Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
“ALLA FINE COSTA PIU’ UNA CONFEZIONE DI CIOCCOLATINI CHE UN’ORA DEL MIO LAVORO”
Gli ovetti Kinder, i Mon Chéri, i cioccolatini Raffaello. Oltre alla produzione della Ferrero i dolci hanno in comune un’altra cosa: la Proteco Srl. Ovvero un’azienda che lavora in appalto con la società di Alba. E che paga le addette cinque euro l’ora. «Alla fine costa più una confezione di cioccolatini che un’ora del mio lavoro», dice oggi al Fatto Quotidiano un’operaia che lavora da 36 anni nella produzione. Che poi attacca proprio la Ferrero, perché «permette lo sfruttamento affidandosi a queste cooperative alle quali fornisce servizi in appalto». Per questo insieme alle sue colleghe ha deciso di scioperare. Dopo «trent’anni di lavoro sottopagato» negli appalti Ferrero, come recita uno degli striscioni del picchetto
La sorpresa degli ovetti Kinder
«Confeziono ovetti Kinder dal 2000. Ma non posso comprarli ai miei tre figli perché con 700 euro non si riesce ad arrivare alla fine del mese», dice un’altra operaia. Che ha un part time di 24 ore. E quando il monte ore sale a 40 lo stipendio fatica ad arrivare a 1.200 euro. Il contratto è quello delle multiservizi: «Ma noi non facciamo pulizie». Secondo il sindacato Usb, che ha portato alla luce la vicenda, «il 90% dei prodotti a marchio Ferrero viene confezionato all’esterno in appalto». Perché si vuole «abbattere sensibilmente il costo della manodopera non applicando il contratto agroalimentare ma quello multiservizi», spiega Vincenzo Lauricella. Una situazione ben diversa rispetto ai lavoratori assunti direttamente dalla Ferrero.
La retribuzione base
«La retribuzione base per un lavoratore Ferrero, escludendo premi e benefit di cui tanto si narra, è di 1.600 euro lordi in luogo dei circa 1.200 previsti dalla contrattazione aziendale applicata dalle cooperative», aggiunge il sindacalista. Quindi le operaie perdono 400 euro. In più c’è la flessibilità. Che si traduce in part time obbligatori e la sospensione del lavoro per alcuni mesi. Durante i quali le lavoratrici, pur risultando assunte, non percepiscono denari. Si tratta praticamente di false lavoratrici a chiamata, secondo il sindacalista. «Tutta questa situazione mi fa arrabbiare perché Ferrero è uno dei più ricchi uomini al mondo ma noi siamo più poveri che mai. Sembra che a lui non interessi nulla di noi. A oggi non abbiamo ricevuto nessun segnale dalla multinazionale», dice un’operaia.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
“CHIUNQUE ABBIA FATTO COSE COME L’ASSALTO AL CAPITOL NON POTRÀ MAI PIÙ ESSERE RITENUTO DEGNO DEL POTERE”… “NON HO MAI VOTATO PER UN DEMOCRATICO, MA QUEST’ANNO VOTERÒ CON ORGOGLIO PER KAMALA HARRIS: SO CHE SARÀ IN GRADO DI ISPIRARE TUTTI GLI AMERICANI E DI UNIRE QUESTA NAZIONE”
“Chiunque abbia fatto cose come l’assalto al Capitol non potrà mai più essere ritenuto degno del potere. Dobbiamo sconfiggere Trump il 5 novembre”: così l’ex deputata repubblicana Liz Cheney aprendo in Wisconsin il comizio di Kamala Harris, cui ha dato il suo endorsement.
“Non ho mai votato per un democratico, ma quest’anno voterò con orgoglio per Kamala Harris: so che sarà in grado di ispirare tutti gli americani e di unire questa nazione”, ha detto la Cheney tra applausi e cori della folla (“Thank you Liz”). “Mentre ci incontriamo qui oggi, la nostra repubblica si trova ad affrontare una minaccia senza precedenti”, ha ammonito.
“Ogni presidente nella storia degli Stati Uniti ha adempiuto al proprio dovere di supervisionare la pacifica transizione del potere. Ogni presidente tranne Donald Trump”, ha scandito Cheney, una dei dieci deputati repubblicani a votare l’impeachment dell’allora presidente per l’assalto al Capitol. “Aiutateci quindi a raddrizzare la rotta della democrazia”, ha proseguito ricordando che “il più conservatore tra i valori conservatori è la fedeltà alla nostra costituzione”. Cheney e Harris hanno parlato dietro un pannello di vetro antiproiettile.
