Ottobre 31st, 2025 Riccardo Fucile
FDI PRIMO PARTITO, PD STABILE, BUON RISULTATO DELLA LISTA DE LUCA E DEI RENZIANI
Manca meno di un mese alla tornata elettorale per la Regione Campania, la prima
dopo l’era di Vincenzo De Luca, che vede contrapporsi Roberto Fico, Edmondo Cirielli, Giuliano Granato, Stefano Bandecchi, Nicola Campanile e Carlo Arnese. E’ dunque tempo di sondaggi per capire l’andamento della campagna ma anche i possibili margini di recupero sia tra le coalizioni, sia tra i partiti all’interno degli schieramenti dei candidati presidente. Fanpage.it ha potuto visionare un sondaggio riservato di BidiMedia sulle elezioni regionali in Campania. Il primo dato che balza agli occhi è quello che riguarda l’affluenza con una percentuale di votanti stimata intorno al 45%-46%, un dato che parrebbe confermare una tendenza degli ultimi anni che vede i campani sempre più disaffezionati al voto. Una dinamica questa che potrebbe favorire il voto organizzato. Tra i candidati presidente Roberto Fico manterrebbe un discreto margine di vantaggio sul candidato di centro destra Edmondo Cirielli.
Fico non traina la coalizione, ed è boom dei deluchiani
Secondo il sondaggio BidiMedia che Fanpage.it ha potuto visionare Roberto Fico sarebbe intorno al 55% dei consensi, mentre Edmondo Cirielli si fermerebbe al 41%. Circa 14 punti di vantaggio per il centro sinistra che a 3 settimane dalle elezioni rappresentano sicuramente un margine che sembrerebbe solido, nonostante l’incognita di una affluenza da record negativo per la regione. All’interno del centro sinistra il Partito Democratico sarebbe la prima forza con il 17,3% un dato tutto sommato in linea con le precedenti regionali dove i dem si fermarono al 16,9%. Nonostante abbia il candidato presidente non sfonda il Movimento 5 Stelle che sarebbe inchiodato al 9,6%, quasi la stessa percentuale di 5 anni fa quando si candidarono fuori dal centro sinistra, e raccolsero addirittura uno 0,3% in più. Nessun effetto traino di Fico quindi. Anzi la coalizione di centro sinistra raccoglierebbe più voti del candidato presidente con la somma dei partiti che arriverebbe al 57% ed il candidato presidente fermo al 55%.
Chi invece raggiungerebbe un dato sopra le aspettative sono le liste moderate a cominciare da quella promossa dal presidente uscente Vincenzo De Luca, “A testa alta” che arriverebbe al 8,7% e risulterebbe essere la terza forza del centro sinistra. Con meno di un punto di distanza dal Movimento 5 Stelle, i deluchiani possono ambire ad arrivare secondi all’interno del campo largo, circostanza che gli consentirebbe di ritagliarsi un ruolo di primissimo piano nel governo della Regione Campania. Al quarto posto nel centro sinistra arriverebbe “Casa riformista” la lista dei renziani che vede tra i candidati anche l’ex ForzaItalia Armando Cesaro, che arriverebbe al 7,3%, confermando il dato di Italia Viva di 5 anni fa, che raccolse la stessa percentuale. Quello che verrebbe fuori sarebbe quindi una quadro dove le forze legate alle precedente amministrazione, quella di Vincenzo De Luca, avrebbero un ruolo assolutamente decisivo e centrale nel governo del territorio in termini di numeri.
Con Cirielli, Fratelli d’Italia primo partito
Nel campo del centro destra invece la campagna elettorale è partita molto in ritardo con la sintesi sulla candidatura di Edmondo Cirielli arrivata davvero in extremis rispetto alla consegna ufficiale delle liste. Questa coalizione parte dunque con l’handicap, nel tentativo di rimontare un quadro assai complesso, dove pesa anche la diversa notorietà tra Fico e Cirielli. Il candidato presidente però in questo caso raccoglierebbe più voti della coalizione, ferma al 40% per la somma delle liste, mentre Cirielli sarebbe dato al 41%.
