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PIANTEDOSI BLOCCATO IN AEROPORTO IN LIBIA, ACCUSATO DI INGRESSO ILLEGALE, DICHIARATO PERSONA NON GRADITA ED ESPULSO

Luglio 8th, 2025 Riccardo Fucile

ORA TRA LE VITTIME DEI RESPINGIMENTI C’E PURE LUI… ERA INSIEME AI MINISTRI DEGLI INTERNI DI GRECIA E MALTA… ERA ANDATO DA HAFTAR PER CHIEDERGLI DI BLOCCARE LE PARTENZE DI MIGRANTI, HANNO BLOCCATO INVECE LUI AL SUO ARRIVO

Respinti con l’ordine “di lasciare immediatamente il territorio libico” e dichiarati “indesiderabili”. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, con gli omologhi di Malta, Byron Camilleri, e della Grecia Thanos Plevris e il commissario europeo Mark Brunner, che oggi avevano in programma un incontro con il governo del presidente Haftar, sono stati bloccati al loro arrivo in aeroporto e invitati a lasciare immediatamente il Paese.
Lo ha annunciato formalmente il governo di Osama Hamad, premier della Cirenaica non riconosciuto dalla comunità internazionale ma con cui da tempo Italia e Ue hanno avviato relazioni, con una nota dai toni violentissimi.
I tre ministri e il commissario Ue oggi avevano in programma un doppio incontro, prima con Trebelsi, responsabile degli Interni di Tripoli, poi con il suo omologo in Cirenaica. Obiettivo, chiedere maggiori sforzi nel bloccare le partenze. Ma se l’incontro con il governo Ddbeibeh è filato liscio, qualcosa con il governo Hamad deve essere andato storto ancor prima dell’incontro.
Piantedosi, gli altri ministri e il commissario sono stati formalmente accusati non solo di violazione di norme diplomatiche e convenzioni internazionali e “azioni che rappresentano una mancanza di rispetto per la sovranità nazionale libica”, ma anche di “omissione delle procedure che regolano ingresso, circolazione e residenza dei diplomatici stranieri”. Insomma, di ingresso illegale.
Risultato, la visita in programma è stata immediatamente annullata e i tre sono stati bloccati al loro arrivo in aeroporto e rimandati indietro perché “considerati indesiderabili sul territorio libico”.
Una versione che circola suggerisce che il maggiore risentimento sia nei confronti dell’Italia, a dispetto della stretta collaborazione, considerata troppo timida nel perorare pubblicamente la causa della Cirenaica e del suo padrone, Haftar. Imbarazzato, il ministro degli Esteri Antonio Tajani si è limitato a dire: “il prima possibile parlerò con Piantedosi di quanto successo”.
Sarcasmo e ironia dalle opposizioni
Dalle opposizioni e dal mondo della flotta civile è già pioggia di commenti sarcastici. “Un altro trionfo del ministro Tajani. Al suo arrivo in Libia, per poco non hanno arrestato Piantedosi”, scrive su X Ivan Scalfarotto, senatore e responsabile esteri Iv. “Brutta cosa i respingimenti signor ministro…”, ironizza su X il leader di Sinistra Italiana e deputato di Avs, Nicola Fratoianni. “”Piantedosi è stato respinto dalla Libia perché accusato di ingresso illegale. Stavo pensando a un commento ironico, ma direi che va già bene così”, sottolinea sui social il deputato Pd Matteo Orfini. “Massima solidarietà a Matteo Piantedosi. Profonda vergogna per come il nostro Paese gestisce la politica estera e le relazioni internazionali: non ci meritiamo certe figuracce globali”, commenta Matteo Renzi. Per Angelo
Bonelli, leader dei Verdi e deputato di Avs, “Piantedosi, per qualche ora ha provato sulla propria pelle cosa significa sentirsi dire “clandestino”, termine con cui la destra definisce le persone migranti. L’Italia continua a tessere rapporti politici ed economici con regimi che rappresentano la vera cabina di regia del traffico di esseri umani. Questa volta Piantedosi è stato vittima della legge del contrappasso”.
Ora che Piantedosi è stato respinto insieme alla delegazione europea cosa diranno? Lo stesso ministro che pochi giorni fa ha incontrato al Viminale il generale Haftar e che ha messo a disposizione un aereo di Stato per far tornare a casa il macellaio Almasri. La verità è che tutti gli accordi che l’Italia ha siglato con quel Paese sono carta straccia”, dice il segretario di Più Europa Riccardo Magi.
Attacca la flotta civile
“Il ministro Piantedosi, insieme ai suoi compari di Grecia e Malta, in tour in Libia per comprarsi i servizi delle milizie per respingere i migranti, sono stati respinti a loro volta, da Benghazi – osserva Luca Casarini, cofondatore di Mediterranea Saving Humans e capomissione di Mare Jonio – I respingitori che vengono respinti”.
Per Sea Watch “la Libia non è un luogo sicuro nemmeno per Piantedosi: è stato fermato in aeroporto e rimandato in Italia. Il ministro era andato per discutere di respingimenti, è stato respinto lui”.