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
SU QUESTA PARTITA È IN GIOCO LA TENUTA DI OGNI SISTEMA DEMOCRATICO. COMPRESO IL NOSTRO
Le piattaforme digitali e i social media hanno rivoluzionato il cosiddetto «quarto potere», dunque il modo in cui le notizie sono prodotte e arrivano al pubblico. Il problema è che «certi nuovi protagonisti globali pretendono di definire standard di accesso e linee guida». Con «spregiudicatezza».
Senza farsi vincolare dalle legislazioni poste «a tutela dell’integrità del settore». Sono insidie pericolose, ma non le uniche. Quei rischi, infatti, «si aggiungono alle mai abbandonate tentazioni di poteri pubblici di fissare a loro volta limiti agli spazi di libertà d’informazione», invece di garantire e sostenere «doverosamente quegli stessi spazi di libertà». E tra i parecchi modelli negativi ai quali pensare, viene subito in mente quello ungherese di Orbán .
Una questione che preoccupa da tempo Sergio Mattarella, perché tocca il rispetto dell’articolo 21 della Carta costituzionale. Tema cruciale, che ha riproposto ieri con allarme, rivolgendosi ai delegati della European alliance of News agencies, cioè le agenzie di stampa del continente […]. E siccome anche i piccoli gesti hanno un valore simbolico, sceglie di parlarne in piedi, «perché le istituzioni devono avere rispetto per la stampa».
Su questa partita è in gioco la tenuta di ogni sistema democratico. Compreso il nostro. Non a caso, dice il presidente, «la libertà e il pluralismo dei media garantiscono il pieno dispiegarsi di alcuni dei diritti irrinunciabili per la democrazia e la misurazione della sua qualità: il diritto alla libertà di espressione e di informazione». Definirla «libera, indipendente e plurale è un diritto dei cittadini, un dovere per tutti esigerla… È l’antidoto per contrastare fenomeni manipolativi».
E aggiunge poi: tutto ciò «comporta un prezzo, sia per i giornalisti sia per gli editori. La sostenibilità delle imprese editoriali è essa stessa garanzia di libertà. Poter operare in un ambiente che consente pari opportunità di mercato e adeguate tutele contribuisce a tale obiettivo».
Non sono riflessioni da passatista. Quando accenna alla trasformazione digitale, non ha dubbi sul fatto che offra «straordinarie opportunità». Tuttavia, rimarca anche le possibili distorsioni, come le vediamo nei conflitti in corso. A partire dall’Ucraina, dove le fake news sono usate come «armi ibride dirette alle opinioni pubbliche dei Paesi democratici per manipolarle».
(da agenzie)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
“DOBBIAMO OTTENERE 150MILA EURO A FAMILIARE, MA CI CONVIENE TRANSARE PER NON PERDERE 5 MILIONI DI EURO MINIMO DI PARCELLA”… NELLE CHAT SPUNTANO CONTATTI CON GALEAZZO BIGNAMI, IL DEPUTATO DI FDI
«In quel caso però saliamo da 100 a 150 k…». E cioè 150 mila euro. E «bisognerebbe raccattarne altri 500…»: ovvero di parenti delle vittime del Covid. È anche successo che si parlasse così delle famiglie che hanno perso qualcuno a causa della pandemia. Per esempio nelle chat degli avvocati, riuniti in un team a Bergamo, che fin dal 2020 si occupano della causa civile contro lo Stato e la Regione Lombardia, in corso a Roma. Certe parole spuntano agli atti di due querele presentate da Claudio Calzoni (che vive in Inghilterra e usa da anni il brand name Robert Lingard, con cui si è sempre presentato al pubblico), ex portavoce prima del comitato «Noi denunceremo» e poi dell’associazione «#Sereniesempreuniti familiari vittime del Covid».
Ma al di là del merito dei due procedimenti, le carte depositate consentono di ricostruire una serie di ragionamenti del team legale e anche i contatti, che ci furono, con Galeazzo Bignami, il bolognese deputato di FdI, con cui è stato rieletto nel 2022: il parlamentare che comparve in una foto a una festa tra amici con la svastica al braccio («Una goliardata»).
Così, quando Bignami si fece avanti con il gruppo di avvocati per ragionare, a settembre 2021, di un possibile emendamento alla legge di Bilancio per garantire un risarcimento ai familiari, uno dei legali scriveva: «La Bergamasca la devono risarcire tutta. Ecco perché bisognerebbe raccattarne altri 500. Oggi arriviamo a 250?»