Nel centro destra il dato più rilevante è senza dubbio quello di Fratelli d’Italia che con un 18,2% rappresenterebbe il primo partito in Campania. Una affermazione senza precedenti quella del partito di Giorgia Meloni, che appena 5 anni fa alle ultime regionali, si fermava al 5,9%. Al secondo posto Forza Italia, stimata all’11,3%. Anche in questo caso si tratta di un incremento di consensi molto notevole visto che la compagine di Antonio Tajani e Fulvio Martusciello alle precedenti elezioniregionali aveva raggiunto appena il 5,1%. Male invece la Lega, che in quadro in cui tutti i partiti di centro destra aumentano i loro consensi, si fermerebbe al 5,3% perdendo addirittura uno 0,3% rispetto alle ultime elezioni regionali. “L’effetto Cirielli” sul centro destra sarebbe testimoniato anche dal discreto risultato della sua lista civica che raccoglierebbe il 2,6%, un risultato per nulla trascendentale per una lista messa insieme in pochissimo tempo.
(da Fanpage)
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Ottobre 31st, 2025 Riccardo Fucile
COSI’ GHIGLIA PROVO’ AD AIUTARE GIORGIA MELONI: IL RACCONTO DI REPORT SUI LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE DELLA VILLA DELLA PREMIER
Lo racconta Report, ricostruendo la storia dell’interrogazione presentata a gennaio del 2025 dai deputati di Italia Viva, Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi, sui lavori di ristrutturazione della villa acquistata dalla presidente del Consiglio per un milione e 100 mila euro. Report ha un messaggio di Ghiglia agli uffici nel quale dice: “Cercatemi interrogazione Bonifazi. Approfondiamo se è suo diritto ad avere risposta a tutte le domande, in dettaglio. O se qualcosa si può coprire in termini di protezione dati, al netto della trasparenza e dell’interesse pubblico. Urgente”.
L’obiettivo era dunque omettere il più possibile dati, cosa che effettivamente poi accade visto che in aula il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, nega proprio per ragione di privacy l’elenco dei fornitori, “perché verrebbe meno” dice, “l’aspettativa di riservatezza”.
(da agenzie)
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Ottobre 31st, 2025 Riccardo Fucile
IL PARTITO LIBERAL-PROGRESSISTA HA VINTO LE ELEZIONI, BATTENDO L’ULTRADESTRA DEL “PVV” DI GEERT WILDERS: “GLI OLANDESI HANNO DETTO ADDIO ALLA NEGATIVITÀ E ALLA POLITICA DELL’ODIO”
«Het kan wél!». Ovvero: «È possibile!». Ha portato bene a Rob Jetten il suo slogan
elettorale dal sapore obamiano, perché in Olanda è stato possibile quello che non lo sembrava affatto: passare dai 9 seggi delle elezioni del 2023 ai 26 conquistati domenica (record storico del suo partito), e da quinto partito a primo.
Quest’ultimo dato è in realtà ancora incerto, perché con il 98,9% delle schede conteggiate il suo D66, liberali progressisti ed europeisti, è avanti di soli 15mila voti rispetto ai sovranisti anti-migranti del Pvv di Geert Wilders e soltanto tra lunedì e martedì arriveranno i voti inviati per corrispondenza, dove di solito le destre stentano.
Jetten, 38 anni, si è guadagnato il diritto a guidare i negoziati per il nuovo governo. Con l’obiettivo di diventare il premier più giovane, e il primo gay, della storia dei Paesi Bassi.
Ha lavorato per qualche anno come manager prima di darsi alla politica come consulente di D66, formazione che in Europa è nel gruppo macroniano di Renew. Eletto deputato nel 2017, poi capogruppo del partito a soli 31 anni, dal 2022 al 2024 è stato ministro per il Clima e l’Energia del quarto governo di Mark Rutte, mentre dal 2023 è leader del suo partito.
Pro-Ue e filoucraino, Jetten si è battuto per l’aumento delle spese per la Difesa e domenica sera ha ribadito che «L’Europa deve sconfiggere Putin».[…] Jetten si batte per l’ambiente, sogna di promuovere «la generazione più sana di sempre» e vuole investire di più nell’istruzione e nella cultura, mentre la sua soluzione all’emergenza abitativa — grande tema della campagna elettorale — è la costruzione di dieci nuove cittadine.