(da La Repubblica)

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ALLEGRIA! DOPO TRE ANNI DI MELONI, GLI ITALIANI SONO SENZA SOLDI PER ANDARE IN VACANZA: A DARE NOTIZIA CHE LE TASCHE DEGLI ITALIANI VERDEGGIANO È “IL TEMPO”, UNO DEI PORTABANDIERA DI CARTA DEL GOVERNO MELONI

Luglio 8th, 2025 Riccardo Fucile

CAUSA CRISI, PREZZI ALLE STELLE, NEANCHE UN ITALIANO SU DUE ANDRÀ IN VACANZA E DI QUESTI, OLTRE IL 50%, OPTERÀ PER UN SOGGIORNO RIDOTTO DI 3-5 GIORNI, CERCANDO MAGARI OSPITALITÀ PRESSO AMICI E PARENTI…” …MA PER L’ARMATA BRANCA-MELONI, IL PEGGIO DEVE ARRIVARE, STANNO BUSSANDO ALLA PORTA I DAZI TRUMPIANI. NEL 2026 INFINE FINIRA’ LA PACCHIA MILIARDARIA DEL PNRR

Mentre l’affamatissimo ego di Giorgia Meloni volteggia, come Wonder Woman, da un vertice con Ursula von der Leyen sulla Ricostruzione ucraina (vabbè, la guerra continua…) a un summit con i leader africani sul Piano Mattei, la fatidica “ggente” si interessa quanto un gatto alla matematica: niente.
Ha altri pensieri e angosce ben più totalizzanti: ho i soldi per andare in vacanza?
Passando alla politica politicante di casa, dalle baruffe chiozzotte tra Salvini e Meloni alla lotta di Giuli per abbattere l’Unione Sovietica di Cinecittà, che riempie pagine di giornali, ormai diventati per la “ggente” una reliquia del passato al pari del gettone telefonico e il juke-box, la musica non cambia.
Il pentagramma salta quando arriva la stagione più incontinente dell’anno, parafulmine di tutti gli eccessi, pensatoio di tutte le scemenze, eletta dagli italiani un “diritto” irrinunciabile.
Inutile il tentativo di neutralizzarla con vertici internazionali e morti ammazzati.
Se un dottore dà a un italiano ancora due settimane da vivere, lui spera che cadano in estate.
Dalla Val d’Aosta alla Sicilia, la sagra del Ferragosto è da prendere sempre sul serio, sognando secchielli e palette, slip e topless, ombrelloni e gamberoni, allietata da magnate-ballate-trombate sbarrando gli occhi ai lampi dei fuochi di artificio.
Che succede se l’ombrellone dei desideri si capovolge e finisce in quel posto dove non batte il sole?
Basta un pigro sguardo di inizio luglio per capire che l’estate 2025 è destinata a boccheggiare sul litorale, quasi in fin di vita sulle Tofane.
Sulle Grandi Ferie di Massa irresponsabili, spensierate, spendaccione (“rompete le righe e fate quel cavolo che vi pare”), soffia aria di burrasca.
Dopo tre anni di governo Meloni, gli italiani sono senza soldi per andare in vacanza.
A luglio ormai decollato, non sono più solo congetture, previsioni o dotte ma vaghe analisi. A dare notizia che le tasche degli italiani cominciano a verdeggiare nel vuoto del portafoglio, non sono i soliti “terroristi” Fanpage o Dagospia, bensì “Il Tempo”, che con il suo direttore politicamente “dual use”, Tommaso Cerno, è uno dei portabandiera di carta del governo Meloni.
In un’inchiesta firmata Damiana Verucci, il quotidiano degli Angelucci ci annuncia quanto segue: “Causa crisi, prezzi alle stelle, secondo l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori,
neanche un italiano su due andrà in vacanza e di questi, la maggior parte, ovvero oltre il 50%, opterà per un soggiorno ridotto di 3-5 giorni, cercando magari ospitalità presso amici e parenti”.
L’articolo continua, implacabile come un verbale della Finanza:
“La vacanza di quest’anno sembra essere diventata un vero e proprio lusso: una famiglia di 4 persone, composta da due adulti e due minori, in una località balneare, dovrà mettere in conto oltre 6.500 euro, ovvero il 2,5% in più dell’estate scorsa… il costo di due lettini e un ombrellone per una settimana passa da una media di 278,60 euro a 284,50… Se poi si va al ristorante si spendono almeno 264 euro in 4 in una sola cena”.
“Va un pochino meglio – continua il “Tempo” – se si sceglie la montagna, non a caso in cima alle preferenze dei viaggiatori, che per la stessa durata fa sborsare quasi 4.800 euro, mentre se si opta per sette giorni in crociera il prezzo torna a salire a 6.300…”
Non è finita: “I «fortunati» dovranno stare molto attenti ai costi dei trasporti, ma pure degli alberghi e dei ristoranti le cui voci, dal 2021 ad oggi, sono rincarate rispettivamente del 56% e del 18%. Anche il costo per autostrada e pedaggi, su una tratta medio-breve, registra una crescita del 2%…”
L’articolo chiude così: “Secondo un’indagine di facile.it a rinunciare alle ferie saranno soprattutto le persone più anziane tra i 65 e i 74 anni mentre i giovani non si priveranno di qualche giretto fuori porta, ma sempre con un occhio attento al portafoglio”.