Dopo la risposta affermativa di un collega, ancora lui: «Allora i conti facciamoli su quelli, le controparti potrebbero dirci “ok allora vi paghiamo solo Bergamo e la Lombardia”, in quel caso però da 100 k saliamo a 150 k per familiare stretto». In un passaggio sempre il collega si dice certo che la causa sarà vinta. «Ma se la Ctu (i tecnici del tribunale, ndr) ci darà ragione — rispondono gli altri — non possiamo chiuderla con una transazione invece di perdere 5 milioni minimo di parcella rispetto alla misera liquidazione delle spese legali del giudice? …per noi sarebbe una rovina andare a sentenza».
Bignami farà poi sapere che l’emendamento potrebbe prevedere un fondo di 100 milioni a livello nazionale e quindi una cifra non oltre i 10 mila euro per ogni parente, fino al secondo grado, di vittime del Covid. Calzoni chiede un parere al team di legali. «10 mila???? Robert, le richieste (della causa, ndr) vanno da 110 mila a 310 mila euro». «Ridicolo — è il commento successivo —. Possono anche evitare di proporlo che fanno una figura migliore. 100 milioni di fondi per 130 mila morti? Elemosina…». Nessuno è indagato per queste parole, queste frasi raccontano quale fu l’approccio, in quella fase, alla causa civile e ai contatti con il politico.
A una transazione non si arrivò mai, la causa civile è ancora in corso. Bignami, allora all’opposizione, non portò avanti l’emendamento. Di certo tentò di agganciare politicamente il gruppo. Il deputato ha commentato: «Ho sempre ritenuto che la causa civile fosse stata attivata per focalizzarsi su una posizione di principio, più che sul conseguimento di ritorno economico. Poi nel tempo ho colto una sensazione di finalità di natura economica che differiva dalla mia sensazione iniziale» .
(da La Repubblica)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
“È TUTTO NEI TELEFONI CHE MI HANNO SEQUESTRATO”…: “LA NOSTRA UNA RELAZIONE AFFETTIVA? BISOGNEREBBE CHIEDERNE CONTO A LUI, ANZI DOVREI DENUNCIARE IO LUI PER VIOLAZIONE DELLA PRIVACY. PARLA DI RELAZIONE TOSSICA, MA DALLE FOTO E VIDEO SI CAPISCE CHE NON ERA COSÌ. LA FERITA AL CAPO? CHIARIRÒ NELLE SEDI OPPORTUNE” – IL PASSAGGIO SULLA NOMINA: “IO L’AVEVO FIRMATA ED ERA STATA ISTRUITA, POI È STATA STRACCIATA IL 16 AGOSTO. IL PROBLEMA È SE QUESTA AZIONE LA COMPIE CHI NON FA PARTE DEL GOVERNO”
«Il ministro Sangiuliano mi faceva leggere e mi inoltrava i messaggi che riceveva e inviava ad altri politici, ministri…» Anche della premier Meloni? «Di tante persone che fanno parte del governo, a volte per fare prima mi girava direttamente gli screenshot . È tutto nei telefoni che mi hanno sequestrato. Capitava anche che tenessi io il suo telefono e rispondessi per lui quando non poteva». Maria Rosaria Boccia torna a parlare in tv. Lo fa su La 7 a Piazza Pulita .
«Quando Sangiuliano parla di relazione affettiva bisognerebbe chiederne conto a lui — dice — io non sono l’autrice di quelle frasi e anzi dovrei denunciare io lui per violazione della privacy. Parla di relazione tossica, ma dalle foto e video si capisce che non era così. La ferita al capo? Chiarirò nelle sedi opportune. Non parlo della mia vita privata e non parlo di sentimenti con lui finché c’è una indagine aperta».
Quanto al presunto ricatto a cui avrebbe sottoposto il ministro dopo la mancata nomina a consigliera, Boccia chiarisce: «Sono brava con i social, faccio tutto da sola. Il ministro ha detto tante cose inesatte. Non mi interessa la politica, lui apprezzava le mie capacità relazionali e in base a queste mi propose l’incarico.
Ad esempio per il G7 della cultura a Pompei abbiamo coordinato il percorso dei ministri, il loro soggiorno in hotel, il concerto… La nomina fu subito messa in cantiere, sapevo che ci sarebbero voluti tempi tecnici, ma non era legata alla relazione».
