QUIRINALE, NON C’È SOLUZIONE
NESSUN CANDIDATO IN VISTA PER SOSTITUIRE NAPOLITANO… INTANTO SI BRUCIANO NOMI SUI MEDIA
Il Caos allo stato puro. A partire da oggi manca un mese e un giorno al probabile primo scrutinio per il futuro capo dello Stato e il totonomi dell’Era renziana e nazarena assomiglia a un gigantesco gioco dove si fa a gara per bruciare quanti più candidati possibili, sul modello della casa del Grande Fratello.
L’ultima nomination per andare al rogo riguarda l’ex dalemiano Pier Carlo Padoan, oggi ministro dell’Economia.
È dal 16 dicembre, da quando cioè Giorgio Napolitano lo elogiò nel discorso di auguri alle alte cariche, che il suo nome è cresciuto nel chiacchiericcio politico-parlamentare. Poi i titoli letali per vedere l’effetto che facevano, tipo “La carta di Renzi è Padoan”.
Ma la candidatura del ministro perlopiù tecnico dell’esecutivo di Matteo Renzi non ha smosso passioni ed entusiasmi in direzione di un metodo Ciampi (o Cossiga) sin dal primo scrutinio.
Risultato: un altro candidato bruciato.
In tutto sono almeno trenta le personalità indicate sinora per la successione a Giorgio il Breve, riconfermato al Colle nell’aprile del 2013.
Tra questi, archiviati come Padoan ci sono: Walter Veltroni, Paola Severino, Riccardo Muti, Sabino Cassese, Gianni Letta, Renzo Piano, Anna Finocchiaro, Roberta Pinotti, Emma Bonino, Pier Ferdinando Casini, Dario Franceschini.
Romano Prodi e Giuliano Amato meritano invece un paragrafo a parte.
Le dimissioni e il primo scrutinio del 29 gennaio
Le uniche certezze riguardano allora solo il percorso tracciato da Napolitano. Prossimo ai 90 anni, la sera del 31 dicembre, nel tradizionale discorso di fine anno dalla durata di venti minuti, dirà agli italiani che si dimetterà per l’età e per la salute.
E troverà una sintesi diversa da quella affidata recentemente nel dialetto natìo, il napoletano, al vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri: “Nun c’a faccio cchiù”. “Non ce la faccio più”.
A quel punto il 14 gennaio, il giorno successivo alla fine del semestre europeo a guida italiana, invierà le sue dimissioni a Pietro Grasso, Laura Boldrini e Renzi. Al primo, presidente del Senato, sarà affidata la delicata supplenza del vertice della Repubblica. Alla seconda, alla guida della Camera, spetterà la convocazione a Montecitorio dei grandi elettori (il numero è 1.009) entro le due settimane previste dalla Costituzione.
Si comincerà verosimilmente il 29 gennaio, di giovedì.
Lo sfogo di Re Giorgio a Natale: “Renzi non mi ascolta”
Il primo a essere drammaticamente consapevole del Caos che si impadronirà del Parlamento in seduta comune è proprio Napolitano.
Non a caso il pessimismo è il sentimento prevalente tra i suoi antichi amici. Tipo Emanuele Macaluso che in un’intervista ha detto esplicitamente che “sarà l’elezione più caotica di sempre”.
E tipo Ugo Sposetti , ex tesoriere ds e senatore, che al Foglio ha pronosticato con minaccioso sarcasmo almeno 202 franchi tiratori, il doppio dei 101 antiprodiani del 2013. Di qui la controffensiva renziana per spargere ottimismo e serenità , diffondendo numeri altisonanti e rassicuranti.
Ma la realtà non è così, se lo stesso capo dello Stato, in occasione degli ultimi incontri al Colle per le feste natalizie, ha avuto un lungo sfogo sulle maldestre e spregiudicate manovre del premier.
Ecco Napolitano, nella versione riferita dai suoi interlocutori: “A Renzi ho tentato di dare alcuni consigli ma lui non mi ha mai ascoltato. Adesso però non ce la faccio più fisicamente e devo andarmene. L’unica cosa che ho potuto fare è quella di blindarlo in nome della stabilità ma molto dipenderà da chi verrà qui dopo di me. Ci vuole una figura autorevole e autonoma, non un personaggio scelto in base ai sondaggi del momento oppure per assecondare senza se e senza ma il patto del Nazareno”.
I rischi di quest’ultimo punto, l’accordo tra B. e Renzi, sono evidenti a Napolitano.
Ed è per questo che volutamente, secondo quanto riportato dall’Huffington Post, il presidente della Repubblica ha ricordato in questi colloqui i momenti di “opposizione e contrasto” all’ex Cavaliere.
Il motivo è semplice: il futuro capo dello Stato, per Napolitano, deve essere autonomo da Renzi ma anche da Berlusconi, il quale al contrario va dicendo ai suoi che gli andrebbe bene persino Romano Prodi se questi gli garantisse una grazia piena, in grado di estinguere gli effetti della Severino (interdizione per 6 anni) e consentirgli così la sesta candidatura a premier quando sarà .
La solita solfa della pacificazione ad personam.
Esiste il Mister X del premier? I capitoli Amato e Prodi
Tra l’ennesimo ricatto di B. (che può garantire solo 100 grandi elettori, tolti i ribelli di Raffaele Fitto) e il modello democristiano che ha in testa Renzi (un presidente al servizio di Palazzo Chigi e non viceversa, stile Prima Repubblica), si inseriscono le perfidie tattiche del troncone centrista diviso in tre: alfaniani di Ncd, casiniani dell’Udc, ex montiani di Scelta Civica.
In questo quadro, è impensabile un metodo Ciampi. Anche perchè in giro non c’è nessuno che corrisponda al profilo unificante del misterioso Mister X, il famigerato asso che Renzi dice di avere nella manica della sua camicia bianca.
A meno di un mese i candidati veri sono pochissimi. Se tutti si adeguassero all’ultima, estrema moral suasion di Napolitano il nome è quello di Giuliano Amato, su cui oltre a Berlusconi potrebbero convergere alcuni volti della minoranza dem, da Bersani a Fassina. Ma i bersaniani, in prima battuta, useranno Romano Prodi come manganello antirenziano con l’obiettivo di dire sì a un ex ds (Piero Fassino?).
C’è quindi la carta Grasso: il presidente del Senato è attento a non farsi bruciare ed è in prima fila. Alla fine verrà fuori il metodo Napolitano, quello della prima elezione. L’attuale capo dello Stato fu una seconda scelta dei Ds (la prima era D’Alema) e venne eletto al quarto scrutinio con 543 voti, con la maggioranza assoluta.
Nel frattempo si continuano a bruciare nomi. Stavolta dovrebbe toccare all’ineffabile Luigi Zanda, capogruppo del Pd a Palazzo Madama.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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