Una passione per l’atletica e il calcio, fidanzato con il campione di hockey su prato argentino Nicolas Keenan con cui si sposerà ad agosto in Spagna, Jetten è attento ai diritti civili e anche sull’immigrazione ha posizioni progressiste: la sua ricetta è proteggere chi fugge dalla guerra e vuole integrarsi e deportare le «mele marce».
La sua popolarità è cresciuta anche grazie alla partecipazione al quiz televisivo The Smartest Person, che era stato registrato
prima della campagna elettorale e dove è finito terzo.
Ha puntato sulla positività e sull’orgoglio olandese e la sua popolarità è cresciuta anche grazie alla partecipazione al quiz televisivo The Smartest Person, che era stato registrato prima della campagna elettorale e dove è finito terzo.
«Gli olandesi hanno detto addio alla negatività e alla politica dell’odio», ha detto a Leida domenica, e ieri ha invocato la nascita di un governo «stabile e ambizioso». In un Paese abituato ormai ad almeno sette mesi di negoziati post-elettorali, imbarcherà i cristiano-democratici di Cda e forse sia la sinistra laburista-verde di Frans Timmermans (che si è dimesso dopo la sconfitta) sia il centrodestra Vvd di Dilan Yesilgoz che già ha detto «no, grazie» (ma l’aveva detto anche a Wilders, con cui poi ha messo in piedi un fallimentare governo tecnico)
(da agenzie)
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Ottobre 31st, 2025 Riccardo Fucile
TROPPO CHIACCHIERATO E CON UN GIRO DI AMICIZIE DISCUTIBILI, L’EX DELFINO DI FINI NON ENTRA A ”PA-FAZZO CHIGI” … SE È TANTO “IMPRESENTABILE”, PERCHÉ NON LO CACCIANO DA DIRETTORE EDITORIALE DEL “SECOLO D’ITALIA”? SAREBBE UN GIOCO DA RAGAZZI ESTROMETTERLO. MA QUANTI SEGRETI CONOSCE L’EX SANCHO PANZA DI FINI, APPASSIONATO DI INTELLIGENCE E VICINO A LOBBISTI CONSIDERATI IMPRESE
Il piccolo Italo si sbatte come Moulinex. In ogni apparizione televisiva, Bocchino difende col coltello tra i denti la magica Giorgia Meloni, elogia il suo governo di mezzecalzette e le sue doti di statista dei due mondi, magnifica le capacità del centrodestra di salvare l’Italia dalle “zecche” comuniste, una profusione senza sosta di peana e lodi.
Ma non c’è niente da fare: nel cerchio magico della Ducetta, ma
neanche nella periferia del potere meloniano, Bocchino gna’ fa a entrare.
Troppo chiacchierato con il suo giro di amicizie discutibili, l’ex delfino di Gianfranco Fini non lo vogliono sul groppone. Non lo gradisce la sora Giorgia, non lo tollera manco in fotografia Fazzolari, non si fida Mantovano.
A rinforzare lo scetticismo della Fiamma Tragica, sono arrivate le sue dichiarazioni ambigue e sibilline, e non certo assolutorie, sul caso Ghiglia-Ranucci.
In un’intervista, il botulinazzato Bocchino ha specificato, non a caso, che il suo incontro con il componente in quota FdI del Garante della Privacy, alla sede del partito in via della Scrofa, è durato “venti minuti al massimo”.
Così facendo, l’ex deputato non ha blindato la versione difensiva di Ghiglia, e ha messo in difficoltà Arianna Meloni.
Come notava “il Fatto quotidiano” tre giorni fa, “le telecamere di sicurezza hanno ripreso Ghiglia entrare alle 15.35 e uscire alle 16.45, un’ora e dieci minuti dopo.
Resta quindi un interrogativo cruciale: dove è stato Ghiglia per gli altri cinquanta minuti? L’ufficio di Bocchino si trova sullo stesso pianerottolo di quello di Arianna Meloni…”
Sarà anche per questo che l’ex Sancho Panza di Fini ha portato al capolinea il sistema nervoso di Arianna Meloni, capo supremo del partito.
Da quelle parti, però, mantiene ancora qualche importante incarico: è direttore editoriale del “Secolo d’Italia” ed è membro del cda della Fondazione AN, vera cassaforte di Fratelli d’Italia.
