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ALASSIO, IL TRACOLLO DELLA SEZIONE: DAI 500 ISCRITTI PCI AI 9 VOTANTI PD

Ottobre 29th, 2017 Riccardo Fucile

“ANNI DI GRANDE PARTECIPAZIONE, ORA TANTA AMAREZZA PER CIO’ CHE RESTA”

C’era una volta la sezione del Pci di Alassio che contava oltre 500 iscritti; erano soprattutto operai, e come avveniva in quegli anni – dai ’50 ai ’70 – grazie alle sottoscrizioni di militanti e simpatizzanti il partito potè anche comprarsela.
Nei giorni scorsi nel comune in provincia di Savona si è tenuta l’assemblea per il congresso provinciale del Pd e i partecipanti sono stati 9 (nove).
Altri tempi, si dirà ; epoche che finiscono, certamente; ma «resta l’amarezza vedendo appunto cosa rimane, cioè nulla – ragiona Pino Ghisalberti, una vita nella Fgci e poi Pci – Abbiamo vissuto anni di grande partecipazione, le feste dell’Unità  duravano 15 giorni, c’erano idee ed entusiasmo. Adesso?».
Il Pci era capace di conquistare oltre il 30 per cento dei consensi, il dualismo con i socialisti era forte (il Psi veleggiava ampiamente sopra il 10 per cento) e comunque rimanevano vivi i gruppi della nuova sinistra: prima Psiup e Manifesto, poi Democrazia proletaria e verdi.
E oggi? «Non è facile essere di sinistra ad Alassio – quasi si sfoga Jan Casella, impegnato nella creazione di una lista civica per le elezioni del 2018 – siamo diventati un territorio privo di partiti, privo di fabbriche».
La crisi del Pd, invece? «Quando la giunta di destra guidata da Enzo Canepa fece la famosa ordinanza razzista contro i migranti che avrebbero portato delle malattie (fu anche condannato dalla magistratura, ndr ), il Pd non fece una piega…», continua Casella.
Storicamente i partiti della sinistra, soprattutto negli anni ’90, hanno dato poco peso all’estremo Ponente ligure utilizzandolo al massimo come portatore di voti per i candidati “di spicco” solitamente savonesi, senza dare vita a progetti concreti e alternativi al centrodestra imperante
Oggi essere di sinistra ad Alassio «vuol dire battersi per far sì che il paese sia popolato – ragiona Casella – e questo può avvenire solo con un turismo, la nostra unica industria, sostenibile e moderno, che sappia dare lavoro di qualità  ai residenti, puntando sul turismo alberghiero rispetto a quello della seconda casa. Essere di sinistra ad Alassio vuol dire garantire servizi di qualità  a tutti i cittadini, frazioni comprese, cosa che il centrodestra ha totalmente trascurato in questi anni. Vuol dire difendere la collina dalla speculazione edilizia, e puntare su una rivalutazione del verde».

(da “La Repubblica”)

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VISCO TIRA DENTRO RENZI

Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile

IL PD APRE LA BATTAGLIA SU BANKITALIA, IL GOVERNATORE EVIDENZIA LE RESPONSABILITA’ DEL GOVERNO RENZI, INTERVIENE MATTARELLA

