FESTA AMARA PER L’ITALICUM
IL DISSENSO DEL PD È PIÙ GRANDE DEL PREVISTO… E AL SENATO PESERà€
Il numero chiave della giornata di ieri lo rimanda il tabellone dell’Aula di Montecitorio alle 18 e 20: 334.
Sono i voti con cui la Camera approva l’Italicum a voto segreto.
L’immagine, invece, è quella che fotografa un emiciclo vuoto per metà : assenti le opposizioni in blocco.
E poi, ci sono quelli che non applaudono: Pierluigi Bersani, che ha la testa appoggiata sulle mani, Rosy Bindi. Perchè c’è un altro numero chiave: 61.
Tanti sono i no. E la maggior parte arrivano dal Pd.
Alcuni hanno preso il microfono per annunciarli, Civati, il più giovane deputato di tutti, Enzo Lattuca che è intervenuto a nome dei dissidenti, Stefano Fassina, Marco Meloni (che, ironia della sorte, ha dovuto prendere in prestito il microfono del renzianissimo Carbone, perchè il suo non funzionava).
Tra loro ci sono pesi massimi, come Enrico Letta.
L’Italicum diventa legge grazie all’ “ostinazione” di Renzi (definizione del fedelissimo Marcucci), ma prende meno voti di quelli della maggioranza (403 sulla carta).
Passa un attimo dal sì finale che inizia la conta dei voti. Cantano vittoria tutti.
La Boschi (sobria, stavolta, negli abbracci) twitta alle 18 e 22: “Ci hanno detto ‘non ce la farete mai’. Si erano sbagliati, ce l’abbiamo fatta! Coraggio Italia, è #lavoltabuona”. Renzi le dà spazio.
Poi twitta alle 18 e 38: “Impegno mantenuto, promessa rispettata. L’Italia ha bisogno di chi non dice sempre no. Avanti, con umiltà e coraggio. È #lavoltabuona”.
Ai suoi chiarisce: “Ho vinto io. Oggi è un giorno storico. Ma adesso, dobbiamo andare avanti e ricucire”.
L’attenzione è tutta spostata su quei no. Non è un dato secondario quanti siano da attribuire alla minoranza dem: più grande è il dissenso, più può cercare di contare. L’ex capogruppo, Roberto Speranza e il vicesegretario, Lorenzo Guerini animano due capannelli paralleli in Transatlantico.
Se Speranza è pronto ad attribuire 55 no al Pd, Lorenzo Guerini ne dà per certi solo una quarantina. Tra questi, di sicuro vanno conteggiati i 38 che non hanno votato la fiducia al governo. Ma di quei 38, 4 non c’erano e 3 si sono astenuti: questo, per i ribelli, significa che “l’area Speranza” si sarebbe allargata.
In più c’è Lattuca. E poi, vanno aggiunti i 2 prodiani Zampa e Monaco.
La lettura dei dati, tra maggioranza e minoranza, diverge su un punto: i 9 ex Cinque Stelle, Alternativa Libera, secondo i renziani hanno detto no.
Per quelli che tengono il pallottoliere nella minoranza (Nico Stumpo in testa) hanno votato a favore.
Questo vorrebbe dire che nel segreto mancano ancora più Dem.
Guerini invita a non sottovalutare il dissenso centrista: 7 sarebbero i no da quell’area. A partire da Scelta Civica, che vuole il rimpasto (e infatti si affretta a dichiarare “siamo determinanti”).
Negli elenchi che circolano tra i renziani, ci sono i voti contrari di Massimo Corsaro (ex Fdi), Mauro Pili (ex Pdl), Luca Pastorino (ex Pd), Claudio Fava (ex Sel ora nel Psi) e Pino Pisicchio (ex Cd), tutti del gruppo Misto.
E Romano di Forza Italia, più la De Girolamo di Ncd.
Secondo questi conti manca di attribuire l’appartenenza di 6 o 7 voti.
O meglio: “Ce li abbiamo tutti in testa. Ma non li diremo mai, se no pare che abbiamo la lista di proscrizione”, spiega un autorevole dirigente dem. La lista di proscrizione c’è e come. Anche se per ora potrebbe portare più a offerte, che a punizioni. Matteo Orfini ammette che “il dissenso è pesante”.
E in un siparietto con Speranza, ex “compagno” della Figc, che è tutto uno scambio di reciproci complimenti (“Noi siamo due politici puri”, dice l’ex capogruppo; “Facciamo politici professionisti”, lo corregge il Presidente del Pd), gli chiede ancora una volta di ritirare le dimissioni.
A proposito di ricuciture. Perchè il punto adesso è che se ne fanno Bersani, Speranza & co. di quei voti: “C’è un area forte di dissenso. Li faremo pesare”, dice l’ex capogruppo.
Battagliero e ringalluzzito, parla già da leader alternativo. È un partito nel partito, quello che si è visto all’opera ieri.
Fino a dove è disposto ad arrivare? Sulla carta, in Senato i numeri per far cadere il governo ci sono. “Da oggi comincia un altra partita”, minaccia Miguel Gotor, ricordando i 24 dissidenti dem a Palazzo Madama.
Per adesso, il progetto non sembra questo. Nessuno vuol perdere il posto in Parlamento. Per adesso.
Ma parte un muro contro muro su ogni provvedimento, su ogni questione .
“Vado in piazza con gli insegnanti”, chiarisce Stefano Fassina. Il prossimo fronte parte già oggi, sulla scuola.
E Renzi? Conquistato l’Italicum cercherà il voto anticipato?
Se può evitare, no. “Adesso facciamo le cose che il paese ci chiede”, spiegano i fedelissimi del premier.
Si parte dalla scuola. La Commissione Cultura della Camera sta riscrivendo il ddl.
Il tentativo è quello di aprire abbastanza alle richieste da smontare la piazza e i sindacati.
Poi, c’è la questione riforma del Senato: si discute su alcune modifiche, alla ricerca di un patto con Berlusconi e minoranze.
E infine, il consueto modo di includere per dividere: la settimana prossima si eleggerà il nuovo capogruppo a Montecitorio.
Dovrebbe essere uno dei “responsabili”, quelli che si sono staccati dalla linea Speranza. Dopo le regionali entrano in gioco le presidenze delle Commissioni.
A Gianni Cuperlo Renzi ha ventilato la direzione dell’Unità . Ci sono i posti nelle prossime liste. Basterà ?
Il segretario-premier vuole andare avanti. Ma la legge elettorale adesso c’è.
Entra in vigore nel 2016, ma in caso di necessità si può intervenire a cancellare la clausola di salvaguardia.
Intanto, si aspetta la firma di Mattarella: potrebbe arrivare già oggi.
Con buona pace di chi gli chiede di rimandarla indietro.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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