A dire il vero, quelle due poltroncine le sorelle Meloni le sfilerebbero volentieri dal roseo culetto dell’Italo tascabile. Sarebbe un gioco da ragazzi rimandarlo a Napoli a impastare il casatiello. Ma un tale benservito nessuno ha avuto finora il coraggio di dare.
Non è stata certo la compassione cristiana a evitare che la mannaia s’abbattesse sul visino tirato a lucido di Bocchino, né un cameratismo benevolo in memoria dei tempi andati. Tra i meloniani di prima linea e di complemento sono in molti a essere guardinghi e diffidenti verso Bocchino.
Da sempre appassionato di intelligence, vicino a lobbisti e personaggi “borderline”, il mini-Italo è temuto dai suoi ex colleghi. Magari conosce fatti, retroscena, segretucci che potrebbero mettere in grande imbarazzo la premier e il suo più stretto entourage.
Forse è questo il paracadute che ha impedito, negli anni, che l’ex parlamentare sciupafemmine (memorabile fu la liason con Mara Carfagna e l’ape regina di Berlusconi, Sabina Began) finisse definitivamente al museo delle cere…
(da Dagoreport)
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Ottobre 31st, 2025 Riccardo Fucile
ZAIA INVITA SALVINI A RISPONDERE ALLE OSSERVAZIONI DELLA CROTE DEI CONTI INVECE CHE STREPITARE
La Corte dei Conti «interviene nello spazio che le è riconosciuto»: il pizzicotto dell’altra
Lega a Matteo Salvini è tutto nella frase di Luca Zaia che derubrica ad atto di ordinaria amministrazione lo stop dei magistrati contabili alla delibera Cipess sul Ponte sullo Stretto.
Altro che affronto, ingerenza, invasione di campo, atto di arbitrio da ignorare in nome del preminente interesse del popolo italiano e del ministro che ritiene di interpretarlo. «A me personalmente è capitato con varie opere in Veneto», dice ancora Zaia, e il sottotesto è chiaro: invece di strepitare, Matteo sistemi le carte e risponda alle osservazioni, se ne è capace.
L’altra Lega è in modalità «ben gli sta». L’allerta sul Ponte è la conferma del vicolo cieco in cui si è infilato il Capitano con le sue ambizioni di un partito nazionalista, vannacciano, sovranista, pontifex maximus dell’italico stivale, quello che cerca ancora i voti dei calabresi e dei siciliani o il favore di Viktor Orban mentre il Nord paga il conto dei dazi americani e della crescita zero. L’altra Lega si scansa dallo scontro coi giudici perché è ovvio che l’allerta della Corte è solo l’inizio di una maratona che non potrà essere vinta con la prepotenza e obbligherà Salvini a rendere conto di ogni minuta scelta su quei 13 miliardi «presi dai soldi degli italiani», come già grida l’opposizione. L’altra Lega, che mai ha avuto il coraggio di sfiduciare il suo leader, forse gongola anche un po’: lo spettacolo del No maiuscolo detto da altri è un bel momento.
Ci sono giornate che segnano un punto di chiarezza nelle cose, svelando la realtà dietro i ghirigori con cui la politica maschera le sue difficoltà. Quella di ieri ha messo sotto i riflettori il declino del salvinismo non solo come polo di attrazione elettorale ma anche come capacità di influenzare il governo. Il Ponte sullo Stretto è nato come caposaldo alternativo all’antico vessillo del federalismo che il leader leghista non ha mai sentito suo: era roba dei veneti, dei vecchi Bossi e Calderoli, restringeva l’area di consenso leghista al Nord, andava superato. Il Capitano, però, non ne ha tratto vantaggi nel voto, non ha avuto l’abilità di mandare in porto l’operazione senza inciampi e nemmeno la forza di imporre a Palazzo Chigi di ignorare le contestazioni della Corte e tirare avanti, come pure si poteva fare. E mentre lui veniva sconfitto anche in quest’ultima battaglia, sotto al Senato i parenti-serpenti di Forza Italia esultavano per il trionfo del loro progetto di riferimento, la riforma della Giustizia, approvato in tempi record e senza il cambio di una virgola.
L’altra Lega osserva, giudica, ma soprattutto si chiede: quanto sarà possibile reggere a giornate così?
