Giugno 30th, 2017 Riccardo Fucile
IL CDR DELL’UNITA’: “IL PD HA SEPPELLITO IL NOSTRO GIORNALE”
Esce il primo numero di Democratica, il nuovo quotidiano digitale del Partito democratico. Il giornale, diretto dall’ex Scelta Civica Andrea Romano, sarà strumento di intervento nella discussione pubblica e mezzo di informazione e discussione per iscritti, simpatizzanti, amministratori e dirigenti del PD.
Si tratta del primo caso in Italia, si legge in una nota del Pd, di un quotidiano politico, digitale e multimediale che viene diffuso gratuitamente. Ogni giorno, nel primo pomeriggio, Democratica sara’ disponibile sui social, sul sito del partito e di unita.tv e sulla app Bob.Una comunità politica vive ogni giorno di fatti e progetti. Da oggi il Partito Democratico, la più grande comunità politica d’Italia, ha uno strumento in più per parlare al paese con le idee e i fatti che nascono quotidianamente da centinaia di migliaia di iscritti, militanti, amministratori e rappresentanti politici. Democratica nasce per essere la voce del PD: un quotidiano digitale e multimediale, gratuito e diffuso a metà giornata attraverso tutti i nostri canali social. Un luogo virtuale ma concreto, da costruire insieme a voi
A dirigere il quotidiano sarà quindi Andrea Romano, ex condirettore de L’Unità , storico giornale del Pd che da diversi giorni ha sospeso le pubblicazioni in seguito all’ennesima crisi aziendale.
Nel suo editoriale, dal titolo ‘Una comunità vitale, un partito da costruire’, Romano scrive: “L’identità del PD è qui: nelle cose fatte nel governo locale e nazionale, nella trasformazione riformatrice che ha impresso all’economia e in tanti altri aspetti della nostra vita pubblica, nella vitalità di una comunità politica che si ritrova nei circoli, sulla rete, nelle diverse forme di un’aggregazione fatta della condivisione di idealità e della realizzazione di progetti”.
Cdr de L’Unità : “Caduta l’ipocrisia, hanno seppellito il nostro giornale”.
“Due anni fa esatti l’Unità tornava nelle edicole per volontà di Matteo Renzi e ci tornava con una compagine aziendale e una direzione scelta direttamente dai vertici del Pd.
Oggi, mentre i lavoratori de l’Unità sono da due mesi senza stipendio, mentre il giornale non è più nelle edicole perchè gli azionisti di maggioranza Guido Stefanelli e Massimo Pessina fra i tanti non hanno saldato i debiti con lo stampatore, il Partito Democratico (che della società editrice del giornale è socio al 20%) lancia il suo nuovo quotidiano on line senza ancora aver fatto nulla di concreto per garantire ai dipendenti de l’Unità almeno il diritto agli ammortizzatori sociali”. E’ quanto si legge in una nota del cdr dell’Unità .
“E lo fa – si legge ancora – dalle pagine di quel blog unita.tv, di cui il Pd è editore attraverso la fondazione Eyu, che del quotidiano fondato da Antonio Gramsci ha per due anni utilizzato indebitamente la testata senza che il Partito Democratico si adoperasse mai, fatte salve le rassicurazioni e le promesse puntualmente inevase, per risolvere una situazione di confusione che tanto danno ha creato al giornale di carta”.
“L’ipocrisia è caduta definitivamente e il Partito Democratico ha finalmente scoperto le proprie carte seppellendo l’esperienza de l’Unità , la sua storia e il destino di 35 famiglie, preferendo dedicarsi ad un nuovo progetto autoprodotto e autorefenziale – prosegue il cdr -. Per quanto amareggiati non siamo affatto sorpresi. Sapevamo da mesi di essere rimasti da soli a difendere l’Unità , stretti in una morsa che ha visto per troppo tempo il quotidiano e i suoi lavoratori ostaggi di un braccio di ferro fatto di ricatti e veti incrociati fra l’azionista di maggioranza e quello di minoranza”.