Insomma, si ritorna ai “fagottari” degli anni Cinquanta, prima del boom economico, quando gli italiani in modalità Alberto Sordi facevano Tarzan a Ferragosto alla marana o a casa dei nonni rimasti al paesello natio a pascolare le pecore.
Ma, oggi, affamati di sregolatezze estive dopo ore e ore passate
a cliccare TikTok e Instagram riusciranno i sudditi del Belpaese a stare boni a casa accontentandosi dei vertici e dei summit internescional della ‘’Giorgia dei Due Mondi’’?
Riusciranno a sacrificare gita in barca e lo sballo dello scooter d’acqua, pensando alla Ricostruzione dell’Ucraina o ad attovagliare la famiglia al chioschetto puzzolente per una pizza all’olio diesel cancellando gli “impossibili” ristoranti, in gloria del futuro Piano Mattei?
La politica, si sa, entra nel vivo del popolo italico solo quando il cittadino apre il portafogli per pagare l’affitto, la rata del mutuo, la casa per le vacanze e i regalini di Natale e, quando lo trova desolatamente vuoto, è a quel punto che si incazza come una biscia ed inizia a pensare al prossimo partito da votare.
Una statistica diffusa all’inizio di febbraio 2025 dall’Eurostat certifica il basso potere d’acquisto, ovvero la capacità di acquistare beni e servizi con il proprio reddito, dei cittadini italiani rispetto al resto degli europei.
Se la passano meglio degli italiani tutti i Paesi del continente (il valore più alto si registra in Svizzera, poi figurano Germania e Islanda), compresa la Spagna. Peggio solo la Grecia, i Paesi balcanici e quelli baltici.
Del resto, se è stranoto che gli stipendi in Italia sono più bassi della media (attestandosi a 24.206 euro annui, in Europa occidentale meglio solo di Spagna e Grecia), è altrettanto noto che l’evasione fiscale, pari a circa 96 miliardi di euro all’anno, è lo sport preferito del 60% degli italiani (tant’è che nel 2023 in un comizio a Catania la sensibile premier Meloni disse che far pagare le tasse ai piccoli commercianti è “pizzo di Stato”).
Che il potere d’acquisto de’ noantri sia al punto che le vacanze sono diventate per la maggioranza un miraggio e un racconto del passato, è un pessimo segnale per le magnifiche sorti e progressive della Ducetta
Si è visto il recente e penoso ping-pong del governo sull’aumento dei pedaggi (a partire dal 1 agosto!), con Meloni che voleva scaricarlo sul groppone del ministro dei Trasporti Salvini, subito saltato con Er Truce della Lega ululante: “Non passo per chi aumenta le tasse”.
È l’economia, bellezza! Dal Pd di Renzi alla Lega di Salvini, dal M5s di Conte-Di Maio, financo Berlusconi ai tempi d’oro, tutti, prima o poi, cadono sui soldi che non ci sono più. E per il governo Meloni (e per gli italiani), il peggio deve arrivare.
Il prossimo anno, il 2026, l’Unione europea staccherà i rubinetti del Pnrr, che per i tre anni del governo Meloni finora ha mantenuto a galla il Pil italiano. Senza i miliardi europei, la crescita del Paese sarà ridotta al lumicino.
Ma, freschi freschi, stanno arrivando i dazi dell’amico Trump. Con quasi 60 miliardi di euro di merci esportate nel 2024, pari al 10,5% dell’export nazionale e al 3,1% del Pil, gli Stati Uniti rappresentano il nostro terzo partner commerciale e a rischiare sarebbero proprio le eccellenze italiane: l’agroalimentare, la moda, la farmaceutica, i macchinari di precisione, ma anche il design e l’automotive.
Un primo e importantissimo test per rendersi conto dell’umore nero degli italiani sarà la chiamata alle urne per le regionali d’autunno.
Se Meloni si becca una sberla su 4 regioni su 5, perdendo le Marche, dove governa Francesco Acquaroli, legatissimo alla Statista delle Garbatella, tutti i cazzi verranno al pettine.
Non a caso la paura di una disfatta è tale che i Fratellini d’Italia hanno intanto cassato l’election day (mejo prendere tanti schiaffi che un pugno solo da ko), poi supportato Acquaroli accerchiandolo di ministri e parlamentari, infine arruolando come “consigliere” il reietto Italo Bocchino e scodellando il tifo del pallonaro Roberto Mancini.
Ma davanti ai sondaggi a favore del candidato del Pd, Matteo Ricci, per non dare tempo di guadagnare ancora consensi, come ultima speranza, è sbocciata l’idea di Acquaroli di anticipare il voto marchigiano al 20 settembre, con una campagna elettore ridotta a due settimane (in Toscana si vota a metà ottobre).
Certo, come sogghignava Groucho Marx, “Nella vita ci sono cose ben più importanti del denaro. Il guaio è che ci vogliono i soldi per comprarle!”. E l’Italia lo sa da sempre…

