destra di popolo

INSULTI ALLA SEGRE: DUE RAZZISTI INDAGATI, ORA HANNO PERSO IL SORRISO

Marzo 3rd, 2021 admin

INDIVIDUATI UN 75ENNE DI CAGLIARI E UN 40ENNE DEL VITERBESE

Inspiegabili e senza coscienza furono gli insulti antisemiti rivolti alla senatrice Liliana Segre in una foto in cui si sottoponeva al vaccino. Ma c’è chi potrebbe pagare per gli insulti:  sono infatti due le persone indagate dalla procura di Milano per le minacce sul web alla senatrice Liliana Segre, sopravvissuta ai campi di sterminio.
Gli indagati si erano scatenati nel commentare la foto rimbalzata sui social con sentimenti antisemiti e di profondo odio razziale, come emerso dalla costante attività di monitoraggio della rete svolta dal Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni.
Come noto, la senatrice a vita è stata vaccinata al Fatebenefratelli di Milano il 18 febbraio e subito dopo era partita via social una valanga di minacce e insulti, tanto violenti da indurre la Procura della Repubblica di Milano ad aprire un fascicolo per minacce aggravate dalla discriminazione e dall’odio razziale.
Tra i messaggi d’odio più raccapriccianti sicuramente quello in cui testualmente si afferma “Aveva paura di morire la stronza? Non sono riusciti neanche i tedeschi ad ammazzarla.. e ora ha paura di morire??”, oppure, ancora, quello di un altro utente che scrive “Ma se tirasse le cianche… quanto di risparmierebbe”.
All’esito delle indagini, gli investigatori del Compartimento Polizia Postale e delle Comunicazioni di Milano e della Digos  dello stesso capoluogo, hanno individuato due soggetti, ritenute essere gli autori dei commenti antisemiti più aggressivi, il primo G.G.T di 75 anni residente nel cagliaritano ed il secondo G.T. di 40 anni residente nel viterbese.
Nel dettaglio, le attività di Osint hanno consentito l’emissione da parte del Coordinatore della Sezione Distrettuale Antiterrorismo di Milano, Dott. Alberto Nobili, dei decreti di perquisizione locale e personale, e contestuali decreti di ispezione sui sistemi informatici e/o di telecomunicazione a carico degli indagati, cui è stata data esecuzione, nella mattinata odierna, con l’ausilio del personale degli Uffici della Polizia Postale di Roma e Cagliari e delle Digos di Viterbo e Cagliari.
Le perquisizioni hanno permesso di riscontrare le ipotesi investigative, acquisiti ulteriori elementi probatori sui dispositivi informatici adesso al vaglio degli specialisti della Postale.

(da agenzie)

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PRIMA DI ESSERE CACCIATO, ORBAN ANNUNCIA IL RITIRO DEL SUO PARTITO DAL PPE

Marzo 3rd, 2021 admin

SPERIAMO CHE L’UNGHERIA TOLGA ANCHE IL DISTURBO DALL’UNIONE EUROPEA E TORNI CON LE PEZZE AL CULO SENZA I QUATTRINI CHE PRENDE DALL’EUROPA

Parola del premier ungherese Viktór Orbán che lo ha appena detto su Twitter con un post della numero due del partito Katálin Novák: il suo partito, la Fidesz, lascerà oggi il gruppo parlamentare del Partito popolare europeo all´Europarlamento.
In precedenza i media ungheresi piú vicini al governo e di fatto piú controllati dagli oligarchi fedeli alla maggioranza avevano preannunciato stamane che la Fidesz avrebbe reso nota, con ogni probabilità oggi – scrivevano il Magyar Nemzet, illustre, storico quotidiano ora normalizzato, e il sito di news filogovernativo Origó – la sua uscita dal Partito popolare europeo.
Il post di Katálin Novák definisce “antidemocratiche e inaccettabili” le ultime decisioni del PPE che modificano norme e regole del suo gruppo al Parlamento europeo, rendendo possibile l´espulsione di un intero partito a maggioranza semplice e non piú solo a maggioranza qualificata.
In tal modo, Orbán e la Fidesz che egli controlla personalmente e senza rivali al vertice sembrano aver deciso di giocare d´anticipo battendo sul tempo il vertice del PPE e il suo capogruppo parlamentare, Manfred Weber. I quali, come aveva scritto Repubblica, avevano modificato statuto e norme interne in modo da poter espellere anche un intero partito dalla famiglia a maggioranza semplice, non piú qualificata.
Negli ultimi giorni, con le decisioni di Weber e del Ppe, il clima tra Fidesz e popolari europei aveva cominciato ad apparire a un punto di non ritorno.
I media filogovernativi ungheresi hanno pubblicato stralci e citazioni di una lettera personale che il premier magiaro, nella sua qualità di leader del partito, avrebbe scritto a Manfred Weber. In particolare, secondo queste citazioni Orbán avrebbe scritto che “piuttosto che rimanere nello status di partito sospeso nel Ppe la mia Fidesz se ne andrà di sua iniziativa” e che le nuove norme “sembrano un abito tagliato su misura contro il mio partito e gli interessi della nazione sovrana ungherese”.
ULn regimer che ha posto in essere limitazioni alla libertà d´espressione, all´indipendenza della magistratura, alla libertà delle ONG, oltre alla violazione di norme europee su appalti pubblici, sistematicamente assegnati ai ricchi oligarchi fedeli al premier, a cominciare dall´uomo piú ricco d´Ungheria, Lörinc Mészárós self-made man amico da sempre della famiglia del premier.
In Ungheria le elezioni politiche si tengono nell´aprile dell´anno prossimo e i sondaggi dipingono un testa a testa tra la Fidesz di Orbán e l´eterogenea coalizione delle opposizioni (Verdi europeisti, socialisti, ex ultradestra di Jóbbik e altre forze). Il cartello delle opposizioni si prepara a primarie quest´estate per scegliere candidati unitari al ruolo di futuro premier e in futuri altri principali ruoli di governo.

