Destra di Popolo.net

NEL COVO DEL BOSS DELLA CAMORRA LA FOTO DI FAMIGLIA CON IL CANDIDATO ALLE REGIONALI DI FORZA ITALIA

Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

IL CONSIGLIERE REGIONALE USCENTE DI FENZA HA LAVORATO PER ANNI CON I SIMEOLI, IL BRACCIO IMPRENDITORIALE DEL CLAN POLVERINO

Prima del video con i tiktoker Rita De Crescenzo e Angelo Napolitano, il consigliere uscente della Regione Campania Pasquale Di Fenza non era certo un personaggio molto noto. Ma quando nell’agosto scorso il video in cui i tre sventolano il tricolore e fanno balletti nell’ufficio di Di Fenza in consiglio regionale è diventato virale, la sua notorietà è cresciuta moltissimo.
In quel periodo Di Fenza era ancora iscritto al partito Azione di Carlo Calenda, ma proprio quel video gli costò l’espulsione dal partito. Lui non si è perso d’animo e – dopo aver ribadito di non volersi dimettere – si è ricandidato alle Elezioni Regionali in Campania, stavolta col centrodestra, in Forza Italia a sostegno di Edmondo Cirielli. Pochi giorni fa sono apparsi nuovi video su Tik Tok dove Di Fenza compariva insieme a Rita De Crescenzo, e la stessa controversa influencer ha fatto un appello al voto per Forza Italia.
La storia di Pasquale Di Fenza viene da lontano. L’abbiamo ricostruita a partire dal luogo dove ha lavorato per molti anni, la sede della Sime costruzioni, della famiglia Simeoli di Marano, considerata il braccio imprenditoriale del clan Polverino. La struttura fu confiscata al clan definitivamente nel 2023, ed oggi è nelle disponibilità dell’Ente Idrico Campano. Siamo stati nella sede della Sime costruzioni insieme alla polizia municipale di Marano proprio nei momenti in cui si sono svolte le procedure di confisca definitiva del bene. Quello che abbiamo trovato
all’interno del quartier generale del clan ci ha raccontato il percorso politico di Pasquale Di Fenza.
La foto di famiglia con il boss
Luigi Maiello, era a capo dei vigili urbani di Marano quando la sede della Sime costruzioni passò definitivamente al patrimonio pubblico. Ed è con lui che abbiamo avuto l’opportunità di vedere cosa c’era negli armadi, nei cassetti e nelle casseforti dell’azienda del clan. “Questo è il cuore del bussinnes del clan – spiega Maiello a Fanpage.it – nella direzione economica di quelli che erano gli interessi del clan Simeoli. Tutto è rimasto congelato al momento dell’operazione di polizia”.
Quando siamo entrati nella sede della Sime ci siamo trovati davanti una miriade di informazioni. Assegni, cambiali, progetti, atti di compravendita, ma anche tante foto tra cui quelle con due Papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. E poi ci sono le foto di famiglia, in due di queste foto compare tutta la famiglia, il boss Antonio Simeoli, i figli Luigi e Benedetto, con le mogli, i nipoti, e poi i collaboratori più fidati, e tra questi proprio Pasquale Di Fenza. “Qui c’è una ricchezza di informazioni che se analizzate ed attualizzate e messe a sistema ci riportano a quelli che erano i condizionamenti, al modus operandi di una criminalità diversa da quella che siamo abituati ad immaginare” ci spiega Maiello. Pasquale Di Fenza compare nelle foto di famiglia, perché è proprio qui, alla Sime costruzioni del clan Simeoli, dove ha lavorato per molti anni.
Nel suo curriculum che compare sul sito della Regione Campania, Di Fenza si presenta come geometra e direttore di cantiere. Fra le costruzioni indicate nel curriculum c’è quella del Parco Daniela a Marano, che fu realizzato dalla Laura Sas,
un’azienda che porta il nome di una delle figlie del boss Antonio Simeoli.
Lo scorso anno Di Fenza, da consigliere regionale, si presentò al compleanno di Laura Simeoli dove venne fotografato, ammettendo di conoscerla da tantissimi anni. Il Parco Daniela a cui ha lavorato Di Fenza fu costruito abusivamente ed in seguito confiscato dall’autorità giudiziaria.
Tra le opere realizzate col contributo di Di Fenza, anche il parco Sime di via Adda, sempre a Marano, che fu costruito proprio dai Simeoli, ed anche questo confiscato dall’autorità giudiziaria, come bene riconducibile al clan. “Qui abbiamo casualmente ritrovato documenti e fotografie che risalivano all’atto del sequestro – sottolinea Maiello – erano testimonianza di uno spaccato, di un vissuto, e mi permetto di dire di una tracotanza criminale che esprimeva potenza più che ricchezza”.
Il sodalizio con i Simeoli e con Biagio Iacolare
Ma Pasquale Di Fenza non è il solo politico che compare nelle foto di famiglia del clan all’interno dell’azienda di famiglia. C’è anche Biagio Iacolare, consigliere regionale dal 2010 al 202o, esponente storico dell’Udc e legatissimo a Ciriaco De Mita fino alla morte dell’ex presidente del consiglio. Anche Biagio Iacolare, come Di Fenza, lavorava per i Simeoli. I due politici compaiono anche vicini in una delle foto di famiglia dei Simeoli a testimonianza di un rapporto politico tra i due. Ma non solo. Continuando la nostra visita all’interno della SIME costruzioni, prima della sua assegnazione al patrimonio pubblico, aprendo uno sgabuzzino ci imbattiamo in scatoloni pieni di materiale elettorale proprio di Biagio Iacolare. Ci sono santini, adesivi, ma anche cavatappi e accendini con la scritta “Vota Iacolare”.
Si riferiscono alle elezioni del 2010, quelle vinte dal centro destra in Campania, a testimonianza di come la famiglia Simeoli fece campagna elettorale per Iacolare in quella tornata elettorale. Iacolare finì anche nell’inchiesta Bloody Money di Fanpage.it, quando il collaboratore di giustizia, Nunzio Perrella, si infiltrò nei ambienti criminali fingendo di voler smaltire rifiuti per conto delle amministrazioni pubbliche. Al tempo Iacolare era presidente della Sma, una società di proprietà della Regione Campania, e incontrò proprio il collaboratore infiltrato per trattare lo smaltimento dei fanghi dei depuratori campani. Iacolare ha avuto ruolo di primissimo piano nella politica campana degli ultimi anni, fino a quando, dopo l’inchiesta Bloody Money, non si è ritirato a vita privata.