(da Dagoreport)

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NAZI IN DOPPIOPETTO: DOPO CHE I SERVIZI SEGRETI TEDESCHI HANNO CLASSIFICATA AFD “PARTITO CHIARAMENTE ESTREMISTA”, LA FORMAZIONE POLITICA HA AMMORBIDITO LA LINEA, MA STA PERDENDO VOTI

Luglio 8th, 2025 Riccardo Fucile

I PRIMI SEGNALI: AFD HA CANCELLATO DAI SUOI DOCUMENTI UFFICIALI IL SOSTANTIVO “RE-MIGRAZIONE”, CAVALLO DI BATTAGLIA IN CAMPAGNA ELETTORALE, ED È PRONTA A VOTARE IL CANDIDATO DI CDU-CSU PER LA CORTE COSTITUZIONALE… LA LEADER, ALICE WEIDEL, HA IMPOSTO AGLI ELETTI IN PARLAMENTO UN CORSO DI “GALATEO” POLITICO, PER ABBASSARE I TONI ED EVITARE RIFERIMENTI AL NAZISMO

L’ultradestra tedesca di Afd starebbe ammorbidendo la linea per non restare isolata – attualmente è forza politica significativa, ma irrilevante – e conquistare voti (e magari alleati) anche al centro.
È questa la lettura di alcuni commentatori, fra cui gli analisti della Frankfurter Allgemeine Zeitung, secondo la quale la dirigenza di Alternative fuer Deutschland starebbe appunto pensando a una nuova strategia.
Per la Faz alcuni segnali vanno proprio in questa direzione: da un lato la stessa Weidel ha espresso la disponibilità a votare venerdì il candidato di Cdu-Csu per la Corte costituzionale ma non le due giuriste proposte dalla Spd.
Inoltre è scomparso dai documenti ufficiali del partito il sostantivo “re-migrazione”, cavallo di battaglia (foriero di fortissime polemiche) durante la campagna elettorale.
Secondo Spiegel si tratta di una scelta quasi obbligata: il tema della lotta all’immigrazione clandestina, infatti, sta visibilmente perdendo interesse, anche grazie all’azione decisa del governo di Friedrich Merz.
E i sondaggi mostrano una battuta di arresto di Afd a fronte di una ripresa dei conservatori dell’Unione (Cdu e Csu) dati da alcuni sondaggi al 30%. Questo spinge l’ultradestra a cercare nuovi temi per qualificare la propria offerta politica.
C’è comunque un rischio in questa nuova strategia: qualora essa non fosse solo un cambiamento cosmetico, potrebbe infatti aprire tensioni interne con la sempre più potente “ala destra” che fa capo a Bjoern Hoecke, ras del partito in Turingia.
L’Afd si è data un codice di buona condotta. E quindi niente più insulti in Parlamento, niente più provocazioni e espulsioni dall’Aula, niente più citazioni dubbie che occhieggiano, o lisciano il pelo alle parole d’ordine naziste, perfino niente più «Remigration». Se il partito ha da essere salvato dai giudici costituzionali, che nei prossimi anni potrebbero bandirlo, se dovrà superare un processo, è bene iniziare dal galateo.
Questo il calcolo che fa l’estrema destra di Alice Weidel, di ripulirsi verbalmente, e quindi ai deputati è stato richiesto un
linguaggio moderato. I piani dell’Afd sono ovviamente più ampi. Dopo essere stata per qualche settimana in testa ai sondaggi Alternative für Deutschland è di nuovo scesa al 22-23% dei consensi. E la Cdu l’ha staccata, risalendo quasi al 30%.
Ma il «piano in 7 punti» dell’Afd è chiaro: parlare sempre male del governo rosso-nero, farlo fallire, puntare diritto agli elettori cristiano-democratici. È lì, in quel bacino a destra, che si consuma la più importante battaglia politica della Germania.
Sospesa tra l’ambizione del potere e il nulla, l’Afd sceglie il mascheramento.

(da Corriere della Sera)

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DA BRUXELLES ARRIVANO NUOVE BACCHETTATE PER GIORGIA MELONI: IL “REPORT UE 2025 SULLO STATO DI DIRITTO” RIMPROVERA ALL’ITALIA I MANCATI PROGRESSI SULLE RACCOMANDAZIONI ESPRESSE LO SCORSO ANNO, IN PARTICOLARE SULLE NORME PER REGOLARE IL CONFLITTO D’INTERESSE E LE LOBBY, COMPRESA L’ISTITUZIONE DEL REGISTRO NAZIONALE

Luglio 8th, 2025 Riccardo Fucile

MALE ANCHE LA PROTEZIONE PER I GIORNALISTI, PER LO STOP “DELL’ITER LEGISLATIVO RELATIVO AL PROGETTO DI RIFORMA IN MATERIA DI DIFFAMAZIONE E TUTELA DEL SEGRETO PROFESSIONALE”… TRA GLI ITALIANI CRESCE LA FIDUCIA NELLA GIUSTIZIA, PERCEPITA COME “INDIPENDENTE”

Il rapporto 2025 sullo Stato di diritto in Italia individua progressi “limitati, ridotti o nulli” su alcune delle raccomandazioni chiave espresse l’anno passato, in particolare sulle norme per regolare il conflitto d’interesse e le lobby, compresa l’istituzione del registro nazionale, oppure nell’affrontare “in modo efficace e rapido la pratica di convogliare le donazioni attraverso fondazioni e associazioni politiche”.
Male anche la protezione per i giornalisti, dato che non vi sono progressi “nel proseguimento dell’iter legislativo relativo al progetto di riforma in materia di diffamazione e tutela del segreto professionale”.
“Il livello di indipendenza giudiziaria percepito in Italia è nella media [europea] tra la popolazione e continua a essere nella media tra le aziende. Complessivamente, nel 2025 il 46% della popolazione e il 48% delle aziende percepiscono il livello di indipendenza dei tribunali e dei giudici come ‘abbastanza o molto buono'”.
È quanto si legge nel rapporto sullo Stato di diritto 2025 nel capitolo dedicato all’Italia. L’indipendenza giudiziaria percepita dai cittadini è aumentata “significativamente” rispetto al 2024 (36%) e al 2021 (34%), così come la percezione tra le imprese, pari al 42% nel 2024 e al 29% nel 2021.
Il sesto rapporto sullo Stato di diritto della Commissione Ue fotografa ancora una volta un’Ungheria da maglia nera. Budapest colleziona infatti nel 2025 il maggior numero di raccomandazioni, ben otto, oltre a registrare “nessun progresso” in diversi ambiti, tra cui la lotta alla corruzione ad alto livello, la riforma sul lobbismo, l’indipendenza dei media del servizio pubblico, la promozione di uno spazio civico sicuro. Unico “progresso significativo” registrato è quello relativo all’aumento della remunerazione dei giudici in linea con gli standard europei.