(da La Stampa)
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Ottobre 31st, 2025 Riccardo Fucile
UN REALE DANNO ERARIALE AI CONTRIBUENTI ITALIANI
Ad un anno dall’annuncio dei centri in Albania, le opposizioni certificano il flop del protocollo siglato da Giorgia Meloni e il premier albanese Edi Rama. Ad oggi, secondo l’ultimo monitoraggio del Tavolo immigrazione e asilo (Tai), nella struttura di detenzione di Gjader si trovano 25 migranti. Un numero ben al di sotto delle previsioni del governo che sin dalla presentazione dell’accordo con Tirana aveva parlato di almeno 3mila persone al mese, per un totale di circa 35mila migranti l’anno.
Ieri si è tenuta una conferenza stampa alla Camera, convocatadai parlamentari delle opposizioni, Rachele Scarpa, Matteo Orfini (Pd) e Riccardo Magi (+Europa) appena rientrati da una nuova ispezione nel centro di Gjader “Quello che avrebbe dovuto ospitare più di 30.000 migranti all’anno .Ce ne erano 25. Scelti senza alcun criterio dai cpr italiani, deportati in Albania per poi essere riportati in Italia appena qualche giorno più tardi”, racconta Orfini. Ma i Cpr italiani, segnala, non sono pieni.
Sin dal principio quello tra Italia e Albania è parso un accordo fragile, messo in discussione dagli stessi giudici che in più di un’occasione hanno bloccato il trasferimento dei migranti negli hotspot di Shengjin e Gjader. Il tentativo di trasformare i centri in Cpr, in cui ospitare anche i migranti destinatari di decreti di espulsione, non sembra aver prodotto gli esiti sperati. Nell’ultimo anno infatti si sono moltiplicate le segnalazioni che raccontavano di strutture vuote, inutilizzate, e di personale licenziato o costretto a fare ritorno in Italia.
“Le procedure necessarie per il rimpatrio si possono fare solo in Albania? Ovviamente no. Il rimpatrio è più facile o più veloce se fatto da lì? Anche in questo caso la risposta è no: semmai è più lento dato che comunque prima di rimpatriarli devono essere riportati in Italia. Dunque che senso ha tutto questo?Nessuno”, scrive Orfini, che racconta di aver visitato solo uno dei due centri “perché il secondo è vuoto da mesi, inutilizzato, di fatto chiuso.Un costosissimo monumento al fallimento del cosiddetto
modello Albania. Perché tutto questo?La ragione è tanto semplice quanto insopportabile: Giorgia Meloni non può riconoscere il fallimento, altrimenti verrebbe giù il castello della propaganda costruito in questi mesi. E quindi bisogna andare avanti ad ogni costo”.
Fino a questo momento il governo ha continuato a tirare dritto, anche dopo il pronunciamento della Corte di giustizia Ue che ha riconosciuto il potere dei giudici di valutare la legittimità dei decreti con cui vengono stabiliti i Paesi sicuri da cui provengono i migranti sottoponibili a procedure di frontiera accelerate. “Abbiamo scoperto ieri consultando i registri del centro che per tutta l’estate il governo ha fatto dei trasferimenti illeciti, perché avrebbe dovuto fermarsi dopo l’ultima ordinanza della Cassazione a maggio che poneva ulteriori dubbi sulla compatibilità di tutta l’operazione Albania con le direttive della Ue, invece ha deciso di andare avanti, sprecando milioni e milioni. Dai registri abbiamo desunto che da aprile ad oggi sono transitate circa 200 persone mentre i rimpatri sono stati circa una quarantina. La stragrande maggioranza di persone viene liberata dieci giorni dopo l’arrivo in Albania perché il trattenimento non viene convalidato, altre vengono valutate come non idonee dopo poco tempo perché i Cpr sono luoghi patogeni. Non sono numeri che possono sorreggere una narrazione trionfalistica”, spiega Scarpa.
Ora l’attesa dell’esecutivo è tutta rivolta al nuovo Patto Europa su asilo e migrazione, che dovrebbe sancire la legittimità della gestione di procedure in materia di immigrazione al di fuori dei confini nazionali. E quindi riuscire a rendere finalmente operativi i centri albanesi. Tuttavia, come ha rilevato la Corte di Cassazione, il trattenimento in Albania avverrebbe in un Paese terzo non membro dell’Ue e dunque potrebbe finire per scontrarsi comunque con le garanzie e i limiti europei, specie in materia di libertà personale.