Dopo la sua elezione con il centro destra nel 2010, nel 2015 fu proprio Iacolare l‘artefice del cosiddetto “Patto di Marano”. A 48 ore dalla consegna delle liste per le elezioni regionali l’Udc di Iacolare e De Mita, passò dal centro destra al centro sinistra, accordandosi con Vincenzo De Luca. Quel patto fu determinante per la vittoria del centro sinistra in Regione Campania nel 2010. L’accordo fu stilato a Marano, tra De Mita e De Luca, in una cena proprio a casa di Biagio Iacolare. Il rapporto tra Iacolare e Pasquale Di Fenza è quindi di lungo corso, prima colleghi di lavoro nell’azienda di proprietà del clan, e poi insieme in politica, fino a quando Iacolare non è uscito di scena e Di Fenza è diventato invece protagonista con l’elezione in consiglio regionale.
Di Fenza fu eletto nel 2021 nella lista “Liberal democratici per De Luca”, una civica che fu ispirata da Peppe Sommese, oggi candidato con il centro sinistra nella lista dei Socialisti. Prima
ancora Di Fenza si era candidato a consigliere comunale a Marano con la Lega di Salvini, senza raggiungere l’elezione, ma risultando tra i più votati a Marano. Poi il grande salto alla Regione, nel centro sinistra, nel gruppo misto, fino alla recente adesione ad Azione nel 2024.
Poi, il pasticcio del video con i tiktoker e l’espulsione da parte di Calenda, lo hanno condotto nelle braccia del centrodestra e di Forza Italia. Un’operazione che porta la firma di Fulvio Martusciello, europarlamentare e coordinatore regionale di Forza Italia. È Marano il territorio elettorale di Di Fenza, dove appunto i Simeoli hanno ancora oggi un ruolo nel sistema criminale territoriale.
Il Comune di Marano di Napoli ha il record italiano per numero di scioglimenti per infiltrazioni camorristiche, ben 5 dal 1991, anno in cui è stata varata la legge per gli scioglimenti. Proprio nel periodo di gestione commissariale, ci è stato possibile girare le immagini all’interno della Sime costruzioni. L’ultimo scioglimento in ordine di tempo è quello arrivato nel 2025, per l’amministrazione guidata da Matteo Morra e sostenuta dal centrosinistra.
Secondo i documenti della commissione d’accesso che ha decretato, con il Ministero dell’Interno e della Prefettura di Napoli, lo scioglimento del Comune, il potere di influenza proprio dei Simeoli è ancora fortissimo. Nei documenti possiamo leggere: “Per il Sindaco si rilevano rapporti di intensa e assidua frequentazione con un noto imprenditore , attivo soprattutto nel settore edile, considerato verosimilmente elemento di collegamento tra gli ambienti criminali insistenti sul territorio e gli organi politici”
La commissione ha accertato anche rapporti tra assessori e consiglieri con gli ambienti criminali, e addirittura del personale amministrativo del Comune di Marano. “La storia di Marano è emblematica” spiega a Fanpage.it, Sandro Ruotolo, europarlamentare del Pd, e da sempre in prima linea nella lotta alla camorra. “I Simeoli solo a Marano hanno costruito più di 500 appartamenti, ma hanno lavorato in tutta Italia – racconta – per poter realizzare gli appartamenti hanno bisogno del rapporto con la politica. Sono stati individuati dalla commissione d’accesso dei consiglieri comunali con rapporti con le famiglie di camorra. Dal 1991, quando è stata istituita la legge, Marano ha il record dei record per scioglimenti per infiltrazioni mafiose. Questa capacità di infiltrazione, di stare dentro il circuito dell’economia legale con la Sime costruzioni, pone la questione delle questioni, la selezione della classe dirigente, è il chi decide chi far eleggere”.
A testimonianza del rapporto consolidati tra i clan e la politica, nel gennaio del 2025 è arrivata anche la sentenza di primo grado nel processo che vede coinvolti proprio i Simeoli, con l’ex sindaco di sinistra, Mauro Bertini, primo cittadino dal 1993 al 2006, e i fratelli Cesaro, Aniello e Raffaele, fratelli dell’ex Presidente della Provincia di Napoli di Forza Italia, Luigi Cesaro. Bertini è stato condannato a 12 anni e 6 mesi, per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione aggravata, nello stesso processo è stato condannato anche Angelo Simeoli, alias “Bastone”, fratello del boss Antonio Simeoli, detto “Ciaulone”. Oggi Antonio Simeoli ed i suoi figli sono liberi dopo aver scontato le pene.
La replica di Di Fenza: “Il voto è segreto, non so dire se mi hanno votato”
Abbiamo quindi deciso di sottoporre le fotografie rinvenute nella sede dell’azienda del clan e le ricostruzioni dei rapporti proprio a Pasquale Di Fenza. Il consigliere non ha smentito la foto ed i rapporti con la famiglia Simeoli. “Riconosco questa foto – ha detto ai nostri microfoni – io sono un geometra, ho collaborato a livello professionale con loro per tantissimi anni, quindi assolutamente non posso negare quale è stato il mio trascorso ed il mio passato”. Ma Di Fenza non era un collaboratore qualunque, tanto da comparire in quella foto che possiamo definire di famiglia: “No c’erano tanti collaboratori, era la famiglia, oggi parliamo di loro a livello imprenditoriale, quindi io non ho nessun problema”.
Ricordiamo a Di Fenza che i Simeoli hanno ricevuto delle condanne definitive che li conoscono come braccio imprenditoriale del clan Polverino. “I Simeoli all’epoca erano dei costruttori”. Sì ma sappiamo che sono dei camorristi: “E’ stato accertato che sono dei camorristi ma questo non spetta a me dirlo no? Io mi attengo a quelle che oggi sono le decisioni della magistratura”. Chiediamo al consigliere se i Simeoli lo hanno votato: “Nel 2020 quando io sono stato eletto, erano in regime di detenzione”. Oggi invece, dopo aver scontato le pene, i vertici della famiglia sono liberi. Ed invece con Biagio Iacolare che rapporti aveva? : “Abbiamo collaborato insieme, poi ognuno ha preso la sua strada. Io collaboravo all’epoca con Biagio Iacolare per la parte politica, nel senso che a me la politica è sempre piaciuta, gli davo una mano, quando si doveva votare per Biagio Iacolare io l’ho appoggiato nelle diverse campagne elettorali”.
Lei si ricorda che alla Sime costruzioni si faceva campagna elettorale per Biagio Iacolare? “Sì”. Quindi secondo lei a Biagio Iacolare l’hanno votato, a lei invece, non lo sa: “Lo intervisti lei. Io non sono andato a chiedere i voti ai Simeoli, poi se qualcuno solo perché Pasquale Di Fenza è empatico, è simpatico, è una bella persona, e dice lo vogliamo votare, ma il voto è segreto io non le posso dire se mi hanno votato o meno”.
(da Fanpage)

