Novembre 14th, 2025 Riccardo Fucile
UNA PREMIER CHE FA POLITICA SECONDO I SONDAGGI NON E’ UNA STATISTA, NON GUIDA UN PAESE, NE CAVALCA L’ONDA PER NON PERDERE LA POLTRONA… ORA VUOLE UN SONDAGGIO SULLA MANOVRA PERCHE’ TEME IL CALO DI CONSENSI… SEMBRA DI SEGUIRE LO SHARE DELLE TV
Fratelli d’Italia, rivela il Fatto Quotidiano, ha commissionato una rilevazione per
sondare cosa pensano gli italiani della legge di bilancio approvata dal governo
Nelle dichiarazioni pubbliche, Giorgia Meloni difende a spada tratta la legge di bilancio per il 2026. Eppure, sotto sotto, teme che gli italiani si possano disaffezionare a lei e al suo governo, specialmente dopo che non solo le opposizioni ma anche la Banca d’Italia e l’Istat hanno bocciato la Manovra e affermato che premia i più ricchi. E così, rivela Giacomo Salvini sul Fatto Quotidiano, Palazzo Chigi è corso ai ripari. Innanzitutto, diffondendo una nota a uso interno per dare la linea ai parlamentari e dirigenti di partito su come spiegare in pubblico la Manovra. Ma non solo: l’ufficio studi di Fratelli d’Italia ha commissionato anche un sondaggio per chiedere gli elettori quali siano le loro aspettative economiche e gli effetti della legge di bilancio.
Cosa dicono i sondaggi sulla Manovra
La delibera è stata commissionata formalmente da Alberto Barachini, responsabile dell’Informazione e dell’Editoria alla presidenza del Consiglio. Il timore è che la narrazione delle opposizioni stia facendo breccia tra gli italiani. E i sondaggi di Euromedia Research di Alessandra Ghisleri per Porta a Porta alimentano questo sospetto: secondo la rilevazione, il 38,2% degli elettori ritiene che la Manovra del governo Meloni porterà principalmente svantaggi, mentre solo il 19,5% crede che porterà benefici. Secondo la maggioranza (il 58%) la Finanziaria «non va incontro alle mie aspettative».
La battaglia degli emendamenti e la nota interna a FdI
In attesa dei risultati del sondaggio commissionato, Fratelli d’Italia ha prodotto un dossier per spingere i propri eletti a parlare delle direttrici della Manovra: abbassamento delle tasse, natalità, sanità, sostegno alle imprese. Nella linea che viene data ai Meloniani si suggerisce di rimarcare il costo del Superbonus voluto dal leader del M5s Giuseppe Conte per le casse dello Stato. Questa mattina scadrà il termine ultimo per presentare gli emendamenti parlamentari e già se ne contano migliaia. L’indicazione di Palazzo Chigi era chiara. Massimo un emendamento a testa per ciascun ministero. Ma il Mit di Matteo Salvini ha deciso di violare la regola presentandone otto. L’obiettivo, in ogni caso, resta approvare la legge di bilancio in prima lettura al Senato entro il 15 dicembre.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2025 Riccardo Fucile
LA LOTTA AI MONOPOLI E LE POLITICHE ANTITRUST UNA VOTA ERANO ARGOMENTI ANCHE DEL CAMPO LIBERALE, NON SOLO DELLA SINISTRA
“Penso che le Big Tech vadano trattate come sono stati trattati altri monopoli nella storia: smontandoli. Se non vogliamo vivere
in un mondo che finisca nella proprietà di pochi, è l’unica cosa che possiamo fare”.
Lo dice Susanna Camusso, ex segretaria della Cgil, in un’intervista a questo giornale. Leggendo le sue parole quasi si sussulta, per quanto insolita è la loro drasticità: e viene da chiedersi come mai questo argomento — smontare monopoli giganteschi, che non hanno neppure bisogno di strozzare in culla la concorrenza, perché nessuno, in quelle culle, oserebbe più nascere — non sia al centro del dibattito politico mondiale; al punto che la sola idea di una battaglia politica contro i monopoli sembra un azzardo irrealistico, coltivabile solo in piccole cerchie radicali, e non una evidente urgenza della democrazia e financo del capitalismo, che ridotto in poche mani perde il suo potere di penetrazione e di contagio. La sua vitalità.