(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
PERSINO IL GIORNALISTA DI LIBERO AMMETTE: “GRANDE LUCIDITA’, PRECISA E GRANDI DOTI COMUNICATIVE”
Maria Rosaria Boccia, l’imprenditrice di Pompei, torna sulla vicenda politico-giudiziaria che ha portato alle dimissioni del ministro della Cultura Sangiuliano. Lo fa nel salotto di Corrado Formigli, a Piazza Pulita, su La7. Al centro del caso, la nomina di Boccia come “Consigliera per i grandi eventi” «proposta dal ministro, mai pretesa» e «che non è legata ad alcuna relazione», precisa l’influencer, che non parla di “relazione extra-coniugale” con Sangiuliano. «Io non posso parlare dei miei sentimenti perché c’è in corso un’indagine», afferma. Boccia spiega di avere «firmato il contratto (per la nomina, ndr), come lo ha fatto il capo di gabinetto il 7 agosto».
A un certo punto, però, il contratto si arena: «Io intuisco il 16 agosto perché vengo rimossa dalle chat del ministero. Io mi attivo per fare le famose telefonate e registrare quella che è agli atti dove si evince che invece la nomina c’era». Il contratto, per Boccia, «si interrompe perché ero presente quando il ministro parlava, in viva-voce, con la moglie».
E poi ancora: «Mi fece molto impressione ascoltare questa telefonata, ma l’ascoltai perché mi sembrava surreale ciò che stava accadendo: una conversazione tra persone che sembravano due estranei».
«Ho letto tanti messaggi di politici del governo»
Il 3 settembre (il giorno prima dell’intervista al Tg1) Sangiuliano chiama Boccia. Durante la telefonata, l’imprenditrice chiede al ministro il motivo per il quale la nomina è stata revocata e l’ex ministro risponde: «Tu il motivo vero lo conosci». Nell’intervista a Piazza Pulita, Boccia ribadisce di «conoscere molte cose», come il motivo per cui è stato “strappato” il contratto. «Ma non posso parlare», chiarisce.
Poi precisa, inoltre, di avere spesso ricevuto dall’ex ministro messaggi o screenshot con le conversazioni di altri politici. «Me li mandava perché gli piaceva una consulenza nelle risposte: sono in tutti i dispositivi che ha sequestrato la Procura – afferma -. Ho letto tanti messaggi di molte persone che fanno parte del governo».
Boccia ha poi negato di aver clonato il telefono dell’ex ministro: «Lui mi dava il telefono, rispondevo a telefonate e messaggi». Sull’indiscrezione rivelata in merito ad alcune fotografie finite sulla scrivania del direttore Alfonso Signorini, che poi non sono state pubblicate, Boccia dichiara: «Quando gli ho chiesto se ha chiesto soldi, lui ha replicato “No ma gli ho fatto una grande cortesia”». Ciò che la ferisce di più è l’etichetta di «millantatrice» con cui è stata spesso descritta «grazie a una poca chiarezza da parte del ministro». Ma è certa, afferma, «di avere delle prove che smontano tutto l’esposto» di Sangiuliano. Il suo «vero» obiettivo è quello «di ricevere delle scuse per le cose false. Ora ci troviamo in una situazione diversa: mi ha denunciata. Le chat usciranno, ma io non le avrei mai pubblicate».
(da Open)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
LE CONTRADDIZIONI DELL’EX MINISTRO VENGONO A GALLA
“Pronto, ti disturbo Maria Rosaria? Come stai, innanzitutto?”. La storia che vi stiamo per raccontare non è solo gossip né una questione personale. È la sera del 3 settembre 2024.
L’allora ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano chiama al telefono Maria Rosaria Boccia, la mancata Consulente Grandi eventi.
Qualche ora prima di questa conversazione, Sangiuliano era stato convocato a Palazzo Chigi per chiarire la sua posizione rispetto a uno scandalo che da subito aveva superato i confini delle vicende personali per diventare una questione politica, e che da lì a 72 ore lo porterà a rassegnare le dimissioni.
Il giorno dopo, il 4 settembre, Sangiuliano andrà di fronte al direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci per raccontare la sua verità e chiedere scusa, oltre che a sua moglie, alla premier Giorgia Meloni e a tutti i collaboratori del ministero.
Proprio davanti alle telecamere della rete ammiraglia del servizio pubblico, il ministro aveva detto, rispondendo a una domanda di Chiocci: “Io l’ho chiamata ieri, i nostri rapporti si erano interrotti all’incirca l’8 agosto. L’ho chiamata per dirle di essere corretta e precisa nelle affermazioni. Cioè lei sa che ho pagato io per le sue trasferte e i viaggi. Bisogna essere precisi”.