“Due considerazioni, infine – sottolinea ancora il comitato di redazione -. La prima: speriamo che il Pd abbia il buongusto di togliere la testata dell’Unità dal blog in cui viene diffuso il nuovo quotidiano on line. Lo riteniamo un fatto di rispetto e coerenza. La seconda: il 30 luglio 2014 la prima pagina del nostro giornale recitava “Hanno ucciso l’Unità “. Due anni dopo si svelano gli autori del delitto perfetto, quello di allora e quello di oggi”.
(da “Huffingtonpost”)
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Giugno 27th, 2017 Riccardo Fucile
“ORMAI E’ DIVENTATO IL PARTITO DI RENZI CHE HA ROTTAMATO LA STORIA DEL PARTITO E DEL SUO POPOLO”
Il segretario provinciale del Partito Democratico in Puglia, Salvatore Piconese, ha consegnato questa mattina nella mani del segretario regionale del Pd Marco Lacarra, la lettera con le dimissioni dall’incarico del partito, prima della scadenza del mandato prevista per il prossimo autunno.
Piconese lascia il Pd e passa al Movimento Democratico e Progressista.
Per il Pd salentino si tratta di un vero e proprio terremoto politico, visto che anche altri 103 tra sindaci, assessori, consiglieri comunali ed ex dirigenti di partito hanno deciso di fare altrettanto, passando tutti dal Pd alla nuova formazione di ispirazione dalemiana.
Singolare il caso di Patù dove a dire addio al partito democratico è stato il sindaco, Gabriele Abaterusso ex segretario cittadino ed ex componente della segreteria provinciale, insieme con tutti i consiglieri di maggioranza nel consiglio comunale.
In conferenza stampa Salvatore Piconese, che è sindaco di Uggiano La Chiesa, ha spiegato i motivi di una decisione definita il “frutto di una lunga riflessione” su un partito diventato ormai “il partito di Renzi” che ha portato alla rottamazione in questi anni” la storia del partito e del suo popolo”.
“Il Pd è in questo periodo — afferma Piconese — una comunità divisa e disorientata poichè in questi anni la ‘torsione personalistica’, la venatura populista e plebiscitaria, unita all’occupazione di uno ‘spazio’ puramente centrista nel panorama politico nazionale, hanno modificato il patrimonio genetico del partito il quale si è del tutto allontanato dei suoi valori fondativi e dei suoi principi originari di democrazia e di giustizia sociale e di libertà ”.
(da agenzie)
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Giugno 7th, 2017 Riccardo Fucile
PIU’ CHE UN MOMENTO DI DIBATTITO, LA NUOVA INIZIATIVA RENZIANA PREVEDE IL RUOLO DA COMPARSA
Nel nuovo Partito Democratico di Bob e di Matteo Renzi c’è un nuovo spazio di discussione: la terrazza.
Anzi la #TerrazzaPD con il doveroso hashtag d’ordinanza per la massima condivisione.
Cos’è la #TerrazzaPD? È il palco allestito sulla terrazza del Nazareno dove vanno in scena “approfondimenti tematici” e incontri.
Dibattiti che andranno in scena per tutto giugno e luglio.
Due giorni fa Renzi ha presentato la terrazzaPD spiegando che che è un modo “per essere cittadini e non soltanto numerini. Un modo per vivere concretamente non soltanto l’appartenenza al PD ma la voglia di dialogare e discutere dell’Italia che vogliamo per il futuro”.
In teoria la terrazza deve essere una versione potenziata del #MatteoRisponde. Una specie di Matteo&Friends. Ma forse qualcosa nella macchina della comunicazione del Partito Democratico è andato storto.
Lo fa notare il giornalista Aurelio Mancuso Cupello che ha ricevuto una mail per partecipare ad uno degli eventi della terrazza.
La cosa interessante non è tanto che per poter partecipare sia necessario superare delle selezioni.