(da agenzie)

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SANREMO, TRIONFO SOCIAL PER LA BERTE’: “POI ARRIVA LOREDANA E CAPISCI COSA VUOL DIRE BIG”

Marzo 3rd, 2021 admin

LA CANTANTE, OSPITE DELLA PRIMA SERATA, CONQUISTA I TELESPETTATORI E DIVENTA L’EROINA DEL FESTIVAL

L’artista si prende il festival, chiude con un messaggio contro la violenza sulle donne e diventa l’eroina dei social. Niente sarà più come prima, dopo di lei
“Figlie di Loredana”. Dopo averla vista a Sanremo sono tutti “figlie sue”. Perché quando arriva lei, La Bertè, capelli blu, coroncina di farfalle, minigonna, voce voce, si prende il festival e ci porta finalmente nel suo Mare d’inverno. Diventa subito l’eroina dei social, anche per la frase “sono il padre delle mie carezze, sono la madre delle mie esperienze”, tratta appunto dal singolo Figlia di….
Loredana, apparentemente improbabile, fa invece la vera partita: canta, ricanta, ci costringe ad ascoltarla, chiude con un messaggio contro la violenza sulle donne (“al primo schiaffo denunciate, denunciate”)  e porta le scarpe rosse, sul palco. Niente sarà più come prima, dopo di lei
Loredana Bertè canta i suoi più grandi successi e il nuovo singolo “Figlia di”, facendo impazzire i telespettatori di Sanremo 2021.
Una vera e propria standing ovation virtuale per l’artista che, super ospite della kermesse canora, ha ripercorso la sua carriera con un medley di “Mare d’inverno”, “Dedicato”, “Non sono una signora”, “Sei bellissima”.
“Poi arriva Loredana Bertè e capisci cosa vuol dire BIG”, scrive un utente. E ancora: “Loredana Bertè vince Sanremo 2021 con ‘Il mare d’inverno’”, “Loredana Bertè è l’unica vera rockstar”, “Loredana, sei arte, poesia, leggenda. Questo medley è praticamente storia della musica italiana”.
La Bertè ha portato sul palco dell’Ariston la denuncia contro la violenza sulle donne. Durante la sua esibizione, infatti, oltre a un fiocchetto rosso in bella vista sulla giacca, ha tenuto una scarpa rossa, simbolo della lotta contro i femminicidi.
“Grazie per avermi permesso di portare il messaggio contro la violenza sulle donne. Al primo schiaffo bisogna denunciare”, ha detto la Berté prima di congedarsi

(da agenzie)

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LE PRIME MOSSE DEL GENERALE: ESERCITO IN CAMPO MA BLOCCA L’ASSUNZIONE DI 3.000 MEDICI E 12.000 INFERMIERI SELEZIONATI APPOSTA PER VACCINARE

Marzo 2nd, 2021 admin

PER VACCINARE SERVONO ESPERTI SANITARI, NON BLINDATI… QUANDO E SE ARRIVERANNO MILIONI DI VACCINI PIU’ CHE “ESPERTI DI LOGISTICA” SERVIRANNO MEDICI, INFERMIERI E PERSONALE SANITARIO