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ritiene che le prese di posizione riguardanti la Banca d’Italia “debbano essere ispirate a esclusivi criteri di salvaguardia dell’autonomia e indipendenza dell’Istituto nell’interesse della situazione economica del nostro Paese e della tutela del risparmio degli italiani”.
È quanto rende noto l’agenzia Reuters, che cita fonti del Quirinale.
Questi principi, spiega la stessa fonte, devono “attenersi l’azione di tutti gli organi della Repubblica, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo”. Oggi la Camera ha approvato una mozione, presentata dal Partito democratico, che chiede una “fase nuova” a palazzo Koch.
Il Pd, si legge nella mozione, impegna il governo “ad adottare ogni iniziativa utile a rafforzare l’efficacia delle attività  di vigilanza sul sistema bancario ai fini della tutela del risparmio e della promozione di un maggiore clima di fiducia dei cittadini individuando a tal fine, nell’ambito delle proprie prerogative, la figura più idonea a garantire nuova fiducia nell’Istituto”.
I voti a favore del documento di indirizzo, approvato dall’aula della Camera, sono stati 213, 97 i contrari, 99 le astensioni.
Ad astenersi sono stati i deputati di Fi e Mdp; contro si sono invece espressi quelli di Si, M5S e Fdi.
“Sulla persona il Pd non entra ma sulla questione Bankitalia serve una fase nuova”, spiega il portavoce del Pd, Matteo Richetti.
“La mozione il Pd non entra nel merito” delle persone, la decisione di confermare o meno Visco compete al governo e al premier, argomenta Richetti. La mozione “non è una indicazione ma il Pd non può sottrarsi ad un giudizio, serve aprire una fase nuova”, aggiunge.
La difesa di Bankitalia: “Agito in contatto con il governo, Visco disponibile a essere audito”
“Nella sua azione l’Istituto ha agito in continuo contatto col Governo”. E’ quanto riferiscono ambienti della Banca d’Italia dopo la mozione presentata dal Pd in Parlamento secondo cui l’istituto “fa interamente il suo dovere nelle diverse funzioni che svolge, applicandovi competenza e coscienza. In particolare nella vigilanza bancaria, in questi anni segnati dalla più grave crisi economica della storia moderna d’Italia, ha difeso il risparmio nazionale limitando i danni. Questi non potevano non esserci, data la gravissima condizione dell’economia”.
“La Banca d’Italia sottometterà  ogni documento rilevante per i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta e il Governatore Ignazio Visco è pronto a essere ascoltato dalla Commissione quando essa vorrà “, riferiscono ambienti della Banca d’Italia.
Renzi: “Il Pd non è responsabile del passato”
“Non ho un ruolo in questa vicenda. Nessuna invasione di campo del Pd. Il compito è del premier, lui farà  le considerazioni opportune, c’è un iter. Oggi Il Pd non ha messo in discussione il rispetto istituzionale. La mia opinione sul passato l’ho scritta nel libro. Quello che è certo è che il Pd non è responsabile di quanto accaduto in passato”. Lo ha detto il leader del Pd, Matteo Renzi, ai microfoni di Radio 105.
Bersani: “Non si può buttarla in piazza così”
La mozione del Pd “è fuori da ogni logica, non puoi buttare in piazza la Banca d’Italia così. Quando vedo il partito di maggioranza fare una mozione così, cominciamo a essere fuori come un balcone”. Così Pier Luigi Bersani dopo il voto sulla mozione, spiegando che Mdp ha votato “in bianco” perchè “il Parlamento può e forse dovrebbe prevedere in meccanismo di nomina che coinvolga le commissioni magari con maggioranze qualificate” ma “finchè c’è un’altra procedura, se c’è un minimo di senso delle istituzioni dobbiamo rispettarla”.
La mozione Pd
La nomina dell’attuale governatore, scrive il Pd nella mozione, ‘risale al novembre del 2011 ed è, pertanto, imminente l’obbligo di procedere al rinnovo della carica che, ai sensi dell’articolo 19, comma 8, della legge 28 dicembre 2005, n.262, è disposta con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia; si tratta di una scelta particolarmente delicata in considerazione del fatto che l’efficacia dell’azione di vigilanza della Banca d’Italia è stata, in questi ultimi anni, messa in dubbio dall’emergere di ripetute e rilevanti situazioni di crisi o di dissesto di banche, che a prescindere dalle ragioni che le hanno originate – sulle quali si pronunceranno gli organi competenti, ivi compresa la Commissione d’inchiesta all’uopo istituita – avrebbero potuto essere mitigate nei loro effetti da una più incisiva e tempestiva attività  di prevenzione e gestione delle crisi bancarie’.
Nel testo della mozione si rileva inoltre che ‘le predette situazioni di crisi o di dissesto hanno costretto il governo e il Parlamento ad approvare interventi straordinari per tutelare, anche attraverso l’utilizzo di risorse pubbliche, i risparmiatori e salvaguardare la stabilità  finanziaria, in assenza dei quali si sarebbero determinati effetti drammatici sull’intero sistema bancario, sul risparmio dei cittadini, sul credito al sistema produttivo e sulla salvaguardia dei livelli occupazionali”.

(da “Huffingtonpost“)

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IL PD LICENZIA I SUOI DIPENDENTI E IL TESORIERE NEPPURE SI PRESENTA

Ottobre 17th, 2017 Riccardo Fucile

POLEMICHE NEL PD PER COME E’ STATA GESTITA LA CASSA INTEGRAZIONE… BONIFAZI LATITANTE DURANTE LE TRATTATIVE

La cassa integrazione è iniziata   il 1 settembre, ma siamo già  alle ondate polemiche e alle lotte intestine.
Insomma il Partito democratico, come nella più solida delle sue tradizioni, si arma contro se stesso.
Un pezzo in polemica con l’altro: stavolta, addirittura, i lavoratori versus   i datori di lavoro, roba notevole visto che parliamo degli eredi del Partito comunista.
L’ultima è la lettera sottoscritta da una sessantina di dipendenti, la metà  di quelli entrati in cassa integrazione (che sono 121, mentre altri 63 ora distaccati si aggiungeranno a fine legislatura), nella quale si chiede al partito
di «cambiare rotta». In pratica:   i vertici ci mettano la faccia in modo «corale formale e pubblico”, si racconti quale è il piano di rientro, si avvii «un reale coinvolgimento dei lavoratori». Tutta roba che, a quanto pare, non c’è stata.
Nel mirino c’è Francesco Bonifazi, 41 anni, renziano da sempre e tesoriere del partito, accusato di assoluto disinteresse per la questione. Raccontano che quest’estate
alla trattativa non ci fosse, tanto addirittura da provocare stupore al ministero del Lavoro («è la prima volta, in casi così, che il tesoriere manca»), la sua firma nemmeno figura sull’accordo.
Naturalmente Bonifazi controargomenta di aver fatto   il necessario, che sbagliano gli altri. Ma l’aria che tira, mescolata alla tendenza renziana (via via più spiccata) di appaltare all’esterno – società , consulenze e altri contenitori – pezzi anche importanti dell’attività , come nella comunicazione, fanno temere a taluni che il licenziamento dei dipendenti sia dietro   la porta.
Senza troppi complimenti.

