Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
COMPAGNA DI GIGI SAMELE, SI ERA RIFIUTATA MESI FA DI STRINGERE LA MANO A UNA RUSSA AL MONDIALE DI MILANO: “NON STRINGO LA MANO A CHI RAPPRESENTA UN PAESE CHE UCCIDE I MIEI CONNAZIONALI”
Una medaglia d’oro carica di significati, strappata in rimonta alle coreane. Lo è stata di sicuro quella dell’Ucraina della sciabola femminile — primo titolo vinto a Parigi 2024 dalla delegazione di 140 atleti di un Paese anche sul piano sportivo costretto a fare i conti con il conflitto con la Russia — che, nello specifico, si identifica più che mai nella sua capitana Olga Kharlan.
Olga la fuoriclasse dal palmarès enorme — ma nel quale manca ancora il titolo olimpico individuale: lo ha inseguito pure in questi Giochi, ma si è fermata al bronzo e dunque possiamo scommettere che ci riproverà tra quattro anni, a Los Angeles 2028, probabile tappa finale di una carriera —, Olga la fidanzata del nostro sciabolatore Gigi Samele, che all’inizio della guerra è andato a recuperarla al confine con l’Ucraina per portarla a Bologna unitamente alla sorella e a sua figlia.
Olga la «pasionaria» che alla vigilia del via dell’Olimpiade teneva una conferenza stampa assieme ai connazionali più forti per ricordare le difficoltà di allenarsi con il terrore degli allarmi e delle bombe, se non addirittura con la necessità di farlo all’estero.
«I russi presenti qui in forma neutrale? Premesso che sono fin troppi, non li salutiamo e men che meno li vediamo: per tutti noi sono trasparenti».
Dopo le frasi forti serviva però qualcosa di altrettanto solido in pedana. Olga, che anni fa ha fatto da modella per la Barbie dedicata alla scherma, è una che ha vinto 6 titoli mondiali e 8 europei; prima di Parigi l’oro a squadre era quello di Pechino 2008 (lei aveva solo 17 anni), da affiancare a un argento, sempre a squadre (Rio), e a due terzi posti individuali (Londra e Rio). Il terzo bronzo a cinque cerchi non le bastava. Serviva una vittoria che fosse pure emblematica per la situazione che sta vivendo il suo popolo. Così quando sabato ha cominciato, in svantaggio, l’assalto contro la Corea del Sud, Kharlan nella sua testa si è rifiutata di perdere: forte di una classe superiore e del sostegno del pubblico («Gridava Olga! Olga! Non immaginavo tanto sostegno, mi sono commossa») ha colpito e chiuso sul 45-42 liquidando Jeong Ha-young con un parziale di 8-2, portando a 22-10 il bilancio personale complessivo nella «finalina».
Poi si è inginocchiata sulla pedana, cinta dalla bandiera portata dalle compagne. Mentre il presidente Zelensky non mancava di esaltare l’impresa sui social («Sono cose che ci devono dare ispirazione») Olga ha avuto modo di confessare che durante il match ha pensato «alle nostre truppe impegnate al fronte», cercando di estraniarsi dalle emozioni «come se fossi un robot».
All’angolo c’era Andrea Terenzio, suo maestro alla sezione scherma della Virtus Bologna nonché c.t. delle sciabolatrici ucraine: il fidanzato Gigi e la sciabola, ecco il legame forte tra la Kharlan e l’Italia. Sul podio l’oro a lei e alle compagne l’ha consegnato il presidente del Cio, Thomas Bach, che fu olimpionico del fioretto con la squadra tedesca nel 1976. Non è un caso. Al Mondiale di Milano Olga si rifiutò di stringere la mano alla russa Smirnova dopo il loro assalto. Fu un gesto emotivo, giustificato con parole accese («Non posso stringere la mano a chi rappresenta un Paese che uccide i miei connazionali»), ma tanti fecero notare che aveva sprecato una grande occasione per usare lo sport per lanciare un messaggio di distensione.
Olga venne comunque squalificata, anche per la prova a squadre, e rischiò di compromettere la possibilità di arrivare ai Giochi 2024. Bach la rassicurò, promettendole, nel caso fosse rimasta esclusa, una wild card. «Dopo quell’episodio — ha ricordato con l’oro al collo — credevo che la mia carriera fosse destinata a finire. Invece adesso vivo un epilogo felice della vicenda. Ringrazio tutti e dico: tenete duro, non mollate. Come sta facendo l’Ucraina».