Chi conosce il generale originario di Potenza, considerato “il maggiore esperto di logistica delle forze armate”, giura che gestirà l’operazione vaccinazione del Paese “come una missione di pace ma pur sempre una missione militare”.
Esercito e Protezione civile avranno un ruolo nevralgico nella distribuzione delle dosi sul territorio nazionale, impostata su un modello militare e che prevede anche una modifica del rapporto tra la struttura commissariale e i presidenti delle Regioni. Non sempre pacifico ai tempi di Arcuri. .
Il bando “arenato”
Ricordate l’esercito dei quindicimila vaccinatori che l’ex commissario Arcuri si era adoperato per mettere in campo? Emanato l’11 dicembre scorso, per selezionare un massimo di 5 Agenzie per il Lavoro, incaricate di selezionare e reclutare - con assunzione a tempo determinato di 9 mesi eventualmente rinnovabili - 3.000 medici e 12.000 infermieri e assistenti sanitari chiamati avaccinare nelle 1.500 strutture individuate e distribuite su tutto il territorio nazionale, non è chiuso. Ma nei fatti è come se lo fosse.
A febbraio, il fabbisogno previsto è stato di 2679 vaccinatori in tutta Italia. Le persone selezionate dalle Agenzie per il lavoro sono state 2885: il personale già in forza è di 1700 persone, 1000 sono ancora da contrattualizzare. Di queste ultime, 565 aspettano ancora di ricevere la visita medica dalle Asl del territorio, le altre stanno perfezionando la pratica di selezione.
Ma sul piano del fabbisogno da marzo in poi altre comunicazioni non sono arrivate. Che fine farà il bando voluto da Arcuri? Non si sa.
Quel che è certo è che tra i vaccinator ritenuti idonei e che aspettavano solo di firmare il contratto, mentre alcuni attendono la convocazione dell’Azienda sanitaria per la visita funzionale all’entrata in servizio, c’è pure chi si è visto recapitare dall’Agenzia per il lavoro che l’aveva selezionato una comunicazione del tutto inaspettata.
Un messaggio in cui si legge: “Alla luce degli avvicendamenti da ultimo intervenuti al vertice della struttura del Commissario straordinario comunichiamo che, nelle more di ricevere dalla competente struttura precise indicazioni operative, non sarà consentito alla Scrivente procedere alla sua contrattualizzazione”.
Il nodo (ancora) stretto sui medici vaccinatori
“Effetto Figliuolo”, verrebbe da commentare. Ma forse anche conseguenza della carenza di dosi dei vaccini. Perché oggi “ci sono i medici, ma non ci sono i vaccini”, commentano dalla struttura commissariale.
Ma quando le dosi arriveranno - da aprile la carenza dovrebbe risolversi con l’arrivo fino a giugno di 64 milioni di dosi - i medici in campo basteranno?
Il 23 febbraio Governo Regioni e sindacati hanno siglato il protocollo d’intesa nazionale per coinvolgere i medici di famiglia nella campagna vaccinale. I quali, però, potranno somministrare solo il vaccino AstraZeneca o quelli di altre case farmaceutiche che, a differenza di Pfizer e Moderna, non richiedono condizioni particolari per la conservazione. Quello dei medici da impiegare per la campagna di immunizzazione, soprattutto quando si entrerà nella fase “di massa”, resta un nodo da sciogliere.
Né si può pensare di fare affidamento sui medici militari già schierati in campo durante la prima ondata dell’epidemia, per supportare gli operatori sanitari nelle strutture, soprattutto del Nord Italia, messe sotto pressione dal virus. Questione irrisolta che Figliuolo dovrà affrontare a breve.
Figliuolo può contare sulla disponibilità, già assicurata dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, a trasformare i “drive through”, le stazioni mobili - 147 in tutta Italia - allestite nel Paese, da presidio per i tamponi nella prima e nella seconda ondata dell’epidemia a punti per la somministrazione dei vaccini. È già stato fatto alla Cecchignola e al ministero si prevede di riuscire ad aumentare il numero delle strutture fino a 200.

(da “Huffingtonpost”)

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AMMINISTRATIVE ROMA, BERTOLASO SI CHIAMA FUORI: “NON MI CANDIDO”

Marzo 2nd, 2021 admin

SALVINI DELUSO: “MI DISPIACE CHE DICA COSI’”