(da “L’Espresso“)

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I PARTITI A SINISTRA DEL PD PERDONO UN PUNTO A SETTIMANA NEI SONDAGGI

Ottobre 15th, 2017 Riccardo Fucile

SONDAGGIO SWG: A SINISTRA DEL PD CALANO TUTTI, MA IL 66% VUOLE L’UNITA’

I partiti alla sinistra del Partito Democratico perdono un punto a settimana nei sondaggi di SWG, che oggi ne parla sul Messaggero in un articolo a firma di Enzo Risso, direttore dell’istituto di sondaggi.
E nell’area di sinistra la posizione di Pisapia, che prevede una formazione ampia di centrosinistra senza chiudere al PD, è quella più popolare rispetto a Speranza, che vuole costruire un’alternativa al renzismo e non vuole allearsi con il Partito Democratico.
Di più: sempre secondo SWG, La decisione di Mdp di sancire l’allontanamento da Giuliano Pisapia, non è stata salutata positivamente dall’opinione pubblica (il 22% dà  ragione a Speranza e il 44% a Pisapia) e non è del tutto condivisa neanche dagli elettorati di riferimento (il 40% degli elettori Mdp si schiera con l’ex sindaco di Milano).
La base del centrosinistra, al fondo, non si è arresa all’idea della divisione. La spinta unitaria resta forte e coinvolge il 57% dell’elettorato di riferimento.
In particolare si dice favorevole a una coalizione unitaria il 75% degli elettori Pd.
Su questa posizione sono schierati anche il 50% degli elettori di Mdp (con il 44% che è contrario), il 74% dei supporter dell’ex sindaco di Milano e il 49% degli elettori di Sinistra Italiana (con il 40% contrario).
Il 66% degli elettori di centrosinistra voterebbero una lista della coalizione anche se non gradiscono Renzi.
I partiti alla sinistra del PD quindi si trovano di fronte a un bivio, che non ha facile soluzione: anche perchè uno degli argomenti su cui più spingeranno i politici in questa campagna elettorale sarà  il voto utile, ovvero quello dato al partito che può vincere invece che a quello che rischia di trovarsi dopo le elezioni fuori dal parlamento.
O accettano in qualche modo un patto con Renzi, magari fatto di una desistenza nei collegi uninominali, oppure rischiano di fare la fine della formazione di Ingroia nel 2013.

(da “NextQuotidiano”)