Quello tutto sommato ha anche senso, non è che tutti possono andare in terrazza al Nazareno.
È interessante invece che i militanti, gli iscritti (chiamateli come volete) vengano invitati a partecipare come spettatori.
Insomma, più che un momento di incontro e di dibattito la scelta del termine spettatore sembra indicare che il pubblico ha l’unico scopo di fare da sfondo al vero dibattito
Quello che si svolge tra l’intervistartore e l’invitato di turno. In realtà non è proprio così perchè — come si è visto durante l’incontro in terrazza con il Ministro dell’Interno Minniti al pubblico è stato concesso di fare domande (una, nel finale).
Durante quella con Ermete Realacci di ieri invece nessuna. Ma probabilmente il pubblico era intimidito.
L’importante per il PD sembra essere che in contenuti di hashtagterrazzaPD vengano condivisi. Non risulta che gli spettatori, nemmeno quelli del live su Facebook, possano intervenire nel dibattito.
(da “NextQuotidiano”)
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Giugno 5th, 2017 Riccardo Fucile
“IL PD SI FERMI O NON SARA’ PIU’ IL MIO PARTITO”
“Tutto quello per cui noi democratici abbiamo combattuto sin dagli anni Novanta, viene smantellato:
questa legge elettorale proporzionale è solo un patto di convenienze. Ed è la fine del Pd”.
Rosy Bindi, presidente della commissione Antimafia, dice in un’intervista a Repubblica che non le piace “che si torni al proporzionale con un Parlamento in gran parte di nominati”.
Sull’ipotesi di un patto Renzi-Berlusconi, Bindi osserva
“Mi pare sia l’unico scenario possibile. Sono convinta che i 5Stelle siano terrorizzati dall’idea di andare al governo e accettando l’accordo sul proporzionale lo dimostrano. Questa è la loro convenienza. La convenienza di Berlusconi è di sedersi di nuovo al tavolo e non rimanere schiacciato sotto la Lega. Incomprensibile è la scelta del Pd”.
Non condivide poi l’accelerazione verso il voto: “Questa mi pare la convenienza del leader del Pd, Renzi. Di certo non quella del partito nè del paese”.
“In questi sei mesi – rimarca – si devono ultimare alcune riforme: lo Ius soli, il testamento biologico, il processo penale”, e “la manovra deve farla questo governo”.
In merito alla sua posizione rispetto al partito, Bindi chiarisce:
“Io ho ancora la tessera. Ho votato Andrea Orlando al congresso. Ma se il Pd sarà quello che rischia di diventare sarà tutto più difficile”.
Non si sbilancia quindi sulla possibilità di lasciare per fondare il nuovo Ulivo con Bersani e Pisapia: “Nè lascio nè vado. La legge elettorale è lo spartiacque della mutazione del Pd”.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 3rd, 2017 Riccardo Fucile
LA VICEPRESIDENTE DEM: “MI SPIACE CHE L’IDEA SIA DI UN MINISTRO DEL MIO PARTITO. INSEGUIRE I LEGHISTI E’ UN ERRORE, SI TRATTA DI POSTI DISUMANI”
“Non permetteremo che via Mattei sia trasformato di nuovo in un Cie, faremo questa battaglia con Merola e la vinceremo assieme”.
Per anni la deputata del Pd, Sandra Zampa, ha lottato in parlamento per far chiudere sotto le Due Torri il Centro di identificazione ed espulsione dei migranti, che dall’estate 2014 funziona come hub per l’accoglienza dei profughi.
Per questo, si dice “sorpresa e amareggiata” dall’idea del ministro Minniti di aprire un centro in ogni regione: “Inseguire i leghisti è un errore, i Cie sono posti disumani”.
A distanza di tre anni, il Cie di Bologna potrebbe tornare funzionante. Se lo aspettava?
“Mi stupisce, verificherò questa ipotesi con un’interrogazione parlamentare urgente per capire se sia vera. Occorre ben altro dai Cie, che restano strutture inutili per gestire le politiche sull’immigrazione”.