E in Ucraina adesso tornerà: per visitare la famiglia e per mostrare quelle due medaglie che in questo momento, da sole, «fanno Paese» visto che i connazionali fin qui hanno aggiunto appena un argento.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
LA RABBIA DI PUTIN: “E’ UNA PROVOCAZIONE”: SOLO LUI PUO’ INVADERE STATI STRANIERI… MORTI, FERITI E MIGLIAIA DI SFOLLATI TRA I CIVILI (COSI’ CAPISCONO COSA SI PROVA)
È in corso un attacco delle forze armate ucraine alla regione russa di Kursk, al confine nord-est del Paese. Un’offensiva di terra accompagnata dal lancio di missili e di droni. Cinque sarebbero i morti tra i civili, di cui due membri dell’equipaggio di un’ambulanza, e 28 i feriti per i media russi. Il Presidente Putin durante una telefonata notturna con il governatore della regione Alexei Smirnov ha assicurato ogni tipo di aiuto: «Forniremo sostegno in tutti i settori». Non è chiaro se si tratti dell’operazione segreta preparata dall’Ucraina oggetto del colloquio tra il ministro della Difesa russo Andriy Belousov e il capo del Pentagono Lloyd Austin.
I numeri dell’attacco
L’esercito russo ha lanciato bombardamenti nella regione confinante di Sumy per impedire agli ucraini «di avanzare in profondità nel territorio della Federazione Russa». È una situazione ancora in divenire con almeno 400 militari di Kiev presenti sul territorio russo, mentre altri 2.000 sono concentrati a ridosso del confine, secondo il canale Telegram russo Rybar.
I bombardamenti su Kursk hanno preceduto e accompagnato l’attacco ucraino che secondo Mosca ieri aveva coinvolto 300 militari della 22/a brigata meccanizzata. Gli ucraini avrebbero preso il controllo di almeno tre villaggi, Nikolaevo-Darino, Darino e Sverdiklovo, mettendo al contempo in difficoltà i nemici in altre zone.
Migliaia di sfollati, per Mosca è un «atto terroristico contro i civili»
Sarebbero in migliaia gli sfollati costretti ad abbandonare le zone attaccate dalla controffensiva ucraina, secondo l’agenzia Ria Novosti. Per Putin l’attacco di Kiev è «una provocazione su larga scala», anche per l’uso di «bombardamenti indiscriminati, anche con missili, su strutture civili», riferisce la testata Interfax.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
LA PREMIER INCAZZATA CON IL CAPITONE CERCA IL NEGOZIATO CON ELLY
Ora che non si sbronza di Papeete, Salvini si sbronza di televisione. Il governo lo ha preso in mano lui. Ha paralizzato la Rai, unito le opposizioni (sulla Rai) e tra pochi giorni va pure in ferie da Bruno Vespa, alla Masseria Li Reni. Vuole stare vicino, vicino a Giorgia Meloni, anche lei in Puglia, passare il Ferragosto con il secchiello, costruire ponti di sabbia con Andrea Giambruno. Sulla Rai fa dire ai suoi che “FdI non è all’altezza”, e che adesso “o si accettano le condizioni di Salvini o si cambia ad”. Ha un papello. Prendere o lasciare. Non gli basta più il dg Rai. Chiede “l’alternanza dei conduttori, Lega-FdI”, la dote per la casa, la Rai pregiata. Pretende la direzione di Rai Cultura, la guida di Rai fiction, aggiungendo Rai News. Intende farsi il cineforum di stato, immagina un futuro da Veltroni. La prossima Pontida finirà per organizzarla in Thailandia, a casa di Goffredo Bettini.
Attenti, c’è il futuro del governo Meloni dietro questo ignobile scrivere di Rai, dietro questa continua sbobba. Salvini sta perseguendo un metodo, il metodo del “non abbiamo più niente da perdere, dunque spariamola alta”.
