scriveva i suoi piani la giostra degli incarichi continuava indisturbata.
Sulle poltrone, a prescindere dalle competenze, si accomodano fedelissimi del giglio magico e trombati della vecchia guardia. Così le società pubbliche sono sopravvissute ancora.
Era l’occasione buona per disboscare la giungla delle società pubbliche. A dare il “la” è stato il premier Matteo Renzi, fresco di incarico, a suon di tweet.
Quello datato 8 aprile 2014 faceva ben sperare: #municipalizzate “sfoltire e semplificare”.
A distanza di molti mesi tocca però constatare che il nuovo corso della politica non ha interrotto le vecchia abitudine di utilizzare le partecipate come paracadute per fedelissimi e trombati da sistemare, a spese del contribuente, per 450 milioni di euro l’anno.
Lo sa bene Carlo Cottarelli che il 7 agosto ha presentato al governo un “programma di razionalizzazione” per ridurne il numero da 8mila a mille nel giro di tre anni.
Non farà in tempo: il commissario ha lasciato l’incarico dopo un anno soltanto e il suo dossier è finito tra i misteri della Terza Repubblica.
Nel frattempo la giostra delle nomine non si è mai fermata e le poltrone da rottamare sono state rifoderate.
Cominciamo da Poste. Elisabetta Fabri dal 2000 guida la catena fiorentina Starhotels. Nel 2011 ebbe l’intuizione di raccogliere l’invito del sindaco Renzi a restaurare a proprie spese, al costo di 15mila euro, la cinquecentesca Madonna del Velo.
Passano tre anni e il premier le affida un incarico da consigliere da 40mila euro l’anno.
E pazienza se alle Poste, società che svolge un servizio pubblico di rilevanza economica, viene spedito un manager alberghiero. Per altro in compagnia di tanti tanti “amici”.
Un lavoro sicuro alle Poste. Ma solo per i nominati
Basta tirare un filo, arrivano su tutti. La società pubblica, va detto, è attesa alla prova di passaggi delicatissimi: la privatizzazione, lo sbarco in Borsa.
Ma questo non ha impedito al governo di riempire i posti chiave con soggetti d’ogni provenienza professionale e politica, soprattutto di “quote viola”, perché si tratta per lo più di manager nati o venuti a lavorare a Firenze ed entrati in “sintonia” con chi, dal 2009 al febbraio 2014, ne è stato il sindaco.
Questa la radiografia dell’ultima tornata di nomine.
La presidenza è finita a Luisa Todini: 238mila euro lordi, più 66mila euro come consigliere Rai.
E’ una scommessa rosa di Renzi. Imprenditrice di nascita, ex eurodeputata di Forza Italia che non spiace a sinistra, anche grazie alle sue partecipazioni nei talk d’area. Come consigliere di Poste entra anche l’ex portavoce di Casini, nonché ex deputato Udc, Roberto Rao: 40mila euro l’anno.
In Poste Vita approdata Bianca Maria Martinelli, manager del settore comunicazioni, già consigliere di amministrazione di Vodafone Italia, candidata senza fortuna alle politiche 2013 per Scelta Civica.
Di Poste sapeva poco o nulla, ma dalla sua vanta esperienze professionali in Fininvest e la creazione di Telecinco, l’ammiraglia spagnola del gruppo Mediaset.
Atterrano alle Poste altri folgorati sulla via di Rignano d’Arno. Antonio Campo dall’Orto, già frequentatore del palco della Leopolda, arriva da Conegliano, provincia di Treviso.
La sua amicizia con Renzi risale al 2010, quando lo chiamò per realizzare l’edizione fiorentina del reality ultrapop di Mtv “Jersey Shore”, trovando nel sindaco pronta disponibilità.
L’intesa fu tale che a lungo Dall’Orto è stato accreditato come favorito per la direzione generale della Rai, nel caso Gubitosi liberasse la poltrona.