“E le ha detto solo questo?”, chiede il direttore. “Sì, sostanzialmente questo era il motivo della telefonata”.
Il Fatto è in grado di documentare alcuni dei passaggi salienti di questa telefonata che ha dei contenuti di rilevanza pubblica non solo perché a parlare è un ministro al tempo ancora in carica, ma anche perché molti dei dettagli che possiamo oggi svelare raccontano tutta un’altra verità rispetto a quanto aveva detto fino a quel momento Sangiuliano, rispetto a quanto avrebbe dichiarato al Tg1 e poi, soprattutto, rispetto a quanto metterà per iscritto nel suo esposto contro Maria Rosaria Boccia (e a seguito del quale la donna risulta indagata per i reati di violenza o minacce a corpo politico e lesioni personali)
La telefonata che abbiamo deciso di pubblicare non è una telefonata privata o tra due semplici cittadini. È una telefonata che è stata registrata dalla stessa Boccia che ha più volte ammesso di aver iniziato a farlo “per certificare la verità di una donna che diversamente non sarebbe stata creduta”.
E che la donna avesse captato delle conversazioni era un’informazione di cui anche Sangiuliano era a conoscenza (“Mi sono accorto che lei registrasse ed è uno dei motivi per cui ho voluto interrompere la relazione”, aveva detto al Tg1).
È una telefonata che è fonte di prova nell’indagine della Procura di Roma: i magistrati dovranno valutare se siano stati commessi reati e se risponda al vero, come sostiene l’ex ministro nella sua denuncia, l’accusa di “un ricatto perpetrato ai danni di un rappresentante di un’Istituzione della Repubblica: un evento senza precedenti in Italia”. Ecco perché abbiamo deciso di pubblicare.
L’origine dello scoop
L’ultima telefonata avviene dopo giorni di silenzio tra i due. “Perché sei sparito?”, chiede lei contrariata, per usare un eufemismo.
“Perché ero e sono in una situazione brutta”, risponde lui. Lo scambio tra i due parte dallo scoop di Dagospia sulla consulente poi rinnegata dal ministero. Lei è furiosa: “Sai benissimo lo scoop da chi è partito. Smetti di dire bugie: quella foto o l’hai fatta partire tu o…”.
“Io questo non lo so, questo te lo dico con il cuore in mano”, dice lui. I due si riferiscono alla notizia apparsa sul sito di Roberto D’Agostino con una foto che li ritrae insieme: è il 26 agosto e lo scandalo deflagra. Discutono di quella foto perché è un dettaglio importante: dimostra che non fu per prima Boccia a provocare la guerra mediatica e il terremoto che 11 giorni dopo porterà alle dimissioni del ministro, bensì qualcuno dentro al ministero, una “talpa” che ancora non ha un nome né un mandante.
Sangiuliano si sente chiamato in causa in prima persona: “Tu sei una persona intelligente, ragiona, io non avevo alcun interesse”. Ma lei insiste: “Ti ho chiesto a chi hai girato quella foto”. Lui non capisce: “Pensavo fosse quella che avevi pubblicato su Instagram, qual è la differenza tra le due?”.
La donna a quel punto gli spiega che la foto in questione è la stessa ma con formati diversi. Lei l’aveva mandata a lui via Whatsapp e poi l’aveva postata in una storia Ig privata, alla quale soltanto lui poteva accedere.
“Sto dicendo che tra quelli a cui hai mandato questa foto c’è la persona che l’ha mandata a Dagospia, lo comprendi o no?”. Alla fine lui s’arrende: “Allora l’avrò girata a qualche mio collaboratore, ma non l’ho fatto in malafede”.
“Fare quadrato”
L’allora ministro ha un altro obiettivo in testa. Chiede a Maria Rosaria Boccia di concordare una strategia comune che gli consenta di rimanere al proprio posto in via del Collegio Romano, anche se a lei dice “sto spingendo per andarmene”, contraddicendo quello che invece raccontavano in quei giorni le cronache politiche (e che è ricostruito nell’articolo accanto, ndr). Chiede di mettere fine a questo “stillicidio quotidiano”
“Tutto questo finirebbe se noi la finiamo di parlare con il pubblico e i giornalisti e di postare cose…”.
E poi il ministro si lamenta di tutta l’attenzione che i media stanno dedicando alla vicenda: “Ti pare con quello che succede nel mondo, Hamas e la gente che muore in Ucraina… col sindaco (di Pompei, Carmine Lo Sapio, ndr) che dice ‘ho pagato tutto io’. E noi invece di fare quadrato contro questa gente…”.
