Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
DURANTE UN COMIZIO A MONZA, IL GRILLINO AVEVA ACCUSATO IL GOVERNATORE DI AVER FINANZIATO LE COOPERATIVE DI BUZZI QUANDO ERA MINISTRO DEGLI INTERNI
Qualche giorno fa il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio era a Monza per la campagna elettorale. Durante un comizio Di Maio ha attaccato il Presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni accusandolo sostanzialmente di aver finanziato il sistema delle cooperative di Salvatore Buzzi quando era Ministro dell’Interno.
Secondo Di Maio «in Mafia Capitale i soldi per le cooperative che gestivano immigrati e Rom venivano dal Ministero dell’Interno e allora come ministro c’era il vostro governatore, Robero Maroni. Da lì che partivano i soldi che entrarono nella gestione dei campi rom e che poi finanziavano le cooperative di Buzzi e che hanno finanziato il PD. Quindi possiamo dire che la Lega ha finanziato il Pd».
Per questa affermazione Maroni ha querelato Di Maio spiegando che “attribuire a me una responsabilità , agganci e collusioni in Mafia Capitale è inaccettabile sul piano umano, la politica non c’entra. È una roba da mascalzoni.”
Ed è vero, perchè Maroni non è mai stato indagato nell’ambito dell’inchiesta su Mafia Capitale.
Quindi dire che Maroni ha finanziato le cooperative di Buzzi, o che l’allora Ministro dell’Interno era colluso con il sistema criminale che gestiva i campi Rom della Capitale è falso.
Repubblica riporta che nel corso dello stesso comizio Di Maio è tornato a lamentarsi delle ONG che fanno da taxi trasportando in Italia i migranti dopo essersi accordate con gli scafisti.
Una teoria che dopo numerose audizioni in commissione alla Camera e al Senato si è dimostrata essere priva di fondamento.
Ma il gioco di Di Maio è chiaro: andare “in casa della Lega” a dire cose che direbbe la Lega. Facendo però passare la Lega Nord per un partito colluso con Mafia Capitale e — ancora peggio — con il PD.
Eppure ad esempio la recente intesa sulla legge elettorale è stata raggiunta proprio tra Lega Nord, PD, M5S e Forza Italia. Misteri della politica.
Un altro punto interessante riguarda quello che ha fatto Maroni da Ministro dell’Interno del Governo Berlusconi per i campi Rom della Capitale.
È vero che quando Maroni era Ministro ha promosso delle azioni per finanziare la costruzione di alcuni insediamenti.
Si tratta di iniziative perfettamente legali e delle quali abbiamo parlato qui. Era il 2008 e il sindaco di Roma era Gianni Alemanno.
Il sindaco chiese ed ottenne da Maroni un finanziamento di 30 milioni di euro per poter affrontare “l’emergenza nomadi” nella Capitale.
Nel 2014 la Stampa rivelò che dieci milioni furono destinati alla costruzione di un nuovo campo mentre 20 allo smantellamento e alla ristrutturazione degli altri insediamenti della Capitale.
Nessuno però ha mai detto che Maroni ha dato direttamente i soldi a Buzzi nè che poteva sapere dove sarebbero finiti e che avrebbero alimentato il business dei campi gestito dalle cooperative di Buzzi.
Questione di sfumature, che forse Di Maio non ha colto come già quando lodò il Procuratore di Catania Zuccaro.
Ed è tutta qui la ragione della querela al deputato del MoVimento 5 Stelle da parte di Maroni.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
“PUO’ TOGLIERE VOTI SIA A M5S CHE AL PD, MA CI VUOLE UN LEADER FORTE”…. IL PRIMO TRA I POLITICI GRADITI SAREBBE BERSANI
Il Fatto pubblica oggi i risultati di un’indagine elettorale di IPR Marketing che analizza le possibilità elettorali di una lista unica della sinistra.