(da agenzie)

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LA MOZIONE DI SFIDUCIA A VON DER LEYEN TOGLIE IL VELO AI PARTITI EUROPEI: I SOCIALISTI, FORMALMENTE DENTRO L’ALLEANZA URSULA, SI ASTENGONO E MINACCIANO DI MOLLARE LA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE UE, MENTRE FRATELLI D’ITALIA VOTERÀ CONTRO

Luglio 8th, 2025 Riccardo Fucile

PER LA DUCETTA LA MOZIONE È MOTIVO DI IMBARAZZO: L’HA PRESENTATA UN PARLAMENTARE RUMENO DEL SUO GRUPPO, ECR, E LA VOTERANNO ANCHE I POLACCHI DEL PIS

Mentre a Bruxelles si aspettava l’arrivo della lettera (non pervenuta) di Donald Trump sui dazi, per avvicinarsi alla chiusura del negoziato con gli Usa, a Strasburgo in plenaria andava in scena il «processo» alla presidente Ursula von der Leyen e alla Commissione, ovvero il dibattito sulla mozione di sfiducia presentata da un parlamentare dell’Ecr, il romeno Gheorghe Piperea, che sarà votata giovedì, e che prendeva le mosse dal Pfizergate.
«Non possiamo permettere agli estremisti di riscrivere la storia», ha detto in Aula von der Leyen, che al termine del suo intervento ha ricordato che «quando la Commissione si siederà con gli Stati Uniti per negoziare su commercio e tariffe, l’Europa dovrà dare prova di forza», come sul futuro dell’Ucraina e nel confronto con la Cina.
Salvo un clamoroso colpo di scena, la mozione non passerà perché la «maggioranza Ursula», formata da popolari, socialisti e liberali più i verdi voterà contro anche se a dibattito chiuso fonti dell’S&D […] hanno fatto sapere di stare valutando l’astensione e che «il loro sostegno non è garantito» e «si aspettano dei segnali nelle prossime 48 ore
Tuttavia, l’astensione non conta come voto espresso quindi non mette a rischio il risultato finale per il quale servono i due terzi dei voti espressi a favore della mozione di sfiducia e la maggioranza assoluta dei componenti.
Una parte dell’Ecr si esprimerà a favore, ma non Fratelli d’Italia, come ha spiegato in Aula il copresidente del gruppo Nicola Procaccini, che ha detto che voterà contro «per difendere il lavoro dell’ex copresidente del’Ecr e attuale vicepresidente della Commissione europea, l’italiano Raffaele Fitto».
Voterà la sfiducia, invece, il M5S, a differenza del gruppo The Left, saldandosi con la Lega e gli altri partiti che fanno parte dei Patrioti, tra cui il francese Rassemblement National e l’ungherese Fidesz, e del gruppo Europa delle Nazioni sovrane di cui fa parte la tedesca Afd.
La presidente von der Leyen si è difesa punto per punto dagli «estremisti» complottisti «apologeti di Putin» che hanno presentato la mozione di sfiducia, da lei definita «un rozzo tentativo di creare una spaccatura tra le nostre istituzioni, tra le forze pro europee e pro democratiche di quest’Aula».
In realtà, la mossa dell’estrema destra ha consentito una resa dei conti pubblica tra il Ppe e gli altri gruppi della «maggioranza Ursula».
Il capogruppo dei popolari Manfred Weber ha votato all’occorrenza con la destra e l’estrema destra dando vita alla cosiddetta «maggioranza Venezuela», cercando così di portare
avanti il proprio programma, a partire dal Green Deal, a prescindere da socialisti e liberali.
«Questa mozione è il risultato diretto della vostra strategia» di dialogare con i gruppi della destra, ha attaccato la leader socialista Iratxe García Pérez.
La leader dei liberali Valerie Hayer ha avvertito von der Leyen «che nulla può essere dato per scontato. Riporti l’ordine nella sua famiglia politica», è l’invito. Weber gioca con i numeri per difendersi: «In circa il 3% di tutti i voti finali il Ppe ha vinto con il sostegno dell’Ecr e dei Patrioti, ma abbiamo avuto più del 7% dei voti finali in cui i socialisti hanno vinto con i Patrioti, contro il Ppe». Ma alla fine è il Ppe che sta imponendo la linea.
Alla fine Fratelli d’Italia ha scelto la strada della responsabilità, in linea con il ruolo europeo che si è ritagliata la premier Giorgia Meloni: mai come adesso è al centro dei diversi tavoli in cui si decide a Bruxelles, dall’immigrazione alla ricostruzione dell’Ucraina.
Un voto a favore della mozione di sfiducia presentata dall’eurodeputato romeno Gheorghe Piperea dell’Ecr, che è il gruppo in cui siede Fratelli d’Italia, non avrebbe fatto bene a Roma.
Il copresidente del gruppo Nicola Procaccini ha dunque preso le distanze dal partito polacco Diritto e giustizia (Pis), che non ha fatto alcun passo indietro. Del resto in Polonia è scontro tra Ppe e Pis.
«Non potrò parlare a nome di tutto il gruppo. Ma potrò farlo a nome dei 2\3 dei colleghi dell’Ecr che non hanno sottoscritto la mozione», ha detto ieri in Aula Procaccini, definendola «un errore, un grande regalo ai nostri avversari politici, che arriva proprio nel momento di loro maggiore frustrazione.
Questo, quando grazie a maggioranze di centrodestra mai viste prima stiamo riuscendo a riportare un po’ di buon senso quidentro». Di fatto dando ragione alla tesi di socialisti e liberali che contestano al Ppe maggioranze alternative a quella «Ursula».
Per Fratelli d’Italia l’estrema destra ha fatto un autogol perché la mozione, che non passerà, rafforzerà von der Leyen e la «maggioranza Ursula» proprio nel momento di maggiore debolezza.
La presidente, è il ragionamento, dovrà restituire il sostegno ricevuto.
Non è un mistero che nel partito i malumori verso von der Leyen non siano pochi, a partire dal disappunto per la presentazione della legge sui nuovi target ambientali per il 2040 per arrivare all’architettura del nuovo bilancio dell’Unione post 2027, che sarà presentato la prossima settimana e che in base alle indiscrezioni prevede l’accorpamento dei fondi di coesione e agricoli con conseguente taglio a vantaggio di altre priorità come la difesa e l’innovazione.
Una soluzione che Fitto — ha il portafoglio alla Coesione e la supervisione dell’Agricoltura — sta cercando di contrastare, con il commissario polacco al Bilancio Serafin (Ppe) e che vede la quasi totalità dei gruppi contro, il Comitato delle Regioni, 14 Paesi Ue e 20 ministri dell’Agricoltura.