Si parla di un Cie in ogni regione e ora in Emilia non ce ne sono.
“Se questa idea fosse confermata, servirà un lavoro parlamentare, assieme alla Regione e al Comune di Bologna, per scongiurarla. La riapertura del Cie sarebbe vissuta dai bolognesi come un atto grave. Poche cose in questi anni ci hanno visto uniti come la battaglia per la sua chiusura”.
Perchè boccia questa ipotesi?
“Il Cie era un posto disumano, nel mio ultimo sopralluogo abbiamo trovato escrementi vicino alle stanze dove dormivano i migranti. Sono esperienze spaventose e indimenticabili”.
Il governo punta a raddoppiare le espulsioni. I Cie serviranno?
“Non sono efficaci, se abbiamo bisogno di identificare qualcuno pensiamo a posti umani, non a strutture detentive. I Cie servono solo a giustificare le lentezze della burocrazia sui rimpatri”.
Quali alternative propone?
“Per rendere efficaci i rimpatri servono accordi bilaterali con gli altri Paesi. Più che il pugno duro, usiamo la diplomazia. Dobbiamo rimpatriare chi delinque, non certo rinchiudere un padre di famiglia con il permesso di soggiorno scaduto”.
La proposta, però, nasce da un ministro del Pd, il suo partito.
“Mi dispiace molto, a Bologna non permetteremo che riapra”.
Il sindaco Merola definì via Mattei, «il cuore di tenebra in una città medaglia d’oro». Appoggerà di nuovo la sua battaglia?
“Sì, e sono sicura che la vinceremo assieme”.
Il pm Valter Giovannini condivide la proposta del governo, spiegando che in questo modo “si prende atto della realtà “.
“Se Giovannini andasse a visitare un Cie si renderebbe conto che lì dentro la violazione dei diritti supera di gran lunga qualsiasi altro diritto”.
(da “La Repubblica”)
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Gennaio 1st, 2017 Riccardo Fucile
TRE DEPUTATI RENZIANI PRESENTANO UNA LEGGE AD HOC
«Il governo se ne terrà fuori in ogni modo, statene sicuri», garantisce un ministro con voce in
capitolo, ripetendo quanto detto dal premier sulla legge elettorale.
Un tema che sembra essere l’unico ad appassionare peones e big di ogni partito: ovvero il sistema con cui si andrà al voto in giugno (come vorrebbe Renzi) o più in là (come vorrebbe la maggioranza dei parlamentari).
E si capisce il perchè di tanta passione, visto che molto prosaicamente si tratta della modalità , più o meno ostica, con cui ognuno dovrà provare a conquistarsi un posto alla Camera o al Senato.
Per questo, mentre Guerini e i capigruppo dal 9 gennaio avvieranno una girandola di incontri con tutti, il governo se ne terrà fuori, il nodo accende troppo gli animi: come ha ammesso il premier Gentiloni, «la maggioranza non è unita su questo tema» e neanche il Pd, visto che ad esempio già il ministro
Orlando si è espresso per il proporzionale corretto, in controtendenza con Renzi. Dunque il governo lascerà che sia il Parlamento ad occuparsene, non farà in nessun caso una sua proposta, neanche se i partiti fossero impantanati.
E che già lo siano è evidente: a favore del Mattarellum e del maggioritario Pd, Lega e Fdi, a spingere per il proporzionale Forza Italia, Ncd e ora anche Sinistra Italiana.
Dal Pd l’offensiva è partita nero su bianco: trenta deputati di tutte le correnti che contano del gruppo Pd alla Camera, renziani doc del «giglio magico», come Parrini e Fanucci, prodiani come Sandra Zampa e franceschiniani come Marina Sereni, hanno depositato un progetto di legge a firma Nicoletti per un ritorno al Mattarellum: abolendo con un tratto di penna le due leggi varate successivamente, ovvero il famigerato Porcellum e il deprecato (anche se mai testato) Italicum.