L’istituto di Antonio Noto parte dal sondaggio, che vede il Movimento 5 Stelle accreditarsi come primo partito al 30% seguito dal Pd al 26%. A Forza Italia e Lega andrebbe un 12% ciascuno.
Nel sondaggio a MDP è attribuito un 4% che ad oggi non farebbe superare lo sbarramento al partito di Bersani e D’Alema.
Ma, spiega Noto, il 4% rappresenta chi darà certamente il suo voto.
A questi può essere aggiunto un ulteriore 12% che dichiara che potrebbe prendere in considerazione l’idea di votare per una formazione così composta. Il potenziale elettorale di una lista unica di sinistra pertanto arriva attualmente al 16%.
A quali condizioni?
Raggiungerebbe infatti il 16% se questa neo formazione avesse alla guida Roberto Saviano, otterrebbe un 13% se guidata da Stefano Rodotà e un 10% con Pier Luigi Bersani; 6%con Pisapia, Landini, Boldrini e Camusso.
Con D’Alema si assesterebbe sulla soglia del 5% mentre scenderebbe addirittura con leader come Vendola,Speranza, Fratoianni o Civati.
Tutto ciò avrebbe ovviamente una ripercussione sul numero di seggi guadagnati in Parlamento: rappresentata da Saviano, infatti, questa lista di sinistra otterrebbe 109 seggi, con Rodotà 91, mentre guidata da Bersani potrebbe contare su 71 seggi. 44 sarebbero i seggi disponibili con a capo Pisapia, Landini, Boldrini o Camusso, mentre 37 con D’Alema.
Con Vendola, Speranza,Fratoianni o Civati invece la lista potrebbe non conquistare seggi fermandosi al di sotto del 5%.
In sintesi, quindi, considerando nel complesso il livello di fiducia raccolto e la capacità di tramutarlo in consenso, Saviano e Rodotà risultano per una neo formazione di sinistra i leader più forti, quelli cioè che potrebbero essere strategicamente più “efficaci”nell’intercettare l’interesse e quindi la fiducia del target. Li segue a stretto giro Pier Luigi Bersani che, tra i politici, è il leader che ottiene il piazzamento migliore. In una posizione mediana invece si collocano più o meno alla pari Pisapia, Landini, Boldrini e Camusso, un po’ distaccato risulta D’Alema, mentre i meno “efficaci”rispetto all’attrarre il consenso del target risultano attualmente Vendola, Fratoianni e Civati.
(da agenzie)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
LE SALE BINGO E IL LEGAME CON IL FIGLIO DELLA PM ACCUSATA DI CORRUZIONE… GLI AVVERSARI INTERNI AL M5S
Ugo Salvatore Forello, candidato sindaco del MoVimento 5 Stelle a Palermo, è oggi oggetto di un gustoso ritratto di famiglia sulla Stampa a firma di Ilario Lombardo. Forello, avvocato e leader di Addiopizzo, è la pietra dello scandalo che ha colpito il MoVimento 5 Stelle siciliano per la storia delle firme false, prima finendo indagato (e archiviato) per un’assurda teoria del complotto nata da un esposto dei parlamentari indagati.
Ma è anche un avvocato e un imprenditore. E qui nascono alcuni sospetti sulle sue attività , racconta il quotidiano:*
Alcuni sospetti sulle sue attività hanno portato i suoi avversari a verificare la rete societaria di Forello e a fare visure alla camera di commercio di cui La Stampa è venuta in possesso. I Forello sono tanti e tutti in affari insieme.
E uno dei loro core business sono le Sale Bingo. Un settore che dovrebbe creare un certo imbarazzo a un grillino, esponente di un Movimento che da sempre si batte contro il gioco d’azzardo.
Il cugino e lo zio, Giuseppe e Lorenzo Forello, gestiscono il Millionaire Bingo, a Moncalieri, provincia di Torino, una delle più grandi sale d’Europa.