L’opzione, si sa, è poi sfumata e lui ha trovato un posto alle Poste, pur essendosi occupato sempre di tv.
Un lavoro sicuro lo trova anche Andrea Peruzy, segretario della fondazione dalemianaItalianieuropei, assurto ad amministratore della Banca del Mezzogiorno di Poste Italiane, società che Monti voleva liquidare.
Infine la compagnia aerea di Poste, la Mistral Air, ha imbarcato un ex deputato Pd col diploma di perito tecnico industriale. Si tratta di Massimo Zunino, due legislature alle spalle e molto impegno per far confluire i circoli savonesi nel correntone renziano.
Nessuna svolta per lo stipendificio di Stato
I volenterosi finanziatori della Leopolda hanno poi vinto un trono all’Enel, all’Eni o in Finmeccanica.
Nelle aziende di Stato si fatica a smistare il traffico degli accomodati tra le 600 poltrone di prima e seconda fila, in barba ai proclami ma soprattutto ai 50mila euro (più Iva) spesi dal governo Renzi per la consulenza di due società di cacciatori di teste – la Spencer & Stuart e la Korn Ferry – incaricate di selezionare i nuovi top manager pubblici fuori da logiche di lottizzazione politica. Quali sono state poi le scelte del governo? Ecco una rapida carrellata di casi, più o meno noti.
All’Enel è finito l’avvocato di Alfano, Andrea Gemma, che il leader Ncd aveva chiamato come “soggetto attuatore” del Piano Carceri (2010-2012, 100mila euro l’anno di compenso).
Qui atterra anche lo sponsor della Leopolda e legale di fiducia del duo Renzi-Carrai, Alberto Bianchi, già presidente della Fondazione Open (dove siedono lo stesso Carrai, la ministra Boschi e il sottosegretario Luca Lotti) che per Renzi raccoglie i fondi da donatori privati. Suo fratello, per inciso, è Francesco Bianchi, il commercialista-commissario del disastrato Maggio musicale fiorentino, fortemente voluto dal “sindaco”.
Tra quelli che invece hanno versato soldi a Renzi per le sue campagne alle primarie del Pd c’è il senese Fabrizio Landi, membro del cda di Banca CrFirenze ed ex amministratore delegato di Esaote, azienda leader del biomedicale con sede nella città del giglio.
Landi nel 2012 ha regalato 10mila euro a Renzi, che due anni dopo si è ricordato di lui, indicandolo per il cda di Finmeccanica.
All’Eni viene nominata l’imprenditrice aretina del rame Diva Moriani, in affari con la famiglia del ministro allo Sviluppo Federica Guidi e amministratore della Fondazione Dinamo, presieduta da Vincenzo Manes, imprenditore che guida l’Intek group (dove anche siede la Moriani) e generoso finanziatore di Renzi (62mila euro di donazioni), che lo ha fatto nominare nel 2010 in Aeroporti di Firenze.
Altro renziano doc all’Eni è Marco Seracini, uno dei soci fondatori e presidente di un’altra associazione di raccolta fondi per Renzi, NoiLink (anche qui in compagnia di Carrai, e anche della deputata Simona Bonafè).
Link ha cessato le sue attività nel 2011, con un ottimo risultato alle spalle: 750mila euro raccolti per Renzi che tre anni dopo si ricorderà di lui, nominandolo sindaco revisore in Eni. Seracini – scrive il Corriere fiorentino – è anche “commercialista di fiducia di Renzi, presidente di Montedomini e fratello di Maurizio Seracini, l’ingegnere che sta compiendo le ricerche per la battaglia di Anghiari”, pallino renziano di trovare un capolavoro vinciano celato dietro un affresco del Vasari a Palazzo Vecchio.
L’affresco contemporaneo, intanto, è una pioggia di nomine.
La carica dei 37mila posti nelle 8mila partecipate locali
Le controllate statali sono lo spazio da esposizione del Poltronificio. Il magazzino è nelle retrovie, nei “sistemi territoriali” delle controllate regionali, delle multiutility, delle fondazioni e delle municipalizzate.
