I DIARI DI CIAMPI: “CON BERLUSCONI LE ISTITUZIONI NON CONTAVANO PIU’”
UN LIBRO TESTIMONIANZA CHE RIVELA ASPETTI INEDITI, INTERESSI E CARATTERI DEI PROTAGONISTI DELLA POLITICA ITALIANA
E’ un libro importante, quello scritto da Umberto Gentiloni Silveri sulla base dei Diari di Carlo Azeglio Ciampi — 30 agende, dal 1992 al 2006 — e di molti incontri personali (Contro scettici e disfattisti. Gli anni di Ciampi 1992-2006,Laterza).
Scritto con equilibrio e misura, e intessuto di osservazioni che aiutano ad accostarsi alla nostra transizione incompiuta.
Quel che viene a prevalere nel lettore non è la ricerca della “rivelazione” ma semmai la consapevolezza — se non l’emozione — di un privilegio: poter avvicinare alla radice un percorso, poter comprendere cosa significhi essere servitore dello Stato.
Alle origini di questo percorso vi è naturalmente la frattura di Tangentopoli, con il precipitare di crisi morale, istituzionale ed economica.
Sulla gravità di quest’ultima Ciampi aveva insistito con forza da Governatore della Banca d’Italia: “il tempo s’è fatto breve” aveva detto nel 1991, alla vigilia della “grande slavina”.
Ed al suo precipitare, anche di fronte alle prime ipotesi di un coinvolgimento personale, segnala l’urgenza di un intervento deciso ma al tempo stesso il rischio di un governo dei tecnici.
Segnala cioè la contraddizione di una classe politica che per rinnovare il Paese ricorre a competenze non sottoposte al processo democratico.
Poi, nel 1993, quando diventa il primo Presidente del Consiglio non parlamentare punta sulla sinergia fra tecnici e politici.
E applica poi realmente nella formazione del governo l’articolo 92 della Costituzione, senza ingerenze di partiti o di possibili ministri (proposi a Monti, ricorda, un ministero economico, “lui mi risponde: “O al Tesoro o nulla”(…). A quel punto tronco il colloquio”).
Sarà “un vero e proprio mistero italiano” — parole di Ciampi — la caduta di quel governo: vi è poi il suo sostanziale appartarsi dopo l’avvento di Berlusconi e nel 1996 la nomina a Ministro del Tesoro nel primo governo Prodi.
Ciampi rievoca con efficacia l’impresa quasi impossibile dell’ingresso nell’euro, lo slancio di una stagione, e poi un quasi immediato rifluire: “un’impressione di lentezza, di assuefazione al declino”.
E l’affossamento del governo deciso da Rifondazione comunista: “un terribile calcolo ispirato da ragioni egoistiche e di parte”.
Ciampi poi accetta, pur fra resistenze e dubbi, di rimanere nel governo D’Alema: in nome dell’euro, per “mettere in sicurezza quel che avevamo fatto”.
E vi è infine la nomina — trasversale — a Presidente della Repubblica.
Dal più alto scranno fa i conti con lo smarrimento del Paese, con gli errori del centrosinistra (critica esplicitamente la sottovalutazione del conflitto di interessi e la modifica del Titolo V° della Costituzione), e con “l’anomalia Berlusconi”, dopo il suo trionfale tornar sulla scena.
La durezza dell’anomalia è illuminata qui di luce cruda.
Si consideri ad esempio la politica estera, con un “personalismo” berlusconiano che rischia di scardinare gli “elementi consolidati e per molti versi di garanzia” dei tradizionali canali diplomatici.
E con implicazioni gravi: in questo quadro, annota ancora Ciampi, “le istituzioni non contano, la Costituzione diventa da stella polare a intralcio che rallenta il corso delle cose”.
La ricaduta più traumatica si ha nella guerra contro l’Iraq: “lo ricordo come fosse ieri: l’Italia venne inserita dagli americani tra i paesi che sarebbero intervenuti con mezzi in assetto di guerra. Mi opposi apertamente (…) Furono momenti di scontri frontali (…) Mi resi conto che in Usa, grazie alla diplomazia personale di Berlusconi, era già stata venduta e presentata un’altra posizione”.
Si consideri infine il conflitto di interessi, limitandosi qui alla legge Gasparri e al suo rinvio alle Camere, che il premier considera — riferisce una nota di Gifuni — “una bomba (…). Berlusconi afferma che sarà guerra tra la Presidenza della Repubblica e la Presidenza del Consiglio (non mi vedrete più, non verrò più al Quirinale)”.
E ancora: “il Presidente Berlusconi (…) conferma di considerare il rinvio alle Camere della legge Gasparri come “atto di guerra” nei confronti del governo e in particolare del presidente del Consiglio, proprietario di Mediaset, impresa che ne sarà gravemente danneggiata. Il presidente Ciampi fa rilevare (…) che questa ultima affermazione rappresenta una conferma eclatante del conflitto di interessi esistente”.
Sono forse gli aspetti più rilevanti di una “guerriglia anticostituzionale” di Berlusconi costellata da mille altri episodi: ad esempio dalla sua minaccia di non controfirmare la nomina di tre giudici costituzionali (Saulle, Cassese e Tesauro) perchè non controbilancerebbero “un — da lui asserito — squilibrio politico a sinistra della Corte” (salvo poi offrire quella firma in cambio di una maggior “tolleranza” sulla legge elettorale: “mi indigno”, annota Ciampi).
Si compone anche così lo scenario che porta all’ultimissimo periodo, ed è difficile dissentire da Gentiloni Silveri: quell’intreccio di crisi economico- fiscale, morale e istituzionale che ha portato al crollo della prima Repubblica sembra ripresentarsi oggi. Certo, come allora il vincolo esterno può agire da “elemento virtuoso” ma implica responsabilità autonoma, cultura, classe dirigente: e qui il deficit è diventato ormai drammatico.
Guido Crainz
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