Guido Bertolaso non sarà il candidato sindaco del centrodestra a Roma. Anche se il leader della Lega Matteo Salvini continua a corteggiarlo. “Dovranno trovarne un altro” ha detto l’ex capo della protezione civile attualmente impegnato come consulente della Regione Lombardia per il piano vaccinale.
A Quarta Repubblica (Retequattro), ha spiegato i motivi: “Sono un volontario, consulente del presidente della Lombardia, l’idea di Roma è stata una suggestione dello scorso autunno. Quando mi hanno chiamato Attilio Fontana e Letizia Moratti alla fine di gennaio chiedendomi di venire a dare una mano ho detto loro ‘guardate c’è qualcuno che mi vorrebbe candidare a fare il sindaco di Roma; parlate con questo qualcuno o questa qualcuna perché se io vengo a lavorare in Lombardia io non posso più essere candidato’ “.
Per la posizione che ricopre, quella di funzionario pubblico, Bertolaso non può portare avanti una campagna elettorale: “La mia Bibbia è l’articolo 54 della Costituzione - ha aggiunto - E quindi purtroppo, anche con rammarico, non posso pensare di gareggiare per fare il sindaco di Roma. Dovranno trovarne un altro”.
Anche Matteo Salvini, che ha sempre tifato per Bertolaso sindaco di Roma preferendo la sua figura a quella del presidente del credito sportivo Andrea Abodi (sostenuto da Fratelli d’Italia), ieri sera è intervenuto a Quarta Repubblica. “Mi è dispiaciuto ciò che ha detto Bertolaso, io penso che possa essere il sindaco migliore per rilanciare, ricostruire e far rinascere Roma. Durante la pubblicità gli ho mandato un messaggino, vedrò di ragionarne con lui”.
La corrispondenza d’amorosi sensi continua e potrebbe concretizzarsi in una corsa al Campidoglio per il centrodestra solo se venissero posticipate le elezioni amministrative a ottobre. Bertolaso infatti, dovrebbe terminare il suo incarico in Regione Lombardia prima dell’estate e a quel punto, libero dagli impegni istituzionali, scenderebbe a Roma portando con sé i risultati ottenuti al Nord. Per questo Salvini, che prima delle parole di Bertolaso non perdeva un’occasione per rilanciare l’ipotesi Bertolaso come sindaco della Capitale, non perde la speranza.

(da agenzie)

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“L’ALTERNATIVA C’E'” DEI DISSIDENTI M5S: “SIAMO LA VERA OPPOSIZIONE A DRAGHI”