La lotta ai monopoli, le politiche antitrust, l’idea che la libera concorrenza fosse l’anima del libero mercato, furono, nel Novecento, argomenti all’ordine del giorno: non solo a sinistra, anche nel campo liberale. A parte gli aspetti giuridico-economici, viene da dire che anche il senso comune non porterebbe a simpatizzare per i “troppo grossi”.
Come si sia arrivati, in pochi decenni, alla totale complicità politica e alla quasi idolatria di massa per l’Impero dei Pochi, è un mistero che (forse) capiremo solo quando ne saremo usciti. Beato chi vivrà abbastanza per vederne la fine.
(da Repubblica)
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Novembre 14th, 2025 Riccardo Fucile
IL CONTRATTO SCADRA’ IL 30 GIUGNO, SARANNO STABILIZZATI SOLO 6.000 METTENDO A RISCHIO LA FUNZIONALITA’ DEI TRIBUNALI
Il contratto per i 12mila precari della Giustizia scadrà il 30 Che le necessità della
macchina della giustizia siano tra le ultime priorità del governo di Giorgia Meloni, lo si sapeva da tempo. Ma ieri è arrivata l’ennesima riprova. Il capo di gabinetto del ministro Carlo Nordio – la magistrata Giusi Bartolozzi, assurta all’onore delle cronache soprattutto per il suo coinvolgimento nel caso Almasri – ha infatti convocato ieri i sindacati per discutere delle prove selettive alle quali dovranno sottoporsi i circa 12mila precari assunti il 1° febbraio 2022 grazie ai fondi del Pnrr e in scadenza il 30 giugno 2026.
Il governo vuole stabilizzare solo 6mila precari su 12mila
Prove che nell’ottica del governo, mireranno a decidere chi confermare. Nell’ottica della Funzione Pubblica Cgil dovranno invece “decidere chi lasciare a casa”, come si legge in una nota a firma del segretario nazionale Fp CGIL Florindo Oliverio, nella quale si annunciava il boicottaggio dell’incontro.
Sul tavolo infatti c’è il destino di quel piccolo esercito di operatori – data entry, funzionari tecnici e addetti all’ufficio per il processo – , cooptati per raggiungere gli obiettivi di riduzione dell’arretrato civile e penale previsti dal PNRR. E che ora, finiti i soldi dell’Europa, dovrà essere in gran parte smobilitato.
Un paradosso, perché è vero che questi precari hanno smaltito molto dell’arretrato presente nei tribunali, ma proprio a causa del Pnrr, il lavoro per i giudici è aumentato… L’estate scorsa, l’esecutivo aveva anche annunciato una procedura comparativa, in pratica un concorso entro ottobre 2025, ma poi della prova se ne sono perse le tracce.
Mesi di promesse mai mantenut
Da mesi il governo promette stabilizzazioni, ma senza dare numeri. Oppure fornisce cifre – si parla di circa 6mila stabilizzazioni su 12mila precari – ma senza assicurare le coperture finanziarie. E anche gli stessi ministri appaiono in disaccordo, così se per il Ministro per gli Affari Europei Tommaso Foti il governo starebbe già procedendo all’assunzione dei precari e mira ad assorbirne fino a 17mila (come ha comunicato alla Camera dei Deputati dello scorso 1 ottobre), per il collega Carlo Nordio non ci sarebbero problemi alla trasformazione di tutti i 12mila contratti in tempi determinati ma serve tempo (lo ha detto, ricorda la Cgil, rispondendo a una recente interrogazione parlamentare).
