D’ALIMONTE: «L’ITALICUM? RISCHIA DI ESSERE UN PASTICCIO»
“NEGO DI ESSERE IL PADRE DELLA LEGGE ELETTORALE, POI HA FATTO TUTTO RENZI CON BERLUSCONI”
«L’Italicum è il frutto di un compromesso tra Renzi e Berlusconi…». Roberto D’Alimonte nega di essere il «padre» della legge elettorale e sceglie di definirsi «zio». Non che il politologo si sia pentito di aver dato una mano al premier, ma avrebbe preferito un sistema diverso: «Voglio chiarire il mio ruolo. Quando ho collaborato con Renzi, le decisioni fondamentali le hanno prese lui e Berlusconi. Sono loro i veri protagonisti, che fin dall’inizio si sono appoggiati a consigli di altri».
Denis Verdini?
«È il tecnico elettorale di Berlusconi e il rapporto tra loro è stato molto più stretto di quello, assai più frammentario, tra me e Renzi. Io sono un tecnico-tecnico, il senatore Verdini è un tecnico-politico, il che mi ha impedito di far valere il mio punto di vista sulle parti che non mi piacevano».
La imbarazza aver contribuito a resuscitare politicamente l’ex premier?
«Io non c’entro nulla, è una responsabilità politica di Renzi – si smarca il professore, “seccato per la sovraesposizione” –. Mi ha chiesto di dare dei pareri e io glieli ho dati. Gli sono servito nella fase più delicata, dopodichè lui adesso ha la Boschi. Renzi non mi cerca e io non lo cerco, sono tornato a fare il mio mestiere». A ottobre D’Alimonte suggerì a Renzi di andare a votare con il Porcellum e resta convinto che sarebbe stata la scelta giusta: «Avrebbe vinto lui. La storia del Paese è cambiata per la sentenza della Consulta, arrivata nel momento sbagliato e sulla quale io sono ultracritico».
È vero che fu Napolitano ad affossare l’accordo sul sistema spagnolo?
«No – chiarisce D’Alimonte –. Il capo dello Stato non mise alcun veto, si limitò a segnalare garbatamente la preoccupazione che quel sistema fosse troppo distorsivo, nel senso di favorire i grandi partiti e penalizzare i piccoli, quando invece la Consulta chiedeva equilibrio tra rappresentatività e governabilità ».
Chi fu allora ad affossare lo spagnolo?
«Una coalizione di interessi formata dal governo Letta, dalla minoranza del Pd e dai piccoli partiti, a cominciare dall’Ncd di Alfano».
Torniamo all’Italicum, professore…
«Migliora la situazione, però è il frutto di un compromesso e quindi ha diversi limiti. Consente di conoscere chi ha vinto la sera stessa delle elezioni e il doppio turno è un primo passo importante, su cui Renzi è stato bravissimo a strappare il via libera. Però il premio di maggioranza è troppo basso. Il fatto che chi vince abbia 321 deputati è troppo poco».
E la soglia per ottenere il premio?
«Berlusconi non si muove dal 37%, perchè gli dà la speranza di vincere al primo turno. Ma bisognerebbe portarla al 40».
Se si andasse a votare con l’Italicum, Renzi rischierebbe di perdere?
«Questo sistema va bene a Berlusconi, ma Renzi rischia solo se perde la sua scommessa di governo. L’unico sistema con cui non può vincere è il proporzionale della Consulta. Ecco perchè l’obiettivo assoluto di Renzi, che non è un ingenuo, è modificare quel modello. Ha cercato di tirar fuori da Berlusconi il meglio, forse però si poteva fare qualcosina di più».
Lei cos’altro cambierebbe?
«Le soglie sono troppe e non mi piacciono gli sconti. Bastava una soglia unica al 4%, come nella legge Mattarella. Su questo punto mi sono battuto e ho perso e così sulle liste fasulle tipo Forza Milan o No Equitalia».
E la parità di genere? È d’accordo?
«No, il 50 e 50 è una soluzione estrema, che non c’è neppure in Svezia».
Alla Camera la legge dovrebbe farcela, ma il problema è il Senato
«Il rischio che possa saltare c’è. I numeri sono più ballerini e i senatori non si accontenteranno di fare i notai della riforma approvata alla Camera, la vorranno modificare significativamente».
Cosa pensa del dimezzamento dell’Italicum?
«È un mezzo pasticcio, a cui Renzi è stato costretto pur di portare a casa la riforma. Se non si abolisce il Senato il pastrocchio sarà inenarrabile. La partita è ancora complicatissima».
I tacchini non vogliono finire nel piatto a Natale…
«Esatto, il problema è che tocca ai senatori dover dichiarare lo scioglimento di Palazzo Madama».
Monica Guerzoni
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