SULLA NUOVA LEGGE ELETTORALE MANCA L’INTESA, LA TRATTATIVA SLITTA AD SETTEMBRE
NONOSTANTE L’APPELLO DI NAPOLITANO, SEMPRE IMPOSSIBILE UN ACCORDO TRA I PARTITI
Potrà anche lavorare a qualsiasi ora, il comitato ristretto che si è insediato al Senato sulla legge elettorale.
Potrà accelerare i tempi, riunirsi anche quando c’è aula, ridurre gli interventi: se non si trova un accordo politico, però, non servirà a nulla.
E infatti, la riunione di ieri è stata un buco nell’acqua.
I senatori della commissione Affari Costituzionali designati hanno solo potuto prendere atto del fatto che non c’è neanche un testo da cui partire.
Di disegni di legge depositati ce ne sono. Trentacinque, addirittura.
Proprio per questo non sarà facile arrivare a un testo base.
O almeno — dice il relatore pdl Lucio Malan — a mettere sul piatto le cose su cui decidere: «Preferenze o collegi? Premio di maggioranza al partito o alla coalizione? E le soglie di sbarramento? ».
Secondo Luigi Zanda, l’unico testo organico tra quelli depositati è quello del Pd, il doppio turno di collegio:
«Poi c’è la bozza Violante: 50 per cento dei seggi assegnati con i collegi, gli altri 50 con il proporzionale, e liste piccole di 3-4 candidati».
Il senatore, però, è più che scettico: «Vista la scarsa attendibilità che il Pdl ha dimostrato rompendo il patto sulle riforme, siamo molto sospettosi e preoccupati ».
Di cosa, è presto detto.
«Con un accordo politico — ragiona il capogruppo pd alla Camera Dario Franceschini — vai in aula e in quattro giorni approvi la legge. Senza quello, andare al voto non ha senso. Da emendamenti inorganici potrebbe venir fuori solo una porcheria ».
E quindi, nonostante Di Pietro continui a protestare anche per il comitato ristretto dicendo che le leggi elettorali non si fanno nelle segrete stanze, è proprio da un piccolo focolare che potrebbe venir fuori la riforma.
Gli incontri Migliavacca-Verdini-Cesa però si sono interrotti per l’irrigidimento del Pdl sulle preferenze.
Una ricetta che l’Udc propugna da tempo, e a cui non può certo dire di no, ma che il Pd considera il male assoluto.
Ancora ieri, alla festa dell’Unità , Walter Veltroni ha chiarito: «Possono essere il colpo finale al sistema politico italiano già così fragile. Il rischio di esasperare la già pesante personalizzazione del confronto, di dar vita a campagne elettorali basate sui nomi e non sulle idee e i programmi, è enorme. Così come non daranno risultati incontri come quelli di ieri: Bersani da Napolitano al Quirinale, Alfano da Schifani a Palazzo Madama ».
Queste preoccupazioni, Pier Luigi Bersani le ha di certo illustrate al capo dello Stato nel suo incontro al Quirinale.
Perchè il sospetto che gira tra i capannelli democratici è che il Pdl stia usando le preferenze sulla legge elettorale come ha usato il presidenzialismo sulle riforme.
Per mandare tutto all’aria, e tenersi le liste bloccate del porcellum, che assicurerebbero a Silvio Berlusconi di avere il solito plotone di fedelissimi in Parlamento.
Paradossalmente, nel Pdl si fa un ragionamento uguale e contrario: «Il Pd dice no alle nostre proposte perchè Bersani vuole tenersi i porcellum e fare l’alleanza con Vendola e Di Pietro», dicono i colonnelli dopo una riunione con l’ex premier a Palazzo Grazioli.
Dove si è parlato di legge elettorale, certo: «Valutiamo il presidenzialismo col doppio turno alla francese, o un sistema con le preferenze o il modello spagnolo», dice Fabrizio Cicchitto. Mentre alla Camera, i prodiani del Pd presentano un ddl per il ritorno al Mattarellum.
In questo clima, è davvero difficile che in dieci giorni si possa arrivare a qualcosa.
E scatta il gioco del cerino: chi ha affossato la riforma elettorale? Pd e Pdl daranno l’uno la colpa all’altro.
E se ne riparlerà a settembre, quando forse, per cambiare, sarà davvero troppo tardi.
(da “La Repubblica”)
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