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KIEV EXPRESS: IL CONTROESODO DEGLI UCRAINI CHE TORNANO PER RESISTERE A PUTIN

IL REPORTAGE DALLA POLONIA E DALL’UCRAINA

La fila interminabile di persone in attesa di varcare la frontiera alla stazione ferroviaria di Przemysl, lungo il confine tra Polonia e Ucraina, è ancora lì. I banchetti organizzati dai volontari polacchi che indossano le pettorine fluo e regalano carte sim prepagate per chiamare in Ucraina sono ancora lì. I due sportelli alla destra dell’ingresso della stazione distribuiscono ancora un pasto caldo ai bisognosi e ogni tanto il sindaco continua a farsi vedere nei paraggi.
Eppure, a sette mesi dall’inizio della guerra, è cambiato praticamente tutto. Il flusso migratorio si è invertito: anche se la guerra non accenna a fermarsi, sono sempre di più gli ucraini che decidono di tornare a casa.
In direzione contraria
Vladislav ha 24 anni, una figura esile che non supera il metro e settanta e fitti capelli biondi a spazzola. Regge due buste – una per mano – che gli arrivano fin sopra le anche e sulle sue spalle svetta uno zaino imponente. Non poggia mai il carico a terra per riposarsi e non si scompone neanche quando comincia a piovere e si ritrova ad attendere lì dove la tettoia della stazione non può offrirgli riparo.
Da quando Putin ha lanciato la sua “Operazione Speciale”, Przemysl, una cittadina di 60mila abitanti sul versante polacco del confine con l’Ucraina, è stata inondata da un flusso incessante di persone in fuga dalla guerra. Tanto da diventare la città simbolo della solidarietà europea: soltanto nelle prime tre settimane del conflitto oltre mezzo milione di persone è passato da qui, la prima stazione ferroviaria in territorio Ue per chi proviene dall’Ucraina.Ma l’andamento della guerra, la mancata conquista di Kiev da parte dei russi e la sorprendente controffensiva ucraina nell’est del Paese stanno spingendo sempre più persone a intraprendere il viaggio di ritorno – anche al netto dei rinnovati attacchi nel cuore della capitale. La cittadina polacca simbolo dell’accoglienza si ritrova nuovamente a ospitare folti gruppi di rifugiati. Questa volta, in uscita.Vladislav rimane impassibile per tutta la fila che, a differenza dello scorso inverno, scorre a vista d’occhio: laddove gli ufficiali di frontiera polacchi impiegavano ore a registrare meticolosamente ogni richiedente asilo in arrivo, ora si accontentano di sbirciare rapidamente i passaporti prima di lasciar passare i viaggiatori.
Quando arriva nei pressi del binario, però, Vladislav comincia a disfarsi dei bagagli, affidandoli a una donna che ha superato i sessant’anni. «Ho accompagnato mia madre in stazione, farà ritorno a Kiev», ci racconta il ragazzo senza riuscire a nascondere imbarazzo e tenerezza: «Ora lì è abbastanza sicuro», aggiunge, nonostante le bombe continuino a cadere anche nei quartieri più centrali della capitale.Vladislav non ha intenzione di salire sul treno e il perché è evidente: rientrare in Ucraina, per lui, significherebbe correre il rischio di ricevere la chiamata alle armi. Mentre accompagna con lo sguardo la madre, ricorda: «Abbiamo passato insieme gli ultimi sei mesi a Rzeszow», una città polacca a meno di cento chilometri a ovest da Przemysl, dove la Nato ha stanziato un corposo contingente di uomini e mezzi militari. «I polacchi sono stati gentili con noi», spiega il ragazzo, «ma non potrà durare per sempre. Ogni ucraino vuole tornare a casa».
Verso la meta
Nonostante il folto numero di passeggeri e le trafile burocratiche da smaltire, il treno parte con solo mezz’ora di ritardo. Non è una sorpresa: anche nei momenti più intensi del conflitto le ferrovie ucraine non hanno mai interrotto i servizi per più di due ore consecutive. Tra gli spazi aerei che rimangono chiusi e il razionamento della benzina ancora in vigore, il treno che fa la spola tra Przemysl e Kiev rimane il mezzo di trasporto più affidabile per lasciarsi alle spalle i mesi passati come rifugiati in ogni angolo d’Europa.
A bordo, il clima di attesa diventa quasi insostenibile: nessuno parla e nessuno tace. Soltanto una fitta rete di bisbigli, che non sembrano originare da nessun passeggero in particolare, accompagna l’uscita del treno dalla stazione.