(da Il Corriere della Sera)

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PUTIN, UN GRAN “SUICIDATORE” – DA QUANDO MOSCA HA INVASO L’UCRAINA, IN RUSSIA SI SONO VERIFICATE ALMENO 60 MORTI “SOSPETTE” TRA FUNZIONARI MILITARI E OLIGARCHI

Luglio 8th, 2025 Riccardo Fucile

IERI È TOCCATO ALL’EX MINISTRO DEI TRASPORTI ROMAN STAROVOIT, ULTIMO DI UNA LUNGA LISTA: PRIMO FRA TUTTI PRIGOZHIN CHE, DOPO UN TENTATIVO DI COLPO DI STATO, È MORTO IN UN MISTERIOSO INCIDENTE AEREO… I TANTI OLIGARCHI CHE SONO STATI SUICIDATI “CADENDO” DALLE FINESTRE DEI PROPRI PALAZZI E IL CASO DI VLADISLAV AVAYEV, TROVATO MORTO ACCANTO ALLA MOGLIE E ALLA FIGLIA TREDICENNE …IL TOP MANAGER DELLA LUKOIL MORTO IN UNA CANTINA DI UNO SCIAMANO…

“Il posto più pericoloso per un russo? Non è una trincea sul fronte del Donbass, ma una finestra al secondo piano di un palazzo di Mosca…”. Lo humor sarcastico dell’era sovietica è tornato popolare per commentare l’incredibile serie di suicidi avvenuti dall’inizio del conflitto ucraino.
Una catena di episodi dai contorni misteriosi che continua ad allungarsi – se ne citano più di 60 – e che ha lasciato sull’asfalto della capitale troppi cadaveri eccellenti: quasi tutte le vittime avevano a che fare con l’industria petrolifera, la sorgente delle ricchezze lecite e illecite nella Russia di Putin.
Andrei Badalov
Quattro giorni fa Andrei Badalov, numero due di Transneft, è precipitato dal suo lussuoso appartamento in un condominio di Mosca. La moglie e le figlie erano in casa: l’uomo aveva 62 anni e dicono soffrisse di cuore. Nessun dubbio degli inquirenti sulla matrice del gesto: si è ucciso volontariamente.
Transneft possiede 70mila km di oleodotti e gasdotti: trasferisce energia dentro e fuori il Paese ma secondo una denuncia di Aleksej Navalny avrebbe pure pompato fondi neri per miliardi di dollari. Non solo. Avrebbe donato qualche decina di milioni a un ente caritatevole guidato dal capo del direttorato del Cremlino.
Il primo a finire giù dalla finestra nel settembre 2022 è stato Ravil Maganov, 67 anni, vicepresidente della Lukoil: era ricoverato nell’ospedale del Cremlino, a testimonianza del suo rango; c’è chi parla di depressione, chi sostiene fosse in terapia dopo un infarto. Tutti ricordano però la sua contrarietà pubblica all’invasione dell’Ucraina e l’auspicio di chiudere in fretta «questa tragedia».
Anche il presidente e fondatore Vagit Alekperov si è dimesso senza dare spiegazioni. Lukoil, che prima della guerra incassava oltre 4 miliardi di dollari l’anno, aveva lanciato un’espansione mondiale, acquistando distributori e raffinerie ovunque, Italia inclusa: un business falcidiato dalle sanzioni.
Ci sono state situazioni molto drammatiche. Il 18 aprile 2022 Vladislav Avayev, 51 anni, ex vicepresidente della Gazprombank, l’istituto di credito del gigante petrolifero, è stato trovato morto accanto alla moglie e alla figlia tredicenne. La versione ufficiale è omicidio-suicidio.
Il giorno dopo la polizia ha scoperto i corpi di Sergey Protosenya, 55 anni, ex numero due di Novatek, della moglie e della figlia uccisi con colpi d’ascia e di coltello in una villa catalana. Il figlio è convinto che si tratti di una messinscena per incolpare il genitore: Novatek è leader nella produzione di gas in Russia.
Più singolare il decesso di Alexander Subbotin, top manager della Lukoil, stroncato a 43 anni nella cantina di uno sciamano, a cui si sarebbe rivolto per liberarsi da un eccesso di alcol e droga.
Oltre agli oligarchi del petrolio, c’è un’altra categoria ad alto rischio: i vertici militari e dell’industria bellica. Nel loro caso oltre ai decessi – suicidi, capitomboli per le scale, crisi cardiache senza autopsie – c’è la spada di Damocle delle accuse per tangenti che li portano dritti ai lavori forzati. Ieri è stato
arrestato il generale Viktor Strigunov, ex numero due dei pretoriani putiniani della Rosvgardia, incriminato per mazzette nella costruzione di un centro d’addestramento

(da La Repubblica)

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IL DELIRIO NEONAZISTA DI “AVANGUARDIA TORINO”, IL CUI COVO E’ STATO SEQUESTRATO: “ODIO IL KEBAB E IL RAMADAN. BEVO LA BIRRA A MANGIO IL MAIALE FINO A CREPARE”