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VALDITARA AVEVA NEGATO LA CARTA DOCENTE DA 500 EURO AI PRECARI IGNORANDO UNA DIRETTIVA EUROPEA: MINISTERO CONDANNATO A PAGARNE 2.000 A OGNI INSEGNANTE PER SPESE LEGALI

Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

ALLA FINE SI ARRIVERA’ A 1 MILIARDO E MEZZO PAGATO DAGLI ITALIANI … INTERVENGA LA CORTE DEI CONTI, PAGHINO I COMPONENTI DEL GOVERNO DI TASCA LORO

Per i risarcimenti legali connessi alla Carta docente, la carta da 500 euro per l’aggiornamento professionale degli insegnanti che domani sarà sbloccata, il governo sarà costretto a pagare una cifra maggiore rispetto a quella che avrebbe speso se avesse da subito allargato la platea ai docenti precari.
Come sappiamo, la Carta è stata allargata recentemente anche ai docenti con supplenza al 30 giugno. Fino all’anno scorso la Carta veniva infatti riconosciuta anche ai supplenti, ma solo a quelli con contratto annuale, cioè esclusivamente a quelli con incarico fino al 31 agosto. Rimaneva fuori però la maggioranza della platea dei precari, cioè quelli con contratto fino al termine delle
attività didattiche, cioè appunto fino al 30 giugno. E le nuove norme, entrate in vigore con il decreto Scuola, non risolvono il problema delle controversie legali aperte.
I sindacati della scuola si sono sempre battuti contro quella che è apparsa come un’assurda discriminazione, che ha portato anche a decine di migliaia di ricorsi. Questi contenziosi sono stati tutti vinti nei tribunali dai precari, che ora hanno diritto al risarcimento delle spese legali e naturalmente ai 500 euro della Carta. Nonostante i ritardi che si sono registrati nell’esecuzione delle sentenze – perché in molti casi i docenti non sono stati ancora risarciti – la quota che ora lo Stato dovrà sborsare, per aver violato la normativa europea sulla parità di trattamento tra personale a tempo determinato e personale di ruolo, è più alta delle risorse che avrebbe dovuto impiegare includendo da subito tutti i docenti.
In pratica, per ogni Carta docente da 500 euro non riconosciuta, il ministero è stato quasi sempre condannato anche a risarcire spese legali per circa 2000 euro. Negli ultimi tre anni i costi sarebbero arrivati a un miliardo di euro, e questa cifra sarebbe destinata a salire, fino a toccare potenzialmente un miliardo e mezzo di euro. Un evidente spreco di denaro pubblico.
Per questo la deputata di Avs ha presentato un’interrogazione al ministro dell’Istruzione Valditara. Secondo le informazioni in possesso della parlamentare, dall’entrata in vigore dell’attuale governo, nell’ottobre 2022, il contenzioso in materia di lavoro scolastico ha conosciuto un incremento esponenziale, “fino ad assumere i tratti di un vero e proprio fenomeno strutturale”, recita il testo dell’interrogazione. Il valore di tutti i contenziosi potrebbe arrivare secondo le stime a oltre un miliardo e mezzo di
euro.
“La causa principale risiederebbe nella mancata attuazione delle direttive europee in tema di parità di trattamento tra personale a tempo determinato e personale di ruolo (direttiva 1999/70/CE e clausola 4 dell’accordo quadro CES-UNICE-CEEP sul lavoro a tempo determinato) e nella persistente disapplicazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenze CGUE C-331/17, C-494/17; C-450/21 e altre). Le conseguenti vertenze, che si sarebbero quasi sempre risolte con esiti sfavorevoli al Ministero dell’Istruzione e del Merito, avrebbero generato un ingente spreco di risorse pubbliche e un impatto finanziario devastante per le casse dello Stato”.
“Se le cifre dovessero essere confermate, si parla di circa 110.000 ricorrenti per il diniego della carta docenti ai precari in violazione del diritto UE. Il recente intervento normativo, che attraverso il Decreto 127/2025, ha esteso il bonus da 500 euro anche agli insegnanti non di ruolo con incarichi annuali, non sana il pregresso e lascia esclusi i supplenti con almeno 150 giorni di servizio, in contrasto con la giurisprudenza della Corte di Cassazione”.
“Sembrerebbe siano circa 30.000 i ricorrenti sulla disparità di trattamento retributivo tra docenti di ruolo e docenti a termine, mentre sarebbero circa 70.000 i ricorrenti per l’equiparazione economica e giuridica al personale stabile, in violazione della clausola 4 della direttiva 1999/70/CE”.
“Poi si parla di circa 110.000 persone che avrebbero promosso ricorso o avrebbero intenzione di ricorrere per la mancata monetizzazione dei giorni di ferie non fruiti, in contrasto con il principio europeo di effettività dei diritti del lavoratore;
il totale stimato di questi contenziosi, dall’ottobre 2022 all’ottobre 2025, sarebbe di circa 1,53 miliardi di euro: una cifra enorme. Inoltre, con numeri minori, nell’ultimo periodo si registrerebbero sempre più vertenze su ricostruzioni di carriera e riconoscimento del servizio pre-ruolo, mancato pagamento degli arretrati per supplenze brevi, differenze contributive e previdenziali, responsabilità amministrativa per danno erariale derivante da soccombenze seriali. Un quadro che, se confermato, dipinge una situazione allarmante per il Ministero dell’istruzione e del merito”, si legge nel testo a firma Piccolotti, che domanda al ministro quali azioni intenda intraprendere per diminuire il numero di contenziosi in ambito scolastico.
Piccolotti (Avs): “Valditara sommerso di ricorsi”
“Il Ministero di Valditara è sommerso di ricorsi e carte bollate. Sono ricorsi di docenti a cui il Ministero stesso si rifiuta di riconoscere trattamenti economici e diritti che secondo i tribunali sono dovuti. La causa principale dei ricorsi risiede nella mancata attuazione delle direttive europee in tema di parità di trattamento tra personale a tempo determinato e personale di ruolo, e nella persistente disapplicazione della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Il ministro del governo Meloni si è ostinato su questa strada per tre anni nonostante la pioggia di ricorsi per la carta docente, per le ferie non godute che non vengono pagate e per l’equiparazione economica e giuridica al personale stabile. Il risultato di questa ostinazione? Per ogni carta del docente da 500 euro non riconosciuta, ad esempio, il Ministero viene quasi sempre condannato anche a risarcire spese legali per circa 2000 euro. Una montagna di costi che paiono essere già arrivati in 3
anni ad un miliardo di euro e che lieviteranno ancora, pare almeno fino ad un miliardo e mezzo”, ha sottolineato Piccolotti.
“E quel che è peggio è che il recente intervento normativo proprio su questo punto non sana il pregresso e lascia esclusi i supplenti con almeno 150 giorni di servizio, in contrasto con la giurisprudenza di Cassazione. Queste risorse pubbliche potrebbero essere meglio impiegate per stabilizzare gli stessi precari o per finanziare gli aumenti contrattuali, quegli aumenti che scandalosamente non sono stati adeguati all’inflazione crescente. Per questo abbiamo presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro per sapere se i dati in nostro possesso sono giusti e affinché ci spieghi quali iniziative urgenti intenda assumere per ridurre i contenziosi, tutelare i lavoratori precari e mettere fine a uno spreco enorme di denaro pubblico”.

