ADDIO A JOE COCKER, MITO DEL ROCK: DA WOODSTOCK A 9 SETTIMANE E ½
AVEVA 70 ANNI… CELEBRE LA SUA VERSIONE DI “WITH A LITTLE HELP FROM MY FRIENDS” DEI BEATLES
Aveva compiuto 70 anni nel maggio scorso: Joe Cocker si è spento oggi, a Crawford, in Colorado, dopo una vita trascorsa cantando.
Il suo agente, Barrie Marshall, ha confermato la notizia data dalla Bbc, e ha dichiarato: «Era semplicemente unico, sarà impossibile riempire il vuoto che lascia nei nostri cuori».
Due giorni fa voci sulla sua morte si erano diffuse sul web, subito smentite: «Non credete a tutto quello che leggete su Internet — aveva fatto sapere il manager — Joe è vivo e sta bene».
Oggi sembra invece che il grande cantante inglese, malato da tempo di un tumore ai polmoni, se ne sia andato davvero.
Gli inizi e le cover dei Beatles
Aveva iniziato la carriera musicale nella sua città natale, Sheffield, all’età di 15 anni, con il nome d’arte di Vance Arnold; la sua prima band gli Avengers, poi i Big Blues (1963), e infine The Grease Band (1966).
Il suo primo singolo la cover dei Beatles“I’ll Cry Instead”, dall’album “A Hard Day’s Night”.
Dopo un qualche successo in Gran Bretagna con il singolo “Marjorine”, la sua fama è scoppiata con la sua versione di “With a Little Help from My Friends”, un’altra cover beatlesiana.
Nel 1969 aveva cantato a Woodstock, e la sua interpretazione del brano di “Leon Russell Delta Lady” era stata un nuovo successo.
I problemi con l’alcol e il grande successo
All’inizio degli anni settanta la sua carriera si bloccò per una serie di problemi soprattutto legati all’abuso di alcol; Cocker ritornò però prepotentemente a scalare le classifiche nella seconda metà degli anni ottanta, con la sua versione di “You Can Leave Your Hat On”, scritta da Randy Newman, dal film 9 settimane e ½. Di inizio decennio il duetto “Up Where We Belong”, (brano scritto da Buffy Sainte-Marie e Will Jennings) e cantato con Jennifer Warnes dal film “Ufficiale e gentiluomo”, Oscar per la miglior canzone); più in là nel tempo arriveranno “Unchain My Heart”, “When the Night Comes”, “N’oubliez jamais”.
Gli ultimi dischi
Nel 2010 un nuovo album “Hard Knocks”, il primo di inediti dopo otto anni, è prodotto da Matt Serletic. Cocker e Serletic tornano a lavorare insieme due anni dopo con “Fire It Up”.
La sua interpretazione aveva un’intensità fisica, spesso presa in giro da John Belushi nei suoi spettacoli: al Saturday Night Live ci fu anche un indimenticabile duetto improvvisato tra di loro, in una puntata in cui Cocker era ospite.
I suoi ultimi concerti risalgono al 2011 e pochi giorni fa, il 17 dicembre, dal palco del Madison Square Garden l’amico Billy Joel aveva parlato di lui, dicendo che non stava bene e che sarebbe stato bello e giusto farlo entrare in extremis nella Rock and Roll Hall of Fame.
Il desiderio non è stato esaudito, però ci è entrato Ringo Starr, che cantò la prima versione della canzone che rese celebre Cocker, ovvero “With Aa Little Help fron My Friends”.
Premi e collaborazioni
Vincitore del Grammy nel 1983, con «Up where we belong», nel 2007 era anche stato nominato membro dell’Order of British Empire, dedicato a chi eccelle in genere nelle arti e consegnato direttamente dalla regina Elisabetta II. Cocker vantava collaborazioni con i più grandi artisti mondiali, anche con l’italiano Eros Ramazzotti, in particolare per la canzone «That’s all I need to know», inserita nell’album «Eros Live» del 1998.
UN RICORDO
Era il santo protettore di ogni addio al celibato o al nubilato, di ogni apparizione in tv di starlette grandi forme, di ogni rimpatriata tra amiche trash per l’8 marzo.
Lui che voleva solo cantare il blues bevendo birra finchè il suo enorme ventre glielo permettesse, lui che era stato una delle immagini simbolo dell’orgia di musica, pace & amore di Woodstock, lui che con la sua voce ci potevi arrotare la lama del coltello, sarà irrimediabilmente ricordato per “You can leave your hat on”, la canzone scritta da Randy Newman per il film 9 settimane e ½.
SUL PALCO DI WOODSTOCK
C’è poco da fare: Kim Basinger che si spogliava dietro le veneziane per quel malizioso di Mickey Rourke (che prima degli eccessi e della chirurgia plastica era uno che la sua porca figura la faceva persino con una come la Basinger) era un’immagine troppo forte per non imprimere nel subconscio di intere generazioni quelle note ammiccanti.
La tragica deriva che ha portato a milioni di spogliarelli casarecci accompagnati da quell’introduzione di ottoni (para-para-pa-pà / para-para-pa-pà ) non è ovviamente imputabile al genio musicale di quell’ugola di cartavetro.
LA VOCE DI 9 SETTIMANE E ½
Joe Cocker era, a dire il vero, la cosa più lontana dal glam che si potesse immaginare. Bello non era, rivoluzionariamente irsuto sì.
Esplose cantando a Woodstock la sua (indimenticabile, questa sì) versione di “With a little help from my friends” dei Beatles.
Graffiante, sporco, ribelle, terribilmente ubriaco. Questo era il Joe Cocker emblema degli anni Sessanta e Settanta.
Tanto da diventare oggetto di una celebre imitazione di John Belushi, con tanto di duetto (finito stramazzando a terra) tra i due.
Dopo la fama la caduta, poi la risalita con Kim Basinger, poi la ricaduta.
Ma ancora molta musica dal vivo e un successo internazionale come “Unchain my heart”.
Se ne va oggi a 70 anni, strappato alla vita dal cancro.
Sarebbe bello ricordarlo eccessivo e meraviglioso sul palco di Woodstock, non dietro le veneziane.
Alberto Infelise
(da “La Stampa”)
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