Dopo essere stati inquadrati per mesi come rifugiati di guerra, gli ucraini sentono la necessità – sempre più urgente – di tornare a guardare al futuro. Come fa Tania, che non ha ancora compiuto trent’anni e regge in braccio suo figlio Maksim di pochi mesi mentre sorveglia con lo sguardo Alysia, la primogenita di quattro anni. La carrozzina di Maksim è ingombrante e il trolley a rotelle con cui viaggia la donna vaga pericolosamente libero davanti ai bagni. Ciononostante, Tania non riesce a smettere di sorridere. «Sto per rivedere mio marito per la prima volta da marzo», ci racconta la donna, che con i suoi due figli aveva trovato rifugio nei sobborghi di Berlino. «Tornare a casa non è più un’opzione, i russi hanno bombardato tutto», spiega Tania mentre parla della sua città natale, Kharkiv. «Mio marito faceva lo psicologo lì. Ci sono tante persone che avrebbero bisogno di lui a Kharkiv ma adesso è tempo di iniziare qualcosa di diverso. Qualcosa di nuovo». I dati diffusi dalle Nazioni Unite a fine settembre parlano chiaro: se da un lato circa 11 milioni di persone hanno varcato i confini ucraini in uscita per sfuggire al conflitto, oggi la cifra di persone che ha attraversato le frontiere in senso opposto si attesta intorno ai 6 milioni e mezzo. Conti alla mano, più di un rifugiato su due ha scelto di tornare.
Queste cifre tengono conto degli attraversamenti di confine avvenuti in Slovacchia, Ungheria, Moldavia, Romania e Polonia, con quest’ultima che da sola ha fatto registrare il 60 per cento del traffico di rifugiati in fuga dal conflitto e oltre il 70 per cento dei rimpatri.Tania e i suoi due figli scendono a Lviv, in quella stazione che lo scorso marzo era stata presa d’assalto dagli sfollati che aspettavano giorni prima di riuscire a salire a bordo di un treno diretto in Polonia per mettersi in salvo. Oggi la stazione non è più affollata, anzi. L’unico assembramento si registra sulla banchina dove transita il diretto per Kiev.
Resistenza quotidiana
Inevitabilmente all’interno dei vagoni comincia a respirarsi un’aria diversa. Ai rifugiati che stanno tornando a casa per la prima volta si mescolano coppiette di giovani innamorati che hanno passato il weekend a Lviv per svago, famiglie in visita ai propri cari e impiegati al rientro dalle ferie. E poi, ci sono anche le nuove reclute dell’esercito: hanno appena terminato l’addestramento e vengono inviate in luoghi imprecisati lungo il fronte.Tra loro ci sono alcuni ucraini residenti all’estero che hanno scelto di tornare per imbracciare le armi. Come Vladimir, che ha vissuto 12 anni in Spagna e fino a pochi mesi fa lavorava come muratore a Saragozza. «Sono sovrappeso e l’ultima volta che ho fatto il militare ero un ragazzino», ci racconta l’uomo, «ma questo è il mio Paese. Devo lottare».
Lottare: perché il futuro dell’Ucraina è ancora incerto, come sottolinea Anja, che ha 38 anni e proviene da Vinnytsia, città oggetto di pesanti bombardamenti fino a tre mesi fa. «Abbiamo un solo desiderio, la vittoria», racconta Anja mentre controlla i biglietti delle ultime persone salite a bordo. «E non abbiamo intenzione di arrenderci».
Sin dai primi giorni la guerra in Ucraina è stata accompagnata da un caleidoscopio di propaganda in ogni forma: dai comunicati stampa ai tweet, passando per meme e TikTok, senza esclusione di colpi da entrambe le parti. Ci sono truppe intrepide che organizzano coreografie variopinte in trincea, Godzilla che emerge dal Mar Nero per abbattere il ponte di Kerch e, ultimi soltanto in ordine cronologico, sono arrivati i video degli influencer di Mosca che danzano al ritmo delle esplosioni avvenute nel centro di Kiev il 10 ottobre.
Lontano dalla bolla dei social media, a bordo del treno, tra le persone in carne ed ossa, l’atmosfera è decisamente più moderata. Vige un cauto ottimismo, attutito dalla consapevolezza che anche se il fronte si è spostato più a est e il morale delle truppe continua a migliorare, i combattimenti sono ancora intensi e il prezzo pagato dalla popolazione è altissimo. Il destino dell’Ucraina, checché ne vogliano i leader dell’una o dell’altra fazione, rimane ancora avvolto da una coltre di incertezza e i passeggeri ne sono ben coscienti.