Si prende tutta l’umanità dimenticata da Meloni, i suoi manager scartati, come accaduto in Ferrovie, con Stefano Donnarumma, e li rilancia. L’ad Rai Roberto Sergio è il prossimo. Un anno fa, Salvini aveva lasciato disoccupato Donnarumma, gli aveva tolto la sedia di ad di Enel, per darla a Flavio Cattaneo, quest’anno, come se nulla fosse, lo ha richiamato, lo ha voluto ad di Ferrovie, si è fotografato mentre prende il caffè per dire al mondo: vedete, uomo mio. Se un premier che presiede il G7 è costretto a occuparsi, e rimandare le nomine di questa sentina Rai è perché ha compreso che le richieste di Salvini saranno sempre più irricevibili e che in futuro servirà negoziare con il Pd. Grazie all’opera di Salvini le opposizioni, tutte, hanno sottoscritto (ieri) un documento per annunciare che non parteciperanno alle prossime nomine Rai se prima non si procede alla riforma della governance. Meloni sarebbe adesso pronta a “negoziare” con Elly Schlein, con un Pd responsabile, che rinuncia all’Aventino, un Pd a cui potrebbero essere offerti ruoli operativi, ma nel Pd parlano in tanti ma di Rai ne capiscono in pochi. Chi tratta per il Pd in Rai? Sandro Ruotolo? Anche il Pd sta sottovalutando questo Salvini veltronizzato. Nell’ultimo papello confezionato da Morelli, per conto di Salvini, Morelli lo sgherro, un personaggio, sempre più straordinario, epico come Fazzolari, il colonello Kurtz vegetariano, chiede espressamente il dg Rai, la guida di Rai Fiction, Rai Cultura, Rai News. Quando parliamo di Salvini parliamo del più grande agente in circolazione. Sta selezionando i dirigenti Rai in cerca di padrone e propone la valorizzazione. L’ultimo che ha trovato è Federico Zappi, di Rai Documentari, che propone alla guida di Rai Cultura. E’ la rete che dirige Silvia Calandrelli, la direttrice quota Pd che per salvare la posizione ha iniziato a infarcire il palinsesto con tutti i dadaisti che la destra propone. Si è caricata Sylos Labini, le puntate sull’industria di Mario Sechi e se serve fa condurre lo speciale su Gadda pure a Marcello Foa. Il Pd ha molto da perdere da questa partita Rai. E’ da giorni che Lega e Pd flirtano alla Camera sulla Rai e si scambiano messaggini. La Lega: “FdI sulla Rai? Patetici. Sono dei marchesi del Grillo”. Meloni è così infastidita che potrebbe lasciare a Salvini libertà di saccheggio Rai, fare crollare la borsa della fiction italiana, un settore industriale di sinistra che riguarda case di produzione, sceneggiatori, maestranze. Che il Pd non voglia trattare è falso. La notizia apparsa sul Corriere della Sera, la nomina di Antonio Di Bella, come presidente di garanzia, era chiaramente un tentativo, maldestro, si dice portato avanti da dirigenti dem vicini a Schlein, che a dirla tutta neppure conosce Di Bella. L’unico che davvero si diverte è Salvini. Si sta bevendo il governo e può trovarsi con un’altra partecipata di stato nelle mani: Enel, Ferrovie, un pezzo di Terna e la Rai. Il 10 agosto, l’ad Sergio, che ora è il cocco di Salvini cumulerà tre cariche: ad, presidente Rai, direttore di Radio Rai. Da presidente Rai gestirà l’audit su se stesso ma anche altri audit. Sono quelle inchiestine da tinello Rai, pericolosissime, che riguardano direttori di destra cari a Meloni e ancora più cari al dg Rossi. Da quando Salvini beve acqua e si sbronza di cultura, scrive libri, fa proposte sadiche. L’ultima: “E se lasciamo per un altro anno, come ad, Sergio?” e se “mettiamo l’immunità per i governatori, così evitiamo un altro caso Toti?”. Non farà cadere il governo, ma a Meloni farà scolare bottiglie di amaro. Vuole costringerla ad avvicinarsi al Pd, per necessità, come già accade, farle vedere il modo allucinato, ribaltare le parti come in “Santi e Bevitori” (Adelphi) di Lawrence Osborne. “L’astemio si sente frainteso dal bevitore, il bevitore non sopporta la lucidità dell’astemio. Ciascuno troverà noioso l’altro”.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
“AUMENTARE IL POTERE DELLA PERSONA CHIAMATA A GUIDARE L’ESECUTIVO PIÙ CHE A RAFFORZARE LA GOVERNABILITÀ PUÒ CONDURRE AD ACCENTUARE LA CONFLITTUALITÀ INTERNA AL SISTEMA E LA SUA INSTABILITÀ CON IL RISCHIO DI APRIRE LA STRADA, IN SITUAZIONI DI EMERGENZA, A SVOLTE AUTORITARIE”
La riforma del «premierato», incentrata sulla elezione diretta del Presidente del Consiglio e proposta come «riforma delle riforme», ha per scopo unico di rafforzare la stabilità e l’efficienza del Governo con un intervento che non mette in gioco l’intero impianto costituzionale?