Dove chi esercita localmente il potere può conferire incarichi a pioggia grazie a 37mila poltrone disponibili per le nomine.
Un’impresa scovare tra i curriculum di consiglieri e amministratori qualcuno che abbia maturato esperienza e competenze nella gestione di servizi pubblici di rilevanza economica.
Abbondano invece i “trombati”.
Cottarelli aveva stilato una lista nera delle società che cumulavano maggiori perdite: 600 milioni di euro per 20 partecipate. In cima, con 155 milioni di perdite e 750 di debiti, c’è l’Atac, la disastrata azienda di trasporti del Comune di Roma. Amministratore delegato, da luglio 2013 è il milanese Danilo Broggi, oggetto di apprezzamenti trasversali della politica, tanto da essere nominato a suo tempo da Tremonti in Consip (2005-2011).
Non si è mai occupato di trasporti e nonostante i conti non virino dal rosso, resta lì e non solo.
Anche lui è stato nominato alle Poste, ramo assicurativo, insieme alla schiera del cosiddetto “giglio magico”.
Per restare nel Lazio, Cottarelli avrebbe voluto liquidare la Eur Spa. E’ la società controllata al 90% dal Tesoro e per il 10% dal Comune di Roma che gestisce, con milioni di perdite, l’immenso patrimonio edilizio ereditato dall’Esposizione universale del 42: palazzi, musei, parchi e intere strade.
Impresa più facile a dirsi che a farsi: quello è un intero pezzo di Roma su cui – complici i conti in rosso del Comune – hanno messo le mani i palazzinari della capitale, senza che la politica levasse le sue.
Le premesse c’erano poi tutte: la società era a un passo dal tracollo, la Legge di Stabilità 2014 stanziava 100 milioni per onorarne debiti e perdite.
La Procura di Roma aveva rinviato a giudizio l’ex ad Riccardo Mancini per lo scandalo sull’appalto dei filobus. E invece non succede proprio nulla.
La controllata capitolina, mucca senza più molto da spremere, vien sempre buona per sistemare qualcuno.
Ad esempio Pierluigi Borghini. Nel 1997 si presenta come candidato sindaco del Pdl contro Rutelli e perde.
Prova a candidarsi alle politiche del 2001 per Forza Italia e non viene eletto. Ci riprova a quelle del 2013, niente da fare.
Per sua fortuna ha potuto però contare sull’Eur, che presiede dal 2009, con un compenso di189mila euro l’anno. Ora di liquidazione e accorpamento non si sente più parlare.
Si aspetta solo la scadenza del mandato per metterci qualcuno al passo coi tempi.
L’Italia dei nominati allo specchio: Finlombarda e Fincalabria
Cottarelli avrebbe poi voluto mettere le mani sulle società regionali che contano 7.300 dipendenti che, tra il 2009 e il 2012, sono costati un miliardo e 89 milioni di euro a cui vanno aggiunti altri 87 milioni per pagare gli amministratori, 91 milioni per il funzionamento e 75 milioni di debiti.
E dove i nominati non si riescono a disarcionare neppure volendo.
Due esempi ancora, agli antipodi dello Stivale.
Regione Lombardia eccelle anche nel numero delle sue partecipate. Ogni anno pubblica un “bollettino degli incarichi” e l’ultima edizione conta 400 pagine fitte fitte di nomi, poltrone e compensi. E anche qui, le sorprese non mancano.
Capita così di scorgere fra i nomi dei nuovi consiglieri di Finlombarda quello dell’esponente di Forza Italia Marco Flavio Cirillo: trombato alle politiche del 2013, nominato sottosegretario all’Ambiente nel governo Letta e lasciato a casa da quello di Renzi.
