BENIGNI, IL BRAVO MAESTRO DELL’ITALIA SMARRITA
NEL PAESE IN CUI SI SONO PERDUTI I SILLABARI RIEMERGE LA FIGURA DEL MAESTRO
Basta la consumata tecnica dell’evento annunciato che accompagna ogni apparizione televisiva di Roberto Benigni per spiegare il boom di ascolti delle due serate dedicate ai Dieci comandamenti? Certo che no.
Non solo la sua metamorfosi — l’irresistibile, incontenibile comico di una volta non esiste più — non ha intaccato il successo, ma anzi questo successo immutabile si spiega anche con il cambio di identità .
Benigni è stato il giullare di un’Italia che aveva più voglia di ridere, e soprattutto di trasgredire. Ora è diventato un’altra cosa. O meglio, ha tirato fuori dalla soffitta della memoria collettiva qualcosa che credevamo non esistesse più: il maestro.
Non il guru, l’esperto, il giudice, il professorone o il causidico: di quelli sono pieni i talk show (di cui è piena la Tv).
Chi invece è in via di estinzione è il maestro elementare del libro Cuore, quello che insegnava le cose fondamentali della vita con il sillabario e il sussidiario, il primo formatore di un bimbo spesso destinato a essere anche l’ultimo.
La Rai Tv ne ha avuto uno appena nata, l’indimenticabile maestro Manzi di Non è mai troppo tardi, poi più niente. Fino a Benigni. Che a un certo punto della sua carriera ha smesso di prendere in braccio Berlinguer e di stoccacciare la calzamaglia della Carrà per prendere in mano i fondamentali dei vecchi maestri.
La Divina Commedia, la Costituzione, adesso addirittura l’Esodo.
Ha fatto davvero come si faceva una volta: si è preparato, ha studiato e poi ha spiegato i comandamenti uno per uno, con dovizia di dettagli storici, per raccontare quale rivoluzione fossero stati nel mondo di tremila anni fa.
Tutto con il linguaggio semplice, colloquiale e affettuoso del maestro elementare.
È stato un successo sia perchè la metamorfosi è riuscita (sia detto da uno che preferiva di gran lunga il primo Benigni , briccone divino), sia perchè in quest’Italia superalfabetizzata, superdigitalizzata e superomologata abbondano diplomi e master, ma si sono perduti i sillabari, e soprattutto chi è in grado di spiegarceli.
Non per nulla, secondo un sondaggio di Demopolis appena commissionato dal Corriere della Sera, solo tre italiani su dieci affermano di ricordare tutte le regole delle Tavole della Legge.
Così, voltando le spalle all’attualità , Benigni — che aveva già interpretato un maestro elementare in un profetico film di Marco Ferreri, Chiedo Asilo del 1979 — si è ritrovato a essere forse più necessario di prima.
La vera svolta è poi iniziata con l’Oscar ottenuto con La vita è bella, il film in cui Benigni si scopriva papà e al tempo stesso maestro per tremende cause di forza maggiore; da quel momento ha iniziato a fare lo stesso con il grande pubblico televisivo, incontrandosi a metà strada con il servizio pubblico.
È interessante notare come negli anni Zero i due più maggiori talenti comici abbiano separato le loro strade prendendo direzioni opposte.
Beppe Grillo è sceso nella trincea della militanza politica, Benigni è risalito fino all’Empireo dei valori, dove morale laica e religiosa si incontrano.
Uno si consulta con Casaleggio, l’altro con Sant’Agostino.
Cattivismo e buonismo a confronto, entrambi portatori di curiosi effetti collaterali.
Beppe restituisce ai cittadini l’incazzatura della giovinezza, Roberto fa tornare tutti bambini, quando prima di andare a nanna non c’è niente di meglio dell’avere imparato qualcosa davanti alla Tv; la voglia di ridere, e di irridere, arriverà più tardi, dopo avere vinto la paura del buio. Forse è questo il piccolo, grande segreto dell’ex piccolo diavolo Roberto Benigni.
Nanni Delbecchi
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