Una sfida a chi vuole tergiversare, che nell’ottica di Renzi e i suoi altri non è che Berlusconi. Il quale stenta a digerire un sistema con cui pure riuscì a vincere due volte, nel ’94 e nel 2001.
A riprova della voglia di Forza Italia di attendere il verbo della Consulta il 24 gennaio, sperando che imprima una virata verso il proporzionale, c’è lo stop alle «fughe in avanti» del forzista Renato Schifani.
Ma se pure in un clima in cui molti nel palazzo e fuori danno per scontato che il Mattarellum sia ormai finito in soffitta, perchè a difenderlo rimarranno solo Renzi e Salvini, ciò che va registrato, anche se solo a titolo di rumors, sono le voci secondo cui la Consulta potrebbe invece procedere in un senso differente: non è così scontato che venga abbattuto il ballottaggio, come tutti prevedono, è possibile che la Corte si eserciti in un’opera di ingegneria istituzionale che renda il ballottaggio compatibile con i criteri della Costituzione.
Il che cambierebbe tutte le carte sul piatto, costringendo tutti a fare i conti con una possibile legge maggioritaria, e non ad un ritorno forzato alla Prima Repubblica.
«Noi andiamo avanti sul Mattarellum – conferma il capogruppo Pd Ettore Rosato – e vogliamo vedere in fondo le carte, comprese quelle dei partiti avvantaggiati da questo sistema».
Tradotto, poichè dalle proiezioni anche il centrodestra ne uscirebbe bene, il Pd vuole costringere gli altri a dire di no al sistema maggioritario, capace ben più del proporzionale di sancire la sera del voto chi ha vinto le elezioni.
In modo da farne argomento di una campagna elettorale, che di fatto è già partita
Carlo Bertini
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 5th, 2016 Riccardo Fucile
D’ALEMA SPINGE PER PADOAN, RENZIANO PER GENTILONI, MODERATI PER GRASSO…. GLI ULTRAS RENZIANI: “FARE FUORI DALLE LISTE LA SINISTRA DEL PARTITO”
Il sisma elettorale fa franare ogni certezza nella war room del premier. Rabbia, amarezza, la ferita
brucia.
Il capogruppo Ettore Rosato, il mastino del renzismo, nel corso di un breve colloquio con la Boldrini schiumava odio: “Non ci importa nulla di Bersani e compagnia, qua si va a votare e basta”.
Elezioni, elezioni presto, anche a febbraio.
Il partito dei falchi chiede le urne: “Matteo – è il ragionamento – hai il 40 per cento, quello è tuo, facciamo un governo di tre mesi, aspettiamo la consulta, votiamo, facendoli fuori dalle liste. Non si è mai visto un pezzo di partito fare campagna contro il segretario-premier.”
E non è un caso che la direzione del Pd, annunciata a caldo da Guerini per domani, potrebbe slittare.
Al momento la tesi prevalente è che possa svolgersi mercoledì 7 dicembre.
C’è il cuore pulsante del renzismo che spinge per una linea dura.
Luca Lotti e Maria Elena Boschi, i fautori dell’ordalia finale: Pd come partito di Renzi, fuori la sinistra dalle liste e voto anticipato. Una legge elettorale verrà fuori, magari dalle indicazioni della Consulta.
E comunque “quel 40 per cento” è buono per tornare a palazzo Chigi.
Rulli di tamburi. Per impedire che parta il manovrone.
Nel Palazzo a ogni nome di possibile inquilino è legato un progetto di governo, con una durata della legislatura e una ricaduta sul Pd.
Un Pd di rango racconta: “I più vicini a Renzi hanno paura dell’effetto palude, cioè che se Renzi sbaglia a indicare un nome si arriva al 2018 e nel frattempo il governo diventa il terreno su cui si gioca il cambio dei rapporti di forza nel Pd. Per esempio un governo Franceschini…”.