(da Fanpage)

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“ZITTA, STAI ZITTA CICCIONA!”: TRUMP PERDE LA TESTA CON UNA GIORNALISTA DI BLOOMBERG CHE GLI STAVA PONENDO UNA DOMANDA SUL CASO EPSTEIN

Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

A BORDO DELL’AIR FORCE ONE, IL CIALTRONE LE HA PUNTATO CONTRO IL DITO: “BLOOMBERG DOVREBBE LICENZIARLA” … MARJORIE TAYLOR GREENE, EX FEDELISSIMA DEL TYCOON, TUONA CONTRO “THE DONALD”: “IL POPOLO AMERICANO NON TOLLERERÀ PIÙ STRONZATE…”

“Quiet, quiet piggy”. “Zitta, stai zitta cicciona”. Questo l’insulto sessista, bodyshaming e pure antianimalista se si considera il termine “piggy” (“grassa come un maiale”) che Donald Trump ha rivolto ad una giornalista di Bloomberg che gli stava ponendo una domanda sul caso di Jeffrey Epstein. Secondo quanto
riportato da diversi media americani, il presidente ha offeso la reporter qualche giorno fa, a bordo dell’Air Force One.
Trump stava tornando a Washington quando Catherine Lucey, la giornalista di Bloomberg insultata, gli ha chiesto perché non volesse pubblicare i documenti su Epstein. Il presidente l’ha guardata e puntandole il dito contro ha detto: “Zitta, stai zitta, cicciona”.
Parlando con i giornalisti sulla pista d’atterraggio il tycoon ha continuato ad attaccare Lucey dicendo che “Bloomberg dovrebbe licenziarla”. “Piggy” è stato uno degli insulti preferiti del tycoon in passato. Durante la sua campagna presidenziale del 2016, l’ex Miss Universo Alicia Machado, che vinse il titolo a 19 anni quando Trump era comproprietario dell’organizzazione, affermò che il presidente aveva minacciato di toglierle il titolo dopo che era “ingrassata”.
Marjorie Taylor Greene attacca Donald Trump e i Maga sul caso di Jeffrey Epstein sostenendo che sia stata “una delle cose più distruttive per il movimento”. In una conferenza fuori da Capitol Hill con le vittime del finanziere pedofilo la deputata, ex fedelissima del presidente americano, ha detto che “il popolo americano non tollererà altre stronzate”, sul caso.
(da agenzie)

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IL COMITATO NAZIONALE DELLE FONDAZIONI LIRICO SINFONICHE, IN UNA LETTERA APERTA, LE SUONA AL SOTTOSEGRETARIO ALLA CULTURA DI FDI, GIANMARCO MAZZI, CHE HA ANNUNCIATO “VERIFICHE ARTISTICHE”: “LA DELEGITTIMAZIONE DEL NOSTRO VALORE ARTISTICO E LE SUE INTIMIDAZIONI FANNO DISONORE A CHI DOVREBBE RAPPRESENTARE LE ISTITUZIONI”

Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

“IL NOSTRO ‘CONTROLLO QUALITÀ” È QUOTIDIANO, RIGOROSO, PUBBLICO. SE VUOLE VERIFICARLO DI PERSONA, NON HA CHE DA FARSI UN GIRO IN UNA FONDAZIONE LIRICO-SINFONICA. E POICHÉ SEMBRA APPASSIONATO DI CLASSIFICHE, RIPORTI QUELLE UFFICIALI SULL’INVESTIMENTO IN CULTURA IN ITALIA RISPETTO AL RESTO D’EUROPA E DEL MONDO”