«Tante persone sono fuggite perché dovevano trovare rifugio. Ognuno ha il diritto di fare le sue scelte», ci dice Anja in un raro momento di pausa in cui non corre avanti e indietro per i vagoni. «Io ho scelto di rimanere al mio posto e continuare a lavorare», prosegue la donna: «Mi capita abbastanza spesso di ritrovare amici fuggiti all’estero qui sul treno, mentre si apprestano a tornare a casa. È normale». Anche se indossa un’uniforme da impiegata delle ferrovie e non una mimetica dell’esercito, Anja è consapevole di svolgere un ruolo di rilievo all’interno della guerra.
Durante il conflitto le ferrovie ucraine si sono ritagliate un ruolo da protagoniste sia per il contributo logistico all’esercito che per la partecipazione degli stessi impiegati ai combattimenti lungo il fronte.Secondo quanto riferisce Ukrzaliznytsia, l’ente pubblico che gestisce il trasporto ferroviario di merci e persone in Ucraina, sarebbero circa ottomila i dipendenti dell’azienda impegnati nei combattimenti. Di questi, 244 sono caduti in battaglia e 475 sono rimasti feriti.«Sappiamo quanto sia importante per la nostra nazione garantire il funzionamento delle ferrovie», ha affermato il direttore di Ukrzaliznytsia, Oleksandr Kamyshin, durante un convegno a Berlino lo scorso settembre. «Non importa quanti bombardamenti dovremo subire: noi continueremo a fare il nostro lavoro».
Dove comincia il fronte
E infatti, il treno continua a viaggiare. A velocità spesso ridotta, ma senza alcun intoppo. Ormai mancano poco più di cento chilometri prima di arrivare a Kiev e il treno sosta per un’ultima volta, nella città di Korosten’. Le nuove reclute scendono qui: non sanno – o non vogliono rivelare – dove andranno a combattere.«Il nostro è un lavoro importante, ma la priorità è chi combatte al fronte», racconta Anja appena il treno riprende a viaggiare. «La nostra vita è in bilico: mio marito è un ingegnere e per ora non è stato chiamato a servire la patria. Ma tutto quanto potrebbe cambiare da un momento all’altro».
Fuori dai finestrini l’oscurità inghiottisce gradualmente il panorama piatto e monotono che si è susseguito dalla Polonia fino ai sobborghi di Kiev. L’Ucraina è composta prevalentemente da pianure, con rilievi montuosi che si innalzano soltanto nelle regioni dei Carpazi e in Crimea. Con una percentuale di terreni coltivabili che oscilla tra il 54 e il 57 per cento, non è difficile comprendere come si sia guadagnata il soprannome di “granaio d’Europa”.
Rimangono da attraversare soltanto Irpin e Bucha, nomi tetri entrati nell’immaginario collettivo a causa dei terribili crimini di guerra commessi dai russi contro la popolazione locale. Ma la distanza da Kiev è talmente ridotta che non c’è tempo per pensarci oltre.
Sono ormai le dieci di sera e il treno ha raggiunto il binario cinque di Kiev-Pasazhyrskyi, la stazione centrale della capitale. Alcuni soldati aiutano una donna a scaricare i bagagli dal treno: viaggia con una decina di buste bianche che vengono via via accatastate sulla banchina. Basta proseguire qualche metro per accorgersi che non è l’unica: la stessa scena si ripete in continuazione lungo la piattaforma, così come si ripetono gli abbracci di famiglie riunite per la prima volta dopo mesi.
E anche se i missili russi sono tornati a colpire la capitale, non ci sono file per salire sui treni che portano in Polonia. Non ci sono code di macchine in attesa di rifornirsi ai benzinai, la rete telefonica è ancora attiva e i bancomat continuano a erogare denaro.
Per cercare di evitare il peggio e preparare i cittadini al lungo inverno in arrivo, il governo ha varato un piano che prevede la riduzione drastica del consumo di elettricità durante le ore serali. Per questo nel cuore di Kiev ci sono più ombre che luci. E ci tornano in mente le parole di Vladislav: «Ora lì è abbastanza sicuro».
(da TPI)

This entry was posted on lunedì, Ottobre 24th, 2022 at 21:54 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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