Ecco, è per questo che, suggeriscono “il Lotti” e la “Meb” (Maria Elena Boschi, ndr), occorre andare sul sicuro. E indicare uno tipo Paolo Gentiloni, in uno schema da arrocco di Palazzo ma con la certezza che, quando il Capo deciderà di staccare la spina, troverà un presidente pronto a dimettersi.
Garanzie che altri non potrebbero dare: “Anche perchè — prosegue la fonte — questi gruppi parlamentari non danno garanzie. Se nasce un governo con Franceschini e Orlando dentro, quelli fanno asse con la sinistra e addio”.
Gentiloni a Chigi assicurerebbe la permanenza nella stanze dei bottoni a palazzo Chigi di più di un fedelissimo, dello stesso Lotti.
È uno schema però che, fuori delle war room, non convince la parte più dialogante del renzismo.
Il mite Graziano Delrio, ad esempio, è molto preoccupato perchè ha raccolto lo scontento di parecchi altri ministri per come il premier ha condotto questa campagna elettorale, ma anche per come ha parlato a caldo.
Il problema, per lui, non sono tanto le elezioni anticipate che vanno anche bene, ma come ci si arriva, se allargando il campo o stringendolo, continuando nello schema “uno contro tutti” che dopo la sconfitta porta inevitabilmente a un isolamento populista del leader.
Nelle intenzioni del ministro delle Infrastrutture occorrerebbe lavorare su un’ipotesi Grasso: il presidente del Senato è figura di alto profilo, consentirebbe di rasserenare il clima nel Pd anche in vista di un congresso le cui modalità e i cui tempi assomigliano a un’incognita.
Proprio il congresso è la chiave che orienta le mosse della minoranza.
E c’è un motivo se Roberto Speranza, a metà mattinata, dichiara: “I gruppi parlamentari del Partito democratico siano il perno della stabilità del paese. Pieno sostegno al percorso istituzionale che indicherà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella”.
Al momento, la parola d’ordine della sinistra è “stabilità ”, come unica garanzia per un congresso ordinato.
Nelle prime chiacchiere del dopo voto Massimo D’Alema è sembrato più propenso all’ipotesi Padoan, mentre Speranza vuole capire innanzitutto le reali intenzioni di Renzi sul congresso. Che, al momento, non si capiscono.
Perchè i “falchi” teorizzano che ormai il Pd è un ferro vecchio. Nelle urne è nato il Pdr, il partito di Renzi, anche se ha perso.
Quel 40 per cento è il congresso che si è svolto.
Gli altri sono nemici da far fuori dalle liste al più presto.
(da “Huffingtonpost“)
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Novembre 19th, 2016 Riccardo Fucile
“CON MATTEO KO SI RIAPRE LA BORSA INTERNA”: LE CORRENTI DEM FANNO GIA’ I CONTI… RENZI PUO’ CONTARE SU 50 FEDELISSIMI…IL RUOLO CHIAVE DI FRANCESCHINI
«Siamo alle simulazioni sul “dopo”». Nei corridoi di Montecitorio e di Palazzo Madama
gruppetti di dem ipotizzano già da giorni schemi su come sarà il Pd post-referendum.
Perchè una cosa è certa: il partito cambierà . Non tanto per immediate scissioni della “ditta” bersaniana , ma perchè se vince il No «si riapre la Borsa».
A dirlo è stato il ministro Guardasigilli Andrea Orlando, alludendo ai rapporti di forza pro o contro l’ipotesi di elezioni subito che Renzi, a quel punto, potrebbe sottoporre alla direzione e ai gruppi parlamentari. Quanti lo seguiranno?
Nella gran confusione di queste ore, con i sondaggi tutti a favore del No, ripartono infatti le quotazioni delle correnti del partito.
Il premier-segretario, se sconfitto, chiamerà a raccolta i dem, ma rischia di accorgersi che i renziani della prima ora non sono più di una cinquantina
In Transatlantico si fanno calcoli.