E a Palermo il Las Vegas Big Bingo, riaperto due anni fa dopo essere stato confiscato al clan mafioso di Nino Rotolo.
Per evitare la chiusura e la perdita dei posti di lavoro scese in piazza la Cgil. Proprio in quei giorni un magistrato denunciò: «Cosa nostra ha tentato di riprendersi la sala Bingo. Solo un imprenditore è risultato avere i requisiti necessari. E con lui stiamo chiudendo la trattativa». Quell’imprenditore era Giuseppe Forello, cugino di Ugo.
Ma qui è interessante soprattutto il nome del magistrato: Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo rinviata a giudizio il 25 maggio dalla procura di Caltanissetta.
Saguto è accusata di vari reati, tra cui la corruzione, per la gestione dei beni confiscati. Il suo nome torna in questa storia che riguarda Ugo Forello perchè a lei porta lo studio del candidato grillino, Palermo Legal, un crocevia fondamentale per riprendere la strada che ritorna alle imprese di famiglia.
A Palermo Legal ha lavorato Francesco Caramma, figlio di Saguto. E a fargli il colloquio è stato proprio Forello, che alla Stampa dà la sua versione dei fatti. «Ha collaborato a titolo gratuito, realizzando articoli giuridici, senza mai una cointeressenza economica».
Forello è avvocato e pesa molto bene le parole. Dice che la collaborazione del figlio di Saguto è successiva ai guai della madre e di non avere «mai avuto rapporti diretti con lei sui beni confiscati».
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
IL CRONOGRAFO “FRANCESCANO” DI BEPPE GRILLO IN UN LIBRO FOTOGRAFICO DI ITALO FONTANA, TITOLARE DELLA FAMOSA MAISON TOSCANA DI OROLOGI DI PREGIO (DA 2.000 A 4.000 EURO)
Nel libro fotografico dell’imprenditore Italo Fontana c’è anche un’immagine che ritrae Beppe Grillo mentre indossa l’orologio U-Boat.
Gli esperti dicono che Grillo è un grande estimatore degli U-BOAT di Italo Fontana. La U-BOAT è una maison toscana che si fa fregio di avere progettato prodotti e con materiali esclusivamente “made in Italy” (mentre Renzi, racconta la stessa fonte, preferisce i Rolex).
L’immagine risale all’epoca dell’ultima campagna elettorale in Sicilia e alla traversata dello Stretto che portò poi alla grande affermazione dei grillini di Giancarlo Cancelleri nell’isola.
Di marchio U-Boat era anche il famoso piumino a copertura integrale che sfoggiò sulla spiaggia di Marina di Bibbona nel 2013, subito dopo le elezioni politiche.
Il giubbotto, scrive il Tirreno, gli venne regalato dallo stesso Fontana.
Ma, a parte tutto ciò, a questo punto la domanda sorge spontanea: è più francescano l’orologio o la villa di Marina di Bibbona, quella che, tramite agenzia, Grillo affitta a 15.000 euro la settimana?
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
DAL TRENTINO ALLA SARDEGNA, MOLTE DONNE NEI POSTI CHIAVE DELL’ARMA SUL TERRITORIO
Scordatevi l’immagine della «marescialla d’Italia» con una giovane Gina Lollobrigida sicuramente splendida ma relegata al ruolo di spalla di De Sica o all’altrettanto arcinoto maresciallo Rocca del piccolo schermo.
Oggi la divisa con i gradi è sempre più con la gonna, ma al ponte di comando.
E sugli attenti sono costretti a mettersi gli uomini.
C’è un boom di marescialle al vertice delle stazioni, primo avamposto dei carabinieri nella comunità . Un ruolo chiave in un posto chiave.
Con la figura storica che da oltre due secoli – 203 anni il 5 giugno per l’esattezza – rappresenta la presenza dello Stato sul territorio, sempre più declinata al femminile.
In tutto sono 124 le marescialle comandanti su 5.500 Stazione (più altre 1.576 donne addette alle Stazioni, non comandanti, fra cui 318 marescialle).
