MATTEOLI, L’EX COLONNELLO DI AN PER LE TELEVISIONI DI SILVIO
IL “SOCCORSO ROSSO” QUANDO FU INDAGATO PER FAVOREGGIAMENTO, IL FIGLIO ASSUNTO DA ALITALIA, L’ATTACCO AI FINANZIERI TROPPO ARROGANTI, LA LAUREA AD HONOREM
Altero Matteoli, a volte, fa il simpatico: “Ho due figli, Federico e Federica, un terzo figlio non avrei saputo come chiamarlo”.
Quando non è di buon umore, e le cronache, mica di rado, lo spingono a rettifiche o rattoppi, l’ex ministro va di intercalare: “Cazzate”.
A 72 anni, abbandonata la penombra che avvolge i furono colonnelli di Gianfranco Fini, l’hanno nominato presidente di commissione al Senato: Lavori pubblici e Comunicazioni, cioè televisioni, l’eterno conflitto di Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere preferiva Paolo Romani, ma il tempo — e le manovre felpate — sanno premiare l’abile Altero, toscano di Cecina, pescatore non convenzionale (“Sì, a volte senza licenza”), guidatore non prudente (“Eleviamo il limite a 150 km/h”).
Per far infuriare Matteoli, a capo dei ministeri di Ambiente e Trasporti, in Parlamento dal 1983 sempre a destra, va ricomposta un’inchiesta fatta a brandelli, fra rimpalli a colpi di codice e rivolte a colpi di casta.
Un giorno di dieci anni fa, allora guidava il dicastero verde, Matteoli chiese al prefetto di Livorno se fosse indagato per abusi edilizi all’Isola d’Elba.
Il prefetto, furbo, s’allarmò. E Matteoli fu indagato per favoreggiamento e rivelazioni di segreti d’ufficio.
Il pubblico ministero di Livorno chiese l’archiviazione, ma il giudice per le indagini preliminari non sigillò il fascicolo — smistato dal Tribunale dei ministri di Firenze per incompetenza territoriale — senza ottenere l’autorizzazione a procedere dai colleghi deputati e senatori perchè non riteneva che la telefonata rientrasse nelle funzioni di un componente di governo.
La protezione soccorse Matteoli, e fu di colore rosso, quel colore che per anni, da consigliere comunale e provinciale in Toscana, aveva combattuto.
La Camera, presieduta dal comunista Fausto Bertinotti, sollevò il conflitto d’attribuzione dinanzi alla Consulta: i fatti contestati riguardano il cittadino Altero Matteoli (prese il nome dal nonno, pare fosse il primo veterinario pisano) o il ministro Altero Matteoli?
La Giunta di Montecitorio, però, fu inflessibile: avvertivano un certo fumus persecutionis.
La Corte costituzionale annullò anche il rinvio a giudizio. E così, planata a Cecina, l’inchiesta è finita con il proscioglimento di Matteoli che, non contento, voleva un risarcimento di 230.000 euro dallo Stato per le spese legali.
Al ministero dell’Ambiente, in carta raccomandata, gli hanno rammentato che non è mai andato in udienza. L’ha presa male, ancora: “È stato un calvario”.
Quando vuole, il presidente — questo è l’ultimo titolo — riesce a stupire.
Da ministro dei Trasporti al salone nautico di Genova, dove finanziari e imprenditori si riflettevano sui barconi arredati con quadri di Picasso (e non è un modo di dire), se la prese con i controlli dei finanzieri: “Sono sacrosanti, ma in alcuni casi i militari si sono comportati con poca civiltà e un po’ di arroganza. Non parlo tanto delle verifiche sui maxi-yacht, ma di barche normali, magari ferme nei porti dove ci sono state operazioni a tappeto”.
Coincidenza: qualche giorno prima, i finanzieri avevano visitato l’imbarcazione dei figli di Matteoli, non proprio una carretta, di 11 metri.
La reazione? Facile: “Non ne posso più di queste cazzate. Federico e Federica hanno una barca normale ormeggiata in Toscana. (…) Non me l’ha detto mio figlio. Mi ha avvertito un ufficiale. Altre persone mi avevano raccontato di comportamenti un po’ arroganti dei finanzieri”.
Con la stessa gradazione di rabbia, Matteoli liquidò le domande su Federico, pilota di Md80 (ora pensionati), che fu assunto in Alitalia nel 2002 durante il blocco delle assunzioni: ma sembra soltanto un bisticcio linguistico.
Una mattina di luglio, il rigido Altero, detto Attila, seppe invocare perdono con dolcezza e la firma a tre assieme a Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa.
Furono beccati a sparlare su Gianfranco Fini.
Il testo, a tratti, commosse: “Per questo non possiamo che chiederti scusa e, dal punto di vista politico, rimetterci a ogni tua decisione”.
S’è visto com’è andata a Fini.
Matteoli conosce l’evoluzione cronologica, mentre il Parlamento s’affanna a trattare per il governo e il Quirinale, lui scongiurava Mario Monti di non cassare la società per lo Stretto di Messina perchè “l’opera va fatta e si può”.
Ha siglato anche l’accordo per il Tav fra Torino e Lione. Non è un politico prematuro. La gavetta l’ha fatta sino in fondo.
Da ragioniere, l’Università di Perugia — “grata per aver ricevuto vari finanziamenti” — gli conferì la laurea ad honorem in Ingegneria.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano“)
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