INTERVISTA AL MAGISTRATO EUGENIO ALBAMONTE: “CON IL CARCERE AGLI EVASORI, LA MACCHINA DELLA GIUSTIZIA RISCHIA IL CAOSâ€
“SENZA CORRETTIVI SI RISCHIA IMBUTO PER I PROCESSI”
“L’Apocalisse dal 1° gennaio 2020 non ci sarà per il semplice fatto che il regime della prescrizione sarà applicabile ai reati che saranno commessi a partire da quella data. È evidente che gli effetti si produrranno dopo”.
Eugenio Albamonte, magistrato a Roma, risponde così alle parole pronunciate davanti alla commissione Giustizia della Camera dal ministro della Guardasigilli Alfonso Bonafede.
L’inquietudine dei magistrati sul tema riguarda le ripercussioni che la riforma sulla prescrizione – così come l’introduzione del carcere per i grandi evasori – potrà avere sulla macchina della giustizia italiana. A meno che il legislatore non intervenga subito con dei correttivi.
Dottor Albamonte, nel mondo giuridico è in corso un importante dibattito sullo stop alla prescrizione. Qual è il timore dei magistrati?
Le conseguenze delle riforme – purtroppo soprattutto di quelle fatte male – sono destinate a durare a lungo. Il rischio che corriamo, se non si interviene subito, è che tra tre o quattro anni ci ritroveremo di fronte a problemi gravi per il funzionamento del sistema della giustizia.
Quali, ad esempio?
Senza correttivi, ci sarà un ingolfamento totale dei processi. Soprattutto in alcuni ‘colli di bottiglia’ del procedimento, come il passaggio tra il giudizio di primo grado e la Corte d’Appello. In quel frangente ad oggi confluiscono, come in una specie di area di stoccaggio, centinaia, migliaia di procedimenti che poi diventano difficili da smaltire. Senza cambiamenti, quell’imbuto è destinato a diventare una strozzatura di qui a qualche anno. O si agisce subito, oppure una volta che la norma sarà entrata in vigore sarà difficile arginarne le conseguenze.
E in che modo si potrebbe evitare che si creino questi imbuti, o meglio che se ne aggravino le condizioni?
Il pacchetto che Bonafede aveva portato in Consiglio dei ministri nel corso del governo precedente prevedeva misure troppo blande, che non andavano ad arginare quei rischi a cui facevo riferimento prima.
Cosa mancava in quel disegno?
Una depenalizzazione ulteriore, ad esempio. Uno dei problemi del processo penale è anche l’enorme carico di reati. Non tutti questi corrispondono a situazioni effettivamente meritevoli della sanzione penale. È la tendenza del legislatore, del resto: quando c’è un problema, un allarme sociale, si risponde con una norma penale. E questo stesso ragionamento è stato fatto anche con il decreto sull’evasione fiscale.
C’è poi un altro aspetto: sarebbe necessario un più ampio ricorso ai riti alternativi, come l’abbreviato e il patteggiamento. Bisognerebbe incentivarli in modo che gli eventuali effetti negativi della sospensione della prescrizione dopo il primo grado siano compensati con un maggiore ricorso ai riti alternativi. Ma difficilmente si farà questo step: si tratterebbe, infatti, di una decisione in controtendenza rispetto alle decisione prese dal governo Lega M5s, nel corso del quale è stato introdotto un provvedimento che esclude il rito abbreviato per i reati per i quali è previsto l’ergastolo. Peraltro, anche questa norma determinerà un ulteriore rallentamento della macchina del processo. Sa, i procedimenti davanti alla Corte d’Assise sono lunghi e impegnativi. Ciò determinerà un assorbimento di risorse e il rischio di impasse.
A proposito del carcere per gli evasori, Bonafede ha parlato di svolta culturale. Lei come interpreta questo provvedimento?
Io credo che uno dei problemi principali sul tema sia quello relativo ai controlli. Se questi fossero efficaci, sarebbero sufficienti, almeno in alcuni casi. Ma, d’altro canto, noi abbiamo il sistema che indulge spesso con i condoni, che creano una sorta di aspettativa, della serie “quello che non pago oggi, nella peggiore delle ipotesi lo pagherò domani”. Ecco, sono questi i temi culturali che dovrebbero essere affrontati in primis. Quanto alle sanzioni penali, io dico una sola cosa: una volta disposte per legge, bisognerà fare i le indagini, e poi i processi. Noi ci troviamo in una struttura che è quasi al collasso, che assolutamente non riuscirà a sostenere l’impatto del blocco della prescrizione dopo il primo grado, figuriamoci cosa può succedere se incrementiamo il carico con nuovi reati.
È per questo motivo che ha definito, in un recente intervento sul tema, il carcere agli evasori “una norma manifesto”?
Sì, perchè se la misura viene messa all’ordine del giorno, anche con una certa enfasi, ma poi non ci sono i controlli su chi evade, è chiaro che diventa una norma manifesto. Il rischio è di trovarsi di fronte a una presa di posizione formale che però non si traduce in una maggiore severità del sistema nei confronti degli evasori, diventa una minaccia poco credibile.