I numeri non sono da capogiro, ma comunque significativi di un’inversione di rotta, di un’evoluzione al femminile di un incarico finora predominio degli uomini.
Dal Trentino alla Sardegna, molte donne occupano posti chiave in quella che è la principale finestra dell’Arma sul territorio.
Se a Collarmele (L’Aquila), nella Regione più colpita dalle calamità degli ultimi anni, comanda il maresciallo ordinario Antonia Di Genova, 36 anni, single, ad Andorno Micca (Biella) ha da poco lasciato il maresciallo ordinario Giulia Lovadina.
A Tavernole sul Mella (Brescia) troviamo il maresciallo ordinario Jessica Notari, sposata, 35 anni.
Con o senza figli, non risparmiano tempo ed energie e svolgono turni impegnativi cercando di conciliare il lavoro e la vita privata come altri milioni di donne.
Ma rappresentano comunque una piccola rivoluzione perchè non è facile comandare il personale – militare e prevalentemente maschile – e ancora più difficile, soprattutto in certe realtà , è imporsi sulla realtà sociale.
Lo conferma Francesca Iovane, 34 anni, mamma di una bimba di 2 e moglie di un carabiniere, alla guida della stazione di Francica, piccolo centro agricolo calabrese in provincia di Vibo Valentia.
«Mio marito è un appuntato, ma ovviamente non lavoriamo insieme – racconta – e in generale non ho avuto alcun problema a gestire i miei collaboratori. Sono tutti più anziani di me, ho appena firmato la pensione di un brigadiere con 35 anni di servizio, ma mi hanno hanno sempre accettata e sostenuta. Per loro sono il comandante e stop, indipendente dall’essere donna. Diverso invece il rapporto con la gente. Franci a è un piccolo paese, per alcuni versi ancora arretrato e in molti uomini all’inizio non si fidavano di me. “Preferisco parlare con il brigadiere o l’appuntato” mi dicevano incuranti dei miei gradi».
E per conquistarsi la loro fiducia ancora una volta è stato importante il ruolo delle donne. «Grazie a loro sono stata gradualmente accettata anche dagli uomini del paese».
Più complessa la questione ‘Ndrangheta, «ma lo sarebbe stato comunque, anche se non fossi donna, anzi la mia condizione mi ha aiutato nella perquisizione e nell’arresto di donne legate alle cosche».
Combatte la criminalità organizzata anche Giuseppa Gambino, 27 anni, fidanzata, maresciallo ordinario a Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo.
«Ciò che conta sono la passione e la pazienza che impieghi nel lavoro, indipendentemente dall’essere donna – afferma – anche se in alcune circostanze la sensibilità e l’attenzione tipicamente femminili possono essere di grande aiuto. Come nei casi di stalking e di bullismo».
Appassionata di nuoto e corsa, è inoltre una divoratrice di libri «non di gialli però che sono troppo distanti dal crimine vero, tanto da apparirmi fantascientifici».
E, per concludere, la preghiera di «non essere chiamata marescialla, ma maresciallo. Lo ritengo più neutro e per nulla svilente».
(da “La Stampa“)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
RAPPORTO CENSIS: SALE A 35,2 MILIARDI DI EURO LA SPESA DI TASCA PROPRIA PER LA SANITA’
Il sistema sanitario nazionale rischia il collasso per insufficienza di risorse.
Si stima, infatti, che manchino dai 20 ai 30 miliardi di euro per garantire il mantenimento degli attuali standard assistenziali.
E già nell’ultimo anno 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie (1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente).
Di questi 2/3 sono affetti da malattie croniche, a basso reddito, le donne e i non autosufficienti.
Non solo: 7,8 milioni di italiani hanno dovuto utilizzare per le spese sanitarie tutti i propri risparmi o indebitarsi con parenti, amici o presso banche e istituti di credito vari.