Luglio 8th, 2025 Riccardo Fucile

IL RITO DI INIZIAZIONE PER ENTRARE NELL’ORGANIZZAZIONE: IL NOVIZIO DOVEVA PASSARE A TORSO NUDO IN MEZZO AGLI ALTRI MILITANTI CHE LO RIEMPIVANO DI BOTTE MENTRE URLAVANO “HEIL HITLER!”… LE SPEDIZIONI PUNITIVE CONTRO I “MARANZA”, LA NEGAZIONE DELL’OLOCAUSTO

Il rituale di iniziazione prevede due file parallele da quattro militanti ciascuna. Il neofita passa in mezzo a torso nudo. Dopo che viene picchiato urla: «A Hitler!». E tutti rispondono a squarciagola: «A Hitler! A Hitler!».
Torino zona Lingotto, vecchio cuore della Fiat. Il covo dei neofascisti e nazisti che ospitavano adepti da tutta Europa era qui. In una vietta in mezzo ai palazzi alti e grigi dove una volta dormivano gli operai. I residenti non se lo spiegano. C’è un silenzio surreale. Osservano i resti dei fumogeni a terra. Sale rosa con briciole fucsia. «Prima c’era un bar, poi sono venuti quattro ragazzini ad affittare. Dicevano che volevano studiare la storia».
Il blitz scatta alla fine della mattina di ieri, su ordine della gip Paola Odilia Meroni, che accoglie la richiesta di sequestro dei pm Manuela Pedrotta e Davide Pretti. L’indagine dei Ros, iniziata un anno e mezzo fa, è ancora aperta. Ma c’è il rischio che i 17 indagati di “Avanguardia Torino” possano proseguire i reati di cui sono accusati: «associazione finalizzata all
propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa». In sostanza, scrive la gip, vogliono «ricostituire» i movimenti fascisti e nazisti. […]
Per mesi le ambientali registrano riunioni, concerti, inni al Duce. I saluti romani e le frase di rito di ogni iniizo di incontro: «Buonasera, camerati!». I cori per Hitler e «per Hristo Lukov, assassinato nel 1943 dal movimento di resistenza bulgaro». Comizi e concerti. L’odio verso chi non è fascista né nazista è nelle parole.
Il 27 aprile 2024, alle 22 e 16, prende la parola uno degli indagati, dopo che ha suonato una banda rumena: «A un concerto rap normale vi chiederei un urlo per loro. Ma questo è un concerto rap per la nazione. Vi chiedo un casino di Heil! Heil, heil, heil!». Gli slogan vengono ripetuti per ore.
«Me ne frego di morire, me ne frego di Togliatti e del sol dell’avvenire! Camicia nera trionferà!». «Siamo i legionari di Mussolini» Non sono incontri per studiare la storia, come avevano detto i militanti al proprietario dell’immobile, paradossalmente uno storico comunista di Torino. E non sono solo concerti.
C’è anche il repertorio contro l’Islam: «Europa cristiana, mai musulmana!». «Odio il kebab e la Madama, bevo la birra a mangio il maiale fino a crepare», uno dei cori urlato pochi giorni prima dello scorso Natale.
Ogni tanto i neofascisti escono per strada. Il 28 aprile, dopo aver cantato «Rap per la nazione», si mettono i guanti con le nocche d’ottone che servono a fare più male. E vanno ai Murazzi. Accerchiano quattro marocchini coi bastoni. Non riescono a picchiarli perché scappano.
Li deridono «emettendo versi gutturali e l’ululato delle scimmie», scrive la gip, confermando anche l’aggravante dell’odio razziale. Oltre che a quelle «dell’avere propagandato,
istigato e incitato idee fondate sulla negazione e apologia della Shoah».
Tra il 15 e il 16 giugno 2024 la sede ospita un raduno con neonazisti da tutta Europa. Anche in questa occasione, come sempre, avviene il rituale tipico: la «chiamata al presente».
Per la Cassazione è un fattore che indica «un concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista». Viene evocato il nome di un vecchio nazista o fascista e il coro risponde urlando: «Presente!».
Dopo la «chiamata», seguono altri inni. «A petto nudo si nega l’Olocausto!». «La gioventù fascista non ha dimenticato i camerati uccisi». È tutto registrato. Sono tutte prove. La giudice Meroni non ha dubbi: «È un’associazione con una struttura gerarchica». L’accusa individua come indagati di spicco Enrico Forzese, ex Fratelli d’Italia, Mattia Borsella (fermato dalla polizia francese il 25 novembre 2023 durante una manifestazione a Roman sur Isere) e Matteo Marzorati.
Tra i militanti anche Matteo Vignale, figlio dell’assessore regionale al Patrimonio e Personale Gian Luca Vignale (non indagato). «Hai visto cosa è successo… Erano già andati in Germania a picchiare gli ebrei. Onore a loro!».

(da La Stampa)

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STUPRI E TORTURE: IL CARCERE DI PRATO E’ UN INFERNO, LA PROCURA HA SCOPERTO DIVERSI CASI “AGGHIACCIANTI” DI VIOLENZA SESSUALE TRA DETENUTI NEL CARCERE DELLA CITTÀ

Luglio 8th, 2025 Riccardo Fucile

“LA SITUAZIONE È FUORI CONTROLLO”… MA IL GOVERNO E NORDIO DOVE SONO?