È a quel punto che l’ex ministro propone di coinvolgere la giornalista Melania Rizzoli, amica di entrambi, come “mediatore psicologico”. “Avevo detto a Melania se ci volevamo vedere lunedì a casa sua, io tu e lei. Ti vuole molto bene”, dice lui.
“Quante volte Melania ti ha detto ‘vedi di chiamarla?’ Chiamala, chiamala!’”, risponde lei. E lo frena così: “Non è che ci dobbiamo vedere con i giudici davanti, ma se dobbiamo io non ho problemi… (…) Per parlare non abbiamo bisogno di una terza persona”.
Lui insiste: “Sì. perché è la cosiddetta figura del mediatore psicologico, una figura che esiste proprio professionalmente”.
Il nodo dei viaggi
Per Sangiuliano Maria Rosaria Boccia deve chiarire che non c’è alcun viaggio a suo nome pagato con i soldi del Ministero.
“A me interessa puntualizzare solo i soldi e che non hai avuto documenti riservati” ribadisce lui. E protesta: “Tu dovresti essere dalla mia parte e dire ‘cazzo, Gennà: io devo fare in modo che tu possa restare al posto tuo’”.
E lei: “Io non ti ho mai chiesto di dimetterti”. Lui chiede “un segnale”, come quello che lo stesso ministro avrebbe dato alla donna nella lettera rilasciata alla Stampa: “Alla Stampa ho detto che sei una persona competente e professionale”. E allora il ministro esplicita la sua richiesta: “Dovresti chiamare l’Ansa e dire: ‘Non è vero che i viaggi erano pagati dal Ministero’”.
Perché, insiste, i biglietti per Polignano li ha pagati lui, l’hotel di Taormina l’ha pagato lei, il sindaco di Riva Ligure ha pagato di tasca sua. Lei qualche minuto prima gli aveva già dato ragione sul punto.
Ma il ministro aveva ribadito: “I viaggi li ho pagati io”, esattamente come affermerà, ricevute alla mano, nell’intervista al Tg1 il giorno dopo. E lei: “Ma io lo so! Perché ho scritto che ha pagato il Ministero?”. E lui: “Ma sta scritto sull’Ansa!”.
L’incontro con Meloni e la nomina saltata
Decidiamo di riportare integralmente, data la sua rilevanza, questo passaggio:
B: La nomina mi è stata revocata perché? Non si capisce…
S: Tu il motivo vero lo conosci. Punto e basta.
B: A me non interessa… S: Io ti volevo salutare e augurarti tutto il meglio della vita. Io sono determinato a mollare tutto perché non ce la faccio a stare in questa situazione…
B: Cosa hai detto oggi a Giorgia?
S: No, non abbiamo parlato di te, solamente del fatto che io me ne volevo andare lei dice no bisogna resistere e…
B: Ma ti avrà chiesto di me, chi sono…
G: No, non abbiamo parlato proprio, è una persona molto attenta e ha detto a me ‘delle questioni private non interessa nulla, posto che soldi pubblici non ne sono stati spesi’ perché questa era l’unica cosa seria che voleva sapere, ‘a me delle questioni private non mi interessa, rispetto le persone che hanno la loro vita privata e possono fare quello che vogliono’. Non si è parlato di te.
B: Quindi come pensi di risolvere questa cosa?
S: Io spero che si abbassi la tensione mediatica…
B: (…) Questo è quello che tu auspicavi nei primi giorni… (…) E io devo passare per quella che ha millantato una nomina che invece non c’è stata?
S: Ma no, ma no… quello c’è stato un malinteso….
B: Non c’è stato nessun malinteso (…) Se ci vogliamo dire come risolvere la cosa…
S: Risolvere la cosa…io non vedo via d’uscita, eh… se non quella di aspettare che tutta la cosa mediatica si calmi e poi dopo possiamo incontrarci parlare fare tutto quello che vuoi…
B: No, ma questo non è il problema io non ci sto a farmi trattare in questo modo dal mondo, cioè non è che uno arriva la nomina e all’improvviso no la nomina c’è non c’è c’è stato il vizio no… no… perché non è così…
S: Il problema non è la nomina, non si può fare, io non l’ho potuta fare e…poi su tutto il resto i nostri rapporti personali possiamo discutere di tutto.
B: La nomina non la puoi fare, no? Eh, e perché?