Un’indeterminatezza che si ritrova anche nel Documento programmatico di finanza pubblica (DPFP), approvato dal Governo il 2 ottobre scorso, il quale ribadisce la necessità di stabilizzare i precari Pnrr della giustizia, ma senza fornire alcun dettaglio su numeri e risorse. Un’ambiguità che il 16 settembre scorso aveva portato allo sciopero dei lavoratori. Il dato di fatto è che a oggi, la Legge di Bilancio attualmente in discussione non prevede risorse per la stabilizzazione di questi lavoratori.
La Cgil: “Siamo sgomenti”
Comprensibile quindi il rifiuto di ieri della Cgil di prendere parte al tavolo per decidere le prove per le future selezioni. “Siamo sgomenti”, ha commentato Oliverio, circa la convocazione. “Accettare di discutere oggi di criteri selettivi per ridurre gli attuali organici di almeno 6 mila unità, significa accompagnare la giustizia al suo funerale”, commenta, “Noi preferiamo
lavorare perché in questi giorni si possano convincere i parlamentari di tutte le forze politiche che nella prossima legge di bilancio ci siano le risorse che il Governo e il ministro Nordio non hanno voluto mettere per stabilizzare tutti i 12 mila precari alla scadenza dei loro contratti il 30 giugno prossimo”.
Per la Cgil, i sindacati devono inchiodare “il ministro alle sue responsabilità. La Funzione Pubblica CGIL non ha dubbi sul da che parte stare. Stiamo dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori che dopo quattro anni da precari per lo Stato chiedono di poterci rimanere. Stiamo dalla parte dei cittadini che vogliono una GIUSTIZIA che funzioni davvero perché sia uguale per tutti e non più uguale per qualcuno”, conclude il segretario.
Pericolo paralisi dopo il 30 giugno
Del pericolo di paralisi dopo il 30 giugno 2026 ha parlato spesso il Procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, il quale ha più volte sottolineato la carenza cronica di personale negli uffici giudiziari – sia in termini di magistrati che di personale amministrativo -, sottolineando la necessità di un numero adeguato di risorse per gestire l’aumentato carico di lavoro legato anche agli investimenti del PNRR.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2025 Riccardo Fucile
IL QUESITO DIRIMENTE E’ SE ACCETTIAMO UN GIUDICE DISCIPLINARE SENZA GARANZIE D’INDIPENDENZA
L’asse del referendum confermativo non è, malgrado la retorica da comizio, la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri: quella è una scelta politicamente divisiva ma concettualmente chiara, da anni oggetto di confronto dottrinale e comparato, con argomenti seri su entrambi i fronti; il vero punto critico, quello che può alterare in profondità la fisionomia costituzionale della giurisdizione, è l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare, perché lì si decide chi, come e con quali garanzie potrà giudicare i magistrati, e dunque quanto fragile o resistente sarà l’indipendenza effettiva dei giudici rispetto al potere politico.
Spostare la giurisdizione disciplinare fuori dal CSM e affidarla a un organo ad hoc non è di per sé un’eresia: in astratto può persino apparire un progresso, se immaginato come giudice
terzo, tecnicamente attrezzato, con composizione mista bilanciata, standard motivazionali elevati, pubblicità delle decisioni, parametri chiari di proporzionalità delle sanzioni, controllo di legittimità pieno e mandati non rinnovabili sganciati dai cicli della maggioranza di governo. In questa versione ideale, l’Alta Corte ridurrebbe il sospetto di corporativismo, garantirebbe una giurisprudenza disciplinare coerente, rafforzerebbe la fiducia dei cittadini mostrando che chi sbaglia paga, senza colpire chi decide in scienza e coscienza su terreni sensibili.
Ma il progetto reale si gioca sui dettagli che il dibattito pubblico sta colpevolmente schiacciando sotto la parola d’ordine “separazione”: chi nomina i componenti dell’Alta Corte, con quali maggioranze, con quali filtri, con quali incompatibilità effettive rispetto a partiti, governi, strutture di influenza organizzata; quali sono i meccanismi di astensione e ricusazione, come si evita che la scelta cada su profili organici alle stesse filiere di potere che la giurisdizione deve poter controllare; che rapporto c’è tra Alta Corte e CSM in tema di valutazioni di professionalità, trasferimenti, conferimenti di incarichi direttivi? Perché se le leve organizzative restano condizionate mentre la leva disciplinare viene accentrata in un organo potenzialmente esposto alla maggioranza politica, il combinato disposto può produrre un effetto di pressione sistemica ben più incisivo di qualsiasi slogan sulla “fine delle correnti”.