Tra le proposte sul tavolo in tema di giustizia – anche alla luce dell’inchiesta sulle nomine della procura di Perugia – ce n’è una di cui si dibatte da mesi: quella della riforma elettorale del Csm. Bonafede sembra aver fatto un passo indietro rispetto al sorteggio. Ma, secondo lei, è necessario riformare il modo di eleggere i consiglieri? E in che modo?
La magistratura, nella sua quasi totalità , ha sempre sostenuto che il sorteggio fosse una scelta sbagliata. È una chiave di approccio al tema che non è condivisibile. Mi fa piacere che il ministro abbia cambiato idea. Detto ciò, bisogna ricordare che il sistema elettorale attuale del Csm è una dalle cause che ha prodotto i fatti che sono venuti alla luce a primavera (il caso Palamara, ndr). Come avviene in ogni sistema elettorale, quando va verso il maggioritario uninominale, il risultato è un rafforzamento del potere di chi propone le candidature. È successo in passato in politica, e nel passato più recente è accaduto in magistratura. Gli eletti venivano selezionati e nominati dalle correnti. Area aveva pensato al sistema compensativo delle primarie, altre correnti non hanno pensato a strumenti che potessero colmare il gap di rappresentatività che si era venuto a creare con il sistema elettorale. E così si è venuto a creare un meccanismo per cui gli eletti erano condizionabili dai soggetti che, all’interno delle correnti, avevano la capacità di gestire il consenso. Parte di quello che è successo è sicuramente conseguenza di questo sistema. Quindi, il sistema elettorale va rivisto
Come?
Occorre avvicinare l’elettore all’eletto e consentire una maggiore possibilità di scelta agli elettori. Una delle caratteristi dell’attuale sistema è quello del collegio unico nazionale, che comporta, ad esempio, il fatto che un magistrato di Caltanissetta possa essere chiamato a votare per un magistrato di Milano che non ha mai sentito nominare in vita sua. Se dà la preferenza a quel nome, molto probabilmente lo fa perchè il circuito della corrente cui appartiene glielo suggerisce. Diventa una scelta in bianco. Se noi sostituiamo il collegio unico nazionale con un sistema con più collegi elettorali avviciniamo il candidato all’elettore.
A proposito di eletti ed elettori. C’è un’altra questione che non si può più procrastinare, quella delle cosiddette porte girevoli tra politica e magistratura. Come si affronta?
Ci sono due linee guida che, a mio parere, andrebbero seguite. Sono quelle delineate già da tempo dall’Anm: la prima è che non si possono porre limiti alla libertà del magistrato di candidarsi. È suo diritto farlo, come per ogni cittadino. Tema diverso è, invece, cosa fare quando il mandato politico finisce. Area ritiene che una volta compiuto un incarico politico, la toga non possa continuare a fare il magistrato, ma che possa essere destinato a funzioni diverse, amministrative. Il legislatore dovrà decidere se questa destinazione debba essere temporanea oppure a tempo indeterminato. Certamente è necessario un distacco.
Riforma del processo e del Csm a parte, c’è un altro disegno che in questo momento è in discussione Parlamento e riguarda i magistrati. Mi riferisco alla proposta di legge di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere, lanciata dalle Camere penali e sostenuta in primis da Forza Italia. Cosa ne pensa?
Come la stragrande maggioranza dei magistrati italiani sono contrario alla separazione delle carriere. Credo che la figura del pm, per come è stata disegnata in Costituzione e nel codice di procedura penale, sia una figura di garanzia. Non vedo perchè dovremmo privarci di un sistema che presuppone un pubblico ministero terzo e imparziale. Detto ciò, vorrei ricordare che questa proposta introdurrebbe una serie di modifiche che poi inciderebbero sull’indipendenza di tutti i magistrati, anche dei giudicanti. Mi riferisco, ad esempio, alla creazione di due Csm che sarebbero composti dallo stesso numero di togati e laici. Se vogliamo guardare a tutto tondo le vicende di maggio, non possiamo non ricordare che a quelle riunioni partecipavano anche i politici. La politica, nelle sue articolazioni meno nobili, ha sempre coltivato l’idea di normalizzare la magistratura, di esercitare un controllo sulle toghe. Se passasse questo progetto, tale disegno riuscirebbe a trovare concretezza.
La proposta è in commissione. Il Pd, almeno per quanto riguarda la separazione delle carriere, non ha mostrato particolari resistenze. Un atteggiamento che stupisce?
Che il Pd abbia avuto una posizione blanda su questi temi è stato per me una sorpresa. Anche perchè non mi sembra che all’interno del partito ci sia stato un dibattito che l’abbia condotto da una posizione a quella diametralmente opposta. Questa tesi della separazione delle carriere era un cavallo di battaglia del centro destra. Ora, improvvisamente, è diventato un tema comune. E questo lascia perplessi.
(da “Huffingtonpost”)
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