L’ULTIMA DI COTA: “MUTANDE VERDI PAGATE DA ME”, MA NON SPIEGA IL “DONO DELL’UBIQUITÀâ€
COTA IN PROCURA NON SI PRESENTA, PREFERISCE IL MONOLOGO IN TV: MA I TABULATI TELEFONICI LO INCHIODANO
Prima era la segretaria ora sono i suoi collaboratori.
Tra un annuncio di golpe e una fiaccolata, Roberto Cota cambia ancora una volta strategia. E tenta una nuova difesa alla vigilia della probabile richiesta di rinvio a giudizio.
«Le ricevute non erano tutte mie, mica le facevo io di persona quelle spese, c’erano i collaboratori che facevano gli acquisti »: ha detto così, ieri, il governatore leghista trascinato via dall’inchiesta della Procura di Torino che lo accusa di peculato per essersi fatto rimborsare dal gruppo regionale 25.400 mila euro di spese personali.
Prima attribuiva la responsabilità degli errori alla segretaria, adesso confessa di non essere stato lui a spendere tutti i soldi messi a rimborso.
Sono stati, dice, i collaboratori.
Ma anzichè affidare questa nuova versione ai magistrati – a dicembre lo aspettavano per interrogarlo e lui non si è presentato – lo fa in televisione, ai microfoni di Maurizio Belpietro che gli chiede del ricorso del governo piemontese, partito ieri sera, contro il pronunciamento del Tar (che ha dichiarato nulle le elezioni del 2010), e a pochi giorni dalla probabile richiesta del processo per il presidente e quasi tutta la sua maggioranza.
Insieme, secondo l’accusa, hanno ricevuto quasi due milioni di euro di rimborsi non dovuti.
Una montagna di scontrini per cene e caffè, bagnoturco e discoteca, viaggi in auto, treno e c’è persino chi ha noleggiato un motoscafo.
Non manca l’abbigliamento di lusso e ci sono i famosi mutandoni verdi da 40 euro comprati proprio dal governatore a Boston, in occasione di un viaggio-studio.
«Uno scontrino finito per errore pinzato insieme ad altri scontrini – ha detto ieri Cota al giornalista che lo intervistava – non è stato neanche oggetto di rimborso perchè la contabilità è stata rettificata».
Agli atti dell’inchiesta la ricostruzione risulta un po’ diversa: il presidente ha pagato di tasca propria i boxer verdi del negozio Martha’s Vineyard, si è fatto rimborsare dal gruppo consigliare la cifra equivalente in euro (40), poi, solo dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia con l’elenco di tutti gli scontrini incriminati, ha fatto un bonifico per restituire parte del denaro alla Regione.
Un piccola bugia. Che si aggiunge alle 115 volte in cui i tabulati telefonici lo hanno individuato lontano dal luogo in cui il negoziante stampava lo scontrino.
O alle grossolane sviste come mettere a rimborso cinque ricevute dello stesso ristorante, la Celestina ai Parioli: tre coperti alle 23 e 38; due coperti alle 23 e 32; cinque coperti sempre alle 23 e 32; dieci coperti alle 23 e 33; e, ancora due coperti nello stesso istante.
Le celle telefoniche agganciavano il suo cellulare alle 13 e 36 del 22 marzo 2011 mentre pranzava da Exki a Torino. Era lui? Perchè alle 15 e 34, solo due ore dopo, si trovava già nella boutique Davide Cenci a Roma, a comprare foulard per 112 euro.
Ancora: il 10 giugno 2011, alle 14 e 18, spendeva 7 euro al bar Francia di Torino, ma sei minuti più tardi pagava cinque menu in un fast food di Rivoli, nella cintura torinese.
Gli investigatori si sono sempre chiesti il perchè di queste spese da un capo all’altro del Paese a pochi minuti di distanza.
L’ipotesi più desolante è che avesse il vizio di raccogliere scontrini non propri per mettere da parte un bottino più ricco.
I pm gliel’hanno chiesto il perchè. Ma, la prima volta, ha scrollato le spalle dicendo che le note spese le faceva la segretaria.
La seconda volta non si è neppure presentato in Procura.
Dichiarare che aveva riconosciuto spese ai collaboratori del gruppo avrebbe potuto «alleggerire» la sua posizione processuale, come è accaduto ad altri colleghi consiglieri.
A una condizione però: che almeno questa volta fosse la verità .
Ottavia Giustetti
Leave a Reply