LA CORAGGIOSA BATTAGLIA DI PAOLO BORROMETI E DEI GIORNALISTI D’INCHIESTA SOTTO SCORTA
IL GIORNALISTA SICILIANO DI 34 ANNI VIVE DA 4 ANNI SOTTO SCORTA PER LE SUE INCHIESTE SULLA MAFIA
Sotto ferragosto le grandi città sono tutte uguali. Sole a picco, turisti in giro, parcheggi finalmente vuoti e la sensazione un po’ surreale che il mondo sia, improvvisamente, andato tutto da un’altra parte.
Ero in una di queste lo scorso ferragosto, di passaggio per fare colazione con un amico ospite lì per qualche giorno.
Doveva essere una colazione normale, un abbraccio al volo fra persone che si vogliono bene e hanno il piacere di rivedersi un momento.
Ma, arrivata nella casa in cui era ospite, guardatolo in viso per un solo secondo, mi sono accorta subito che qualcosa non andava. Che stava male, malissimo. Diciamo anche più teso e pallido del solito, se mai fosse possibile, per un ragazzo di 34 anni che da quattro della sua vita vive “sotto scorta” ogni momento.
Paolo, perchè di Paolo Borrometi sto scrivendo, è giornalista.
Ma giornalista di quelli veri, direi come “si faceva una volta” se non suonasse retorica la cosa, anche se sono sempre più convinta che tutto quello che oggi si liquida come “retorico” sia rivoluzionario.
Paolo non è giornalista come tanti che vanno per la maggiore oggi. Personaggi a cui basta la tessera dell’ordine in tasca per urlare da una tastiera o da un microfono invettive personali e, spesso, di dubbio gusto.
Paolo Borrometi è della schiera di quei trenta giornalisti che, ad oggi, in Italia vivono sotto protezione (dati Ossigeno) per fare, semplicemente, il loro lavoro “bene”.
Per fare giornalismo di inchiesta… con inchieste, appunto.Strumento principe e fondamentale del loro lavoro.
Qualcosa che, come da Treccani, è un'”indagine svolta… per determinare lo stato oggettivo di fatti, […]avvenimenti o comportamenti che interessino un gruppo sociale o una intera società “… e renderne consapevoli noi che leggiamo, aggiungo io.
Ecco, per fare questo, con nomi, cognomi, indicazioni di situazioni precise, non urlando a destra e a manca, c’è gente nell’Italia del 2017, che rinuncia completamente alla sua vita.
Insomma, Paolo è davanti a me, seduto al tavolo di questa casa dalle grandi mura che lo accoglie in questi giorni ed è pallido.
Fuma una sigaretta dietro l’altra e mi racconta che: “Sono entrati in casa sua”. In casa sua.
Sono entrati, non è ben chiaro chi ancora, senza far danni, con mani leggere, quasi invisibili. Entrati e “certe cose”, frutto del suo lavoro, sparite.
Non ha paura Paolo, non credo. Perlomeno non è questo che avverto in lui ora. Lo guardo e vedo in lui l’amarezza, la tristezza, la rabbia repressa solo con l’abitudine alla pacatezza signorile del suo argomentare, di un’altra, ennesima, violazione di un suo spazio.
Di quello in cui cerca ancora di immaginare, una volta salutati i suoi “angeli custodi” e chiusa la porta, di essere “libero”. Immaginare, solo immaginare.
Perchè, purtroppo, non è la prima volta che questo suo unico spazio privato rimasto viene violato… Anche se non lo ha mai reso pubblico.
Neanche stavolta vuole farlo, assurdamente. Viviamo in un paese in cui, in situazioni come la sua, a volte solo se ti ammazzano ti concedono la dignità del pericolo che corri nel fare il tuo dovere, raccontando la tua vita e ciò che ti accade.
Rischi perfino di non essere creduto, di essere delegittimato con il cercare “protagonismo mediatico”.
Lo fecero con Falcone, figuriamoci se non può essere oggi con un giovane cronista siciliano nella Roma che tutto ingoia, digerisce o può distruggere in un attimo.
Insomma, sono qui con lui, fuori è caldo da morire, la città è semivuota e mezza Italia è al mare.
Difficile stemperare la sensazione di tenerezza, affetto, preoccupazione e anche rabbia che proviamo noi che siamo lì, intorno a lui. Gli diciamo che deve denunciare, raccontare cosa è accaduto.
Lui non vuole. Lo farà per lui, però, e con la puntualità di una presenza sempre speciale, il Presidente Grasso qualche giorno dopo, durante un evento in Sicilia.
Ne parlerà Lui dell’ “strano furto” in casa di questo giovane giornalista che gli è caro.
Come a tutti noi, che amiamo lui, ma non solo lui.
Che amiamo quello che fa, perchè attraverso persone come Paolo Borrometi viviamo possibile un’Italia migliore di quella che qualcuno vuole farci intendere, intimorendo chi ancora osa, semplicemente, fare con dignità il proprio lavoro.
In qualunque campo, anche banalmente il nostro quotidiano essere cittadini onesti.
Insomma, mentre oggi scrivo mi rivedo lì, con lui, mentre fuori ci sono quaranta gradi, quella città è semivuota e mezza Italia è al mare. Penso che ho già scritto di Paolo tempo fa, ma stamani è uscita un’altra sua inchiesta.
Il lavoro di un anno. L’ho appena letta, come avranno fatto già molti di voi. L’ho appena letta e penso che anche se avessi scritto solo ieri di Paolo Borrometi, lo rifarei anche oggi.
Perchè serve a non far rimanere sole persone come lui. Perchè anche voi che leggete, se siete arrivati a farlo fin qui, avete capito che è importante farlo.
Ognuno, per quello che può. Io con le parole semplici di una amica che gli vuole bene e vuole sia tenuta accesa la luce su quello che fa lui, ma non solo lui, quello che fanno tutti quei giornalisti in Italia “come lui”.
Fuori è caldissimo, mezza Italia è ancora al mare. Paolo viene dal mare e da uno bellissimo. Pochi lo sono, belli, come quello della sua Sicilia. Ma sono quattro anni che Paolo, il suo mare, lo vede da lontano. Che anche un semplice tuffo non può farlo.
Logisticamente troppo complicato per chi vive sotto scorta. Strano vero? È stata una sorpresa anche per me scoprirlo…
Non ci avevo pensato, così come ogni volta che mi imbatto in un gesto semplice per tutti noi, che scopro invece di una complicazione insormontabile se vivi sotto scorta.
Quindi, una piccola cosa… Andando al mare oggi o domani se ricapiterà , in questi ultimi scampoli d’estate che, fra l’altro nella sua Sicilia, scampoli non sono perchè settembre è il mese più bello, insomma, andando al mare, quando ci troveremo con la testa in acqua, lo sguardo volto verso il cielo mentre le nuvole scorrono e godremo di tutta questa meraviglia, pensiamo un attimo.
Pensiamo, anche solo un secondo, che quel tuffo è un regalo che la nostra libertà di essere ci dona mentre c’è chi, per averla e mantenerla con la stessa dignità , anche quel semplice tuffo non può farlo.
E il mare, il suo mare, ancora una volta e per un’altra estate ancora, anche per tutti noi, lo guarda, come tante delle infinite cose che ama, da lontano.
A Paolo Borrometi. Giornalista.
(da “Huffingtonpost”)
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