Marzo 2nd, 2021 admin

DI BATTISTA: “TORNARE PER CONTE? NO GRAZIE”… NUOVE ESPULSIONI ALLA CAMERA

In opposizione e come opposizione al governo Draghi. “L’alternativa” al M5S c’è.
A crearla i recenti deputati ex grillini dissidenti, espulsi per aver votato contro la fiducia al nuovo esecutivo guidato dall’ex numero uno della Bce. Una decisione presa dall’ex capo politico Vito Crimi e appoggiata dal Garante Beppe Grillo, che ha spaccato definitivamente il M5S e i gruppi parlamentari.
E proprio oggi arriva la notizia di altre espulsioni di deputati grillini. La notifica è stata inviata a tre componenti della Camera: Cristian Romaniello, Yana Ehm e Simona Suriano. I tre ex 5S sono stati espulsi per non aver partecipato al voto di fiducia al governo Draghi, pur non avendo giustificato la loro assenza. “L’espulsione? Sono scioccata, non me lo aspettavo. Se faremo ricorso? Valuterò da domani tutte le opzioni”, dice Suriano.Intanto, i 13 deputati de L’Alternativa c’è hanno messo “persona, comunità, ambiente” al centro della loro azione politica.
Sono infatti rinati nella nuova componente del Gruppo Misto alla Camera, che si collocano “oltre gli schieramenti di destra e sinistra”. Ancora vincolati al programma elettorale del 2018 con il quale sono stati votati nel M5S, ma ora intenzionati a rappresentare “la sponda parlamentare di un più ampio movimento civile e sociale e costituire un cantiere di discussione e azione con formazioni sociali, rappresentanti della società civile, corpi intermedi, associazioni di categoria e mondo del lavoro e dell’impresa. Puntiamo a individuare, assieme ad altri soggetti, gruppi di persone autorevoli che compongano dei Comitati dei saggi sui temi chiave dell’opposizione”, spiegano i tre deputati Pino Cabras, Andrea Colletti e Raffaele Trano, durante la conferenza stampa a Montecitorio in cui è stato presentato il loro primo Manifesto. Che muove, quindi, dalle istanze del “Movimento delle origini”, ma che si apre, in Parlamento e fuori, a tutte quelle persone “che vogliono fare opposizione e non vogliono morire moderate”.
Non sono interessati al reintegro “fino a quando il Movimento sarà alla maggioranza”. E non hanno bisogno di un leader, come Alessandro Di Battista, il primo a tirarsi fuori dopo il voto a Draghi.
Che intanto mette le cose in chiaro sul ritorno dell’ex premier Giuseppe Conte nel Movimento: “Ho lasciato il M5S non per l’assenza (in quel momento) di Conte. Ma per la presenza al governo con Draghi di Pd, Berlusconi, Salvini, Bonino, Brunetta, Gelmini. Non ho nulla a che vedere con un movimento che fa parte del governo dell’assembramento pericoloso”.
E così mentre il Movimento prova a rifondarsi, con un vero processo di trasformazione e affidando all’ex premier il ruolo di leader, anche i ‘cacciati’ si reiventano. Lo scorso 18 febbraio avevano votato ‘no’ al nuovo governo Draghi, nonostante il risultato a favore emerso dalla votazione online degli iscritti sulla piattaforma Rousseau.
In quell’occasione nell’Aula della Camera i dissidenti 5S avevano scandito proprio il coro ‘L’Alternativa c’è’ che ora ha preso forma in una nuova componente politica. Sono 13 i deputati, oltre a Cabras, Colletti e Trano, che ne fanno parte: Massimo Enrico Baroni, Emanuela Corda, Paolo Giuliodori, Alvise Maniero, Maria Laura Paxia, Paolo Nicolò Romano, Francesco Sapia, Rosa Alba Testamento, Paolo Nicolò Romano, Arianna Spessotto e Andrea Vallascas. Tutti riuniti sotto il simbolo di una ruota dentata con all’interno una stella tricolore. Una sola stella, questa volta.
“La nostra componente - affermano i deputati - è nata quasi per autodifesa, perché siamo stati espulsi per aver obiettato alla massificazione dei valori del Movimento 5 Stelle. Ora siamo qui come vera forma di opposizione. Ci sentiamo ancora vincolati al programma elettorale col quale siamo stati eletti nel marzo 2018 nel M5S di allora e per il quale i cittadini ci hanno accordato la loro fiducia, riponendo in noi la speranza di un cambiamento. Vogliamo restare fedeli a tutto questo e considerare quel programma come base di partenza per ogni ulteriore sviluppo”, concludono Cabras, Colletti e Trano.
In Senato, invece, i tempi sembrano essere più lunghi, come spiega il senatore ex M5S Mattia Crucioli: “Noi del Senato siamo ancora in attesa che la nostra istanza di costituzione della componente sia accolta dalla presidente Casellati”.
Gli obiettivi de ‘L’Alternativa c’è’
Tra gli obiettivi de “L’Alternativa c’è” spiccano “un’economia rinnovata, solidale e orientata al benessere umano, materiale e spirituale, all’interesse pubblico”, un piano straordinario di indennizzi, riqualificazione e defiscalizzazione in favore di tutte le piccole e medie imprese colpite dalle restrizioni legate alla pandemia, il salario minimo garantito, la lotta al precariato e l’istituzione del reddito universale. Spazio, poi, al “tema dell’equilibrio fra dimensione nazionale, regionale e locale della Sanità“, a partire dalla necessità di ricostruire la fiducia verso le istituzioni sanitarie e fino al ruolo della medicina territoriale e domiciliare.
A questi temi si aggiunge il “no incondizionato alle politiche di austerity”. E ancora, un “genuino ambientalismo orientato all’armonia”, patrimonio culturale materiale e immateriale del paesaggio, i valori della legalità e dell’onestà, l’efficienza della giustizia, la fiscalità e il miglioramento del rapporto tra Fisco e contribuente, la semplificazione amministrativa e la collocazione geopolitica dell’Italia che “dovrà essere più aperta al multilateralismo”. Sul fronte scuola e università, poi, bisogna “rimuovere ogni forma di precarietà e privatizzazione”, adeguando i finanziamenti pubblici alla media europea anche in termini di ricerca, “fino ad almeno il 6% del Pil”.
Sull’ipotesi invece di una “amnistia” concessa dal gruppo dirigente del Movimento e di un possibile reintegro per gli espulsi, Colletti ha osservato che “un’amnistia presuppone una colpa e che l’amnistiato riconosca una forma di colpa. Qui il problema sono state le scelte di un gruppo dirigente che in 24 ore è passato dal no a Draghi al sì a Draghi senza fiatare”.

(da agenzie)

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OGNUN PER SE’, L’UE PER TUTTI: CONTINUA IL CAOS EUROPEO SUI VACCINI

Marzo 2nd, 2021 admin

AUSTRIA E DANIMARCA VOGLIONO FARE DA SOLI E DIALOGANO CON ISRAELE, DA BRUXELLES SDRAMMATIZZANO PER EVITARE UNA ROTTURA PERICOLOSA