E la spesa di tasca propria per la sanità è salita a 35,2 miliardi di euro (+4,2% nel periodo 2013-2016).
Sono alcuni dei dati emersi dal VII Rapporto RBM — Censis sulla Sanità in Italia, presentati oggi in occasione del 7° Welfare Day.
Le lunghe attese.
Lo sanno bene le donne over 50 che ogni anno devono fare la mammografia: i tempi di attesa nei centri pubblici sono estenuanti e scoraggiano.
Ma anche per gli altri esami diagnostici non si scherza e oltretutto spesso c’è anche l’esborso del ticket.
Sono queste le ragioni principali per cui tanti italiani vanno nel privato e pagano a tariffa intera.
Secondo i dati del Censis, per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva a 142 giorni.
“Per una colonscopia l’attesa media è di 93 giorni ma al Centro di giorni ce ne vogliono 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni, ma al Sud sono necessari 111 giorni” ha spiegato Francesco Maietta, responsabile dell’Area Politiche sociali del Censis.
E ancora: sono 67 i giorni di attesa per una visita cardiologica ma si sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni, ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni (+18 giorni rispetto al 2014), con un picco di 77 giorni al Sud.
In viaggio per l’Italia.
Cosa pensano gli italiani del Sistema sanitario nazionale? Nonostante le cose vadano di male in peggio, il 64,5% ne è soddisfatto, mentre il 35,5% è insoddisfatto. Al Sud però i soddisfatti sono solo il 47,3%, mentre sono il 60,4% al Centro, salgono al 76,4% al Nord-Ovest e arrivano all’80,9% al Nord-Est.
“Dati – ha proseguito Maietta – che spiegano come mai continua a crescere anche la mobilità sanitaria che è passata da un costo di 3,9 miliardi nel 2015 a quota 4,3 miliardi nel 2016 e che riguarda tra i 6 e gli 8 milioni di cosiddetti ‘pendolari della sanità ‘”.
Spesa privata in crescita.
Tutti questi lati oscuri della sanità pubblica spiegano perchè la spesa sanitaria privata continua a crescere sforando quest’anno quota 35 miliardi, una vera e propria “tassa” aggiuntiva che oggi pesa per circa 580 euro pro capite, e che di qui a 10 anni, per evitare il crack finanziario del Servizio Sanitario Nazionale e/o ulteriori tagli alle prestazioni sanitarie, finirà per superare gli oltre 1.000 euro a testa.
Le cure meno accessibili.
Sono nove le voci di spesa per le quali si fa più fatica ad avere accessibilità alle cure: “Al primo posto – ha spiegato Marco Vecchietti, Consigliere Delegato di RBM Assicurazione Salute che da 7 anni promuove, insieme al Censis, un’indagine sullo stato della Sanità nel nostro Paese – le visite specialistiche (74,7%), seguite dall’acquisto dei farmaci o dal pagamento del ticket (53,2%), per proseguire con gli accertamenti diagnostici (41,1%), l’odontoiatria (40,2%), le analisi del sangue (31%), lenti e occhiali da vista (26,6%), le prestazioni di riabilitazione (14,2%), protesi, tutori, ausili vari (8,9%), e per concludere le spese di assistenza sociosanitaria”.
Chi è più in difficoltà .
Tra i cittadini che hanno dovuto affrontare spese sanitarie private, hanno incontrato difficoltà economiche il 74,5% delle persone a basso reddito (ma anche il 15,6% delle persone benestanti), il 21,8% al Nord, il 35,2% al Centro, fino al 53,8% al Sud. E hanno avuto difficoltà ben il 51,4% delle famiglie con al proprio interno una persona non autosufficiente che hanno affrontato spese sanitarie di tasca propria.
Anziani più colpiti.