Per lui c’è un gettone di consolazione da 285 euro a presenza. E così fan davvero tutti. Andando all’altro capo dello Stivale c’è Fincalabria, la cassaforte regionale con cinque sedi e altre 22 società partecipate in pancia, due delle quali in fallimento e una in liquidazione.
Questa finanziaria traballante di una Regione senza governatore, è gestita da un reggente in attesa delle elezioni.
Si chiama Luca Mannarino ed è il coordinatore regionale dei Club Forza Silvio.
Per il presidente è fissato un compenso di 84mila euro l’anno.
In attesa di future imprese politiche.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Renzi | Commenta »
Novembre 18th, 2014 admin
L’INDAGINE CISL: REDISTRIBUZIONE A DANNO DI PENSIONATI, AUTONOMI E CONTRIBUENTI A BASSO REDDITO
Il bonus Irpef da 80 euro è finito in tasca a oltre 8 milioni di famiglie, per un importo medio di 683 euro, ma ha finito per essere ‘mangiato’ dalla tassazione locale, che di fatto ne annulla l’effetto.
Sono i dati che emergono da un rapporto della Cisl sul peso del Fisco in Italia.
I Caf del sindacato notano che la tassazione locale “continua a crescere”, mentre quella erariale tende a spostarsi “dal reddito verso i consumi” ma “resta costante”. Così, “nel complesso la pressione fiscale cresce: quella sulle famiglie aumenta dal 30,8% nel 2010 al 31,1% nel 2014″.
Da una parte, dunque, a beneficiare del bonus da 80 euro varato dal governo Renzi sono state 8,6 milioni di famiglie italiane, un terzo del totale, per un importo medio di 683 euro.
Dall’altra, però, l’impatto positivo “è stato compensato dall’aumento delle altre imposte”.
La Cisl redige così il catalogo dei rincari: “Crescono le addizionali (regionali e comunali, queste ultime soprattutto tra 2012 e 2013, in corrispondenza dell’abolizione dell’Imu sulla prima casa) ed è reintrodotta la tassazione sulle prime case (dall’Imu 2012 alla Tasi 2014) la quale, in alcuni casi, significa aumento rispetto al passato”.
All’aumento delle imposte locali “non corrisponde una pari riduzione di quelle erariali”: la pressione delle principali imposte statali sulle famiglie “è del 29,7% nel 2010 come nel 2014″.
La tendenza è “verso un cambio di composizione dal reddito verso i consumi”. l’incidenza dell’Irpef passa dal 20,35% al 19,3%, quella di Iva e accise dal 9% al 10,1%. Di conseguenza la pressione fiscale sulle famiglie aumenta dal 30,8% nel 2010 al 31,1% nel 2014″.
Quanto al bonus, “ha determinato una redistribuzione a favore delle famiglie dei lavoratori dipendenti a scapito di pensionati, lavoratori autonomi e, in generale, dei contribuenti a bassissimo reddito”.
In un orizzonte di medio termine (2010-14), calcola la Cisl, “il bonus e gli aumenti di detrazioni per familiari e per lavoro dipendente (oltre alle agevolazioni per ristrutturazioni e risparmio energetico) intervenuti dal 2010 sono stati, nel complesso delle famiglie, più che compensati dall’aumento di Iva, accise e addizionali Irpef. Solo le famiglie dei lavoratori dipendenti conservano, in media, un piccolo beneficio”.
(da “La Repubblica”)
argomento: Renzi | Commenta »
Novembre 18th, 2014 admin
LA SQUADRA DEL PREMIER MINIMIZZA IL CALO SONDAGGI: “ABBIAMO TUTTI CONTRO”… ALLE REGIONALI SI TEME IL FLOP AFFLUENZA
“Avere un partito presumibilmente al 36% è comunque un buonissimo risultato. I sondaggi cambiano nel tempo e l’esperienza dimostra che anche i sondaggisti sbagliano”. La versione ufficialmente rassicurante è affidata al ministro Boschi.