S: Perché non la posso fare e il motivo tu lo conosci. E poi comunque non mi va di parlare al telefono.
Il ministro temeva di essere intercettato o non voleva lasciare tracce di questi scambi?
“Perché il mio telefono in questo momento… allora facciamo una cosa, io mi compero un altro telefonino domani, ti darò il numero e potremo scriverci. Un telefonino di scarso valore perché non me lo posso permettere…”.
Perché Sangiuliano non vuole parlare al telefono della nomina mancata? Chi è intervenuto per farla saltare? Contatto dal Fatto Sangiuliano dice: “La telefonata c’è stata. Ma non ho mai parlato né della premier, né di una possibile strategia comune da concordare. E sono pronto a querelarvi. In questa storia ci sono un sacco di fake news. Voi mi state riferendo di contenuti di cui non ho mai parlato. Se ho parlato con lei della nomina mancata in quella telefonata, sì, e le ho spiegato che non potevo nominare una persona che diceva di essere incinta di me”.
Lei è sicuro di non aver riferito a Maria Rosaria Boccia dell’incontro con la Premier? “Se ci penso posso al massimo aver parlato che le avevo riferito l’intenzione di dimettermi, cosa che ho fatto”. Il ministro si è dimesso. E di questo gli va dato atto. Ma restano ancora tanti gli interrogativi da chiarire.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
DOPO AVER MESSO LA FACCIA PER DIFENDERLO IN TV, ED ESSERE STATA SBUGIARDATA IN DIRETTA DALLA BOCCIA,, LA DUCETTA SCOPRE CHE “IL BOMBOLO DEL GOLFO” HA ANCORA CONTATTI CON L’EX AMANTE E LE RIVELA I DETTAGLI DI COLLOQUI CON LA PREMIER… IL GIORNO DOPO, SANGIULIANO VA AL TG1 A FARE MEA CULPA, MA IL SUO DESTINO È SEGNATO
È stata quella telefonata tra Gennaro Sangiuliano e Maria Rosaria Boccia a cambiare il destino politico del ministro della Cultura. Quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni viene a saperlo decide che Sangiuliano ormai deve lasciare il governo perché non ha ancora reciso tutti i fili con la mancata consulente.
Meloni vede nella telefonata di martedì 3 settembre la prova che il ministro abbia tradito la sua fiducia: solo poche ore prima, Sangiuliano era stato ricevuto a Palazzo Chigi e, dopo due ore di conversazione a tratti drammatica, gli era stata riconfermata la fiducia
Ma la storia andrà a finire diversamente: 72 ore dopo la telefonata, Sangiuliano sarà costretto alle dimissioni. Per capire quanto sia importante quella conversazione sul destino politico del ministro è necessario ricostruire quello che è successo in quei giorni.
Il caso diventa politico il 2 settembre dopo la pubblicazione di Dagospia di un documento “sensibile” tra i dirigenti del ministero della Cultura sul G7 di Pompei, in cui viene messa in copia anche Boccia. Le opposizioni chiedono spiegazioni. La premier deve andare in televisione da Paolo Del Debbio su Rete4. Così il responsabile comunicazione del governo Giovanbattista Fazzolari parla al telefono con il ministro della Cultura: si fa spiegare come stanno le cose e decidono la linea
Quella sera Meloni difende il ministro in tv: “Sangiuliano mi ha garantito che non sono stati spesi soldi pubblici e questa persona non ha avuto accesso a documenti riservati, il resto è gossip”. In tempo reale, però, Boccia la smentisce: pubblica su Instagram una storia in cui mostra l’intestazione di alcuni documenti del G7.
La premier è furiosa: è stata lei a metterci la faccia. Così il giorno dopo convoca il ministro a Palazzo Chigi. Si inizia a parlare di dimissioni. Il faccia a faccia è drammatico. Meloni gli chiede quali siano i rapporti con questa donna, cos’altro può uscire e di garantirgli ancora una volta che non siano stati spesi soldi pubblici.
Il ministro replica di aver avuto una relazione sentimentale con Boccia e che al massimo potrebbe uscire qualche messaggio ma “niente di compromettente”. Poi crolla: si mette a piangere e implora la premier di credergli. Meloni e Fazzolari gli impongono la linea: “Vai al Tg1 a spiegare”.
Sangiuliano dovrà ammettere la relazione, dire che è finita e che la nomina di Boccia è saltata per evitare “conflitti d’interessi”. L’intervista del direttore Gian Marco Chiocci andrà in onda la sera dopo e ricalcherà quello che era stato deciso a Palazzo Chigi.