Sottosegretario Mazzi,
desideriamo risponderle non in qualità di sindacalisti – che lo hanno già fatto con chiarezza – ma come lavoratrici e lavoratori che da anni prestano servizio in una Fondazione lirico-sinfonica.
Ogni giorno il nostro mestiere è sottoposto a un controllo di qualità diretto e costante: da parte dei maestri, dei direttori, dei colleghi e soprattutto del pubblico.
Nel coro, in fase di preparazione, si canta spesso a due a due: ogni voce è esposta, ogni incertezza si sente. I maestri del coro fanno richieste specifiche e dettagliate non solo al gruppo, ma ad ognuno di noi singolarmente. È un loro diritto, ed è nostro dovere sottoporci continuamente alla verifica della nostra professionalità.
Per ottenere anche solo una frase solistica in un’opera, affrontiamo audizioni interne davanti alla direzione artistica.
Ha presente le ancelle in Turandot o le tante sorelle di Suor Angelica?
I professori d’orchestra, dal canto loro, ricevono osservazioni puntuali dai direttori quando il risultato non è soddisfacente: si lavora, si corregge, si ripete finché l’esecuzione non è all’altezza.
Le loro “audizioni pubbliche” si riscontrano nei numerosissimi assoli operistici e sinfonici.
Ad esempio quello del violoncello nel Don Carlo, del clarinetto nella Traviata, del flauto in Madama Butterfly, del fagotto nel
Barbiere di Siviglia, del corno nel Tannhäuser, della viola nella Manon Lescaut, dei fiati della Sagra della Primavera, solo per citarne alcuni. Tutte frasi solistiche che chi ama l’opera conosce. Tutti esempi di come il singolo musicista venga messo sotto i riflettori, replica dopo replica, davanti a un pubblico pagante.
Questo è il nostro “controllo qualità”: quotidiano, rigoroso, pubblico. Se vuole verificarlo di persona, non ha che da farsi un giro in una Fondazione lirico-sinfonica: troverà prime parti e artisti del coro, aggiunti e professionisti prossimi alla pensione che studiano in salette individuali, che si confrontano ogni giorno con l’altissimo livello richiesto da questo mestiere.
Se vuole occuparsi davvero di qualità e merito, perché non verifica quante Fondazioni liriche portano avanti – accanto alla normale programmazione – progetti sociali di valore pubblico, aperti alla cittadinanza?
Lei sostiene che i giovani si annoino all’opera. Venga all’anteprima giovani del Teatro Regio di Torino e vedrà, per ogni titolo di cartellone, oltre mille ragazzi e ragazze sotto i trent’anni, entusiasti di assistere a un’opera lirica
E poiché sembra appassionato di classifiche, riporti agli italiani quelle ufficiali sull’investimento in cultura in Italia rispetto al resto d’Europa e del mondo.
Restando solo sul FUS – Fondo Unico per lo Spettacolo – sappiamo tutti che, fin dalla sua istituzione nel 1985, si è rivelato una coperta troppo corta, contesa da tutte le realtà dello spettacolo dal vivo, spesso gestita più per tamponare emergenze croniche che per garantire una vera programmazione stabile.
Eppure, anche tralasciando l’idea – che pure dovrebbe essere centrale – della cultura come presidio della democrazia, l’intera filiera culturale genera un indotto economico significativo, rendendola un settore strategico che richiederebbe investimenti strutturali ben più lungimiranti. Di questo vorremmo sentirla parlare.
Chi svolge questo lavoro non chiede indulgenza, ma rispetto. La delegittimazione del nostro valore artistico e le sue intimidazioni, usate come esercizio di potere contro chi ha espresso dissenso, fanno disonore a chi dovrebbe rappresentare le istituzioni democratiche.
Il Comitato Nazionale delle Fondazioni Lirico Sinfoniche

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CRONACA DI UN COMPLOTTO CHE NON C’È: FRANCESCO SAVERIO GAROFANI, CONSIGLIERE DEL QUIRINALE, SI SARÀ ANCHE FATTO SCAPPARE UNA RIFLESSIONE SULLE DINAMICHE DELLA POLITICA ITALIANA IN VISTA DELLE ELEZIONI 2027. MA BELPIETRO HA MONTATO LA PANNA, UTILE A VENDERE QUALCHE COPIA IN PIÙ E A DARE UN ASSIST A FRATELLI D’ITALIA, SEMPRE PRONTA ALLA LAGNA VITTIMISTA

Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

A QUEL TORDO DI GALEAZZO BIGNAMI È SCAPPATA LA FRIZIONE. E DOPO IL SUO ATTACCO AL COLLE, IL SOLITAMENTE CAUTO GIOVANBATTISTA FAZZOLARI È INTERVENUTO PRECIPITOSAMENTE PER SALVARGLI LA FACCIA (E LE APPARENZE CON IL COLLE)

La cafonata di Bignami di chiedere al Colle una smentita sul retroscena de “La Verità”, firmato da un Belpietro in modalità ultra-Sechi e mega-Sallusti, a caccia di copie perdute, è uno sgarbo istituzionale inedito nella Repubblica italica.
Finché il primo inquilino del Quirinale sarà Sergio Mattarella, un Capo dello Stato che trama complotti per impedire una vittoria di Giorgia Meloni alle prossime elezioni del 2027 non sta né in cielo né in terra.
Il fedelissimo della Ducetta, ex Fronte della Gioventù, ha dimostrato per l’ennesima volta la propria inadeguatezza e bellicosità, per usare parole gentili, per ricoprire l’importante ruolo di capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera.
Incapacità e bellicosità anche nei confronti della stessa maggioranza: epico resta il suo scontro di sei mesi fa, in aula, con il presidente di turno, Giorgio Mulè. Bignami accusò in diretta l’azzurro di fare intelligenza col nemico, ovvero di togliere sempre la parola a FdI e mai all’opposizione.
Il virgolettato attribuito da Belpietro alla bocca del consigliere del Colle, l’ex parlamentare del Pd Francesco Saverio Garofani (“’Un anno e mezzo non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra, ci vorrebbe un provvidenziale scossone”), ha origine dal recente viaggio di Mattarella in Germania, dove è stato trionfalmente accolto al Bundestag dal suo omologo Frank-Walter Steinmeier, gran tifoso romanista che passa le sue estati a Capalbio.
A margine del discorso al parlamento tedesco, i soliti capannelli di inviati hanno assediato Garofani per aver qualche notizia sui colloqui di Mattarella con i rappresentanti delle istituzioni germaniche.
Magari al consigliere del Colle, che ieri era al tavolo del Consiglio supremo di difesa (in quanto suo segretario) insieme a Giorgia Meloni e Mattarella, sarà sfuggita una parola in più sulle preoccupazioni tedesche su ciò può che avvenire alle politiche italiane del 2027. Preoccupazioni giustificate, visto che il governo di Merz deve fronteggiare l’avanzata dei nazistelli di Afd.
Ora, una ovvietà del genere è stata gonfiata da Belpietro come un soufflé, agitando presunti complotti quirinalizi per far cadere il governo Meloni. La notizia ovviamente ha il sapore dell’assist per la Statista della Sgarbatella e per i suoi camerati, che potranno ricorrere alla solita lagna vittimista evocando accerchiamento e trame oscure dei poteri forti.
Un episodio simile era avvenuto nell’agosto 2024, quando “il Giornale” di Sallusti sparò la notizia di un imminente procedimento giudiziario a carico di Arianna Meloni.
Apriti cielo: per giorni ci siamo dovuti sorbire dichiarazioni in batteria dei Fratellini d’Italia sulla persecuzione giudiziaria, salvo poi scoprire che non c’era alcun avviso di garanzia.
Ps. Se le frasi di Bignami non sorprendono, vista la sua imperizia, stupisce che in suo soccorso si precipiti il sottosegretario all’attuazione del programma, Giovanbattista Fazzolari, che misura le parole e centellina dichiarazioni.
Con sicurezza, “Fazzo” ha sentenziato: “Nè Fdi né tanto meno Palazzo Chigi hanno mai dubitato della lealtà istituzionale del
presidente Mattarella.
Infatti Bignami non si è in alcun modo riferito al Quirinale né si è rivolto in modo irrispettoso al presidente della Repubblica ma ha semplicemente fatto notare che sarebbe stata opportuna una smentita del consigliere Garofani”.
Certo, Fazzolari ha dovuto metterci una pezza per salvare la faccia dell’improvvido Bignami, che aveva invocato la smentita ai “consiglieri del Capo dello Stato”: “Confidiamo che queste ricostruzioni siano smentite senza indugio in ossequio al rispetto che si deve per l’importante ruolo ricoperto dovendone diversamente dedurne la fondatezza”.
(da Dagoreport)