Come è facilmente intuibile, la spesa sanitaria privata pesa di più su chi ha meno, su chi vive in territori più disagiati e sugli anziani che hanno più bisogno di cure: fatta 100 la spesa sanitaria privata pro-capite degli italiani, per un anziano si arriva a 146. Un anziano spende di tasca propria per la sanità più del doppio rispetto a un millennial e quasi il 50% in più rispetto a un babyboomer.
Il modello francese.
Come uscire da questa crisi? Attualmente solo il 20% degli italiani riesce a tutelarsi da questa situazione sempre più difficile attraverso una polizza sanitaria integrativa, prevista dal proprio contratto nazionale di lavoro o dalla propria azienda o stipulata individualmente, rispetto alla quasi totalità dei francesi (circa il 97,5%) e a più di un terzo dei tedeschi (oltre il 33%).
Ecco perchè nel corso del Welfare Day sono state presentate due proposte alle istituzioni. “Occorre puntare su un modello di Assicurazione sociale integrativa alla francese, istituzionalizzato ed esteso a tutti i cittadini, che garantirebbe finanziamenti aggiuntivi per oltre 21 miliardi di euro all’anno, attraverso i quali integrare il Fondo sanitario nazionale” ha detto Vecchietti. “Dobbiamo prendere atto che oggi abbiamo un universalismo sanitario di facciata, fonte di diseguaglianze sociali, a cui va affiancato un secondo pilastro sanitario integrativo per rendere il nostro Ssn più sostenibile, più equo e veramente inclusivo”.
Il modello tedesco.
Un’altra proposta è quella dell’esternalizzazione di alcune forme di assistenza come prevede il modello tedesco: “Invece di accettare passivamente la rinuncia alle cure da parte di milioni di italiani questa soluzione permetterebbe di promuovere un’assunzione di responsabilità per i cittadini con redditi più alti (15 milioni di cittadini) mediante l’assicurazione privata della totalità delle loro cure sanitarie con un risparmio previsto per la spesa sanitaria pubblica dai 18,5 miliardi di euro a 3,1 miliardi annui da investire a favore dei cittadini più bisognosi sia economicamente che a livello di salute” ha concluso Vecchietti.
(da agenzie)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTO E’ UNA SUCCURSALE DEL BLOG DI GRILLO… VA IN SCENA UNA GUERRIGLIA TRA SEGUACI DI DI MAIO E ORTODOSSI: IN PALIO C’E’ MOLTO DI PIU’ DELLA LEGGE ELETTORALE
Cosa c’è dietro il voto-bis che Beppe Grillo ieri ha annunciato per domenica sul blog riguardo la legge elettorale?
Innanzitutto c’è un’interessante e nuova concezione della democrazia rappresentativa, visto che gli altri partiti, tra cui il Partito Democratico, hanno acconsentito a rimandare a martedì il voto finale in parlamento sul Tedeschellum per consentire ai grillini iscritti al blog (e non agli elettori del MoVimento 5 Stelle) di decidere cosa dovranno votare i parlamentari mandati in parlamento dal popolo italiano.
E già questo da solo dimostra che come al solito in Italia la situazione è disperata, ma non seria.
Ma, come se non bastasse, dietro la decisione di Beppe c’è una guerra interna al M5S tra le due ali principali del partito di Grillo: i moderati, che vogliono l’accordo con Partito Democratico, Forza Italia e Lega perchè questo avvicinerebbe le urne in maniera significativa; e i talebani, che invece pretendono il rispetto delle lotte grilline sulle preferenze che verrebbero oggi vanificate dall’accordo in discussione.
Tommaso Ciriaco su Repubblica di oggi racconta le paturnie dei grillini mossi da ideali di alta democrazia: «Beppe — scandisce Di Maio al cellulare con Grillo — noi questa legge dobbiamo portarla a casa. Abbiamo fatto i conti, eleggeremo almeno 220 deputati, se va bene anche 250. Ce ne mancherebbero meno di 70 per governare».
E ancora: «tranquillo, una soluzione si trova», dicono Di Maio e Toninelli a Ettore Rosato, che oggi ha aperto all’alleanza con D’Alema dopo il voto.