La risposta per non risultare astratta, deve prendere in considerazione tre elementi: la tecnica giuridica che occorre utilizzare quando si opera una riforma costituzionale di alto profilo com’è questa; gli obiettivi di politica costituzionale e del loro grado di fattibilità che la riforma intende perseguire; il contesto storico in cui la riforma è destinata ad operare.
Partiamo dalla tecnica costituzionale. Su questo terreno il «premierato», così come risulta configurato nel testo approvato dal Senato e che la Camera sta esaminando, non può funzionare e ancorché corretto difficilmente potrà funzionare per la finalità del tutto irrealistica con cui il progetto si sforza di combinare il presidenzialismo più radicale con una tradizione parlamentare azzerata nella sostanza, ma conservata nella forma.
Il voto di fiducia ed il potere di scioglimento delle Camere, strumenti tipici del governo parlamentare, vengono infatti con questo modello apparentemente conservati, ma di fatto sottratti sia al Parlamento che al Presidente della Repubblica per essere collocati dentro la sfera decisionale del Presidente del Consiglio trasformato, attraverso il surplus di legittimazione determinato dall’elezione diretta, in un Capo del Governo.
Il fatto è che questa riforma, sotto una forma parlamentare che finge di conservare, mira nella sostanza a concentrare la guida sia del potere esecutivo che del potere legislativo nelle mani di una sola persona fisica non più limitata e condizionata, come nel governo presidenziale, da una effettiva separazione dei poteri o dalla presenza di contropoteri adeguati.
La forma che ne deriva è assolutamente anomala, perché segnata dal forte squilibrio indotto dal diverso grado di legittimazione conferito ad un Presidente del Consiglio, espressione della maggioranza, ma investito direttamente dal popolo, che viene contrapposto ad un Presidente della Repubblica, espressione dell’unità nazionale, ma che gode soltanto di una investitura indiretta espressa da un voto parlamentare. Una formula così scompensata non può che aprire la strada ad un conflitto permanente e al disordine politico derivante dalla possibile contrapposizione tra maggioranze diverse.
La prima domanda da fare è se esistono oggi in Italia le condizioni per operare nel governo del Paese un passaggio di questa portata. Tutti concordiamo nel fatto che i nostri Governi vanno stabilizzati […] ma la stabilità politica è un dato che, più che dal modello costituzionale, scaturisce dal grado di coesione espresso dalla base del sistema politico.
In altri termini, in un impianto democratico, non si rafforza la stabilità del potere esecutivo partendo dall’aumento dei poteri formali del suo vertice, bensì dal buon funzionamento della legislazione elettorale e dalla disciplina dei partiti politici. Per questo è indubbio che nella attuale situazione della democrazia italiana, strutturalmente sorretta da un sistema politico oltre che frammentato fortemente diviso, aumentare il potere della persona fisica chiamata a guidare l’esecutivo più che a rafforzare la governabilità può condurre ad accentuare la conflittualità interna al sistema e la sua instabilità con il rischio di aprire la strada, in situazioni di emergenza, a svolte autoritarie.
Svolte suscettibili di incidere in quel quadro delle libertà che è stato tracciato nella prima parte della costituzione che si afferma di non voler toccare, ma che trova la sua fondamentale garanzia nella riserva di legge e nella riserva di giurisdizione, cioè in strumenti che presuppongono l’esistenza sia di un Parlamento politicamente forte che di un potere giudiziario realmente indipendente.
Consideriamo, infine, il richiamo alla proiezione storica entro cui ogni costituzione o riforma costituzionale vanno necessariamente collocate. Su questo piano è appena il caso di ricordare che la nostra costituzione, nata dall’esperienza di una dittatura e di una guerra civile, s’ispira a principi esattamente opposti a quelli che questa riforma sottintende e intende affermare.
Principi che la Costituente incentrò sulla difesa della persona e sul pluralismo sociale e politico imponendo di conseguenza, al livello dell’azione di governo, la necessità di evitare una concentrazione del potere nelle mani di un solo organo tanto più se unipersonale.
Per questo la costituzione, tenendo conto della tradizionale disomogeneità della nostra base sociale, ha adottato un impianto garantista che ai sensi del suo primo articolo attribuisce l’esercizio della sovranità non alla maggioranza, ma al popolo nel suo complesso «nelle forme e nei limiti» di una costituzione rigida che colloca nel Parlamento, espressione di tutte le componenti politiche del Paese, l’asse portante del potere, mentre affida a due organi costituzionali indipendenti dalla maggioranza quali il Capo dello Stato e la Corte costituzionale una efficace funzione di controllo costituzionale.