I parlamentari denunciano le complicate condizioni dei migranti, i cui atti di autolesionismo sarebbero sempre più frequenti. “Da aprile ci sono stati 95 eventi critici, qualcuno che si cuce la bocca, altri ingeriscono una lametta”, sottolinea Scarpa. Il “modello dei cpr non sta portando sicurezza in Italia, non sta garantendo i rimpatri per cui è nato ma sta solo generando insicurezza e sofferenza oltre che un ingente spreco di risorse pubbliche. Il fatto che viene presentato in Ue come modello da perseguire su larga scala è grave perché si basa su bugie e omissioni”.
C’è poi il nodo dei costi. Secondo un rapporto di Actionaid e UniBari i 400 posti all’interno del centro di Gjader sono costati più 150mila euro ciascuno. “Il problema principale ovviamente è la lesione dei diritti, ma visto che siamo in periodo di legge di bilancio è giusto parlare di costi – osserva Orfini . Si dice che
non ci sono risorse per nulla, ma secondo i nostri calcoli i centri costano un miliardo in 5 anni. Il governo dà cifre diverse e dice che si tratta di 130 milioni l’anno per 5 anni, ma sono comunque dati preoccupanti. Se dedicati a 200 migranti, si parla di circa 650mila euro a persona”.
Per Magi “siamo di fronte a un grande monumento della propaganda e dello sperpero di denaro pubblico”. “Stiamo parlando di una struttura faraonica, della presenza di agenti di polizia, carabinieri, militari della guardia di finanza, personale della prefettura. Dalle informazioni che abbiamo preso”, le persone “arrivano con dei voli della Gdf, quindi con dei costi elevatissimi. La struttura dovrebbe essere dichiarata chiusa e fallita oggi, se non ieri. Possiamo dire – conclude -per fare il verso alla presidente Meloni che non ha fun-zio-na-to”.
(da Fanpage)
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Ottobre 31st, 2025 Riccardo Fucile
“L’UNICA SOLUZIONE SAREBBE FAR RIPARTIRE LA PROCEDURA CORRETTAMENTE DA ZERO, MA IN QUESTO CASO CI VOGLIONO CINQUE ANNI”
Sul Ponte sullo Stretto il governo non andrà per ora allo scontro con la Corte dei Conti,
che con una delibera mercoledì sera ha fermato l’iter per la realizzazione dell’infrastruttura che dovrebbe collegare Sicilia e Calabria. Una mancata bollinatura che era nell’aria da giorni.
I magistrati contabili, tramite la Sezione di controllo di legittimità, si sono espressi su profili strettamente giuridici della delibera Cipess che ad agosto aveva dato il via libera al progetto definitivo del ponte.
Cosa farà il governo dopo l’ennesimo stop al Ponte sullo Stretto
Il governo è comunque intenzionato a proseguire, e per il momento il ministro Salvini ha detto che risponderà ai rilievi della Corte dei Conti, punto su punto, senza forzature. La decisione della Corte dei Conti sulla delibera Cipess relativa alla costruzione del Ponte sullo Stretto non può essere oggetto di un ricorso, ma dopo che saranno arrivate le motivazioni, entro i prossimi 30 giorni, il Consiglio dei ministri potrà avanzare un’ulteriore richiesta alla Corte, la quale, se manterrà ancora la propria contrarietà, potrà apporre un ‘visto con riserva’ alla delibera. Quindi, dopo aver conosciuto le motivazioni che hanno spinto mercoledì la Corte a non apporre il visto di legittimità
sulla delibera Cipess, il Consiglio dei ministri potrà inviare una richiesta formale alla Corte, chiedendo sostanzialmente di ‘vistare’ la delibera pur senza un parere favorevole, ritenendo “che l’atto risponda ad interessi pubblici superiori e debba avere comunque corso”.
In questo modo si potrà arrivare all’ultimo step prima dei lavori, cioè la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. L’atto registrato con riserva è una procedura contemplata dalla legge, anche se non è stata mai utilizzata in passato per opere con un simile peso economico (quasi 14 miliardi interamente a carico dello Stato).
