RENZI FA DA SCUDO ALLA BOSCHI: “L’IMMUNITÀ L’HO VOLUTA IOâ€
SAREBBE STATO LO STESSO PREMIER A DECIDERE IL RITORNO DELL’IMMUNITA’ PER I SENATORI, LA BOSCHI HA SOLO ESEGUITO
Una riforma con l’immunità al centro e i balletti intorno.
Ci sono i ribelli in Forza Italia, le ridotte al Nazareno, le furerie in zona Nuovo Centro Destra. Tutti vigili poco incisivi.
E la riforma di Palazzo Madama scivola verso il tira e molla di sub-emendamenti (oltre 500) di lunedì in Commissione Affari costituzionali e, fra un paio di settimane, finirà in aula. In stiva, protetta, viaggia l’immunità per i futuri senatori che poi senatori non saranno, non come oggi, non eletti, non equivalenti ai deputati, ma consiglieri regionali, sindaci e nominati.
L’immunità non è apparsa per caso, e per caso potrebbe restare.
Com’è andata lo spiegano fonti di Palazzo di Chigi, che rispondono a precisa domanda: il 17 giugno, due giorni prima che terminassero le mediazioni in Commissione, Matteo Renzi e una delegazione di senatori democratici hanno siglato un compromesso e riesumato l’immunità .
Questa è la novità . Un particolare schiacciante che aiuta a interpretare l’immobilismo di Maria Elena Boschi, il ministro competente e piuttosto riservata e silente su questa vicenda.
I passaggi sono numerosi, però, e vanno messi in fila.
Per fare ordine. Roberto Calderoli, il leghista relatore in Commissione assieme ad Anna Finocchiaro, ha ricostruito le origini di quest’apparizione. Calderoli e Finocchiaro, per non ignorare la questione, introdurre o escludere l’immunità per una Camera non più paritaria, volevano coinvolgere l’arbitro più preparato e imparziale che si possa coinvolgere: la Consulta.
I democratici avevano fretta. Il ministro per le Riforme aveva fretta.
Calderoli ha consegnato al Fatto il contenuto di un paio di email provenienti dal dicastero per le Riforme che certificano un elemento: Boschi sapeva dell’immunità — siamo al 19 giugno, giovedì — e non ha modificato il documento.
Ma non poteva intervenire: la decisione l’aveva timbrata Matteo Renzi.
Il 17 giugno, raccontano fonti di Palazzo Chigi, Renzi ha incontrato una delegazione di senatori democratici e, in quella sede, è emersa la convinzione che fosse necessario ripristinare l’immunità per Palazzo Madama in versione aggiornata.
I motivi. Aumentati poteri legislativi, di controllo e di garanzia, l’immunità era invocata da gran parte dei senatori in Commissione e da un gruppo di costituzionalisti che hanno osservato l’evoluzione di un testo che, in fase di approvazione preliminare (Cdm del 31 marzo), non prevedeva l’ombrello contro l’arresto, le perquisizioni e le intercettazioni senza la tradizionale autorizzazione, articolo costituzionale numero 68.
Il faccia a faccia tra i senatori e il segretario-premier è servito anche a reperire la formula più adatta per aggiornare il testo: un emendamento dei relatori.
E dunque il governo, ricevuto il via libera da Renzi, non ha eliminato l’immunità e ha confermato — come dimostrano i documenti pubblicati ieri dal Fatto e come ammettono le fonti di Palazzo Chigi — le proposte teleguidate dei relatori.
Non è stato un incidente burocratico. Non è stato un equivoco fra uffici. Non è stata una dimenticanza, una spietata leggerezza.
Ma è stata una volontà politica, vidimata fra i doppi livelli di esecutivo e partito. Unica differenza: il governo non ha accettato, in quei giorni frenetici, il suggerimento di Calderoli e Finocchiaro che volevano (e vogliono ) interpellare la Consulta.
Il leghista, autore di porcate elettorali e dotato di sagacia tattica, non voleva sembrare uno sprovveduto nè un difensore di una nuova categoria di privilegiati: i senatori non eletti, di fatto una squadra di fortunati politici locali.
E così Calderoli ha sfidato il ministro Boschi a negare l’evidenza: l’immunità è un desiderio di Palazzo Chigi, non l’estremo, non l’unico, ma comunque di proprietà di Palazzo Chigi. Boschi non ha replicato a Calderoli, non ne ha avvertito l’esigenza.
Ma non ha più importanza: perchè Palazzo Chigi si è intestato la paternità di questa scelta.
L’arcano non esiste più. Anzi, non è mai esistito.
Il ministro Boschi ha degradato a questione non “dirimente” (testuale) l’immunità perchè era a conoscenza degli accordi fra Renzi e un gruppo di senatori.
Non poteva smentire il premier. E il premier non ha smentito l’ultimo testo.
Ma non hanno più valore le frasi di circostanza, le esternazioni quasi piccate di chi sosteneva con sicumera: se l’immunità è un problema, la togliamo.
Forse adesso è un problema, ma l’hanno voluta. E sta lì, nel documento, come richiesto.
Carlo Tecce
(da “il Fatto Quotidiano”)
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