La domanda che il referendum pone, al di là degli slogan, e che andrebbe chiarita in maniera solare al cittadino votante, è se
l’Alta Corte sarà strutturata secondo tre test minimi: indipendenza, efficienza garantita, proporzionalità controllabile.
Indipendenza significa modalità di scelta non monopolizzate dalla maggioranza, partecipazione di più soggetti istituzionali, criteri di merito verificabili, divieti rigorosi di incarichi politici e consulenze sensibili, mandati lunghi ma non rinnovabili, non coincidenti con la legislatura; efficienza garantita significa tempi certi senza sacrificare il contraddittorio, istruttorie tracciabili, udienze tendenzialmente pubbliche, pubblicazione integrale delle decisioni, filtri seri per le denunce temerarie; proporzionalità controllabile significa tipizzazione chiara degli illeciti disciplinari, griglie sanzionatorie trasparenti, possibilità effettiva di sindacare in sede di legittimità l’equilibrio tra fatti accertati e sanzione irrogata, in modo che nessun giudice venga colpito per la sostanza delle sue decisioni e nessun comportamento gravemente lesivo resti coperto da opacità o indulgenza selettiva.
Se questi tre test non sono soddisfatti nella concreta architettura dell’Alta Corte, il rischio non è teorico: la funzione disciplinare diventa un luogo di torsione istituzionale dove la politica può premiare e punire, dove i casi simbolici vengono usati come messaggi al corpo giudiziario, dove l’indipendenza si logora non con un editto, ma con la minaccia sottile di un procedimento che può colpire chi tocca nervi scoperti del sistema.
È per questo che concentrare la campagna referendaria sulla formula “separazione delle carriere sì/no” è una semplificazione comoda e fuorviante: si può essere favorevoli o contrari alla
separazione per ragioni serie, ma il quesito davvero dirimente, per chi ha a cuore lo Stato di diritto, è se accettiamo di introdurre un giudice disciplinare di vertice senza blindare fino in fondo le sue condizioni di indipendenza. Nel voto referendario non si misurerà solo l’assetto organizzativo della magistratura, si misurerà la capacità dei cittadini di riconoscere che il vero snodo non è dove il dibattito urla, ma dove il silenzio agisce e in silenzio si decide a chi si consegnerà la chiave che può aprire o chiudere lo spazio di libertà della giurisdizione.
Ad oggi il legislatore ha lasciato questo spazio assai opaco e fumoso. Occorrerà, al contrario, averlo spiegato ben chiaro prima di votare.
Daniela Mainenti
Professore Straordinario in Diritto Processuale Penale Comparato
(da ilfattoquotidiano)
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Novembre 14th, 2025 Riccardo Fucile
MA I PARERI FAVOREVOLI A LEGA E FDI SONO STATI POI SMONTATI DAI TRIBUNALI
Non solo Report. Ci sono almeno altri tre casi in cui le decisioni del Garante della
privacy hanno avuto prima pressioni, e poi offerto assist al centrodestra per alcuni provvedimenti ritenuti bandiera. Poi però messi in grande difficoltà dai tribunali amministrativi e ordinari.
Per trovare uno dei primi casi bisogna tornare al 2021. È appena entrato in carica il governo Draghi e all’Autorità si discute di un decreto sulla Carta di identità elettronica che prevede la dizione «genitore» invece di padre e madre. Era una vicenda complessa, con il governo Conte I, con Salvini ministro, che aveva provato a introdurre la dizione «padre» e «madre».