“Mi sarebbe piaciuto partire con i cantieri già a novembre, se dovremo tornare in Cdm ai primi di dicembre rimandando in Corte dei Conti tutte le nostre motivazioni per proseguire con l’opera lo faremo. A quel punto vuol dire che arriverà un passaggio definitivo delle Sezioni riunite della Corte dei Conti a inizio gennaio. Il che vuol dire che anziché partire con i lavori a novembre, partiremo a febbraio”, ha detto Salvini ieri.
Perché la Corte dei Conti ha bloccato la delibera Cipess sul Ponte
Come dicevamo, le motivazioni ufficiali saranno rese note solo nelle prossime settimane, ma ora è possibile fare alcune considerazioni sul perché i magistrati contabili abbiano bloccato l’Iter. La Corte ha preso atto delle criticità, che riguardano il piano procedurale, tecnico ed economico. Nell’udienza di
mercoledì la magistrata delegata Carmela Mirabella ha messo in fila alcune anomalie emerse dalla documentazione fornita dal governo.
Innanzi tutto l’iter per il Ponte ha violato le norme europee sulla concorrenza, che obbligano a indire una nuova gara se il costo di un’opera cresce del 50% rispetto alla vecchia gara.
Secondo Domenico Marino, professore di Politica economica ed Economia dell’innovazione all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, ci sono due aspetti che la Corte ha evidenziato: “Il primo punto è che un’opera che valeva 3,9 miliardi di euro, oggi vale 13,5 miliardi. La Corte ha chiesto tutti gli atti aggiuntivi che potessero dimostrare il rispetto del tetto del 50%, e la Stretto di Messina non li ha forniti. Probabilmente perché in quegli atti c’è qualcosa che non va”, ha spiegato l’esperto a Fanpage.it. “Sul fatto che occorra fare un altro bando di gara secondo me non ci sono dubbi”.
La vecchia gara poi prevedeva che il costo fosse anche a carico dei privati. “È la seconda contestazione in merito alla violazione delle norme sulla concorrenza. La gara aggiudicata nel 2005 era una gara per un ‘project financing’, cioè lo Stato mette una parte dei fondi, l’altra parte viene messa dal general contractor. Oggi l’opera è interamente a carico dello Stato. Magari ci sono imprese che non hanno partecipato alla gare nel 2005 perché avrebbero dovuto mettere una propria quota per coprire la parte
non coperta dal finanziamento pubblico. Invece alle condizioni di oggi magari avrebbero partecipato”.
Un’altra questione riguarda poi la relazione IROPI (acronimo di “Motivi Imperativi di Interesse Pubblico Prevalente”, ndr), approvata il 9 aprile scorso dal Consiglio dei ministri, che il governo ha utilizzato con lo scopo di giustificare davanti all’Ue la deroga ambientale, nonostante la negativa Valutazione di Incidenza Ambientale. I giudici contabili evidenziano che la delibera IROPI non reca neanche una firma. Nessuno insomma si è voluto prendere la responsabilità. “Abbiamo delibere senza padri. È un fatto emblematico: se questa procedura fallisse, chi ha firmato gli atti potrebbe essere deferito alla Corte dei Conti per un danno erariale miliardario – ha detto il professore – Spero non si tratti si semplice sciatteria, sarebbe ancora più grave. Dal punto di vista ambientale la Corte ha sottolineato poi che la Valutazione di Incidenza Ambientale negativa presenta profili di illegittimità, che non vengono superati dall’IROPI. Anche il piano economico e finanziario che hanno presentato fa acqua da tutte le parti”.
È stata la stessa magistrata Mirabella a metterlo in evidenza, lamentando anche la mancata chiarezza dei documenti trasmessi a proposito della quantificazione dei costi, per la quale sarebbero state inviate per errore delle schede non aggiornate. “Per coprire i costi, secondo le stime del governo, dovrebbero passare sul
ponte più di 10 milioni di autovetture ogni anno, per arrivare, secondo le loro previsioni, a un pareggio sui costi di gestione”, ha detto Marino, secondo cui un’ipotesi del genere è del tutto irrealistica. “Quell’opera economicamente non è sostenibile. Hanno dichiarato che l’opera una volta costruita non richiederà ulteriori spese da parte del pubblico, ma non è vero. E su questo hanno fatto anche confusione, perché Salvini parlava di tariffe di 10 euro per le auto, mentre l’ad della società Ciucci ha detto che le tariffe sarebbero state attorno a 4 euro per le moto, 7 per le automobili e 10 per i camion”.