Quando #Enricostaisereno Letta era ancora in sella e Renzi appena eletto segretario, Bersani poteva contare su 120 deputati, che erano l’ago della bilancia nel voto alla Camera, e su una cinquantina di senatori.
In questi anni si sono squagliati, attirati dal renzismo. Oggi i bersaniani di “Area riformista” che ha in Roberto Speranza, Pierluigi Bersani e Nico Stumpo le figure di riferimento – sono trenta a Montecitorio, una ventina al Senato.
Gianni Cuperlo, leader di “Sinistra dem”, ha 15 parlamentari dalla sua. Rosy Bindi, anche lei tenacemente anti-renziana, ha un seguito di 5-8 parlamentari
Ma è la resurrezione delle correnti negli ultimi anni “in sonno” e diventate filo renziane, che farà la differenza.
Prima tra tutte “Area dem”, il gruppo del ministro ed ex segretario del Pd, Dario Franceschini. Franceschini, uomo delle emergenze, sa come far sentire il suo peso politico e parlamentare. I “suoi” sono circa 50 deputati e 40 senatori.
Se si spostano, fanno perdere equilibrio alla barca, saranno il segno che la maggioranza renziana si è frantumata. Va ricordato che il Pd ha 301 deputati e 113 senatori
Faranno sentire forte la loro voce i “Giovani turchi”, alle ultime primarie del 2013 sostenitori di Cuperlo contro Renzi, diventati fiduciari del premier-segretario.
Buon rapporto personale tra Renzi e Matteo Orfini, il leader (con Francesco Verducci) dei “Turchi”, presidente del partito. I “Turchi” possono contare su una sessantina di parlamentari
Anche i numeri tuttavia invecchiano. Ecco quindi che cresce il peso della corrente di Maurizio Martina e Cesare Damiano, ministro dell’Agricoltura e presidente della commissione Lavoro della Camera.
Si chiama “Sinistra è cambiamento” ed è diventata molto attraente, tanto che – partita da 50 deputati e 20 senatori – sta ingrossando le file.
Lo stesso Orlando, fondatore dei “Giovani turchi”, è sempre più impegnato in iniziative con Martina. «La “Sinistra per il Sì”, creato in vista del referendum, a cui aderisce Anna Finocchiaro, sarà incubatrice del Pd che verrà », dice Damiano.
Risorgerà la corrente dei lettiani? Francesco Russo, senatore, amico di Letta, racconta che le carte si sono mescolate: «Il 6 dicembre ci vedremo a cena, non rispettando antiche correnti, ma nuove sensibilità con Pizzetti, Vaccari, Zanda…».
Poi ci sono i 5 ex Sel, i 10 ex Scelta civica, Retedem degli ulivisti: il Pd è un puzzle. Una domanda su tutte: i catto renziani di Delrio e Richetti cosa consigliano a Renzi per il “dopo”?
Beppe Fioroni con i suoi 30 “popolari” bacchetta: «Sono scaramantico, parlare del “dopo” porta sfiga».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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Novembre 7th, 2016 Riccardo Fucile
LA MINORANZA DEM: “PAROLE DA CAPO-ULTRA'”
Il “derby” precipita sul Pd. Quando Roberto Speranza e Pier Luigi Bersani si sentono per un rapido scambio, appena finito il discorso di Renzi, la rabbia per i toni ascoltati alla Leopolda scalda la linea telefonica: “Questo non è nè il discorso di uno statista ne’ di un leader. È il discorso di un capo ultras che aizza le curve. Usa la costituzione prima per dividere il paese, ora per dividere il Pd”.
È così forte la rabbia che, a quel punto, l’ex segretario stacca il telefono, per qualche ora di pace prima di volare a Palermo, per il suo tour siciliano a favore del no, da dove risponderà colpo su colpo.
Mentre Roberto Speranza, invece, inizia a dare interviste ai quotidiani.