La mossa di Austria e Danimarca di muoversi in autonomia sui vaccini di seconda generazione per le varianti del covid e di annunciare partnership con Israele per la produzione del siero porta tutti i segni del fallimento della campagna vaccinale europea. Ma in Commissione Ue la prendono come se non fossero stati loro a proporre mesi fa l’Unione europea della sanità.
“Le vaccinazioni sono responsabilità degli Stati membri”, sottolinea a più riprese il portavoce di Ursula von der Leyen, Eric Mamer che anche oggi, con gli altri portavoce di Palazzo Berlaymont al briefing quotidiano con la stampa, ha dovuto controbattere al fuoco di fila di domande su una campagna vaccinale europea che non decolla, tanto che gli Stati tentano di organizzarsi da soli.
Non è la fine dell’Ue (non ancora per lo meno), ma certo in queste condizioni nemmeno l’Unione della sanità decolla. In Commissione allargano le braccia.
L’iniziativa del cancelliere austriaco Sebastian Kurz non sembra estemporanea. Riprende il filo di un’idea nata già l’anno scorso, quando il capo del governo di Vienna ha dato vita al cosiddetto ‘First mover group’ insieme a Danimarca, Grecia e Repubblica Ceca - paesi membri dell’Ue - e alla Norvegia, cui poi si sono aggiunti Israele, Singapore, Australia e Nuova Zelanda.
Trattasi di un gruppo di paesi i cui leader sono convinti che le organizzazioni internazionali come l’Organizzazione mondiale della Sanità e anche l’Unione Europea siano state lente nella gestione della pandemia.
Per questo ora vogliono coordinarsi studiando soluzioni comuni per non strozzare l’economia con restrizioni eccessive e per evitare ritardi e inefficienze anche nella campagna vaccinale.
La prima mossa di Kurz è di recarsi in visita ufficiale in Israele con la premier danese Mette Frederiksen questa settimana. Obiettivo: avviare “una collaborazione sulla produzione dei vaccini”, ha annunciato ieri il premier israeliano Benjamin Netanyahu. “Austria, Danimarca e i membri del gruppo ‘First Mover’ in futuro non faranno più affidamento sull’Ue e, insieme a Israele, produrranno dosi di vaccino di seconda generazione per far fronte ad ulteriori mutazioni del coronavirus”, dice Kurz.
Non solo Israele: venerdì scorso, il cancelliere austriaco ha anche avuto un colloquio telefonico con Vladimir Putin con cui ha esplorato la possibilità di importare il vaccino russo Sputnik in Austria e di avviare una collaborazione con Mosca per produrre insieme il siero.
Ma soprattutto l’iniziativa di Kurz rompe un tabù tra i paesi più filo-europei.
Finora solo Ungheria e Slovacchia hanno importato lo Sputnik senza aspettare l’autorizzazione dell’Agenzia Europea del farmaco (Ema), la Repubblica Ceca pure si dice pronta a fare la stessa cosa, la Polonia sta trattando con la Cina.
Il premier ungherese Viktor Orban si è addirittura vaccinato con il siero cinese Sinopharm. Ma i paesi dell’est - si sa - hanno sempre strappato ampi margini di manovra a Bruxelles, pur nella loro adesione all’Ue.
Diverso è il caso dell’Austria, paese vicinissimo culturalmente e politicamente alla Germania, asse portante dell’Unione. Più che Bruxelles, lo smacco di Kurz colpisce direttamente Angela Merkel nel suo tentativo di voler mettere in piedi una campagna vaccinale europea, insieme alla presidente della Commissione Ue, la tedesca von der Leyen.
“Noi guardiamo a quello che succede fuori dall’Ue - continua Mamer dalla sala stampa della Commissione Ue - ma ci sono cose che sono in capo all’Ue e altre che sono in capo agli Stati”. Della serie: la Commissione fa il suo, ma poi il problema è che l’Ue non è uno Stato ma una ‘somma’ di 27 paesi diversi.
“In Europa abbiamo 450 milioni di persone da vaccinare, Israele ne ha solo 10 milioni. Bisogna anche avere il senso delle proporzioni.. E poi l’Europa ha 27 Stati con differenti strutture sanitarie…”, aggiunge il portavoce di von der Leyen.
La Commissione Europea ha compiuto i suoi errori - riconosciuti dalla presidente - nelle trattative con le Big Pharma, ma sconta anche la debolezza insita in una Unione che non è uno Stato federale.
Ad ogni modo, adesso la china è molto pericolosa. Se ne sono accorti anche a Bruxelles. E sarà anche per questo che dai palazzi della politica europea si tende a giustificare la mossa di Kurz: per sdrammatizzare.
“Gli Stati membri hanno sempre avuto la possibilità di chiudere contratti con compagnie che non rientrano nella strategia Ue - dice un portavoce della Commissione - Il virus del Covid colpisce tutto il mondo, le lezioni che possiamo imparare da approcci diversi, di diverse parti del mondo, sono sempre ben accolte, poiché ci possono rafforzare”.
Quanto al futuro, la strategia europea sui vaccini resta in piedi, con “l’incubatore Hera”, per sviluppare il vaccino contro le varianti del covid, incubatore “di cui beneficiano tutti gli Stati membri”, e con la task force del commissario all’Industria Thierry Breton per aumentare la produzione. “Finora nessuno Stato ci ha detto che vuole meno dosi. Al contrario: tutti vogliono continuare a essere parte del programma, ma alcuni si stanno muovendo per preparare il futuro sulle varianti”.
Anche se fuori è tempesta o forse proprio per questo, Bruxelles usa il tono conciliante, per “non mettere il carro davanti ai buoi”, dicono in Commissione, per non saltare a conclusioni pericolosissime.
Paolo Gentiloni esalta lo sforzo europeo. “Ognuno riconosce le proprie responsabilità, ma meno male che abbiamo un ‘procurement’ comune” dei vaccini anti-Covid in Europa, dice il Commissario alll’Economia in audizione al Parlamento italiano. “Pensate a che cosa sarebbe la guerricciola tra i 27 Paesi europei per procacciarsi il vaccino, magari attraverso intermediari più o meno probabili, magari attraverso un mercato nero che purtroppo c’è, magari con garanzie sulla catena del freddo o sulla qualità del procacciato un pò meno robuste di quelle europee”.
Ma intanto il ‘First mover group’ di Kurz dà i primi passi fuori dal territorio europeo. Potrebbe finire anche solo come ennesimo gruppo di pressione su Bruxelles, tipo il quartetto di Visegrad a est o tipo i paesi della ‘Lega anseatica’ a nord. Ma non sarebbe un bene per l’unità europea.
L’Unione della sanità poi, questa sconosciuta.