E il Conte II, con Lamorgese, che invece aveva ritenuto più opportuno la dizione «genitore». La vicenda era oggetto di dibattito grazie a un articolo di Repubblica di gennaio che ne aveva dato notizia e che aveva scatenato le ire di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. «Al governo si preoccupano di cancellare “padre” e “madre” dalla carta d’identità dei minori per sostituirli con genitore 1 e 2» dirà Salvini. «La priorità del governo è rimuovere “padre” e “madre” dai documenti d’identità dei minori» twitta Meloni.
I loro rappresentanti nell’Autorità, che deve esprimere il parere sul provvedimento Lamorgese, nel frattempo si muovono. E così sia l’uomo voluto da Fratelli d’Italia, Agostino Ghiglia, sia la vicepresidente in quota Lega, Ginevra Cerrina Feroni, cercano di intervenire.
E trovando anche la sponda del presidente Pasquale Stanzione riescono nell’intento, seppur parzialmente: nel parere il Garante
riesce a far apparire sulla carta di identità «la dizione più connotativa di padre e madre, non sostituendola con quella di genitore». Risultato: prima la Corte d’appello di Roma e, ad aprile di quest’anno, la Cassazione distruggono quel parere stabilendo che la dizione «padre e madre» sulla CIE sia discriminatoria per i minori.Dice la Suprema Corte che quel decreto viola il «diritto del minore di ottenere una carta d’identità rappresentativa della sua peculiare situazione familiare».
È stato strappato dai tribunali anche il decreto Salvini anti-Uber, norma che nelle intenzioni del ministro doveva servire per tutelare dagli Ncc la potentissima lobby dei tassisti. Decreto formulato anche grazie al parere positivo del Garante (…)
Il Garante accettò, di fatto, che il ministero centralizzasse i dati di tutti gli operatori, creando un archivio unico e un potenziale strumento di controllo rispetto anche ai passeggeri, visto che si sarebbe dovuto sapere chi andava dove. A gennaio del 2025 il Tar sospese il decreto. La scorsa settimana la Cassazione ha sancito che lo Stato aveva «imposto vincoli sproporzionati».
«Quando lessi il parere del Garante, pensai: anche il Garante è diventato no vax… Non sapevo che lo era sempre stato». Scherza il professor Pierluigi Lopalco, epidemiologo di fama mondiale, rispetto a uno dei provvedimenti più recenti del Garante: un ammonimento sulla legge sul Papilloma virus che la Puglia (dove Lopalco è consigliere regionale) aveva voluto.
Una norma che entrava nel merito della vaccinazione e dell’obbligo, e solo marginalmente su questioni di privacy. A
volerlo era stata sempre Cerrina Feroni, che esibisce, anche sui social, come fossero trofei, una sfilza di provvedimenti contro la cultura vaccinale in questi anni.
Guadagnandosi stima e riconoscenza da tutto il mondo no vax, a trazione leghista. Ma solo da loro: la Consulta è andata in direzione opposta a tutti i pareri del Garante in tema di green pass. Forse perché la politica era più importante della privacy.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2025 Riccardo Fucile
COME I CIVICI DI ONORATO, L’INIZIATIVA PARTE DALL’ ESIGENZA DI PUNTELLARE AL CENTRO IL PD PER RICOSTRUIRE IL MODELLO ULIVO DI PRODI (CHE HA BENEDETTO L’INIZIATIVA)
Più Uno, l’associazione fondata a giugno da Ernesto Maria Ruffini, ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, riunirà per la prima volta i suoi comitati che hanno superato quota 300 in Italia.
Un incontro operativo, riservato agli iscritti. Non un congresso-passerella, ma ‘un’occasione di ascolto di persone che vogliono sentirsi comunità’.
Sui social di Più Uno il conto alla rovescia, con la scritta stay tuned e il motto ‘Chi sceglie di esserci sceglie di contare’.
L’obiettivo dichiarato da Ruffini è di muoversi col ‘passo più lento e profondo di chi ha scelto di parlare meno e ascoltare di più.
