ANTONIO DI PIETRO CRITICO VERSO L’INCHIESTA DEI MAGISTRATI MILANESI: ”NON E’ LA NUOVA TANGENTOPOLI. NOI CERCAVAMO I SOLDI, QUI NON CI SONO”
“E’ UNA PESCA A STRASCICO. PER COSTRUIRE GRATTACIELI A MILANO NON TI PUOI AFFIDARE A UN GEOMETRA DI CANICATTI’”
Antonio Di Pietro dice che l’indagine sull’urbanistica a Milano non è la nuova Tangentopoli. E che «non si può buttare via il bambino con l’acqua sporca». Perché se il bambino possono essere reati veri, «se ci sono», l’acqua sporca «rischia di diventare lo sviluppo di Milano».
L’ex pubblico ministero e ministro delle Infrastrutture di Romano Prodi parla con il Foglio dell’inchiesta che coinvolge il sindaco Giuseppe Sala. «È il metodo a lasciarmi perplesso. Mi pare l’ennesima inchiesta fondata sul metodo della pesca a ù
strascico. Non si indaga su un reato, ma su un intero fenomeno», sostiene con Salvatore Merlo.
La differenza
La differenza con Mani Pulite è che «all’epoca noi cercavamo chi prendeva i soldi, chi incassava vantaggi tangibili. La bustarella, il conto all’estero, il bonifico svizzero. Oggi forse, più semplicemente, quella consulenza è invece una reale necessità. Perché per costruire i grattacieli di Milano non ti puoi affidare a un geometra di Canicattì. Ma a chi quel lavoro lo sa fare, perché l’ha già fatto e lo fa continuamente».
La metafora della pesca a strascico si usa per un’indagine che non colpisce in profondità: «Ricevi una denuncia, magari vaga, magari fatta da qualcuno che si lamenta perché gli hanno messo un vaso di fiori sotto casa. E da lì parte un’indagine a tappeto, enorme, su tutto e su tutti: le opere pubbliche, i cantieri, i costruttori, gli incarichi, le consulenze…».
La maionese
Il rischio, spiega l’ex pm, è la maionese. «Che si mescola con i giornali, con l’opinione pubblica tenuta sulla garitta, con le trasmissioni televisive costruite sullo stesso schema del processo di Biscardi». Di Pietro fa un paragone con Genova e Garlasco: «A Genova abbiamo visto una cosa simile a quella di Milano. Un’indagine che ha portato alle dimissioni del presidente della regione Giovanni Toti e alla caduta della giunta, prima ancora che si arrivasse a processo. E Garlasco è il modello più
inquietante, se vogliamo. Il processo mediatico che prende il sopravvento su quello penale. Si creano percorsi paralleli, si costruiscono colpevoli a tavolino. E alla fine non si capisce più niente».
Su Sala indagato, dice Di Pietro, «io aspetto di vedere che prove hanno. Gli contestano l’induzione indebita a dare o promettere utilità. Ma bisogna chiedersi: questa utilità era per lui? O era per la città? Perché se un sindaco fa qualcosa per portare a casa un risultato pubblico, non vedo dove stia il reato. Se poi affidare una consulenza a uno che ha già lavorato col comune diventa una colpa, allora, lo ripeto, chi si dovrebbe chiamare? Il geometra di Canicattì per costruire i grattacieli?».
La cultura del no
E conclude: «Attenzione alla cultura del ‘no a prescindere’. Alla criminalizzazione dell’impresa e dello sviluppo. E’ lo stesso fenomeno che vuole bloccare la Tav, che ha ostacolato il Tap, che ha detto no all’alta velocità a Firenze. Quella non è onestà, è regresso. Poi meno male che oggi l’alta velocità ce l’abbiamo, e pure il gasdotto dalla Puglia. Ma nel frattempo quanti danni abbiamo fatto? Io capisco che si debba vigilare. E’ giusto. Ma bisogna anche sapere che una città non può vivere nel terrore del sospetto. Fate i processi, ma non bloccate Milano. Milano è l’unica città italiana che compete davvero con le capitali europee. E’ la metropoli più occidentale d’Italia. Fermarla sarebbe un suicidio nazionale».
(da agenzie)
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