Questo modello nacque quasi ottanta anni fa per l’azione di forze politiche ispirate da ideologie diverse, ma unite nel rifiuto del modello autoritario imposto dal fascismo. Un rifiuto che, nonostante il tempo trascorso ed il tramonto delle ideologie, conserva ancor oggi il suo significato per chi crede nel valore della democrazia e dei suoi principi fondamentali che la nostra carta repubblicana ha sinora bene interpretato .
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
DA TERRORISTA A TERRORISTA, ISRAELE: “PRESTO ELIMINEREMO ANCHE LUI”
Sarà Yahya Sinwar a prendere la guida politica di Hamas al posto del defunto Ismail Haniyeh, ucciso la scorsa settimana a Teheran in un’operazione attribuita ai servizi segreti israeliani. Lo ha annunciato lo stesso movimento islamista, secondo quanto riportano Haaretz e l’agenzia di stampa palestinese Al Quds. Un annuncio che arriva a sorpresa, dopo che per giorni si erano rincorse le voci sugli altri possibili nuovi capi dell’ufficio politico del movimento fondamentalista. Per giorni s’era fatto il nome di Khaled Meshaal, dirigente che aveva già ricoperto la stessa carica dal 1996 al 2017. Poi oggi era circolata la notizia che il nuovo capo politico sarebbe stato invece Muhammad Ismail Darwish, capo del Consiglio della Shura. Che Sinwar, che guida l’ala militare di Hamas dall’interno della Striscia di Gaza e che ha ordito la strage del 7 ottobre, volesse mettere bocca su chi avrebbe preso il posto di Haniyeh, era parso chiaro fin da subito. Ma che sia lui stesso a prendere le redini anche politiche dell’organizzazione segna un accentramento senza precedenti del potere politico-militare nelle sue mani. Una leadership che Sinwar si trova a dover esercitare, con ogni probabilità, dalla ridotta di un tunnel/bunker sotto la Striscia di Gaza, forse nella zona sud attorno a Khan Younis. Di questo è convinta da mesi l’intelligence di Israele. Il cui esercito, in dieci mesi di guerra, non è però mai riuscito a catturare o anche solo colpire l’imprendibile mente del 7 ottobre.
L’annuncio di Hamas e la risposta di Israele
L’indicazione di Sinwar come nuovo capo politico dell’organizzazione è anche occasione, ovviamente, per uno scontro di propaganda attorno alla guerra senza quartiere che vede di fronte Hamas e Israele dallo scorso 7 ottobre. La scelta della mente del 7 ottobre come nuovo leader della milizia fondamentalista rappresenta un «forte messaggio all’occupante che Hamas sta continuando sulla via della resistenza» a dieci mesi dall’inizio della guerra a Gaza, ha tenuto a far sapere un funzionario del movimento. Almeno altrettanto urticante la reazione arrivata a stretto giro da Israele. «Yahia Sinwar è un terrorista responsabile dell’atto terroristico più criminale della storia, il 7 ottobre. C’è solo un posto per Yahya Sinwar ed è accanto a Mohammad Deif e a tutti i terroristi responsabili del 7 ottobre. Questo è l’unico posto che prepariamo e designiamo per lui», ha detto il portavoce dell’Idf Daniel Hagari in un’intervista ad Al Arabiya. Deif, braccio destro di Sinwar, è stato colpito in un raid su Gaza il mese scorso ed è poi morto, secondo Israele, il 13 luglio. Ancor più eloquente la reazione alla notizia del ministro degli Esteri israeliano «La nomina dell’ultraterrorista Yahya Sinwar a nuovo leader di Hamas al posto di Ismail Haniyeh è un’ulteriore valida ragione per eliminarlo rapidamente e cancellare questa vile organizzazione dalla faccia della terra», ha scritto su X in serata Israel Katz.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
LAZZERI PRIMA EVOCA IL CRIMINALE NAZISTA, NOTO PER I SUOI RIPUGNANTI “ESPERIMENTI”. POI CAPISCE DI AVERE PESTATO UN MERDONE E PROVA A GIUSTIFICARSI: “ERA UNA BATTUTA”… SOGGETTO INDEGNO DI RAPPRESENTARE GORIZIA
“Questi casi possono essere risolti solo da un medico: Mengele”. E’ la frase choc dell’assessore di Gorizia, Paolo Lazzeri, della Lista Ziberna, in merito alla pugile algerina Imane Khelif, da giorni al centro delle cronache per la sua partecipazione alle Olimpiadi nella boxe femminile pesi welter.