Di costruire dal basso invece che rincorrere i titoli dei giornali’. Un percorso che vuole essere in controtendenza con i rituali della politica: finora nessuna conferenza stampa, nessun tour televisivo, nessun selfie tra gazebo e piazze
Ruffini gira l’Italia, nelle periferie delle grandi città e nei piccoli paesi, incontrando persone ancora interessate alla politica.
Da Trento e Bolzano a Saluzzo, da Palermo e Capo d’Orlando, Cosenza, Iglesias e Cagliari e molte altre piccole realtà per un dialogo che si propone di partire dall’ascolto dei problemi, dalle liste d’attesa negli ospedali alla carenza di manutenzione nelle scuole alla sicurezza sociale.
Il progetto Più Uno richiama l’idea di ‘aggiungere, allargare, includere, alimentare una comunità politica basata su ascolto, competenza, coerenza’.Alle pressioni, più o meno esplicite, di chi chiede di accelerare, Ruffini risponde che ‘la democrazia ha i suoi tempi, non si riconquista la fiducia di milioni di cittadini con un hashtag o una promessa facile, la vera emergenza non è trovare un nuovo leader, ma ricostruire un’idea di Paese. ‘La prima cosa da fare è parlare ai 18 milioni di italiani che ormai scelgono di non votare più’.
Sulle alleanze del centrosinistra Ruffini è netto: ‘Con il campo largo, così come è stato pensato, si perdono le elezioni. Non può essere solo un accordo tra partiti, ma deve diventare il luogo dove le idee migliori tornano a parlare alla vita reale delle persone e non solo degli iscritti ai partiti del centro sinistra.
Per favorire questa partecipazione sono nati i comitati come spazi di partecipazione per allargare il campo del confronto’.
Inevitabile il richiamo all’Ulivo, ‘un modello non ripetibile di una stagione non ripetibile, ma un’atmosfera, mi auguro, ripetibile’, dice Ruffini, pensando a uno ‘spazio aperto dove ciascuno può portare esperienze, competenze, passioni’.
‘Una politica nuova – aggiunge – deve mostrare coerenza, competenza, serietà. E rimettere al centro i bisogni reali, temi che appartengono a chiunque ami il proprio Paese.
Perché quando un Paese si spacca e tutto diventa contrapposizione, le destre vincono facilmente, perché si nutrono del conflitto e il Paese diviso è un Paese più debole. Un Paese così non cammina, si ferma’
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2025 Riccardo Fucile
SONDAGGIO DI “ACTIONAID”, SU UN CAMPIONE DI 1802 PERSONE… NON C’E’ DA STUPIRSI CON LA MASSA DI COMPLESSATI CHE GIRANO
La violenza economica è accettabile da un 1 su 3, e lo è per quasi la metà dei maschi
Millennial e quelli della Gen Z.
La violenza fisica sulle donne è giustificabile per quasi 2 maschi adulti su 10.
Per 1 su 4 la violenza verbale e quella psicologica sono motivate da provocazioni e comportamenti ‘scorretti’ delle donne.
La maggioranza (55%) dei Millennials ritiene legittimo il
controllo sulla partner, soprattutto in caso di tradimento o di mancata cura della casa e dei figli.
Lo rivela “Perchè non accada. La prevenzione primaria come politica di cambiamento strutturale”, una ricerca di ActionAid con l’Osservatorio di Pavia e B2Research per indagare come disuguaglianze e stereotipi di genere si riproducano in ogni ambito della società, contribuendo a ricreare e legittimare la violenza.
E dalla ricerca, sottolinea ActionAid, emerge proprio che ogni spazio, ruolo sociale e privato che le donne vivono è attraversato da disuguaglianze di genere.
A casa il 74% delle donne si occupa da sola dei lavori domestici, contro il 40% degli uomini (80% delle Boomer e 83% delle donne della Gen X).
