L’IMBROGLIO: POLETTI GIOCA SUI NUMERI DI UNA TRAGEDIA
LE BALLE DEL MINISTRO SMENTITE DAI DATI REALI: MA NON SI FA PROPAGANDA SULLA PELLE DI CHI CERCA LAVORO
Venerdì 28 settembre l’Istat ha diffuso gli ennesimi brutti numeri economici: un tasso di disoccupazione da immediato dopoguerra (13,2 per cento), un calo degli occupati a ottobre rispetto a settembre (55 mila), l’incubo per i giovani in cerca di occupazione. Ulteriore conferma che il lavoro è la vera tragedia italiana e la sua mancanza il modo in cui l’esigenza di deflazionare il sistema Paese è stata risolta in questi anni.
I dati dell’Istat certificano che non c’è stata per il momento alcuna inversione di rotta: l’economia italiana langue e il governo Renzi non sa o non può costringerla a #cambiareverso.
La reazione dell’esecutivo a quei numeri non è stata, se amate gli eufemismi, all’altezza di quella tragedia.
Il premier ha continuato a vantare un aumento degli occupati da febbraio, su dati non destagionalizzati (seguito da un arzillo Del-rio, secondo cui “le chiacchiere stanno a zero”).
Nella realtà si tratta di 51 mila unità in più su una stima di 22,3 milioni di occupati totali: puro rumore statistico.
Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha fatto persino peggio, facendo rilasciare al suo dicastero un comunicato basato su “una prima indicazione che emerge da un’anticipazione” dei dati del Sistema informativo sulle comunicazioni obbligatorie sugli avviamenti e le cessazioni dei rapporti di lavoro dipendente e para-subordinato. Cioè numeri provvisori, non chiari, non completi che però hanno detto al Paese che tra ottobre 2013 e ottobre 2014 sono stati creati “2,474 milioni di nuovi posti”, di cui “400 mila a tempo imdeterminato”.
Questo comunicato è stato poi rilanciato dalle agenzie e dai siti in contrapposizione coi numeri dell’Istat: i dati non sono univoci, come ama dire Renzi.
Poi uno li guarda, questi dati, e insomma: intanto per 2,474 milioni di nuovi contratti ce ne sono 2,415 cessati nello stesso periodo (60 mila in più dentro dati preliminari e incompleti). Non solo.
Il comunicato non riporta il saldo netto dei contratti a tempo indeterminato: si sa, insomma, quanti ne sono stati attivati, ma non quanti sono cessati.
Dai numeri veri, infine, risulta non solo che il “tempo determinato” continua a calare sul totale dei contratti, ma che l’ultimo loro aumento sul trimestre risale al periodo gennaio-marzo 2014: Poletti, è arrivato al governo solo a fine febbraio e il decreto che porta il suo nome — che peraltro si occupa di incentivare il tempo determinato — è stato convertito a maggio.
Non si gioca e non si fa propaganda su una tragedia nazionale.
Un ministro che non capisce una simile ovvietà semplicemente non dovrebbe fare il ministro.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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