Sul caso non sono mancati gli interventi politici e anche l’assessore goriziano si è inserito nella polemica, con una frase che ha immediatamente fatto discutere. Lazzeri si è scusato, sottolineando che il suo intervento “era una battuta. Se ho urtato la sensibilità di qualcuno, me ne scuso immediatamente”. Ma la polemica è tutt’altro che conclusa.
“La gravità di tale affermazione non può e non deve essere sottovalutata”, commenta Elvio De Candia, consigliere della VII Circoscrizione del Comune di Trieste della lista Russo Punto Franco. “Josef Mengele, noto come l’angelo della morte, è stato un medico nazista responsabile di esperimenti crudeli e disumani nel campo di sterminio di Auschwitz. Richiamare il suo nome in un contesto contemporaneo è un atto di profonda ignoranza storica e di grave offesa verso le vittime dell’Olocausto e l’intera umanità”.
“Alla luce di ciò, non posso accettare le scuse di Lazzeri”, prosegue De Candia. “Ritengo sia indegno di ricoprire qualsiasi carica pubblica. La sua presenza rappresenta una minaccia alla convivenza civile e ai valori democratici su cui si fonda il nostro Paese, dichiaratamente antifascista e assolutamente antinazista”.
“Faccio appello al sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna, al Prefetto di Gorizia Raffaele Ricciardi e a tutta la comunità politica del Friuli Venezia Giulia, affinché vengano adottati provvedimenti immediati per la rimozione di Paolo Lazzeri da qualsiasi incarico pubblico”, continua De Candia, che invoca anche l’intervento del Presidente della Regione Massimiliano Fedriga “per allontanare chi semina odio e divisioni attraverso provocazioni pericolose e ignoranti, manifestatamente naziste”.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
L’ATTACCO AL SUO DIRETTO CONCORRENTE, JD VANCE, IL VICE DI “THE DONALD”: “NON VEDO L’ORA DI FARE IL DIBATTITO CONTRO DI LUI, SEMPRE CHE ABBIA LA FORZA DI ALZARSI DAL DIVANO”
Un’America compassionevole e gioiosa, che “valorizza” i suoi cittadini e non li schiaccia, che garantisce i diritti e le eguali opportunità a tutti, il cui perno è una classe media forte e produttiva ma che guarda alle categoria più in difficoltà.
Sono gli Stati Uniti di Kamala Harris e Tim Walz, per la prima volta insieme sul palco di Filadelfia, dove sono stati accolti da una folla entusiasta galvanizzata dal governatore della Pennsylvania, Josh Shapiro, scartato dal ruolo di vice presidente ma pronto a mettere anima e corpo per la vittoria del ticket democratico.
Tim Walz “è stato l’insegnante che tutti sognano e che tutti gli studenti meritano”, ha detto Harris presentando il suo candidato vice presidente. usando l’appellativo ‘coach’, che deriva dal suo passato da allenatore della squadra di football del liceo in cui insegnava geografia ed è subito diventato virale suo social media.
Il 60enne, che ha trascorso ben 24 anni nella guardia nazionale americana, è stato scelto anche per la sua normalità, una figura autorevole e rassicurante allo stesso tempo, liberal ma di buon senso, in grado di parlare all’America rurale e agli indecisi.
“E’ il vice presidente che gli Stati Uniti meritano”, ha incalzato Harris, ormai perfettamente a suo agio nel ruolo di candidata e sommersa dall’entusiasmo della folla che le ha urlato: “Non torneremo indietro”.
Dall’assistenza sanitaria – che “è un diritto e non un privilegio di chi se lo può permettere” – ai controlli più rigidi di sempre per chi vuole possedere un’arma ai diritti riporduttivi, il programma delineato dalla candidata democratica non è molto distante da quello di Joe Biden. Ma è innegabile che l’energia e le forze in campo sono completamente cambiate dopo il ritiro dell’anziano presidente.
“Sappiamo di essere gli ‘underdog’ in questa corsa ma abbiamo lo slancio dalla nostra parte e sappiamo chi abbiamo di fronte”, ha dichiarato Harris. E a questo entusiasmo è trainato anche dalla scelta di Walz che con la sua esperienza, 12 anni al Congresso e 5 da governatore, “sarà pronto dal primo giorno” ad essere vice presidente, ha assicurato la vice presidente
“Questa non è una lotta solo contro Donald Trump ma per il nostro futuro”, ha aggiunto la candidata democratica affiancata da Walz che nel suo primo discorso ufficiale ha descritto l’America che intende costruire.