Il 41% delle madri si occupa da sola dei figli, contro appena il 10% dei padri. Negli spazi pubblici il 52% delle donne ha provato paura (contro il 35% degli uomini), una quota che sale al 79% tra le più giovani e resta alta anche tra le Boomers (55%). Il 38% delle persone ha avuto paura almeno una volta sui mezzi pubblici, ma tra le giovani donne della Gen Z il dato sale al 65,5%.
Se si parla di film, serie tv, spettacoli dal vivo il 55% delle donne si è sentita svalutata nei contenuti culturali e sono il 70% le giovani donne della Gen Z. Anche online 4 donne su 10 (40%) dichiarano di aver avuto “spesso” o “a volte” timore di ricevere reazioni sessiste ai propri contenuti online. La paura è più alta tra
le ragazze della Gen Z (59,3%), mentre scende al 29,1% tra le Boomer. Le più giovani, più presenti nei social, sono più esposte.
ActionAid chiede al Governo di vincolare almeno il 40% dei fondi del Piano nazionale antiviolenza alla prevenzione primaria poichè permetterebbe all’Italia di avvicinarsi a a paesi come la Spagna, dove oltre il 50% dei fondi è destinato ad azioni che promuovono l’uguaglianza di genere, “con risultati tangibili visto dal 2003 al 2024 i femminicidi sono diminuiti di oltre il 30%”.
“La prevenzione primaria – afferma Katia Scannavini, Co-Segretaria Generale ActionAid Italia – non si può fermare alla necessaria educazione nelle scuole, ma deve coinvolgere le persone di ogni età, con azioni dirette a tutti gli ambiti della vita quotidiana, perché solo un cambiamento culturale può fermare la violenza maschile contro le donne”.
(da agenzie)
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Novembre 14th, 2025 Riccardo Fucile
I FONDI SARANNO DISTRIBUITI ESCLUSIVAMENTE IN TERRITORI DI “PERTINENZA” DI AMMINISTRATORI O PARLAMENTARI DI FORZA ITALIA. UFFICIALMENTE, SI TRATTA DI RISORSE DESTINATE AL “TURISMO DELLE RADICI”, MA DI FATTO FINANZIERANNO STADI, PALAZZETTI, PISCINE, CAMPI DA PADEL, POLI SPORTIVI E UN PARCO NATURALE
Una pioggia di fondi pubblici – 200 milioni di euro – sta per arrivare in tre regioni, due delle quali prossime al voto, grazie al ministero degli Esteri guidato da Antonio Tajani. Le risorse, formalmente destinate al “turismo delle radici”, serviranno in realtà soprattutto a finanziare stadi, palazzetti, piscine, campi da padel, poli sportivi e un parco naturale.
Come scrive Andrea Tundo sul “Fatto Quotidiano”, la distribuzione dei fondi finisce quasi esclusivamente in territori dove amministratori e parlamentari di Forza Italia legati al vicepremier hanno un ruolo politico diretto o sono parte del suo entourage.
Il quadro ufficiale è quello di un grande investimento per “borghi, siti turistici e riserve naturali”, volto ad attirare emigrati e “italo-discendenti” nei luoghi d’origine. Ma molti progetti sembrano avere un legame tenue con questa missione. Nonostante il ministero neghi qualsiasi relazione con le imminenti scadenze elettorali, la coincidenza – e la natura degli interventi – è quantomeno curiosa.
I casi più evidenti sono in Puglia e Campania, che da sole assorbono 140 milioni. A Brindisi arrivano 37 milioni per un
nuovo stadio da 12mila posti e per il polo sportivo di contrada Masseriola, nonostante l’impianto esistente sia già in ristrutturazione. Esultano i deputati azzurri Mauro D’Attis, Vito De Palma e Andrea Caroppo, tutti in prima linea nel rivendicare il ruolo del governo.
Proprio a Ginosa, paese di De Palma, arriveranno 15 milioni per palazzetto dello sport, piscina coperta, campo da padel e riqualificazione dello stadio. Il sindaco, Vito Parisi, racconta il paradosso: aveva chiesto 4 milioni, ne riceverà quasi il quadruplo, senza però disporre di progetti né di un piano tecnico-economico. “Siamo alle porte delle Regionali”, rimarca.