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“ARIDATECE WALTER”: VELTRONI SI PRENDE LA SCENA

Ottobre 14th, 2017 Riccardo Fucile

FESTA DEM SENZA PHATOS E PARECCHI ASSENTI, MA E’ STANDING OVATION PER L’EX SEGRETARIO CHE VOLA ALTO

“Aridatece Walter”, urla il militante seduto su un gradino della prima balconata, dopo l’applauso, caldo, uno dei tanti, alla prima curva della memoria: “Il Pd nacque con dieci anni di ritardo, doveva essere la naturale prosecuzione e il naturale proseguimento della stagione dell’Ulivo”.
Veltroni è sul palco del Teatro Eliseo, in questo decennale del Pd, disertato da mezzo partito, ulivisti, prodiani, minoranze varie: “Vorrei — dice – che il nostro sguardo si alzasse, come se volasse, sulla polvere delle zuffe quotidiane, sopra i rivoli di odio e le bave di intolleranza, su frastuono delle urla e la miseria di passioni senza motivazioni”.
In prima fila parecchi ministri, dall’aria quasi smarrita di chi è in scadenza. E gli tocca andare a una cerimonia. Poletti che arriva tenendo la mano alla moglie, l’apprezzatissimo Minniti. Poco più in là  Maria Elena Boschi, irresistibile per i fotografi, nei panni della donna-bandiera: scarpa di vernice rossa, pantalone bianco, camicetta di seta verde. Accanto Francesco Bonifazi, al solito sbottonato di tre bottoni, petto villoso di fuori.
Walter cita Prodi, quel governo “il migliore della storia della Repubblica” dove sedevano Ciampi e Napolitano, Andreatta, poi caduto a causa di “massimalismo e divisioni”.
Parla divinamente, a una platea abituata al circo quotidiano: parole profonde, colte, non schiacciate dal presente.
A proposito: che applauso quando dice che la città  delle Fosse Ardeatine non deve conoscere “l’onta di una marcia celebrativa delle camice nere”.
“Aridatece Walter” urla il militante, perchè il suo discorso è una favola bella che rimuove frizioni, rotture, odi, rancori di questi anni.
E in fondo è una favola bella in quanto rimuove frizioni, rotture, odi e rancori di questi anni. Innominato Renzi, evocato Giorgio Napolitano come ministro dell’Interno di allora, non colui che tre giorni fa ha preso a picconate la forzatura della fiducia sulla legge elettorale, ringraziato Prodi di vent’anni fa, non quello di oggi.
Discorso alto, sui principi, sui valori, sulle radici, che delinea un Pd, il “suo”, quello delle origini, quello che ha mobilitato di più alle primarie, con oltre 3 milioni di votanti e che prese, nel 2008, più di Renzi alle Europee.
Anche se perse con Berlusconi, altra rimozione. Sia come sia un Pd, inclusivo, che parte da sinistra per allargare, non dal centro per rompere a sinistra, diverso dall’esistente “ma anche” utile qualora Renzi volesse ritrovare un senso smarrito: la vocazione maggioritaria che non è “autosufficienza o splendido isolamento”, nè partito della Nazione: “Le alleanze — dice Veltroni — si fanno prima e le si fa giudicare dagli elettori. Alleanze che io spero che il Pd faccia”.
L’altra speranza è non abbandonare la cultura dell’alternanza e cedere all’inciucio e ai rigurgiti proporzionalisti, i governi “decisi dai partiti e non dagli elettori”.
L’empatia scatta, con una sala molto diversa dalla grande bellezza dei tempi che furono, quando a Roma il Pd, in queste occasioni coinvolgeva potere e popolo: boiardi di Stato, signore dei salotti, imprenditori, accanto al precario, al vecchio militante testaccino che appeni arrivi ti mostra le tessere del Pci.
All’Eliseo manca mezzo Pd, in questo compleanno con poco pathos, a partire dalla minoranza di oggi, di Orlando e Cuperlo.
Non si vedono neanche Orfini e altri pezzi importanti del gruppo dirigente. C’è Piero Fassino, Dario Franceschini, Marianna Madia, eleganza sobria, senza note appariscenti. Della vecchia guardia Franco Marini: “È una festa, oggi è una festa”, dice all’uscita, rispondendo alla famosa domanda “come ti è sembrato”.
Renzi dal palco ringrazia “Walter”, cita quel Pd, quelle primarie, così, come un omaggio alla memoria.
Quando qualcuno si prende la scena, il segretario non dà  il meglio di sè. E lascia cadere l’invito alle alleanze, ma anche il vero passaggio politico del fondatore: “Paolo e Matteo — aveva detto Veltroni – mi piacerebbe che questa legislatura si concludesse, fate quel che è necessario, con l’approvazione dello ius soli”.
È il punto, perchè non è una norma a costo zero, soprattutto se uno ha come strategia la rincorsa dei voti a destra. E le larghe intese dopo il voto, con un sistema elettorale che le rende inevitabile. In sala un vecchio compagno ricorda Mitterandt: “Nell’81 gli portarono un sondaggio sulla pena di morte. La maggioranza dei francesi era favorevole e lui era in corsa per le presidenziali. Fece la campagna promettendo comunque l’abolizione, perchè se una battaglia è giusta un leader la fa. Vinse e l’abolì. Sullo ius soli bisognerebbe fare così”.
Aleggia un fantasma, tra i militanti. Il fantasma di Massimo D’Alema: “Ha fatto più male lui di tutti quanti, compreso Berlusconi” dice un signore. Quello accanto: “Purtroppo è così. L’avversario è lui”. E “quelli che se ne sono andati”.
Conoscendo Renzi, si trattiene sull’argomento. Dice un centesimo di quel che pensa: “Chi va via dal Pd tradisce il popolo, non i leader”. Altro stile, Veltroni, nel suo finale, anche nella polemica: “Come sapete, la mia vita è e resterà  diversa dal passato. Ma ho cercato di dimostrare che si può smettere di avere ogni ruolo e ogni responsabilità  senza per questo volere o fare male alle persone con le quali condividi cose importanti della vita”.
E aggiunge: “Diversa, ma non potrebbe essere, non è mai stata e non sarà , altrove”. Standing ovation. Di quelle che si tributano a una riserva della Repubblica o, comunque, a una riserva della sinistra.
Finita la favola, si torna alla prosa di tutti i giorni. E Veltroni a un nuovo libro che sta per uscire.