Il premier è in Australia, i renziani ostentano sicurezza, ma il nervosismo è evidente dal tono teso e evasivo delle risposte.
Domenica Repubblica (non certo giornale nemico) fotografava un calo di 10 punti nel gradimento del premier (dal 62 al 52 per cento da ottobre a novembre), con relativa discesa del Pd al 36,6%.
“I sondaggi? Un sondaggio”, commenta un alto dirigente Dem, mentre mira a chiudere la comunicazione.
Dario Parrini, fedelissimo del premier e segretario Pd Toscana, snocciola una serie di altri dati: l’Ixe registra un 38,6% (-0,4%), Swg 39,9 % (-0,2%), Datamedia 39,7 (-0,3%) e Piepoli 40,5% (+0,5%).
Ma un’altra voce dai piani alti di Palazzo Chigi: “Che dobbiamo fare? In un momento di tensione sociale come questo, con l’economia che non riparte e gli effetti dei provvedimenti che non si vedono, un calo del gradimento è inevitabile”.
Ammissioni pesanti, che fotografano un dato di realtà inoppugnabile.
“Cosa facciamo? Andiamo avanti per la nostra strada, a partire dal Jobs act”. Sicuri che la riforma del lavoro invertirà la tendenza? Momento di pausa. “Noi dobbiamo fare le cose”.
Il renziano doc per natura getta il cuore oltre l’ostacolo. E soprattutto, va avanti per la sua strada.
“Continuiamo come rulli compressori. In Italia, chiunque provi a cambiare, si trova davanti l’alzata di scudi delle categorie. Abbiamo tutti contro”.
Però, “se si dovesse andare a votare, di certo il dissenso rientrerebbe”.
Sempre le elezioni sullo sfondo, come scialuppa di salvataggio.
Intanto, a votare per le Regionali ci si va domenica, in Emilia Romagna e Calabria.
In Emilia, il risultato che dà per vincente il candidato Pd, Stefano Bonaccini è scontato. Ma l’affluenza preoccupa. “È mancato un progetto e per questo mancherà anche il voto”, diceva ieri a Repubblica, Matteo Richetti, il deputato emiliano che si è ritirato dalle primarie.
E tra i Dem, il timore che l’affluenza scenda addirittura al di sotto del 50% è diffuso. “Vinceremo? Sì. La bella figura la facciamo un’altra volta”, commenta un giovane onorevole emiliano.
Come molti sono convinti che ci sarà un exploit della Lega. In Calabria il candidato Mario Olivero è un non renziano: anche lui vincerà, ma non sarà una vittoria del Pd del segretario-premier.
Sulla legge di stabilità, intanto, il Pd non renziano, quello della minoranza non dialogante, ma di opposizione, annuncia battaglia.
Oggi ci sarà una conferenza congiunta di Stefano Fassina, Pippo Civati, Gianni Cuperlo. Primi firmatari (con loro, tra gli altri, Dattorre, Bindi e Pollastrini) di una serie di emendamenti alla legge di stabilità che sono stati presentati in Commissione Bilancio.
Uno, soprattutto, può mettere in difficoltà il governo: quello che chiede di introdurre l’Isee per il bonus di 80 euro.
Un modo per estenderlo agli incapienti, dai disoccupati ai pensionati. Modifica “non segnalata” dal gruppo Dem, che dovrebbe essere fatta propria da Sel.
E il governo, sono convinti i presentatori, potrebbe andare sotto, grazie anche ai voti di FI.
Altro cavallo di battaglia è quello che chiede il finanziamento della riforma degli ammortizzatori sociali per la riforma del lavoro.
Francesco Boccia, in quanto Presidente della Commissione Bilancio, non li ha firmati. Ma non nasconde il fatto di essere d’accordo.
“Riportare il Pd nell’alveo del centrosinistra”, è l’appello che ha lanciato all’Huffington post agli stessi Civati, Cuperlo, Fassina e ai bindiani per dar vita a un “coordinamento” tra quelli che “non si arrendono al pensiero unico”.