Sull’altro fronte si descrive il clima tra gli ortodossi, tra i quali si racconta di un Carlo Sibilia che applaude persino l’alfaniano Lupi:
L’insofferenza per la linea di Di Maio, intanto, fatica a restare sottotraccia.
Oltre a Fico, remano contro l’accordo big del primo grillismo come Paolo Taverna e Nicola Morra.
E anche i dettagli fotografano uno scontro interno violentissimo. Un esempio? In Aula, a un certo punto, prende la parola l’alfaniano Maurizo Lupi. Spara a zero contro la riforma elettorale targata Renzi e cinquestelle. Carlo Sibilia non resiste alla tentazione e inizia ad applaudire. Soltanto, lo fa nascondendo le mani sotto il banchetto.
Il voto sul blog sarà decisivo non solo per conoscere i destini della legge elettorale e sapere quando il paese andrà alle urne.
Servirà anche a tacitare con il metodo della democrazia diretta da Grillo — che, come sempre, indicherà una “preferenza” nel post che accompagnerà il voto — i non fedeli alla linea Di Maio.
Anche in vista di un appuntamento che si avvicina sempre di più anche per oro: quello della conferma (o no…) della candidatura dei parlamentari eletti in questa legislatura. Non si va molto lontani dal vero a dire che, se questi manifestassero un aperto dissenso nei confronti del compromesso raggiunto da Di Maio e Toninelli, una sconfitta nel voto di domenica servirebbe a metterli in difficoltà .
Se invece rimanessero zitti non ci sarebbe alcuna possibilità di vincere nelle urne del blog.
Oggi intanto Monica Guerzoni sul Corriere fa i conti in tasca al MoVimento 5 Stelle sui cento franchi tiratori che hanno messo nel mirino l’accordo sul Tedeschellum:
Ogni contraente del patto a quattro ha le sue aree di sofferenza.
Danilo Toninelli parla in Aula e prova a sviare l’attenzione dal Movimento: «Tutti quelli che hanno chiesto il voto segreto lo hanno fatto al solo scopo di affossare la legge». Ma i numeri parlano e dicono che i Cinque Stelle hanno perso per strada 12 deputati, i quali non risultano in missione e però non hanno votato.
I fedelissimi di Luigi Di Maio scrutano le mosse degli ortodossi vicini a Roberto Fico, ed ecco che dai tabulati spunta il nome di Roberta Lombardi: «Avevo il saggio di musica di mio figlio e non ce l’ho fatta ad arrivare in tempo».
Insomma, domenica si vota.
E in palio c’è molto di più di una legge.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
IL M5S NON STA AI PATTI E VOTA SI’ A UN EMENDAMENTO DELLA FORZISTA BIANCOFIORE (CON PARERE CONTRARIO DEL CAPOGRUPPO BRUNETTA)… IL VOTO ERA SEGRETO MA PER UN ERRORE DEL COMPUTER DELLA CAMERA VIENE VISUALIZZATO PER QUALCHE SECONDO: I FRANCHI TIRATORI SONO 82 GRILLINI E 59 PARLAMENTARI DI CENTRODESTRA
Questa mattina la maggioranza è andata in frantumi sulla legge elettorale.
A certificarlo è l’esito della votazione su un emendamento di Forza Italia che riguarda le minoranze linguistiche in Trentino Alto Adige che è passato nonostante il parere contrario della commissione.
L’emendamento era stato presentato da Michaela Biancofiore (FI) ed è passato con 270 sì, 256 no e un astenuto. Durante la votazione segreta però per un disguido tecnico il tabellone luminoso della Camera ha mostrato i voti come se fosse a scrutinio palese.
La foto mostra come dai banchi del 5 Stelle ci sia una selva di voti favorevoli.
Al contrario dalla parte del PD i voti sono quasi tutti contrari. Fa eccezione — a sinistra — il voto favorevole dei parlamentari del gruppo di MPD Articolo 1.