(da “Huffingtonpost“)

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PICCOLI RENZI NEWS CRESCONO: LA PAGINA DEL PD DI CASORIA E’ UN CLONE DI QUELLA DI MATTEO RENZI

Ottobre 4th, 2017 Riccardo Fucile

TRA CARD SUI SUCCESSI DEL SEGRETARIO DEL PD E INVITI A CONDIVIDERE: SI COPIA LO STILE DEL M5S

In questi ultimi mesi abbiamo imparato a conoscere lo stile della propaganda di Matteo Renzi News, la pagina dei fan sfegatati renziani che è chiaro essere gestita direttamente da uomini del Partito Democratico.
Ma la comunicazione del PD nell’era renziana si avvale anche di altre pagine, gestite sempre da anonimi fan e sostenitori del Partito Democratico che pubblicano card a tutto spiano per magnificare e ricordare agli elettori i successi e le tante cose buone fatte da Matteo Renzi, da Paolo Gentiloni e dal PD.
È il caso ad esempio di due pagine non ufficiali della galassia Dem come PD 2018 e Democratici 2018.
Le pagine sembrano essere gestite dallo stesso gruppo di persone, che però secondo alcuni non hanno niente a che fare con il PD. Lo stile invece è il quello di Matteo Renzi News, pagina che evidentemente ha definito lo standard della comunicazione renziana sui social.
Un Ci sono le schede con i traguardi e i numeri delle misure approvate dal Governo. Ci sono quelle con le citazioni di esponenti del PD. Ci sono gli hashtag come #Avanti o #5StelleCadenti, #Vergogna5Stalle seguiti dall’immancabile — e perentorio — “metti like e condividi” d’ordinanza.
Così come per Matteo Renzi News anche PD 2018 ha una grafica ben precisa e curata. Insomma non siamo di fronte ad un gruppo di attivisti senza arte nè parte.
Le card hanno tutte la stessa impostazione grafica a seconda che si tratti del genere “successi del PD”, “citazioni di parlamentari e politici” o “critiche agli altri partiti”. Quest’ultima categoria è naturalmente la più problematica visto che è difficile criticare un partito politico senza cadere in uno stile becero e urlato.
Fa sorridere ad esempio la scheda dove Sinistra Italiana e Articolo Uno vengono definiti aiutanti della Destra.
Tra gli utenti c’è chi l’ha definita “una cafonata” e chi invece fa notare che sembra proprio “uno slogan da M5S”. Di quelli che si trovano — autoprodotti — nei gruppi come “Fan Club Luigi Di Maio” o “Algoritmo 5 stelle 40% e oltre”. Non proprio esempi di buona comunicazione politica.
Altre, come quella PD AL 40% ITALIA AL 100% fanno direttamente il verso ad alcune card ignorantissime prodotte dagli attivisti e dai simpatizzanti del M5S.
Con l’unica differenza queste ultime, così graficamente sgradevoli, sembrano più reali e veraci rispetto a quelle perfettine fatte dai fan di Renzi.
E qualcuno potrebbe pure malignamente far notare che il PD il 40% l’ha preso, ma al referendum del 4 dicembre.
Altre card invece sono direttamente un calco di quelle pentastellate.
In questa sulle indagini a carico di Virginia Raggi ci sono tutti i leit motiv grillini. C’è il “nessuno ne parla” (quando invece ne hanno parlato tutti) che lascia intendere che i giornali sarebbero tutti dalla parte del M5S.
E c’è il “condividente questa vergogna” la parola d’ordine del gentismo.
La narrativa poi sviluppa la storia del PD che ha preso un’italia a rischio bancarotta a causa di Berlusconi (ma non era il governo Monti?) e che “si è messo in gioco contro tutto e tutti” (anche se per ha governato con i voti di Berlusconi).
Una storia del genere potrebbe andare bene per un eventuale governo composto solo dal M5S, che non a caso da anni ripete il mantra ghandiano “Prima ti ignorano, poi tideridono, poi ti combattono. Poi vinci”.
Non mancano nemmeno post che rivendicano con orgoglio i successi del leader.
Matteo Renzi va a Stanford a tenere un corso? Ecco una bella galleria fotografica di Renzi a passeggio. Ricorda molto la soddifazione dei 5 Stelle quando Di Maio andò a tenere una lezione ad Harvard.
C’è pure il grande ritorno delle donne del PD che “ridono ad una dichiarazione di un politico del M5S”, in questo caso una di “Giggino Di Maio”.
Ma è davvero possibile che dei supporter del PD possano gestire una pagina producendo ogni giorno decine di card e postando continuamente per aggiornare sulla pagina?
Andando un po’ indietro nel tempo si scopre che prima del 4 settembre la pagina si chiamava Partito Democratico Casoria e che ha studiato a lungo lo stile grafico che caratterizza PD 2018 (e del resto basta scorrere le foto profilo per scoprirlo).
Quindi forse è improprio sostenere che si tratta di fan e simpatizzanti che non hanno alcun legame diretto con il Partito Democratico.
Anche perchè le altre due pagine del PD di Casoria, quella del circolo Angelo Vassallo e quella dei Giovani Democratiche, sono ferme dal 2016.
E proprio a Casoria a settembre è esploso un piccolo caso, con gli iscritti che volevano rinnovare la tessera lasciati fuori dalla sede del Partito.