(da “Huffingtonpost”)

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LA UE VUOLE INTRODURRE IL PASSAPORTO DIGITALE PER SALVARE IL TURISMO ESTIVO, MA A QUALE PREZZO?

Marzo 2nd, 2021 admin

LIMITI TECNICI E SANITARI OLTRE AL RISCHIO DI CREARE UN PRIVILEGIO DEL VACCINO

Lunedì i ministri del turismo dell’Unione europea si sono riuniti in videoconferenza per discutere di come superare una situazione sempre più difficile da gestire: in tutto il continente aumentano le restrizioni anti Covid e si teme lo sviluppo di varianti, mentre i problemi con le forniture di vaccini – ancora da risolvere – mettono i governi di fronte al dubbio di essere o meno all’altezza dell’impresa di vaccinare l’intera popolazione.
Il fattore tempo è determinante e, anche se l’obiettivo di raggiungere l’immunità di gregge entro la fine del 2021 sembra alla portata, aumentano le preoccupazioni per la stagione turistica primavera-estate.
Quello turistico è uno dei settori più colpiti in assoluto, fondamentale e insostituibile per le economie di alcuni Stati membri: Grecia, Spagna e Portogallo su tutti, ma anche l’Italia, e a modo suo l’Austria, già colpita nella stagione invernale.
Un pass per salvare l’estate
Di fronte ai risultati delle campagne vaccinali di Israele e Regno Unito, si è affermata l’idea di salvare la stagione con un certificato vaccinale da usare come passaporto. Atene e Madrid stanno procedendo unilateralmente per un accordo con Londra (con buone prospettive), sul modello di quello fatto dai greci con Gerusalemme.
Anche Vienna è della stessa idea, la settimana scorsa il governo austriaco ha detto che se l’Ue non troverà l’accordo per un certificato comune entro la primavera, andrà avanti per conto suo emettendo un visto d’ingresso rivolto alle persone già vaccinate, a quelle immunizzate dopo aver avuto la malattia, e ai negativi al tampone.
Ursula von der Leyen ha risposto in anticipo, confermando la notizia già circolata che la Commissione presenterà la proposta per un Green pass digitale, rispettoso della protezione dei dati, della sicurezza e della privacy.
L’obiettivo del Green pass è quello di permettere ai cittadini comunitari di muoversi, gradualmente, in sicurezza sia all’interno dell’Ue che all’estero, per lavoro o per turismo. Per evitare discriminazioni, il pass conterrà anche i risultati di eventuali tamponi e la certificazione della guarigione avvenuta dopo aver avuto il Covid-19. La proposta è in linea con le richieste di Grecia e Austria. Il certificato sarà in vigore non prima di tre mesi, al più tardi entro l’estate.
Il passaporto vaccinale si farà, ma come sarà usato?
In generale le Capitali sono d’accordo con lo strumento, ma non su come arrivarci, né esattamente come e quando usarlo. Angela Merkel è ottimista sul fatto che un Green pass europeo diventi realtà entro l’estate. Secondo un sondaggio, circa il 60% dei tedeschi è favorevole. Emmanuel Macron è più cauto, dice che si sono questioni etiche che devono essere affrontate, così come Mark Rutte, che ritiene prematuro parlare di un regolamento.
Inoltre, c’è il pericolo che i Green pass diano troppa sicurezza. I vaccini proteggono, ma non è ancora chiaro quanto interrompano la trasmissione del virus, né quanto duri l’immunità, né se garantiscono una protezione completa da tutte le varianti.
Per esempio, nonostante la vaccinazione di massa proceda senza intoppi, nel Regno Unito si va a caccia dei diffusori della temutissima variante brasiliana. Anche la durata dell’immunità delle persone guarite dal Covid-19 è ancora oggetto di studio.
Le implicazioni etiche del Green pass
Gli Stati membri che fanno affidamento sul turismo sono spinti da motivazioni economiche e vogliono che il Green pass venga introdotto al più presto, senza fermarsi troppo sulle implicazioni etiche, giuridiche e politiche.
Ma fintanto che il numero di persone vaccinate è ridotto, e l’accesso al vaccino limitato, un certificato del genere introdurrebbe il privilegio della vaccinazione: chi ha il Green pass potrebbe viaggiare liberamente, mentre gli altri sarebbero costretti a rinunciare a certe destinazioni. Tra i tanti, sarebbero penalizzati i più giovani (in fondo alla lista), così come le coppie con figli minori (non vaccinabili).
Uno scenario in cui potrebbero esserci persone con il Green pass che a giugno e luglio vanno in vacanza nei resort del Mediterraneo, mentre gli altri devono starsene a casa.
C’è anche chi propone di consentire a chi può permetterselo – pagando – di vaccinarsi per conto suo. A quel punto l’accesso al vaccino diventerebbe davvero una questione di privilegio economico, oltre che di categoria. Dall’altro lato, c’è la necessità di alcuni Paesi e Regioni di salvare la stagione estiva del 2021 dopo aver perso quella del 2020. Trovare un compromesso sarà difficile.
Il futuro del certificato vaccinale
Il portavoce di von der Leyen, Eric Mamer, commentando la proposta della presidente ha precisato: «il pass riguarderà lo spostamento tra una frontiera e un’altra, ma non quanto potrà essere fatto col pass all’interno dello Stato membro». Anche questo infatti è un punto controverso, in prospettiva il Green pass avrà un ruolo anche nelle vite di chi non vuole o deve viaggiare.
Israele ha da poco introdotto un free-pass che permette ai vaccinati di andare in palestre, cinema, eventi, hotel e altro. Il pass però esclude alcune persone: chi non vuole vaccinarsi per scelta, ma anche chi non può a causa di alcune patologie, le donne incinte, i minorenni. In questo caso il dilemma per gli europei è solo rimandato, ma non di molto. Dilemmi che accenderanno infinite discussioni, dato che che oltre al tempo libero, riguardano anche il lavoro, la vita privata, le relazioni personali e la salute pubblica.