Il coordinamento è già in piedi: sono state fatte una serie di riunione sulla manovra. Boccia, che comunque assicura sia “lealtà” che “velocità” nel cammino della Stabilità in Commissione, avverte: “Se si va al voto anticipato, prima il congresso”.
E Ncd torna a minacciare battaglia sul jobs act, dopo che il governo annuncia l’emendamento sull’articolo 18 per i licenziamenti disciplinari che recepisce l’odg della direzione Pd.
I fronti aperti aumentano.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Renzi | Commenta »
Novembre 16th, 2014 admin
“HO CREATO 153.000 NUOVI POSTI”… MA I DATI ISTAT LO SMENTISCONO: I NUOVI OCCUPATI A SETTEMBRE ERANO SOLO 70.000 (CONTEGGIANDO I PRECARI E I LAVORI SALTUARI STAGIONALI DA UN GIORNO)
Ci risiamo. Stavolta i posti di lavoro “creati dal governo” sono 153mila.
A rivendicarlo è stato lo stesso Matteo Renzi, parlando al G20 di Brisbane, ma una settimana fa la stessa cifra è stata citata dal ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, in visita a Piacenza.
Già in settembre, d’altronde, Renzi e Boschi avevano parlato di un aumento del numero degli occupati.
Da attribuire, secondo loro, al decreto Poletti che ha liberalizzato ulteriormente i contratti a termine.
Ma, così come all’epoca i risultati attribuiti al decreto legge varato in marzo non trovavano riscontro nei dati dell’Istat, anche oggi il premier ha esagerato.
Basta un’occhiata ai numeri ufficiali registrati dall’istituto di statistica, infatti, per rendersi conto che dall’insediamento dell’esecutivo, il 22 febbraio scorso, gli occupati sono saliti solo di 70mila unità.
Meno della metà di quanto dichiarato dal presidente del Consiglio durante l’intervento davanti agli altri leader dei Paesi che rappresentano il 90% del prodotto interno lordo mondiale.
A marzo, infatti, gli italiani con un posto di lavoro a tempo determinato o indeterminato erano 22.387.000.
Nell’ultima rilevazione Istat, relativa a settembre (quando peraltro il numero di disoccupati ha toccato i massimi dal 2004), si legge invece che gli occupati sono 22.457.000. Settantamila in più, appunto.
E i conti non tornano nemmeno se il termine di paragone si anticipa a febbraio, quando comunque Renzi ha trascorso a Palazzo Chigi solo una settimana: in quel mese si sono registrati 22.318.000 occupati, quindi 139mila in meno rispetto a settembre.
Cifra comunque più bassa rispetto ai 153mila citati a Brisbane.
A cui ci si avvicina solo partendo dal dato di aprile, quando l’occupazione ha fatto segnare il picco minimo dell’intero 2014.
(da “il Fatto Quotidiano”)
argomento: Renzi | Commenta »
Novembre 16th, 2014 admin
L’IMPRENDITORE FURIO MONACO A PROCESSO PER ESTORSIONE PRESENTE ALLA CENA DA 1000 EURO CON RENZI ALL’EUR
Alla cena di finanziamento del Pd di Matteo Renzi, al Palazzo delle Fontane dell’Eur di Roma, c’era anche un imputato.
Era seduto al tavolo numero 50. Si chiama Furio Monaco, imprenditore edile.
Il suo nome spunta in un’inchiesta della procura di Roma - condotta dai pm Paolo Ielo e Giuseppe Cascini - per tentata estorsione.
Il gip Stefano Aprile ha disposto il suo rinvio a giudizio e ora, il rampollo della famiglia Monaco, che ha finanziato con almeno mille euro la cena di fund raising del partito di Renzi, dovrà difendersi dalle accuse di Alessandro Filabozzi, manager del Consorzio cooperative costruzioni.