Il problema, come in ogni derby, è come si arriva al 90 minuto. Perchè la Leopolda segna il salto di qualità . Nel senso che si è passati dal “noi non ce ne andremo dal Pd che è casa nostra” al “Renzi ci vuole cacciare”.
Gli affondi dal palco contro la Ditta, annoverata nell’elenco degli avversari come Grillo e Salvini, l’ironia su Schifani “che ha cambiato idea per alludere a Bersani” con la complicità della platea, ma soprattutto quei cori: “Fuori, fuori” all’indirizzo dei propri compagni di partito: “Se vince il si – ragiona Speranza con i suoi compagni nasce il Partito di Renzi”.
L’odore della pulizia etnica delle liste già si sente: “Ormai – dice un militante di Montecatini alla Leopolda – l’insofferenza è antropologica, si vive da separati in casa. I bersaniani con me non parlano, io non parlo con loro”.
Gli applausi più forti alla Leopolda sono contro la sinistra interna. Nè c’è un solo dirigente renziano che minimizza i cori “fuori fuori”, o che magari dice “è un errore di qualche scalmanato”, “dal 5 novembre si sta tutti assieme, chi ha votato si e chi ha votato no”: “Renzi – sbotta arrabbiato Bersani – continua a mettere le dita negli occhi alla sua gente, pensando che arrivino i voti delle destra ma sbaglia”.
Accaldato, camicia pezzata di sudore più di quella di Bettino Craxi a Bari, il premier ha chiamato alle armi per la battaglia finale.
Nei toni, però, in parecchi vedono anche evidenti segni di paura, anche tra i suoi: “È stanco, nervoso – dice chi ha scambiato qualche battuta nel backstage – perchè i sondaggi non sono belli”.
I suoi collaboratori coccolano i giornalisti, l’attenzione alla comunicazione, trasmissioni e tg, è quasi maniacale, a vedere gli sguardi preoccupato con cui guardano Marco Travaglio a In Mezz’ora per poi mettere a punto il contro spin.
Uno di loro fa notare che, nel rumore di fumi e tamburi del derby, rischia di sfuggire la “notizia”, ovvero che il premier ha dato appuntamento alla prossima Leopolda dal 20 al 22 ottobre del 2017.
Significa che non solo non cambia mestiere, non solo non lascia la politica, ma che la battaglia continua, sia in caso di vittoria che di sconfitta: “Gli basta lo 0,1 in più per fare piazza pulita” assicurano.
Non a caso Gianni Cuperlo non è stato nemmeno nominato, nè il famoso documento sulla legge elettorale in nome del quale Cuperlo ha rotto, segno che il premier di qui a un mese tutto ha intenzione di fare fuorchè parlare delle modifiche all’Italicum: “Quella bozza – dice Bersani – è un pezzetto di carta che non vale nulla”.
Quel che vale, a questo punto, è solo il risultato al novantesimo minuto: “Sta trasformando in un bunker l’Italia del si – dice Miguel Gotor – lacera il paese, divide il Pd. Con questo approccio già abbiamo visto come sono andate le amministrative. Avrà un risveglio amaro”.
Due milioni di voti del Pd è la cifra stimata per procurare a Renzi questo tipo di risveglio, ovvero un quinto dell’elettorato del Pd.
Questi i calcoli del pallottoliere della Ditta. Risveglio amaro, ma fino a un certo punto, dicono gli altri.
David Ermini, un ragionatore, pacato, parlotta vicino al bar: “Io sono convinto che vince il si, ma nella malaugurata ipotesi che vinca il no, quello che prende Matteo, il 48, il 47, il 49 che sia, è tutto suo. È un capitale politico enorme, mentre nel restante 52 ci sono Grillo, Salvini, D’Alema, Berlusconi. Ma dove vanno?”.
Ipotesi, scenari, timori. 28 giorni al risultato, in un clima infernale dentro il Pd: “Per Renzi – è la battuta che fa spesso Bersani con i collaboratori – il comunista buono è solo quello morto”.
(da “Huffingtonpost”)
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