(da Open)

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IL VIROLOGO CLEMENTI PERPLESSO: “USARE LA STRATEGIA DELLA DOSE SINGOLA E’ UN AZZARDO”

Marzo 2nd, 2021 admin

IL DIRETTORE DEL SAN RAFFAELE DI MILANO: “SE UNO GIOCA ALLA ROULETTE E VINCE, BENE. MA GIOCO D’AZZARDO RIMANE”

Dopo Antonella Viola e Andrea Crisanti aumenta il numero degli studiosi scettici sulla scorciatoia della dose unica, anziché due, per aumentare il numero dei vaccinati.
Venti milioni di britannici hanno ricevuto almeno la prima dose di vaccino anti-Covid. E il Paese è sotto i riflettori perché in maniera pionieristica ha voluto esplorare la via di dare una dose a più persone possibili, ritardando la seconda. Il dibattito è acceso.
Anche in Italia, alla luce di una campagna la cui velocità risente del ritmo delle consegne, ci si interroga se sia meglio avere una platea di ‘coperti’ inferiore rispettando lo schema a due dosi o sparigliare le carte e tentare l’altra via.
“I britannici sono stati insieme incoscienti e coraggiosi. Nella scienza non c’è né la verità né l’avere ragione o non ragione, c’è il dato. Il dato scientifico era per le due dosi di Pfizer e Moderna, mentre non c’era nulla sulla protezione di una dose singola. Usare questa strategia è stato un azzardo”.
A spiegarlo è il virologo Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’ospedale San Raffaele di Milano, docente all’università Vita-Salute.
“Per il momento - analizza - i dati che emergono sembrano dare ragione alla scelta Uk, sembra che questa sia stata vantaggiosa, anche se devo dire che un prezzo è stato pagato, avendo una larga parte di popolazione non immunizzata come si deve, ma immunizzata a metà“.
Il giudizio per l’esperto va sospeso. Infatti, “andrebbe capito cosa succede in questa situazione, come circola il virus in una popolazione di mezzi immunizzati, come reagisce, se si formano varianti. Tutto questo non lo sappiamo. Quindi è stato un azzardo. Se uno gioca alla roulette e vince, bene. Ma ha sempre giocato d’azzardo. Vedremo dunque alla fine come va. Intanto nel Regno Unito i casi sono diminuiti moltissimo, ma non dimentichiamo che lì hanno avuto anche un lockdown nazionale. Mentre dove si vede perfettamente ‘la mano’ del vaccino è in Israele, che ha avuto un forte cambio di rotta. Ma anche negli Usa, dove a dare una dose sola non ci pensano neanche lontanamente. La soluzione? E’ sempre quella: avere dosi ed essere efficienti nel vaccinare”.

(da agenzie)

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