IL CASO LUSI-MARGHERITA: IL PARTITO “ESTINTO†SPENDEVA PIU’ DEL PD, MAXI USCITE PER CONSULENZE E SITO INTERNET
DUE ALLARMI A VUOTO, LA LITE CON CASTAGNETTI CHE CHIEDEVA SPIEGAZIONI… SPESI NEL 2010 1,6 MILIONI DI EURO… ANCHE A PARISI NON FURONO FORNITI I DETTAGLI DELLE SPESE A BILANCIO
Come un mantra, Francesco Rutelli continua a ripetere che “non poteva sapere” cosa combinava il suo tesoriere con i bilanci della Margherita.
Perchè lui “non è un ragioniere” e quell’uomo, Luigi Lusi, “godeva di una stima generale e incondizionata” e “mai erano emersi anche solo indizi di una qualche irregolarità “.
Sarà .
E’ un fatto che, ora, almeno due testimoni, Arturo Parisi e Pierluigi Castagnetti, raccontano un’altra storia.
Utile a rileggere ancora una volta le voci più significative dei bilanci di esercizio del partito per gli anni 2008, 2009, 2010.
A provare che in almeno due circostanze, nel giugno del 2010 e nel giugno del 2011, Lusi fu a un passo dall’essere smascherato e trovò protezione politica nei maggiorenti di un partito che non esisteva più.
Ha racconto ieri ai pm Arturo Parisi: “Durante l’assemblea federale del 20 giugno 2011 al Nazareno per l’approvazione del bilancio di esercizio 2010, chiesi conto al tesoriere di come giustificava i 3 milioni e 800 mila euro di spese per propaganda politica, visto che il partito aveva cessato di esistere tre anni prima. Lusi mi rispose che con quei soldi era stata finanziata la campagna per le primarie nel Pd di Franceschini, candidato che proveniva dalla Margherita. Io obiettai che il tetto di spesa fissato dallo statuto era di 250 mila euro e chiesi ulteriori spiegazioni, che non ricevetti. Tanto che decisi di allontanarmi dall’assemblea e non partecipai al voto”.
Ma c’è di più: “Venni poi a sapere da Franceschini che quella spiegazione fornita da Lusi era un falso. Che lui, quei soldi, non li aveva ricevuti”.
Nell’estate del 2011, dunque, Lusi mente.
E – ricorda ancora Parisi – giustifica quella incongrua voce di spesa promettendo di fornire documenti che la giustifichino.
Documenti che non solo non produrrà mai, ma che nessuno di quanti ne avevano titolo, Francesco Rutelli (ex segretario politico), Enzo Bianco (presidente dell’assemblea federale), Giuseppe Bocci (presidente del comitato di tesoreria), gli solleciterà mai.
Cambia ora la scena.
Il luogo è sempre lo stesso (l’assemblea federale riunita al Nazareno per l’approvazione del bilancio), la data è precedente di un anno esatto, giugno 2010.
Questa volta c’è da votare il rendiconto per l’esercizio 2009 e a mangiare la foglia è Pierluigi Castagnetti.
Che così ricorda quella riunione: “Saremmo stati non più di una ventina. Tanto che posi prima un problema di numero legale e quindi di sostanza. La voce di spesa per la propaganda ammontava a poco meno di 7 milioni di euro. Un’enormità per un partito che non c’era più. Chiesi a Lusi di dettagliare quella voce e lui si inalberò. Mi disse che era nell’impossibilità di fornire quei dati. Io risposi che la sua risposta era inconcepibile. Ed avemmo un alterco importante. Annunciai allora il mio voto contrario sul bilancio. Cosa che feci, anche se ricordo che Bianco provò insistentemente e fino all’ultimo a convincermi di non farlo”.
In un’Assemblea federale che dorme da piedi, dunque, chi dimostra di tenere gli occhi aperti viene o allontanato (Parisi) o blandito (senza successo) per essere ricondotto a più miti consigli (Castagnetti).
Eppure, non ci vuole un “ragioniere” per accorgersi che nel triennio 2008-2010 almeno quattro significative voci di spesa del partito che non c’è più si muovono come sulle montagne russe e in modo assolutamente incongruo.
Il costo del “sito internet”, tanto per dire, passa dagli 86 mila euro del 2009, ai 533 mila del 2010.
Ma quel che è incredibile è che – sempre nel 2010 – la dissolta Margherita spende in “consulenze” 1 milione e 600 mila euro.
Duecentomila euro in più di quanto spende, in quello stesso anno il Pd, come risulta dal suo rendiconto finanziario ufficiale.
Dunque?
C’è una coincidenza temporale che può forse aiutare a comprendere il potere assoluto e libero da controlli sostanziali che Lusi esercitava sulla cassa di un partito dissolto, e la forza di ricatto politico che gliene derivava.
Nel 2009, Rutelli fonda l’Api.
Un partito senza cassa (non è ammesso ai rimborsi elettorali), ma assai generoso nell’organizzazione delle sue manifestazioni pubbliche.
A cominciare dagli happening in quel di Labro.
Lusi aprì forse i cordoni della borsa? E se si, in che misura?
E se lo fece, è questo che lo convinse che quel denaro che amministrava era diventata anche “roba” sua?
Carlo Bonini
(da “La Repubblica”)
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