INTERVISTA AD ARTURO PARISI: “NON SI PUÃ’ PIÙ STARE CON BERLUSCONI, CON LE LARGHE INTESE ABBIAMO PERSO L’ONORE”
UNO DEI FONDATORI DELL’ULIVO RICORDA CHE LA COMPRAVENDITA IN PARLAMENTO NON RIGUARDA SOLO LA MAGISTRATURA, MA L’ETICA PERSONALE
«Qui si parla di venduti e comprati come se fosse una cosa da nulla. Questa è una questione molto più che giudiziaria. È una questione che chiama in causa i fondamentali culturali comuni, che rendono possibile la stessa convivenza sociale, la comune idea di persona e della sua libertà ».
Arturo Parisi, uno dei fondatori dell’Ulivo e del Pd, amico di Prodi e soprattutto ex ministro della Difesa, è indignato. Ma non sorpreso.
E denuncia: «Di fronte a un episodio di questa portata mi attendo come minimo, minimo minimo la richiesta di un confronto esigente, un ripensamento profondo su come le larghe intese, prima che larghe, possano essere vere. Non ho sentito invece reazioni adeguate».
Intanto il governo Prodi è caduto per una compravendita di senatori?
«In genere capita che per cercare le cose nascoste si dimentichino quelle palesi. Non c’era bisogno di queste ultime rivelazioni per ricordarci come iniziò l’attacco di De Gregorio. Con la sua elezione a presidente della commissione Difesa, forse la più critica, e al Senato, dove la maggioranza era risicatissima. Una elezione resa possibile dal suo repentino passaggio dalla parte di Berlusconi, mentre in Parlamento era entrato con il centrosinistra e, per di più, dalla porta che sarebbe dovuta essere più stretta, quella di Di Pietro».
Un tradimento, quindi.
«Sì, difficile immaginarne uno maggiore. Ma innanzitutto il tradimento dell’impegno preso con gli elettori. Ho letto che il magistrato ha evocato al riguardo l’articolo 54 della Costituzione, quello che chiede ai cittadini investiti di funzioni pubbliche “il dovere di adempierle con disciplina e onore”. Onore! Se c’è una cosa che è mancata nel corso di questi anni èproprio l’onore, anche verso se stessi. Come vede, tutto iniziò da lì».
E come continuò?
«Come era iniziato. Guidato dall’idea che ha segnato il modo in cui Berlusconi è stato in politica, e cioè dalla convinzione che ognuno abbia il suo prezzo. È il lascito più pesante che ci portiamo appresso».
Il centrosinistra può governare con il “carnefice” politico di Prodi?
«In effetti la domanda su come si possa condividere una responsabilità al servizio della Repubblica muovendo da posizioni così distanti sul piano dei valori, è ineludibile. Parlo dei valori. Dei comportamenti si interessano i magistrati. E nessuno è al riparo nè da colpe nè da errori. Ecco perchè è necessario un ripensamento radicale. Dietro queste larghe intese esistono profonde divisioni a cominciare da un valore discriminante quale è quello dell’onore in politica».
Lei crede che nelle larghe intese il Pd perda l’anima?
«Se si pensa la profonda contrapposizione dalla quale eravamo partiti, e ancora più al modo in cui ci siamo arrivati, resto convinto che sarebbe stato meglio un governo istituzionale di scopo. Si è deciso per un governo politico e nel tempo si è perso di vista lo scopo: la ricostituzione delle condizioni che consentissero ai cittadini di scegliere e all’Italia di ripartire, cominciando soprattutto dalla modifica della legge elettorale».
Non la vede in vista?
«No. E meno che mai in un mese, prima cioè che la Consulta si pronunci il 3 dicembre. Come si può fare in pochi giorni quello che non si è fatto negli anni».
Una partita già persa?
«Una partita disperante. Pensi come sarebbero andate le cose se l’anno scorso la Consulta avesse accolto la richiesta sottoscritta da 1 milione e 200 mila firme, e avesse ascoltato l’appello dei cento costituzionalisti che l’avevano sostenuto. Siamo invece ancora all’alternativa di allora. Tra la sopravvivenza del Porcellum e il rischio di un Porcellum peggiore, una legge che priva i cittadini della possibilità di decidere del governo del paese senza restituire il diritto di eleggere i propri rappresentanti».
Il nuovo segretario del Pd farà la differenza?
«Già il fatto che su questo Renzi abbia aperto con chiarezza una sfida è un passo aventi».
Giovanna Casadio
(da “La Repubblica”)
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