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UE RISPONDE A DOMANDA SU GAZA CHE HA FATTO PERDERE IL LAVORO AL GIORNALISTA NUNZIATI: “ISRAELE PAGHI I DANNI”

Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

KAJA KALLAS: “IN BASE AL DIRITTO INTERNAZIONALE CHI CAUSA UN DANNO E’ TENUTO A RIPARARLO”

Per settimane è rimasta sospesa nell’aria, rimbalzando nella sala stampa della Commissione europea come un interrogativo scomodo: Israele dovrà contribuire alla ricostruzione di Gaza? Una domanda semplice, estremamente diretta, che aveva però avuto conseguenze pesanti. A porla per primo era stato Gabriele Nunziati, giovane giornalista dell’Agenzia Nova, durante il briefing di mezzogiorno al Berlaymont. Una domanda che la portavoce della Commissione aveva liquidato con un rinvio (“interessante, ma non commento”) e che, pochi giorni dopo, era costata al reporter il posto di lavoro, come abbiamo raccontato su Fanpage.it. Da allora, molti colleghi a Bruxelles hanno scelto di riproporre quel quesito in segno di solidarietà, trasformando un episodio di censura aziendale in un caso politico e professionale; ogni giorno, la stessa domanda; ogni giorno, nessuna risposta. Finché qualcuno non è stato obbligato a rispondere.
Tridico (M5s): “Esiste piano affinché Israele paghi per la distruzione a Gaza?”
È accaduto durante un’audizione nella Commissione per il controllo dei Bilanci del Parlamento europeo: a chiedere conto delle responsabilità nella ricostruzione è stato questa volta
l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle Pasquale Tridico, che ha incalzato l’Alta rappresentante Ue per la Politica Estera, Kaja Kallas, con un parallelo già evocato a Bruxelles: “Abbiamo stabilito che la Russia debba ripagare i danni causati dalla sua aggressione all’Ucraina. Allora le chiedo se esista un piano affinché Israele paghi per la distruzione a Gaza”. La risposta, finalmente, è arrivata, con un peso politico particolare, proprio perché proveniva dal massimo livello della diplomazia europea: “Non abbiamo accesso a Gaza, quindi non possiamo ancora stimare i danni — ha precisato Kallas — ma il principio fondamentale del diritto è che chi causa un danno deve ripagarlo”. Parole nette, dopo settimane di silenzi.
Per Tridico si tratta di una risposta “significativa”, che “restituisce giustizia anche al giornalista Gabriele Nunziati: la stessa domanda che a lui era costata il licenziamento”. L’eurodeputato ha poi sottolineato come la mancanza di accesso del personale Ue alla Striscia impedisca qualsiasi valutazione precisa ma non cancelli il principio giuridico evocato da Kallas.
Ora resta da capire se l’Unione europea sarà davvero coerente con queste dichiarazioni, perché, come ricorda l’eurodeputato, “finora è stato fatto troppo poco per rendere giustizia alle oltre 70mila vittime”. E perché quella domanda — oggi finalmente evocata e riconosciuta — rimane al centro di un dibattito che intreccia diritto internazionale, responsabilità politica e libertà di stampa.
Cosa è successo al giornalista Gabriele Nunziati
Tutto era iniziato il 13 ottobre, durante uno dei briefing quotidiani tra stampa e istituzioni europee. In platea sedeva Gabriele Nunziati, collaboratore dell’Agenzia Nova. Quando
aveva preso il microfono, aveva rivolto una domanda diretta alla portavoce della Commissione, Paula Pinho: se l’Unione Europea riteneva che la Russia dovesse pagare la ricostruzione dell’Ucraina, lo stesso principio non sarebbe dovuto valere anche per Israele, dopo la devastazione quasi totale della Striscia di Gaza? Nel video di quello scambio si vedeva chiaramente l’imbarazzo della portavoce, che definiva il tema “interessante” ma evitava di rispondere; un silenzio tanto più evidente perché, in quelle stesse ore, si discuteva proprio dei primi accordi per la ricostruzione e del ruolo di Israele.
Da quel momento, tuttavia, la vicenda aveva preso una piega inattesa. L’agenzia per cui lavorava Nunziati lo aveva contattato più volte, lasciando intendere che quella domanda non era stata gradita. Nel frattempo il video circolava sui social, alimentando critiche al presunto doppio standard europeo: duro con Mosca, prudente — se non reticente — quando si trattava dei crimini di Israele a Gaza. Due settimane più tardi, il collaboratore viene licenziato con una lettera formale.
Nella versione dell’Agenzia Nova, la domanda era “tecnicamente sbagliata”: la Russia aveva invaso uno Stato sovrano, sostenevano, mentre Israele avrebbe agito in risposta a un’aggressione armata. L’agenzia contestava anche che il video della conferenza fosse stato rilanciato da “canali Telegram nazionalisti russi” e da media vicini a movimenti islamisti, creando imbarazzo e incrinando il rapporto di fiducia.
Nunziati, dal canto suo, aveva sempre rivendicato che la sua domanda si basava sui fatti. E i fatti, certificati dalle Nazioni Unite, indicano che circa l’80% degli edifici della Striscia risultava distrutto dai bombardamenti israeliani. La questione,
insomma, appare quindi inevitabile: chi ricostruirà Gaza? E soprattutto: quali responsabilità vengono riconosciute per le devastazioni e per il massacro di civili palestinesi? Interrogativi ancora più urgenti se si considerava che il premier israeliano Benjamin Netanyahu è ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

