BERLUSCONI: “ALFANO LASCI IL POSTO AL VIMINALE†MA LETTA CHIUDE LA PORTA ALLA STAFFETTA
IL CAVALIERE LANCIA FITTO (UN CONDANNATO), LE ALTERNATIVE SONO SCHIFANI E ROMANI
Berlusconi non si arrende alla decadenza da senatore, punta i piedi e il governo di nuovo finisce ostaggio e vittima della “trattativa”.
Per il Cavaliere ormai è una questione di vita o di morte, tanto che i falchi — silenziati per un po’ dopo la disfatta del 2 ottobre — sono tornati ieri alla carica contro l’esecutivo.
E ancora una volta il più falco di tutti è Berlusconi: «La finanziaria deve cambiare, la nuova Tarsi — fa filtrare da Arcore — è anche peggio dell’Imu. Così non possiamo votarla, nemmeno con la fiducia».
Una linea che scardina l’accordo faticosamente raggiunto tra il Pd e le colombe del Pdl e manda in fibrillazione l’esecutivo ancora prima che la manovra sia arrivata in Parlamento.
Eppure Berlusconi, almeno finchè non si arrivi al voto in aula sulla decadenza, ha bisogno di tutta la forza disponibile e di un partito unito.
Così, per congelare la guerra interna tra “lealisti” e “innovatori”, da un paio di giorni è iniziata a circolare un’ipotesi di riassetto dei poteri che metta pace tra le due fazioni.
Angelino Alfano, a patto di restare vicepremier e, soprattutto, effettivo numero due di Forza Italia (con poteri non ornamentali), avrebbe infatti espresso la sua disponibilità a dimettersi dal Viminale.
«Quella è una poltrona che scotta – riflette del resto un fedele alfaniano – e con la manifestazione di sabato per fortuna è andato tutto bene. Ma poteva anche andare diversamente: serve qualcuno che stia al ministero 24 ore su 24».
Se Alfano lasciasse, l’idea del Cavaliere sarebbe quella di una “staffetta” interna al Pdl, anche per dare rappresentanza a quella parte del partito cheora a livello ministeriale è del tutto scoperta.
Così un “lealista” o un mediatore andrebbe al ministero dell’Interno – magari Renato Schifani, oppure Paolo Romani visto che Raffaele Fitto ha una condanna in primo grado – e il cerchio sarebbe chiuso con il rientro della superberlusconiana Michaela Biancofiore come sottosegretario.
Una soluzione che si scontra tuttavia con la netta opposizione di Enrico Letta all’idea di mettere mano alla squadra di governo.
Il premier infatti teme che spostando anche solo una casella possa venire giù tutto. Già dentro Scelta Civica i parlamentari montiani, che sono in maggioranza, chiedono la testa del ministro Mario Mauro «perchè non ci rappresenta più».
Andare a toccare il Viminale per Letta, ma anche per Napolitano, sarebbe un volo senza paracadute.
Senza contare che lo scontro interno al Pdl è lungi dal trovare una soluzione concordata. Al momento i “lealisti” sono infatti all’offensiva su tutti i fronti, in particolare reclamano a gran voce che tutti i poteri vengano tolti ad Alfano e passati al Cavaliere.
«Noi – ha dichiarato ieri sera Raffaele Fitto a Che tempo che fa – abbiamo un obbligo morale che è quello di metterci intorno alla figura di Berlusconi e con lui ripartire. Lui deve riprendere in modo pieno il Pdl. Non immagino che Alfano non possa non condividere. Oggi la priorità è ridare l’idea unitaria di partito intorno al Cavaliere senza richieste personali».
E tuttavia Alfano ha già messo in chiaro con lo stesso Berlusconi che lui non intende fare alcun passo indietro o avallare alcun azzeramento di cariche senza garanzie sul futuro e sulla linea di sostegno pieno al governo.
La richiesta degli “innovatori” è quella di procedere con la nascita di Forza Italia tenendo Berlusconi come presidente (carica onoraria) e Alfano come vice (con le deleghe operative). Ma su questo è stallo totale, tanto che l’ufficio di presidenza che avrebbe dovuto dare il via libera al passaggio da Pdl a Forza Italia non è stato nemmeno convocato.
Non è chiaro come far fluire i finanziamenti pubblici, nè come avere certezze che il Ppe non sollevi obiezioni.
Anzi, persino su quale debba essere l’organismo deputato a sancire il “trapasso” del Pdl la nebbia resta fitta.
Gli esperti si sono infatti accorti che, da statuto, dovrebbe riunirsi il Consiglio nazionale.
Ma quell’organismo – costituito da centinaia di membri di diritto – è stato convocato talmente raramente che nessuno ha la certezza di cosa possa accadere una volta che sia chiamato a votare il passaggio da Pdl a Forza Italia.
Tanto più che una norma impone una maggioranza dei 2/3 dei consiglieri per le modifiche statutarie.
Un quorum che ormai nemmeno Berlusconi, a meno di un accordo interno fra le correnti, appare più in grado di raggiungere.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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