(da “NextQuotidiano”)

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I 16 CONSIGLIERI PD DEL LAZIO RINVIATI A GIUDIZIO PER L’ALLEGRA GESTIONE DEI FONDI AI GRUPPI REGIONALI

Settembre 28th, 2017 Riccardo Fucile

I REATI CONTESTATI SONO PECULATO, ABUSO D’UFFICIO, CORRUZIONE E TRUFFA

Tutti a giudizio i 16 ex consiglieri regionali Pd del Lazio, tra cui l’ex capogruppo e attuale sindaco di Fiumicino Esterino Montino, coinvolti nell’inchiesta sulla gestione dei fondi destinati ai gruppo consiliari.
Lo ha deciso il gup Alessandra Boffi accogliendo le richieste dei pm Alberto Pioletti e Laura Condemi. I reati contestati, a seconda delle posizioni, sono peculato, abuso d’ufficio, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e truffa.
Tra gli altri rinviati a giudizio ci sono Giancarlo Lucherini, Bruno Astorre, Claudio Moscardelli, Francesco Scalia, Daniela Valentini, Marco Di Stefano ed Enzo Foschi. Il processo prenderà  il via il prossimo 22 gennaio davanti ai giudici dell’ottava sezione penale del tribunale per reati che vanno, a seconda delle posizioni, dal peculato all’abuso d’ufficio, dalla corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio alla truffa. I fatti contestati dalla Procura vanno dal 2010 al 2013 e fanno riferimento all’utilizzo dei fondi regionali anche per l’acquisto di servizi in realtà  mai effettuati dalle società  coinvolte, o comunque non riscontrati.
Ad alcuni degli imputati, come nel caso di Moscardelli, viene contestato dalla procura l’abuso d’ufficio per le assunzioni di collaboratori, costate alla Pisana oltre un milione e mezzo di euro, personale che secondo gli inquirenti i consiglieri avrebbero dovuto pagare con i loro contributi e non con quelli del gruppo e che, illecitamente, sarebbe stato ingaggiato, tra il 2010 e il 2012, senza alcuna selezione pubblica.
Ad altri contestato invece il peculato per il denaro concesso ad alcune associazioni. Moscardelli intanto, difeso dall’avvocato Renato Archidiacono, ha assicurato di non aver commesso alcun illecito e ha preannunciato di voler essere giudicato con rito abbreviato, dunque allo stato degli atti.

(da agenzie)

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“LA POLITICA E L’INCUBO DELLA GIUSTIZIA”: CONVEGNO DI FORZA ITALIA? NO DEL PD

Settembre 28th, 2017 Riccardo Fucile

INTERCETTAZIONI? DA ABOLIRE… MAGISTRATURA? POLITICIZZATA… L’URGENZA? RIPRISTINARE L’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE

Le intercettazioni? Vanno abolite. Le carriere dei magistrati? Separate. La magistratura? Chiaramente politicizzata. E la prima riforma da fare dunque quale sarebbe? Semplice: ripristinare l’autorizzazione a procedere per i parlamentari, quella abolita nel 1993 sotto i colpi delle monetine lanciate all’hotel Raphael.
Sembra un dibattito di Forza Italia dei tempi d’oro: Cesare Previti, Marcello Dell’Utri e magari Nicola Cosentino a discutere di come riformare la giustizia, mentre la stessa giustizia si stava occupando di loro.
E invece no: al contrario è il contenuto del surreale convegno andato in scena niente poco di meno che sulla terrazza del Nazareno, la sede del Partito democratico.
Nel giorno in cui il governo di Paolo Gentiloni fa approvare il Codice Antimafia, contestatissimo perchè estende il sequestro dei beni anche ai corrotti, il partito di Matteo Renzi pareggia gli equilibri ospitando un dibattito che già  dal titolo chiarisce verso dove vogliono andare i dem : “Giustizia e politica: l’incubo della Repubblica giudiziaria“.
L’elenco dei relatori, poi, azzera gli eventuali dubbi residui sulla qualità  del confronto: a interrogarsi su un tema tanto cruciale ecco due sopravvissuti alla Prima e Seconda Repubblica, e cioè Luciano Violante e Giuliano Ferrara.
A moderare, invece, c’è l’agguerritissima Annalisa Chirico, sedicente portavoce del garantismo più estremo, che esordisce subito con una doppia gaffe: prima definisce “peso da Novanta” il non certo esile Ferrara, poi fa notare che il manifesto di “Fino a prova contraria” (la sua associazione) “alla parola Luciano Violante è crollato“. Grasse risate e anche qualche scongiuro.
Pronti via ed ecco che l’opinionista pugliese annuncia entusiasta: “Pochi secondi fa Ottaviano Del Turco è stato assolto nel processo bis della Sanitopoli abruzzese. Bene, non c’era associazione a delinquere“.
E la condanna a tre anni e 11 mesi per induzione indebita a dare o promettere utilità ? Niente, sulla terrazza del Pd evidentemente i lanci d’agenzia arrivano monchi.
Il livello è tale che a ristabilire la verità  giudiziaria su Del Turco è addirittura Ferrara: caso più unico che raro.
Niente paura, però: l’ex direttore del Foglio pareggia subito il conto ricordando la stima che lo lega all’ex governatore dell’Abruzzo.
Quindi rispolvera il repertorio di sempre.
Primo: “Non è giusto che la magistratura possa sciogliere parlamenti e far cadere governi“. Quando mai la magistratura ha sciolto parlamenti? Mistero.
Secondo: “Non è possibile che le procure siano privi di vertice: i procuratori devono avocare le inchieste. Chi giudica e chi inquisisce devono fare carriere separate”. Evidentemente Ferrara non sa che i procuratori avocano di continuo inchieste in tutta Italia.
Terzo: “Non esistono intercettazioni pubblicate sui giornali del resto del mondo. Se in Italia questo non si può ottenere, allora bisogna vietare le intercettazioni“.
E in che modo, di grazia?   “Bisogna abolire la pubblicazione delle intercettazioni sui giornali. Si resiste alle campagne sulle leggi bavaglio di Repubblica, del Fatto Quotidiano, di metà  del Corriere della Sera e si fa quel che si deve: punto. E poi loro si conformano.
La legge è la legge ed è uguale per tutti”, è la linea di Ferrara, che da anni vorrebbe vedere le notizie scomparire dai principali giornali italiani.
La discussione si fa monotona, e Chirico prova quindi a stuzzicare Violante: “Ripristino dell’articolo 68 della Costituzione nella sua forma totale: lei è d’accordo, presidente?”.
Il riferimento è per la vecchia autorizzazione a procedere per i parlamentari: per poter indagare su un deputato o un senatore, i pm dovevano chiedere il “permesso” al Parlamento.
È troppo persino per uno come Violante. “C’è stato un abuso dell’articolo 68 negli anni ’60, ’70, ’80. Non credo ci siano le condizioni politiche per ripristinarlo”, dice l’ex presidente della commissione Antimafia, che anche lui ha un chiodo fisso.
Quale? Ma sempre lo stesso: le intercettazioni. “Ricordate il caso del ministro Federica Guidi? Ha dovuto dimettersi per un’intercettazione che non c’entrava niente. Sono cose che ho visto solo in Centro America“, dice Violante quasi inciampando in una battuta involontaria. Era proprio la Guidi, infatti, che intercettata si lamentava col suo compagno Gianluca Gemelli, reo di trattarla come “una sguattera del Guatemala“: uno Stato che per l’appunto si trova in Centro America.
La folla, però, è tiepida.
Chirico pare annoiarsi e allora rilancia: “Presidente Violante, ci sono delle fazioni della magistratura politicizzate, che perseguono scopi politici attraverso i processi?”. Risposta: “Per quello che vedo non c’è dubbio che sia così. Guardando alcune inchieste puoi capire su quali giornali finiranno le intercettazioni e quali giornalisti faranno le interviste a quel magistrato: su questo bisogna intervenire con grande durezza“.
Chi si chiedeva quali fossero le urgenze del Pd in campo di giustizia ora ha le idee chiare: colpire duramente i giornalisti che intervistano i magistrati. Un reato davvero insopportabile.
Finito? Ma neanche per idea.
A Ferrara non par vero di essere stato invitato a casa di quello che — in teoria — dovrebbe essere l’erede del Pci, uno dei tanti partiti in cui ha militato.
E allora ecco che trova il modo di citare addirittura Enrico Berlinguer. “Fu Berlinguer a iniziare la solfa, e il giovane D’Alema continuò la cantilena”.
Di cosa parla? “Diceva che Craxi era l’iniziatore di una mutazione genetica della sinistra. Ecco magari combattere Craxi per via politica andava bene ma farne un ladro mi sembra un po’ troppo”.
Uno si aspetta: ora dalla platea si alza qualche vecchio compagno e spiega a Ferrara che Craxi ladro ci è diventato da solo, che Berlinguer non c’entra niente e che quella che lui definisce “solfa” era la questione morale. E invece niente.
E infatti l’ex direttore del Foglio può chiudere in bellezza: “I tre che hanno indagato su Mafia capitale — dice riferendosi a tre pm — sono uno siciliano, l’altro milanese e l’altro fiorentino: non sanno niente di Roma“.
Che poi sarebbe la stessa tesi di Ippolita Naso, l’avvocato di Massimo Carminati. Forza e coraggio dunque: non è detto che prima o poi sulla terrazza del Nazareno non ci sia spazio pure per il Cecato.
Basterà  aspettare che esca di galera.