(da Fanpage)

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BIGNAMI RILANCIA ACCUSE CONTRO IL QUIRINALE (LA FONTE E’ BELPIETRO, IL CHE E’ TUTTO DIRE): “C’E’ UN PIANO PER FAR CADERE MELONI”. LA REPLICA INDIGNATA: “E’ RIDICOLO”

Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

GLI ESPERTI IN ATTENTATI SENZA ATTENTATORE E IN COMPLOTTI INVENTATI ORA ATTACCANO MATTARELLA, LE OPPOSIZIONI ATTACCANO IL CAPOGRUPPO ALLA CAMERA DI FDI CHE HA ABBOCCATO ALL’AMO

Un clima di “sorpresa e incredulità” si sarebbe diffuso al Quirinale a seguito delle recenti affermazioni di Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. In una nota ufficiale, il Colle ha voluto esprimere il proprio stupore per le dichiarazioni del politico riguardo a presunti complotti mirati a minare la fiducia nella Presidenza della Repubblica: “Al Quirinale si registra stupore per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa, il quale sembra dar credito a un ennesimo attacco alla Presidenza della Repubblica che sfocia nel ridicolo”, si legge nella nota.
Cosa è successo
Bignami, in un intervento che ha sollevato non poche polemiche, ha chiesto infatti pubblicamente alla presidenza della Repubblica di smentire un articolo de La Verità, che sostiene che alcuni consiglieri del presidente sarebbero in cerca di opportunità per ostacolare la premier Giorgia Meloni: “Secondo quanto riportato, ci sarebbero addirittura valutazioni sulla possibilità di alleanze alternative contro il nostro governo”, ha dichiarato Bignami.
Il cuore delle accuse riguarda un consigliere del Quirinale, Francesco Saverio Garofani, menzionato nell’articolo come parte di un presunto piano per “destabilizzare Meloni e impedirle di portare a termine il suo mandato”: Garofani, come riportato nell’articolo, avrebbe affermato che “un anno e mezzo non basta
per trovare qualcuno che metta insieme il centrodestra” e che sarebbe necessario “uno scossone provvidenziale”.
L’articolo, firmato dal direttore Maurizio Belpietro, parla di un’idea di “grande lista civica nazionale”, un tentativo di riprodurre successi passati di coalizione fra le forze politiche. Proprio su questo, Bignami ha sottolineato “l’importanza di una pronta smentita da parte del Quirinale”, evidenziando come tali insinuazioni possano minare la credibilità del ruolo istituzionale: “Confidiamo che queste ricostruzioni siano smentite senza indugio in ossequio al rispetto che si deve per l’importante ruolo ricoperto dovendone diversamente dedurne la fondatezza”, ha avvertito il capogruppo.
Pd: “Inaccettabili le parole di Bignami, Meloni prenda le distanze”
Chiara Braga e Francesco Boccia, capigruppo del Partito Democratico alla Camera dei Deputati e al Senato, insieme a Nicola Zingaretti, capodelegazione del Pd al Parlamento Europeo, hanno espresso forti critiche nei confronti delle recenti dichiarazioni di Bignami e della risposta di Belpietro al Quirinale. In una nota, hanno definito “inaccettabili le parole del capogruppo Bignami e intollerabile la replica di Belpietro”. Hanno poi aggiunto che “una bufala ripetuta più volte non diventa una notizia” e hanno affermato che cercare di giustificare queste affermazioni dietro la libertà di stampa è un “stratagemma” che non scusa il direttore dal responsabile di aver esposto una narrazione “ridicola e fantasiosa”.
Infine, hanno chiesto alla premier Meloni di prendere una posizione chiara, sottolineando che, essendo direttamente coinvolta in questa vicenda e poiché si attacca “la più alta e più
cara istituzione del paese”, è necessario che prenda le distanze da queste “affermazioni false” che potrebbero innescare un conflitto senza precedenti tra i vertici dello Stato.
Avs: “Attacco Bignami al Quirinale inquietante, FdI porga le scuse”
“Galeazzo Bignami parla solo quando la presidente Meloni decide e approva. Per questo il suo attacco al Quirinale è ancora più inquietante: mira a delegittimare la figura del presidente Mattarella, una figura di garanzia e di equilibrio istituzionale apprezzata da tutti gli italiani”, ha dichiarato il deputato di Alleanza verdi e sinistra e co-portavoce di Europa verde, Angelo Bonelli, in una nota: “Siamo di fronte all’ennesimo episodio complottista che tenta di gettare ombre sul Colle per fini politici. È un comportamento gravissimo da parte del capogruppo della maggioranza, che dovrebbe essere il primo a difendere il rispetto delle istituzioni repubblicane”, ha aggiunto il parlamentare.
Bonelli ha poi concluso: “Rivolgo la mia piena solidarietà al presidente Mattarella, la cui autorevolezza e ruolo è riconosciuta da tutta la popolazione italiana. Alla luce di quanto accaduto, Fratelli d’Italia deve porgere le sue scuse al Quirinale, perché non è tollerabile che la più alta carica dello Stato venga trascinata dentro la propaganda di partito. Queste accuse infondate avvelenano il clima democratico e vanno respinte con fermezza”.
(da Fanpage)

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“COSÌ MOSCA VUOLE DESTABILIZZARCI”: IL MINISTRO DELLA DIFESA CROSETTO SQUADERNA UN DOSSIER CON TUTTI I RISCHI LEGATI ALLA GUERRA IBRIDA DELLA RUSSIA E A POSSIBILI ATTACCHI SU TRE FRONTI: TRASPORTI, RETI ENERGETICHE E SISTEMA POLITICO, ATTRAVERSO “CAMPAGNE DI DISINFORMAZIONE PORTATE AVANTI CON FAKE NEWS”

Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

CROSETTO DOVREBBE PREOCCUPARSI IN PRIMIS DELLE QUINTE COLONNE DI MOSCA NEL SUO GOVERNO

Il dossier circola veloce attorno al tavolo del Quirinale. E fa impressione. Parla soprattutto della Russia, di quanto rappresenti un «rischio» per l’Europa. Di come la sua «leadership sia disposta a utilizzare tutti gli strumenti, da quelli informatici alla pressione economica, pur di indebolire la resilienza occidentale».
E di come progetti di colpire anche l’Italia. Per fiaccarla. Per «destabilizzarla» – al pari degli altri partner – «al suo interno». È il cuore della minaccia ibrida descritta nel documento del ministero della Difesa, di cui Repubblica può anticipare alcuni stralci grazie a fonti meloniane.
È una fotografia da brividi, anche se nessuno dei presenti è stupito dalla descrizione del problema. Non Sergio Mattarella, né Giorgia Meloni, Antonio Tajani o Alfredo Mantovano. Perché nelle poco più di cento pagine volute da Guido Crosetto e anticipate doverosamente al Capo dello Stato, prima di essere trasmesse oggi alle Camere e ai gruppi parlamentari, la Difesa indica un’offensiva che da diversi mesi è in cima alle preoccupazioni degli apparati di sicurezza del Paese.
L’offensiva portata avanti da Mosca, c’è scritto nel testo, è allarmante perché frutto di un «approccio sistemico spregiudicato». Mosca progetta di colpire senza tregua l’Italia, l’Unione europea e l’Occidente con una guerra cyber e asimmetrica decisa da Vladimir Putin. C’è un anno segnalato nel dossier come punto di svolta: è il 2024. In quei dodici mesi è stato «registrato un rafforzamento di attività ibride» su diversi terreni: quello «informatico», «diplomatico», «cybernetico»,
«economico», «militare».
È un’escalation allarmante che ha registrato una «frequenza quotidiana» di queste incursioni (secondo alcune stime non contenute nel documento, l’Italia sarebbe il bersaglio del 10% del totale degli attacchi). L’elenco degli atti offensivi più «ricorrenti» include «sabotaggi», «roghi dolosi» nei pressi di centri strategici e «campagne di disinformazione». Tutto pur di «minare» e «influenzare il dibattito democratico occidentale».
Un ampio capitolo è dedicato all’Italia, «esposta a diversi profili di rischio». Sono tre i fronti finiti da tempo nel mirino dell’offensiva russa: «Energia, infrastrutture critiche ed ecosistema politico e sociale». Colpire l’ecosistema politico e sociale significa utilizzare «campagne di disinformazione» portate avanti con «fake news» capaci di influenzare l’opinione pubblica.
Tra gli esempi citati, quello delle elezioni presidenziali in Romania.
Per quanto riguarda il capitolo del gas, la situazione è sufficientemente nota: Roma ha sostituito il petrolio russo con altre fonti di approvvigionamento, ma è comunque un terreno su cui si tocca con mano una vulnerabilità.
Ancora più allarmante è l’elenco delle infrastrutture critiche considerate a rischio: «Porti, aeroporti, reti e sistemi di comunicazione».
Gli scali aeroportuali, per adesso soprattutto quelli del Nord Europa, sono già da qualche tempo nel mirino di questa offensiva a colpi di droni. Una strategia che causa ritardi e preoccupazioni negli utenti, tanto da aver spinto Roma e gli altri partner a ipotizzare anche la creazione di un “muro difensivo”
Come? Non è indicato nel testo, ma da qualche tempo si ragiona della possibilità di costruire una flotta italiana di droni militari.
Il dossier della Difesa prova anche a fornire possibili soluzioni per reagire. L’idea è mettere in piedi una sorta di arma cyber, con un centro per il contrasto alla guerra ibrida. Mobilitando un esercito di hacker. Per Crosetto, dovrebbero essere inquadrati sotto il suo ministero.
Non è detto che Palazzo Chigi non pretenda invece di mettere la struttura sotto il suo diretto controllo.
(da agenzie)

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“LA PAROLA GENOCIDIO? DOPO AVERLA USATA SONO STATO BOICOTTATO”: LO SCRITTORE ISRAELIANO DAVID GROSSMAN TORNA A PARLARE DEL DIFFICILE RAPPORTO CON IL SUO PAESE

Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

“C’È STATA UNA REAZIONE MOLTO BURRASCOSA E OSTILE. SI È DETTO DI SMETTERE DI COMPRARE I MIEI LIBRI, QUALCUNO LI HA BUTTATI PER LA STRADA, ALTRI HANNO MINACCIATO DI BRUCIARLI. NON HO POTUTO NON USARE QUELLE PAROLE ALLA LUCE DEI 66MILA PALESTINESI UCCISI. ERRORI E CRIMINI VANNO RICONOSCIUTI OGNI GIORNO, MA VOGLIO CONTINUARE A VIVERE IN ISRAELE PER CAMBIARE QUESTA SOCIETÀ DA DENTRO”

Ostinatamente innamorato di Israele, nella sua bellezza e nella sua bruttezza: «L’unico luogo dove voglio continuare a vivere, per cambiare questa società dal di dentro, perché diventi davvero un giorno la casa che noi ebrei cercavamo». Lo scrittore israeliano David Grossman, ospite del festival Radici al Circolo dei lettori di Torino, torna a parlare del rapporto con la sua terra.
E racconta quel che è accaduto dopo che — dice — «ho smesso di scegliere le parole con delicatezza, e ho pronunciato la parola genocidio». «C’è stata una reazione molto burrascosa e ostile [Non c’è stato alcun dialogo Si è detto di smettere di comprare i miei libri, qualcuno li ha buttati per la strada, altri hanno minacciato di bruciarli.
È stato molto doloroso ma non ho potuto non usare quelle parole alla luce dei sessantamila palestinesi uccisi, di cui diciannovemila bambini»
E ciononostante Grossman non vorrebbe andarsene da Israele, perché, dice «molto più importante che stare in un luogo accogliente, è stare in un luogo dove si può fare la differenza». Lo scrittore, che nel 2006 ha perso un figlio nella guerra del Libano, ne parla con la voce rotta dalla commozione.
Non dimentica le atrocità compiute anche dal terrorismo palestinese. «Voglio continuare a lottare per evitare che noi ebrei rimaniamo per sempre le vittime — dice —: dopo 76 anni di sovranità e di indipendenza non abbiamo ancora trovato la casa che sognavamo. Questa, per ora, è solo una fortezza».
(da agenzie)

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