SENATO: L’INTESA IN EXTREMIS NON CANCELLA IL TIMORE DI ALTRE RESISTENZE
RESTANO LE INCOGNITE SULLA TENUTA DELL’ASSE TRA MAGGIORANZA E FORZA ITALIA
È un messaggio bifronte, quello arrivato ieri dal Senato: di responsabilità e di confusione. L’accordo in extremis in commissione sulla riforma di Palazzo Madama apre la strada alla sua approvazione.
Ma non cancella del tutto le incognite sulla tenuta dell’asse tra maggioranza e Forza Italia: se non altro per quanto è successo tra la mattina e il pomeriggio.
Ha rischiato di scricchiolare l’intera impalcatura con la quale Matteo Renzi ha puntellato finora la sua ascesa.
Il rilancio in conferenza-stampa contro la burocrazia è figlio delle tensioni nelle ore precedenti.
Si riprende lunedì al Senato, dopo mediazioni affannose. Ma la situazione non è pacificata.
Rimangono spinte centrifughe trasversali, e non solo. Sono rispuntate le resistenze del Nuovo centrodestra e della Lega sull’elezione dei senatori a livello regionale. Al punto da far dire all’esponente del M5S, Luigi Di Maio: «L’asse Pd-FI si sta sfasciando».
Probabilmente, però, è una speranza. La durezza con la quale Renzi evoca la prospettiva di un voto anticipato è fatta per piegare le ultime riserve.
E Denis Verdini, anello di congiunzione tra Silvio Berlusconi e il premier, ieri ha ribadito che i patti vanno rispettati; e che i senatori per il «no» alla fine saranno meno di 22.
Nella riunione di tutti i parlamentari di FI, fissata per martedì, l’ex premier dovrebbe ottenere dunque il «sì» dei gruppi da offrire a Palazzo Chigi.
Non si possono escludere altri ritardi e colpi di coda.
Ieri la commissione Affari costituzionali ha «vistato» il testo finale dopo le limature di Anna Finocchiaro e di Roberto Calderoli.
Ma la proposta del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, subirà in aula nuovi tentativi di sabotaggio da un fronte trasversale che non vuole un «Senato Frankenstein», nella metafora di M5S.
Al di là di ogni polemica tra «conservatori» e «riformisti», il problema sono gli obiettivi del premier.
Il timore degli avversari è che stiano arrivando segnali a ripetizione su una manovra correttiva in autunno; e che Renzi la voglia evitare.
La freddezza delle istituzioni europee di fronte alle richieste di flessibilità sulla spesa pubblica avanzate dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, promette male.
E l’invito a fare «riforme strutturali», spedito ieri dal presidente della Bce, Mario Draghi, ai Paesi dell’Eurozona, conferma che si è ancora immersi nella crisi.
La preoccupazione è che il ridimensionamento del Senato e, dopo l’estate, la modifica del sistema elettorale, non portino alla stabilizzazione della legislatura ma alle urne.
Con un processo un po’ strumentale alle intenzioni di Renzi, la tesi di chi lo osteggia è che sarebbe un modo per rinviare la manovra al 2015; per poi farla, forte di un mandato politico pieno.
Ma questo ragionamento ha l’unico effetto di frenare la strategia della velocità che Renzi persegue con tenacia; e di alimentare i dubbi sulle sue reali capacità di governo.
Nel numero di oggi, il settimanale britannico The Economist si chiede se il premier riuscirà davvero a salvare l’economia italiana.
E addita il rischio che venga percepito come un «Berlusconi della sinistra».
Palazzo Chigi tenta l’ultima accelerazione con il placet di Giorgio Napolitano, che aspetta di vedere nei prossimi giorni un Senato trasformato: la prima riforma realizzata dopo anni di appelli inascoltati del capo dello Stato.
Massimo Franco
(da “il Corriere della Sera”)
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