Secondo gli inquirenti Monaco, in concorso con Riccardo Mancini, ex ad di Eur Spa e braccio destro di Gianni Alemanno, avrebbero indotto Filabozzi, a non presentare ricorso al Tar, minacciando di escluderlo da tutti i rapporti di lavoro con l’amministrazione capitolina.
L’impugnazione riguardava un appalto di circa 200 milioni di euro, per la realizzazione del “corridoio filobus Laurentino”, vinto da Monaco, vertice di un’associazione temporanea d’impresa.
I fatti risalgono al 2008, nel periodo a cavallo tra la giunta Veltroni e Alemanno, e l’indagine nasce da un’inchiesta più ampia, su una presunta tangente da 600mila euro, versata dalla Breda Menarini alla società Roma Metropolitane, controllata dal Comune di Roma, come garanzia per la fornitura di 40 vetture.
La gara per la costruzione dei binari per i filobus è indetta dall’amministrazione di centrosinistra e aggiudicata da quella di centrodestra.
Il neo assessore ai trasporti di Alemanno, Sergio Marchi, a giugno, decide di sospendere l’iter di assegnazione. Ma a novembre la Monaco Spa si aggiudica i lavori e Filabozzi, secondo classificato, manifesta l’intenzione di impugnare l’appalto con una richiesta d’accesso agli atti.
Ed è proprio in questa fase che, secondo l’accusa, s’inserisce l’estorsione a Filabozzi “affinché rinunci, a seguito di serie e concrete minacce, al ricorso giurisdizionale”. Filabozzi racconta ai pm di aver “ricevuto una telefonata da Monaco… il quale mi suggeriva di non presentare ricorso e m’invitava a una colazione di lavoro con Mancini, espressione della nuova amministrazione”.
Durante l’incontro - continua Filabozzi - “Mancini, alla presenza del Monaco, disse che tenuto conto del nuovo orientamento di maggioranza un appalto di tale portata non poteva essere aggiudicato al CCC (azienda di Filabozzi, ndr) e aggiunse che, se ci fossimo rivolti al Tar, ci avrebbe impedito la materiale esecuzione del lavoro ed escluso da ogni successiva partecipazione sul territorio comunale. Se non avessimo impugnato l’atto, si sarebbe potuto parlare dei lavori del prolungamento della Metropolitana B”.
Ma Filabozzi presenta comunque ricorso.
E le minacce diventano concrete: “Mi venne disdetto l’appuntamento per discutere dei lavori della metro. E decisi di recedere dal ricorso”.
Il gip ritiene le dichiarazioni di Filabozzi “logiche” e “attendibili” e quelle di Monaco “laconiche” e “reticenti”.
E c’è un’altra inchiesta nella quale – sebbene non abbia avuto ripercussioni penali – compare il nome del costruttore, ospite alla cena del premier
Ne parla Lorenzo Cesa agli inquirenti di Piazzale Clodio, nell’ambito dell’inchiesta in cui fu condannato a 3 anni, poi prescritto, sulle tangenti Anas da 30 miliardi di lire.
È il 1993 e Cesa, portaborse dell’allora ministro Giovanni Prandini, racconta di aver conosciuto il giovane Furio Monaco, che gli presenta suo padre, per chiedergli di sbloccare una pratica pendente all’Anas.
Per il disturbo – racconta Cesa – “Monaco portò nel mio studio una busta di carta rigida contenente denaro destinato al ministro (…) Penso che la somma si aggirasse intorno ai 15 milioni di lire”.
Il Fatto Quotidiano ha contattato Monaco che ha confermato di esser stato presente alla cena del Pd, versando la quota di mille euro. “Sono stato invitato dal mio amico Domenico Tudini, ex ad di Ama, e ho deciso di partecipare perché nutro stima profonda nei confronti di Renzi”.
Loredana Di Cesare
(da “il Fatto Quotidiano“)
argomento: Renzi | Commenta »