“Trump non ha idea di cosa voglia dire lavorare per l’America. Lui fa solo i suoi interessi”, ha attaccato. E a proposito del suo diretto concorrente, JD Vance: “Non vedo l’ora di fare il dibattito contro di lui, sempre che abbia la forza di alzarsi dal divano e presentarsi”, ha dichiarato ricordando il passato del senatore dell’Ohio che con il suo best seller ‘Elegia americana’ “ha gettato fango sulle sue radici”.
Infine il governatore del Minnesota, diventato popolare anche tra i giovani della Gen Z per aver chiamato il tycoon e il suo vice presidente due “weirdos” (‘strani’, nell’accezione negativa del termine’), ha regalato altre due perle destinate a diventare virali.
Una a proposito dei diritti riproduttivi e della fecondazione in vitro alla quale lui e la moglie si sono affidati per concepire i due figli, Hope e Gus: “Su questi temi vi dovete fare gli affari vostri”.
E l’altra una massima di buon senso, indirizzata ai lavoratori del Midwest e di quell’America rurale così lontana dai grattacieli di Manhattan nei quali è cresciuto Trump: “Dormirò quando sarò morto”.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
“PIU’ CHE FESTEGGIARE I MIEI 100 ANNI, VORREI ARRIVARE A VEDERE LA SCONFITTA DI TRUMP”
Il primo ottobre Jimmy Carter dovrebbe festeggiare il suo 100esimo compleanno. Ma non è questo il traguardo a cui anela l’ex presidente americano, il più longevo della storia. Ricoverato da un anno e mezzo in un hospice, alle prese con cure palliative, rimasto vedovo lo scorso novembre, punta piuttosto ad arrivare al giorno delle elezioni per poter votare per Kamala Harris. E’ questo il suo ultimo desiderio prima di morire, ha messo in chiaro l’ex presidente democratico parlando con il figlio Chip, secondo quanto rivelato alla stampa dal nipote Jason.
Chip la scorsa settimana ha chiesto al padre se stava cercando di arrivare al suo centesimo compleanno. «Vorrei riuscire ad arrivare a votare per Kamala Harris», lo ha corretto il 39esimo presidente degli Stati Uniti, in sella dal 1977 al 1981. L’Atlanta Journal-Constitution è stato il primo media a rivelare la conversazione.
Dopo essere sopravvissuto a una serie di crisi di salute negli ultimi anni, tra cui ripetute cadute e un attacco di melanoma cutaneo, Carter ha trovato nuova linfa per non mollare: vuole vedere Harris sconfiggere l’ex presidente Donald Trump a novembre. L’ex presidente, leale al suo partito fino all’ultimo, ha detto che questo è più importante per lui che compiere 100 anni.
Per celebrare il suo secolo di vita è stata programmata una raccolta fondi a favore del Carter Center, ong che si occupa di diritti umani e democrazia.
In realtà Carter, ex coltivatore di arachidi in Georgia, potrà votare due settimane dopo il suo 100esimo compleanno, quando nel suo stato inizieranno le elezioni anticipate, il 15 ottobre.
(da agenzie)
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Agosto 7th, 2024 Riccardo Fucile
I MESSAGGI RICEVUTI DALLA PUGILE AZZURRA CHE ANNO ALIMENTATO LE SUE PAURE, LE RASSICURAZIONI DEL CONI E IL CROLLO DOPO LE POLEMICHE
Che su Angela Carini si sia creato un clima a tratti insostenibile nei giorni precedenti all’incontro con Imane Khelif, lo ha confermato anche il presidente del Coni, Giovanni Malagò.
Alla pugile azzurra sarebbero arrivati messaggi che le hanno messo addosso una pressione crescente, mettendola in una situazione sempre più complicata da gestire. Malagò alla Stampa aveva parlato di pressioni da parte dell’iba, l’organizzazione mondiale della boxe presieduta dall’oligarca russo Umar Kremlev. Ieri 6 agosto da Casa Italia alle Olimpiadi di Parigi, Malagò si è corretto: non sarebbe stata direttamente l’iba, ma di certo l’organizzazione ha cavalcato il polverone scoppiato «strumentalizzando la vicenda» e alimentando lo scontro con il Cio, che aveva dato il via libera alla pugile algerina di combattere, a differenza di quanto avvenuto l’anno prima ai mondiali gestiti dalla stessa Iba.
