LE COLOMBE PDL ATTACCANO GHEDINI: “A CHE SERVE IL RICORSO?â€
SILVIO RASSEGNATO: “ORA C’E’ SOLO LA CRISI”
Per nulla sorpreso dalla sentenza della corte d’Appello di Milano, Silvio Berlusconi guarda già alla battaglia finale, quella di palazzo Madama.
Sempre più determinato a non arrendersi, pronto a trascinare a picco il governo.
«Se voteranno la mia decadenza non mi lasciano altra strada che aprire la crisi sulla legge di Stabilità ».
Un convincimento che si è fatto strada considerando anche la pioggia di critiche che ha accolto la Finanziaria, la delusione che ha suscitato negli imprenditori e nelle varie constituencies – artigiani, commercianti, professionisti – che rappresentano il bacino elettorale berlusconiano.
Il Cavaliere insomma si è convinto che nessuno gliela farebbe pagare troppo cara se decidesse di strappare, tutt’altro.
Il Cavaliere ha accolto ad Arcore la sentenza sull’interdizione senza accendersi troppo. Anzi, con una punta di ironia: «Solo due anni? Ma che gentili, mi hanno fatto lo sconto di uno».
Il verdetto era infatti scontato, semmai la rapidità ha fatto storcere il naso ai consiglieri del leader Pdl, ma si tratta di dettagli.
Il vero scontro invece si è acceso ieri sull’ipotesi del ricorso in Cassazione.
Una questione che ha diviso nuovamente l’ala dei falchi, guidata da Ghedini, dalle colombe filogovernative.
Alfano e i ministri già da qualche giorno stanno infatti suggerendo al Cavaliere di rinunciare all’ennesima, inutile, puntata del fotoromanzo. «A che ti serve ricorrere in Cassazione contro l’interdizione visto che la sentenza è scontata?».
Molto meglio, dal loro punto di vista, lasciar scattare subito la decadenza dai pubblici ufficiali per mano giudiziaria, prima che arrivi un voto da parte del Pd che potrebbe far saltare in aria le larghe intese.
Il ragionamento degli “innovatori” (così hanno preso a chiamarsi gli alfaniani) passa da un dato di fatto inoppugnabile: la decadenza vera e propria potrà esserci solo a seguito di un voto della giunta delle elezioni che dovrà “prendere atto” dell’interdizione decisa dai magistrati.
Quindi servirà altro tempo, un paio di settimane per le motivazioni, poi la trasmissione del provvedimento a palazzo Madama, poi la riunione dell’ufficio di presidenza della giunta.
«Si arriverebbe comunque a fine novembre, ovvero la tempistica – spiega una colomba – sarebbe simile a quella della decadenza per via politica. Quindi a che serve il ricorso in Cassazione?».
Per gli “innovatori” la precipitazione con cui Ghedini, senza prima averne discusso, ha annunciato ieri la decisione di ricorrere sarebbe l’ennesima prova della volontà del superfalco di provocare la rottura della maggioranza.
Anche per frenare queste tentazioni antigovernative, gli alfaniani da ieri hanno iniziato a strutturarsi in corrente organizzata in vista della presa del Pdl.
Circola già un documento – intitolato «Innovare l’Italia, innovare l’Europa, per un grande centrodestra» – che dà sostanza al progetto di un Pdl che guarda al centro.
Un documento su cui gli “innovatori” di Alfano stanno per contarsi, puntando ad allargare – soprattutto al Senato – la schiera dei loro seguaci.
Soprattutto in vista di possibili elezioni, è chiaro che lo scontro tra “innovatori” e “lealisti” si concentra ora sul controllo della casamatta di piazza in Lucina.
Per questo Raffaele Fitto insiste con Berlusconi per spingerlo a riprendersi il controllo del partito finchè è in tempo. «Attendere ancora non è utile – gli ha spiegato due giorni fa – perchè, se tra un mese decidi di strappare, rischi a palazzo Madama di ritrovarti in minoranza. Con numeri anche peggiori rispetto a quelli del 2 ottobre ».
Il Cavaliere tuttavia, nonostante con il cuore propenda per i falchi, resta ancora in attesa. E soprattutto non ha interesse a spaccare il partito.
Le colombe poi hanno portato a casa negli ultimi giorni un bel bottino e, nonostante Berlusconi non veda di buon occhio il progetto neocentrista, al momento si gode i frutti del loro lavorio: è bastato un pranzo con Mario Mauro per veder rotolare la testa dell’odiato Monti e conquistarsi 12 voti in Senato.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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