DELIRIO DI ONNIPOTENZA, RENZI SFIDA I RIBELLI: “CHI BLOCCA LE RIFORME SABOTA L’ITALIAâ€
DOPO L’EPOCA DEI TRADITORI, SIAMO ARRIVATI AI SABOTATORI: A QUANDO LA FUCILAZIONE DI CHI HA CAPITO CHE ABBIAMO COME PREMIER UN VENDITORE DI PENTOLE BUCATE?
«Adesso i frenatori spostano il tiro sull’Italicum: bene, vuol dire che sulla riforma del Senato si sono già rassegnati». Matteo Renzi è fatto così, la nuova pioggia di critiche che arriva dalla sinistra del partito quasi lo galvanizza.
L’irritazione per i «frenatori» delle riforme si trasforma in una rinnovata spinta al processo in corso a Palazzo Madama.
Un impulso che passa, necessariamente, per una blindatura del patto con Berlusconi. Renzi e Berlusconi, dopo la visita dell’ex Cavaliere a Palazzo Chigi, si sono infatti parlati di nuovo. Stavolta per telefono.
È accaduto giovedì sera, dopo la drammatica assemblea dei parlamentari forzisti. Tutte quelle voci fuori dal coro, specie da parte dei senatori azzurri (voti decisivi per impedire i «ricatti» dei bersaniani), hanno infatti innalzato il livello di allarme a Palazzo Chigi.
«Forza Italia tiene?» Il premier l’ha chiesto a Denis Verdini, ma a sorpresa l’ambasciatore forzista gli ha passato «qualcuno che ti può dare, meglio di me, le rassicurazioni che stai cercando».
Era Berlusconi, ovviamente, stanco per la lunga e caotica riunione della Sala della Regina. «Matteo, ne ho appena riparlato con i nostri capigruppo. Noi ci stiamo, il patto per me è valido. Io ho una parola sola».
Ma il premier ha chiesto un gesto in più, una presa di posizione ufficiale, oltre a quelle di Romani e di Toti, per rimettere in riga i ribelli di Minzolini e Fitto.
Qualcosa di inappellabile, che provenisse dal gran capo in prima persona. «Mi sembra giusto, adesso ci rifletto».
Così è stato, il comunicato ufficiale di Berlusconi è arrivato ieri. Per il leader forzista la discussione è chiusa, a questo punto non c’è nemmeno bisogno di convocare di nuovo tutti i parlamentari per riaprire lo sfogatoio.
Basterà un ufficio di presidenza a sancire la decisione presa. O magari nemmeno quello.
Stretti i bulloni del patto con Berlusconi, Renzi si è potuto dedicare al fronte interno. Impostando la strategia in una riunione ieri pomeriggio con Lorenzo Guerini, Luca Lotti e il ministro Boschi.
Al premier infatti quelle accuse del suo predecessore non sono piaciute affatto. Bersani che gli affibbia l’etichetta di “Grande Nominatore” per voler portare a casa una legge elettorale che gli darà potere assoluto sulle liste elettorali.
La critica per lo «squilibrio democratico» che si verrebbe a creare sulle istituzioni di garanzia, l’affondo sulle liste bloccate.
«Non possiamo lasciar correre», ha deciso Renzi.
Il contrattacco si svilupperà in più stadi. Ieri è arrivato l’avvertimento di Guerini. Martedì, in un’assemblea congiunta di deputati e senatori dem, alla vigilia dell’arrivo in aula del ddl Boschi, a parlare sarà direttamente il premier.
Un discorso duro, sostanzialmente già impostato. Da martedì i «frenatori» diventeranno forse anche «sabotatori».
Non delle riforme Renzi, ma dell’Italia. Un renziano del cerchio stretto la spiega in questo modo: «Noi stiamo giocando una partita vitale e strategica in Europa per chiedere maggiore flessibilità E Matteo ha dato la sua parola alla Merkel che, in cambio, le riforme finalmente arriveranno. A partire da quella del Senato. Riforme in cambio di flessibilità , è questo il vero patto tra noi e Berlino. Chi ci ostacola sulle riforme a questo punto sta mettendo in gioco la possibilità che l’Italia esca dalla crisi».
Certo, poi c’è anche il merito di alcune modifiche che potranno essere introdotte. Boschi, Finocchiaro e Guerini infatti riconoscono in privato che il progetto costituzionale contiene qualche fragilità sul piano delle garanzie.
E su questo si agirà con dei correttivi, ad esempio allargando la platea dei grandi elettori del capo dello Stato ai 73 eurodeputati (eletti con il proporzionale puro) o prevedendo maggioranze qualificate.
Ma sulla legge elettorale i margini di cambiamento sono minimi, a dispetto delle richieste della sinistra Pd e di un alleato come l’Ncd.
Sull’introduzione delle preferenze infatti Berlusconi è irremovibile. E l’intesa a mandare avanti la riforma del Senato prevede, in cambio, la promessa di Renzi di non rendere scalabile Forza Italia.
Semmai, per venire incontro alle richieste dei democratici e togliersi di dosso l’accusa bersaniana di essere un «Grande Nominatore», il premier e la sua squadra stanno pensando di aggirare il problema in un altro modo.
Un’ipotesi sarebbe quella di garantire l’elezione ai capilista, lasciando libera la corsa alle preferenze solo per chi viene dietro (Il “lodo Boschi) . Una soluzione immaginata tempo fa da Alfredo D’Attorre, che consentirebbe a Berlusconi di controllare gli eletti.
Ma la soluzione che piace più a Renzi è un’altra, in linea con la tradizione dem: primarie di partito per entrare in lista, obbligatorie per legge.
E Berlusconi? L’idea è quella di inserire una norma transitoria che, solo per il primo rinnovo del Parlamento, lascerebbe i partiti liberi di farle o meno.
«Primarie facoltative» dunque, almeno la prima volta.
E comunque qualcosa su questo fronte si sta muovendo anche dentro Forza Italia. Laura Ravetto, incaricata un paio di settimane fa dal leader di scrivere un regolamento per le primarie di centrodestra (chieste a gran voce da Lega e FdI), ha presentato il suo lavoro a Berlusconi.
In attesa che se ne discuta in un ufficio di presidenza.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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