Ma nel mezzo avviene un fatto che cambia le cose. Sangiuliano […] esce da Palazzo Chigi alle 17.23 del 3 settembre. Alle 18.02 pubblica un comunicato per ribadire che non si dimetterà. Alle 19 però chiama Boccia: nella telefonata i due parlano di Meloni, della mancata nomina e il ministro chiede alla donna di dare la stessa versione
La telefonata sarà resa nota la mattina dopo dalla donna. Alle 11.14 del 4 settembre scrive su Instagram: “Te l’ho detto ieri pomeriggio al telefono e te lo ripeto stamattina: sono pronta ad applaudirti se la smetti di storpiare la realtà per coprire gente che non merita i tuoi sani valori: lealtà, rispetto, responsabilità”.
Quella storia su Instagram convince Meloni: il ministro deve lasciare il suo posto. Non è più controllabile.La sera Sangiuliano va al Tg1 ma ormai la sua strada è segnata.
Il giorno dopo inizia il pressing di Meloni e del suo entourage per farlo dimettere: Sangiuliano non vuole lasciare, fa vedere che è pienamente operativo. Ma all’ora di pranzo di venerdì 6 settembre, la sua esperienza al ministero finisce
(da Il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 4th, 2024 Riccardo Fucile
IL GIOCHINO LESSICALE SULLA “RIMODULAZIONE”, E NON “AUMENTO” NON CAMBIA LA REALTÀ DEI FATTI: 3 MILIARDI DI COSTI IN PIÙ PER AUTOMOBILISTI E CAMIONISTI
La “bomba” delle accise rischia di fare parecchi danni a Giorgia Meloni, quell’ipotesi di «allineare» le imposte che pesano su benzina e diesel è per la premier come la kryptonite per Superman. L’idea […] è scritta nero su bianco nel Piano strutturale di bilancio (Psb), il documento che il governo deve presentare alla Commissione europea per illustrare le previsioni di spesa, investimenti e riforme per i prossimi quattro anni.
La parola «allineare» ha scatenato consumatori, imprese, trasportatori, perché l’accisa sul diesel è al momento più bassa di quella sulla benzina e tutti hanno interpretato quel verbo nel senso che verranno aumentate le imposte sul gasolio. Troppo facile per le opposizioni rinfacciare alla premier il video del 2019 in cui l’allora leader di Fdi urlava che le accise andavano abbassate.
«Ci ricordiamo tutti Giorgia Meloni davanti ai benzinai a promettere di cancellare le accise. Ebbene, invece, la verità è un’altra: lo dice questo documento del governo in cui mostra che vogliono aumentare le accise sul diesel. Un’altra “tassa Meloni” per tre miliardi sulle imprese».
Francesco Boccia, capogruppo Pd al Senato, rincara: «Si tratta di 3 miliardi che verranno pagati dai possessori di auto a gasolio e dal settore dell’autotrasporto. Un altro bel regalo del governo Meloni a famiglie e imprese italiane».
Ma si fa sentire anche Forza Italia, Antonio Tajani dice «vedremo le norme che verranno approvate in Consiglio dei ministri» e Raffaele Nevi aggiunge: «Forza Italia è sempre stata e rimane contraria ad innalzare la tassazione in Italia. Siamo stati chiamati al governo per diminuire tasse, burocrazia e rilanciare investimenti e questo siamo intenzionati a fare».
Un colpo basso per l’immagine della premier che sarebbe intervenuta chiedendo di correggere il racconto di una misura che a suo giudizio sarebbe stata comunicata male e avrebbe permesso una «strumentalizzazione» da parte della stampa e delle opposizioni. E a metà pomeriggio il Mef diffonde una nota per precisare: è «del tutto fuorviante», viene fatto filtrare, dire che «il governo intende aumentare le accise sui carburanti».
È l’Europa, viene sottolineato, che chiede di ridurre i «sussidi ambientalmente dannosi» e tra questi «rientrano anche le minori accise che gravano sul gasolio rispetto a quelle sulla benzina, e pertanto è allo studio un meccanismo di allineamento tra i livelli delle rispettive accise». Insomma, «l’intervento non si tradurrà nella scelta semplicistica dell’innalzamento delle accise sul gasolio al livello di quelle della benzina, bensì in una rimodulazione delle due». In altre parole, si lavorerebbe ad una contemporanea riduzione delle imposte sulla benzina, per bilanciare in qualche modo l’aumento di quelle sul diesel.
(da La Stampa)
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