Le pressioni su Carini
Nei prossimi giorni potrebbe essere la stessa Carini a chiarire cosa sia successo in quei giorni difficili, se alla fine si terrà la sua attesa conferenza stampa. Di punti da chiarire ce ne sarebbero diversi in una vicenda che ha coinvolto «tutto il mondo della boxe», come aveva detto l’allenatore di Carini, Emanuele Renzini. Repubblica ricostruisce la catena di pressioni subite da Carini a partire dal 26 luglio. Ignoti i mittenti di quelle pressioni, ma che ci siano state lo ribadisce la stessa pugile. Quel giorno arriva il sorteggio nel tabellone della categoria 66 chili donne. Da quel momento Carini cerca di mettersi in contatto con qualcuno del Coni.
L’allarme per la bufala su Imane Khelif uomo
Appena saputo del sorteggio, l’allenatore Renzini aveva raccontato la reazione della pugile azzurra. Saputo che la sua avversaria sarebbe stata Imane Khelif, lei aveva detto: «Non è giusto». Quel pomeriggio la 25enne napoletana era molto agitata. Quando in serata riesce a parlare con il Coni chiede soccorso: «Mi dovete aiutare. Combatto contro un uomo». Chi parla con lei è incredulo, lei insiste: «Sì, mi hanno dato che la mia avversaria è un uomo e per questo è stata squalificata dalla federazione».
Le rassicurazioni del Cio
Dal Coni si mettono in contatto con il Cio per avere chiarimenti sul caso della pugile algerina. Dal Cio confermano che su Khelif sono stati fatti «tutti i controlli». Secondo il Comitato internazionale olimpico, l’algerina sarebbe «assolutamente nella norma», a differenza di quanto sostengono dall’Iba. Dal Cio spiegano che Khelif sarebbe stata fermata solo una volta dall’organizzazione a guida russa, cioè prima di una finale e dopo aver battuto «una protetta di Kremlev». Dai documenti a tutte le precedenti gare nei tornei femminili, su Khelif non emergono irregolarità sul fatto che abbia tutto il diritto di gareggiare nel torneo femminile.
Le indagini su Khelif
Imane Khelif non sarebbe neanche una scoperta recente della boxe italiana. L’algerina si era allenata nel centro sportivo di Assisi. Era stata portabandiera nel 2022 dei Giochi del Mediterraneo a Orano, in Algeria, dove ha passato il testimone ai Giochi di Taranto, dove si terrà la prossima edizione. Dal Coni provano a rassicurare Carini e la spronano ad andare avanti: «Tu vai sul ring e combatti».
L’esplosione del caso in Italia
Il 30 luglio, due giorni prima dell’incontro, il caso Khelif esplode in Italia con i primi articoli online e il tweet di Matteo Salvini, seguito da diversi altri esponenti leghisti. A quel punto, il sospetto è che dall’Iba l’obiettivo sia stato quasi raggiunto: creare scompiglio sui Giochi francesi da cui gli atleti russi sono esclusi per l’invasione dell’Ucraina e spaccare l’opinione pubblica su una vicenda nata di fatto da una fake news. Dopo l’incontro, l’Iba si offrirà anche di premiare Carini con 100 mila euro, da dividere con staff e federazione, «come se avesse vinto l’oro». Denaro che la Federboxe italiana e la pugile hanno respinto al mittente.
I legami di Kremlev con l’Italia
Secondo Repubblica, c’è un filo che lega l’oligarca russo Kremlev all’Italia: il capo dell’Iba sarebbe molto amico di Franco Falcinelli, per un decennio a capo della Confederazione europea di pugilato, del qual avrebbe sempre parlato bene. In Italia Kremlev è anche stato per l’apertura del centro europeo pugilistico che deve sorgere ad Assisi. Un centro finanziato anche con i fondi del Pnrr e con l’aiuto dell’Iba. Sui presunti ritardi dei lavori di quel centro, dalla Lega locale sarebbero anche partite interrogazioni. Ma i tempi del cantiere, secondo la sindaca Stefania Proietti, sarebbero al momento rispettati.
Il panico di Carini
Con la polemica politica che prende piede il 30 agosto, Carini torna a preoccuparsi e chiama di nuovo il Coni: «Che devo fare? Tutti mi cercano, io davvero non so…». Le consigliano di staccare il telefono, ma lei non riesce a isolarsi davvero. Quando salirà sul ring il 1 agosto contro Imane Khelif, basterà un destro deciso e 46 secondi per convincerla che quella partita era più grande di lei.
(da lespresso.it)
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