(da “il Fatto Quotidiano”)

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E D’ALEMA DISSE: “TI SPACCO LA FACCIA”. LA MUTAZIONE DEL LIDER MAXIMO

Settembre 17th, 2017 Riccardo Fucile

DEL D’ALEMA DI UNA VOLTA NON RIMANE CHE UN RICORDO

«Mi sono tolto gli occhiali, mi sono avvicinato a lui e gli ho detto “ora ti spacco la faccia”».
Il popolo di Sinistra Italiana, accorso giorni fa a Barletta per sentirlo dialogare con Nicola Fratoianni, trattiene per un attimo il fiato.
Pasquale Cascella, suo portavoce ai tempi di Palazzo Chigi e oggi sindaco della città  pugliese, si è appena allontanato per andare a celebrare l’annuale remake della storica Disfida.
È come se la platea percepisse che Massimo D’Alema si sta caricando come una molla per sganciare l’ennesimo fendente della serata. E il gancio, per fortuna soltanto sfiorato, si materializza nelle parole dell’ex premier: «Ogni tanto qualcuno se la prende con me per questo», il riferimento è all’intervento in Kosovo, «o per quell’altro. L’altro giorno a Messina ho incontrato uno che mi ha detto “tu hai consegnato Ocalan alla Turchia”. Io gli ho detto “vieni qua che ti spacco la faccia”. Mi sono tolto gli occhiali…».
Agit-prop
Il dettaglio storico sul leader del Pkk, la prima grana internazionale che piovve sul governo D’Alema nel 1998 («Io non ho consegnato Ocalan, furono i servizi greci che lo diedero a Israele»), è stata la spia di un fenomeno più grande. In pensieri, parole opere e anche omissioni dell’anno 2017 – ma soprattutto nelle parole («Ti spacco la faccia», «Chi dice che la Sicilia è un fatto locale è un idiota», «Renzi mi ha voluto punire col Pse ma io, quando prendo un cazzotto, lo restituisco») – il Lider Maximo ha celebrato la sua definitiva mutazione.
Il politico celebrato fin da bambino da Togliatti, il leader che costruiva i governi a tavolino ricevendo le telefonate del Quirinale nelle pause pubblicitarie dei programmi tv (il governo Dini nacque così, durante una trasmissione di Luciano Rispoli), adesso è diventato un agit-prop. Parla come il popolo, si rivolge direttamente al popolo.
«Ceto politico»
E non è mica soltanto una questione di oratoria. No. Del D’Alema che duellava con gli avversari più (Veltroni) o meno (Prodi) interni contrapponendo il suo «pugno del partito» alla loro popolarità  nella «società  civile» non rimane che un ricordo sbiadito.
Basti pensare che, per esempio sulle primarie, il Lider Maximo la pensa esattamente come Renzi. «Dobbiamo farle anche noi a ogni costo. Non possiamo lasciare questo strumento al Pd», ripete a ogni pie’ sospinto.
E ancora, sempre meno dalemiano. «Dobbiamo restituire al Paese una forza di sinistra. Ma non possiamo nè dobbiamo dare l’impressione di dar vita a un’operazione di ceto politico…», scandisce lo stesso uomo che ha sempre attribuito proprio al «ceto politico» formatosi all’interno dei partiti il potere di timbro su tutto quello che era una democrazia compiuta.
«L’uomo del partito»
Con questa «svolta», D’Alema è diventato una specie di beniamino della sinistra che sta fuori dai confini di Mdp.
Dentro sinistra italiana, così come tra i movimenti che mesi fa hanno animato l’adunata al Teatro Brancaccio («C’erano anche degli estremisti ma io ci sono andato, dovevo andarci»), nessuno fa mistero di preferire l’ex premier a Pier Luigi Bersani, che in questa fase viene visto più come «l’uomo del partito».
Nicola Fratoianni lo ripete ai suoi di continuo: «Noi siamo con D’Alema, che vuole scegliere un leader dal basso. Il problema è Bersani, che vorrebbe l’incoronazione di Pisapia. E questa cosa, a noi, non sta bene».
Ed è un altro scherzo del destino, questo. Soprattutto se si considera che esattamente dieci anni fa, quando i vertici di Ds e Margherita avevano confezionato su un piatto d’argento l’elezione di Veltroni alla guida del Pd, c’era un solo big pronto a uscire dal coro per candidarsi alla consultazione. Era Bersani.
A fermarlo, manco a dirlo, D’Alema.

(da “il Corriere della Sera”)

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