Ora a causa di quell’errore tecnico è molto semplice vedere chi ha votato a favore e chi ha votato contro.
Ma Alessandro Di Battista riesce a confezionare un capolavoro per spiegare ai suoi elettori quello che è successo secondo lui.
In un post su Facebook Di Battista prima scrive che l’emendamento era stato presentato da Riccardo Fraccaro, cosa non è vera perchè ad essere stato votato era quello della Biancofiore.
Che però è di FI e sappiamo che il MoVimento ha qualche remora a farsi vedere d’accordo con la vecchia politica.
Si passa alla fantasiosa spiegazione sul perchè l’emendamento è passato. In Commisisone i partiti che sostengono la legge si erano accordati per il voto contrario. In Aula invece Fraccaro — che aveva presentato un emendamento identico a quello della Biancofiore — lascia intendere l’appoggio del suo gruppo all’emendamento.
Per Di Battista “l’hanno votato tantissimi del PD”.
Ora basta guardare il tabellone per vedere che a sinistra del banco della Presidenza i voti sono tutti rossi (ad eccezione di quelli di MPD).
Luigi Di Maio, Roberto Fico e Daniele Toninelli hanno tutti votato sì all’emendamento.
A Di Battista però questa spiegazione non basta, ci deve essere anche qualcosa che faccia pensare ad un piano preordinato.
Ed ecco tornare fuori i franchi tiratori. Il portavoce del M5S ricorda come i franchi tiratori del PD già impallinarono Prodi nella corsa verso il Quirinale nel 2013. Ergo: sono stati di nuovo loro!
Eppure anche in questo caso Di Battista sta mentendo, perchè il tabellone non mente: il PD ha votato contro. Certo, c’erano alcuni assenti ma a far saltare l’accordo sono stati i Cinque Stelle
«La legge elettorale è morta»
Emanuele Fiano, relatore del provvedimento di legge dopo il voto in Aula ha detto “”La legge elettorale è morta, e l’hanno uccisa i 5 Stelle”.
Lorenzo Guerini a Montecitorio invece invita a fare una valutazione e a verificare le condizioni minime per andare avanti. Guerini ricorda che quello approvato è un emendamento che lo stesso M5S aveva bocciato in commissione e fa notare come “due terzi del gruppo M5S esultava nel momento del voto”.
Guerini ha chiesto a Roberto Fico di ritirare gli emendamenti del M5S “sennò è complicato andare avanti”. Fico però ha risposto “impossibile”.
Complessivamente sono 59 i franchi tiratori che hanno fatto approvare i due emendamenti identici presentatida Riccardo Fraccaro e Michela Biancofiore sulla circoscrizione del Trentino sui quali la Commissione aveva espresso parere contrario. Secondo i tabulati la maggioranza allargata composta da Forza Italia (46), Lega Nord (18), PD (246) e M5S (82) avrebbe avuto complessivamente a disposizione 392 voti (calcolando solo i parlamentari partecipanti al voto). A questi vanno aggiunti i 5 deputati delle minoranze linguistiche. Toale: 397 voti.
Togliendo gli 82 voti del M5S che aveva annunciato il voto a favore all’emendamento Biancofiore/Fraccaro (seppure contro il parere del relatore di maggioranza) restano 315 deputati. I voti contrari però sono stati 256 quindi al conto mancano 59 voti.
Sono quei 59 che hanno affossato la legge elettorale.
Certo se gli 82 pentastellati avessero votato con la maggioranza come da accordi gli emendamenti non sarebbero passati perchè la maggioranza di 270 si sarebbe ridotta a 188 voti.
Ma quindi dove stanno i franchi tiratori? Guardando il tabellone si direbbe non nel PD. I voti verdi sono infatti quasi tutti nell’area dove siedono i deputati del M5S e del centrodestra.
(da “NextQuotidiano“)
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