A Santa Cesarea Terme, area vicina al deputato Caroppo, arrivano 18 milioni per completare un polo termale-sportivo rimasto incompiuto. Nel Lazio, il Parco Naturale Monti Ausoni e Lago di Fondi – guidato dal forzista Giuseppe Incocciati, consigliere sportivo di Tajani – riceve 20 milioni per cinque progetti.
Il pacchetto più corposo riguarda però l’Irpinia, territorio politicamente presidiato dal consigliere di Tajani, Carmine De Angelis. Qui piovono 69,5 milioni: 26 per la storica tratta ferroviaria Avellino-Rocchetta, 16,5 per l’iniziativa “Eco Smart Borghi Irpinia” (con 2 milioni al comune guidato dallo stesso De Angelis) e 27,5 per il Cammino di Guglielmo, con un costo stimato di 229mila euro per chilometro.
Infine, altri 40 milioni vanno a Sport e Salute per cofinanziare la riqualificazione del Centrale del Foro Italico, mentre 20 milioni
finanzieranno il waterfront di Fiumicino, governata dall’ex ministro ed ex vicepresidente del Senato Mario Baccini.
Una distribuzione di fondi che, pur formalmente neutra, disegna un mosaico in cui sport, territorio e politica sembrano intrecciarsi in un timing particolarmente favorevole al partito del vicepremier.
(da il Fatto Quotidiano)
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Novembre 14th, 2025 Riccardo Fucile
LE PAROLE DI CHRUPALLA HANNO SPACCATO ANCHE IL PARTITO DI ULTRADESTRA. POCHI GIORNI FA LA CO-PRESIDENTE, ALICE WEIDEL, AVEVA DETTO CHE LE VIOLAZIONI DELLO SPAZIO AEREO NATO DA PARTE DEI RUSSI SONO “INACCETTABILI”
“A me Putin non ha fatto nulla”. Le parole di Tino Chrupalla, leader dell’ultradestra
tedesca di Afd, pronunciate in uno dei più noti talkshow del Paese, stanno sollevando una bufera in Germania, facendo litigare perfino il partito.
Non tutti i colleghi di Alternativa hanno infatti apprezzato la linea espressa dal numero uno, che da Markus Lanz, sulla Zdf, si è lasciato andare a considerazioni più che controverse, rispondendo alle domande sui rapporti con la Russia. Anche se Alice Weidel si è sforzata di ricomporre, mostrandosi disposta a continuare a collaborare con un comunicato congiunto, diffuso nella mattinata di oggi.
Durante il talk show, Chrupalla ha sostenuto di “non vedere alcun pericolo dalla Russia, per la Germania”, e si è spinto ad affermare che “tutti i Paesi possono rappresentare un rischio”, citando ad esempio la Polonia, che si rifiuta di istradare l’ucraino sospettato di aver attaccato Nord Stream.
Al giornalista che gli contestava che alcuni politici di Afd intendano incontrare l’ex presidente Medvdev, che ha più volte minacciato l’Europa e la Germania, Chrupalla ha risposto poi: “ogni Paese ha il suo Kiesewetter”, facendo un paragone con il deputato della Cdu, che si occupa di politica della sicurezza. E quando il conduttore, Lanz, gli ha chiesto se intendesse sul serio
paragonare il mastino di Putin al parlamentare cristiano-democratico, Chrupalla ha insistito, affermando che entrambi facciano “propaganda”.
Che la linea non sia univoca sulla Russia, nei vertici del partito, è emerso già settimane fa, quando Weidel sostenne che Putin “a un certo punto e da qualche parte” dovesse “iniziare a muoversi”, ammettendo di ritenere inaccettabili le violazioni dello spazio aereo della Nato.
Fatti che invece Chrupalla mette continuamente in dubbio, ripetendo: “non ci sono prove”. Weidel ha criticato anche il viaggio programmato dai delegati di Afd in Russia: “non capisco che ci vadano a fare”
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