Scoperti dalla procura di Prato casi di violenza sessuale trdetenuti nel carcere La Dogaia, in particolare due episodi che la stessa procura definisce “agghiaccianti”. In un caso un detenuto avrebbe violentato ripetutamente il compagno di cella minacciandolo con un rasoio, mentre in un secondo caso due detenuti avrebbero torturato e stuprato per giorni un compagno tossicodipendente e omosessuale alla sua prima esperienza carceraria.
Secondo le indagini, la vittima è stata brutalizzata con mazze, pentole bollenti, pugni e colpi alla testa, costretta a subire rapporti sessuali ripetuti e a vivere in un regime di terrore continuo. Il primo caso risale al settembre 2023: un 32enne brasiliano è accusato di aver violentato ripetutamente il compagno di cella pachistano minacciandolo con un rasoio. L’uomo è ora indagato per violenza sessuale aggravata.
Il secondo caso, avvenuto tra il 12 e il 14 gennaio 2020, riguarda due detenuti – di 36 e 47 anni – che avrebbero torturato e stuprato per giorni un compagno tossicodipendente e omosessuale alla sua prima esperienza carceraria. Le gravi lesioni riportate si sono accompagnate a gravi traumi psicologici, con conseguenze perdurate per mesi. I due aguzzini sono stati rinviati a giudizio e il processo è in corso.
Dai vertici della procura il messaggio è chiaro: “La situazione alla Dogaia è fuori controllo, segnata da un pervasivo tasso di illegalità e da un sistema incapace di garantire sicurezza e dignità”. Ma, aggiungono gli inquirenti, “la risposta dello Stato sarà ferma e costante”. Intanto le indagini proseguono, con nuove perquisizioni e sequestri in corso anche in questi giorni.

(da agenzie)

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TANTE PROMESSE E POCHI SOLDI: GIORGIA MELONI RISCHIA LA FIGURACCIA SU KIEV

Luglio 8th, 2025 Riccardo Fucile

LA DUCETTA SPERAVA DI PRENDERSI UN POSTO SULLA SCENA INTERNAZIONALE CON LA CONFERENZA SULLA RICOSTRUZIONE IN UCRAINA, CHE SI APRIRÀ A ROMA GIOVEDÌ. MA L’EVENTO SI ANNUNCIA COME UN FLOP: SECONDO LA BANCA MONDIALE, SERVONO 500 MILIARDI DI DOLLARI, E SENZA IL SOSTEGNO DEI PRIVATI NON SI VA DA NESSUNA PARTE

Cinquecento miliardi di dollari: è quanto serve al piano di ricostruzione dell’Ucraina, secondo le stime della Banca Mondiale. Una quantità enorme di risorse che non sono ancora disposizione.
La Conferenza sulla ricostruzione in Ucraina, che si terrà tra giovedì e venerdì a Roma, si è posta questo come principale obiettivo politico da raggiungere: lanciare l’allarme sul rischio di non poter dare sostanza alle promesse fatte negli ultimi due anni. È la preoccupazione che si percepisce raccogliendo le confidenze da chi sta lavorando sugli ultimi dettagli del programma del summit: e cioè che senza una mobilitazione internazionale e, soprattutto, senza consistenti investimenti privati, il piano per risollevare e modernizzare l’Ucraina fallirà.
Due giorni fa La Stampa aveva dato conto delle reazioni del governo alle rivelazioni di Bloomberg sulla decisione dell’americano BlackRock, il più grande fondo di investimento del mondo, di abbandonare il progetto – già avviato – di raccogliere finanziatori per la ricostruzione dell’Ucraina.
Tra le cancellerie europee, le più esposte politicamente sugli aiuti a Kiev, è molto concreto il timore che la scelta del fondo guidato da Larry Fink possa dissuadere anche altri a impegnare risorse sulla rinascita del Paese invaso dalla Russia.
Questo incubo sarà lo sfondo costante dei due giorni romani, che il presidente Volodymyr Zelensky inaugurerà domani sera incontrando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La Ukraine Recovery Conference (Urc), la terza di questo tipo, prevede tavoli di confronto con realtà aziendali e istituzionali.
Sono attesi anche annunci su investimenti e progetti per alcune decine di miliardi, e una parte dei panel sarà dedicata agli strumenti finanziari e assicurativi, incluso il lancio, per la prima volta, di un equity fund europeo, partecipato da Cassa Depositi e Prestiti, la Cooperazione allo sviluppo e il ministero dell’Economia e Finanze. Ma non basta.
Servono più soldi, servono grandi investitori, bisogna convincere chi al momento, di fronte all’incertezza della
situazione, allo stallo delle trattative con Vladimir Putin, alle frustrazioni di Donald Trump, non crede in un ritorno economico. Non aiuta il fatto che BlackRock abbia deciso di sfilarsi proprio nel momento del ritorno del tycoon alla Casa Bianca.
Il programma della Conferenza, a cui ha lavorato una task force guidata dall’ex ambasciatore a Kiev Davide La Cecilia e coordinata dal ministro Antonio Tajani, prevede un Recovery Forum ed una Business Fair, dove aziende italiane, ucraine e internazionali e i rispettivi governi potranno incontrarsi ed avviare collaborazioni. Sono attese duemila aziende, delle quali 500 italiane. Gli obiettivi dei potenziali investimenti si concentreranno su infrastrutture, housing, energia, industria strategica, materiali critici, digitale, salute.
Giorgia Meloni farà gli onori di casa e dovrà esercitare l’arte dell’ottimismo, nonostante la fine della guerra non sia all’orizzonte e nonostante resti il grande interrogativo su cosa farà Trump, che però sembra più interessato a orientare gli affari con Kiev sulle terre rare. Per gli Stati Uniti a Roma ci sarà Keith Kellogg, l’inviato speciale del presidente Usa che un mese fa disse che tutto sommato Putin non aveva torto a lagnarsi dell’espansione della Nato ai confini della Russia.

(da “la Stampa”)

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