“Si tratta di un colpo senza precedenti per Meloni e Salvini: Ora il governo sta prendendo tempo per capire cosa fare. La strada della registrazione dell’atto con un visto con riserva da parte della Corte dei Conti è molto pericolosa. Un atto registrato con riserva è un’anatra zoppa, perché in un eventuale contenzioso in tribunale, amministrativo o civile, emergerebbero le criticità evidenziate dalla Corte dei Conti. Insomma in questo modo il governo non fa altro che spostare in avanti il problema”.
Secondo il professore non ci sono adesso molte possibilità per l’esecutivo: “L’unica soluzione sarebbe quella di far ripartire la procedura da zero, secondo i criteri indicati dalla Corte dei Conti. Ma ci vorrebbero almeno cinque anni di lavoro. Si trovano in un vicolo cieco. Possono continuare a mettere altre tessere su questo castello di carte, ma non fanno altro che appesantire una struttura già traballante”.
Secondo l’esperto insomma, su quegli atti non ci sarebbe niente da chiarire: “La Corte dei Conti ha semplicemente fotografato la realtà, e cioè che in questa procedura ci sono errori gravi”.
(da Fanpage)
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Ottobre 31st, 2025 Riccardo Fucile
L’IDEOLOGIA NEONAZISTA E IL FATTORE ADF
Lo storico ha denunciato un salto di qualità nelle aggressioni da quando il partito di estrema destra ha preso vigore nell’est della Germania: «Vengono vestiti da nazisti. L’Afd è un pericolo, va abolita»
Su quello che rimane dei muri di Buchenwald, località che fino a ottant’anni fa ospitava un campo di concentramento nazista, ogni giorno vengono appiccicati adesivi con la svastica. Il silenzio rispettoso spesso e volentieri è squarciato da qualche bravata: «Heil Hitler», o «Sieg Heil». Sono circa 40 le denunce che il memoriale di Buchenwald, diretto dallo storico Jens-Christian Wagner, è stato costretto a sporgere solo nel mese di luglio. «Va sempre peggio. Ora i ragazzi si infilano nei forni crematori e si
fotografano a vicenda. Uno è entrato con un simbolo di suprematismo bianco, altri entrano e ridono», ha detto a Repubblica. Soprattutto quando arrivano dalla Germania orientale o dalle zone rurali, terreno fertile per l’estrema destra dell’Afd.
Le aggressioni ai turisti e gli abiti «tipici dell’estrema destra»
«Hanno un comportamento diverso rispetto a qualche anno fa: sono aggressivi, provocatori. Alcuni sono facilmente riconoscibili: indossano note marche di abbigliamento dell’estrema destra, altri sono vestiti come i völkischen, protonazisti che si vestono all’antica, le donne indossano trecce e gonne lunghe. E a volte diventano persino aggressivi verso altri visitatori. La scorsa settimana hanno aggredito una scolaresca di bimbi disabili e migranti. Per alcuni visitatori, Buchenwald non è più un luogo sicuro», ha denunciato. Il campo è stato così costretto a tirare su alla bell’e meglio un gruppo di pedagoghi con una pettorina ben visibile, che hanno il compito di riprendere i visitatori che non si comportano in maniera decorosa.
Le minacce dai neonazisti: «Dicono che vogliono impiccarmi»
Le minacce arrivano non solo ai turisti, ma anche allo stesso direttore del memoriale Wagner: «L’anno scorso abbiamo scritto una lettera in cui mettevamo in evidenza le posizioni revisioniste dell’Afd. Siamo stati sommersi da mail e telefonate di odio e insulti. E sono arrivate anche due minacce di morte: in una c’era
un fotomontaggio in cui sono impiccato all’ingresso del campo e si legge “una forca, una corda, un osso del collo di Wagner”». E più va avanti il tempo, più il rischio è alto che la memoria svanisca: «È qualcosa che ha a che fare con il generale slittamento a destra. E bisogna dirlo chiaramente: in alcune aree della Germania est il pensiero estremista ha conquistato ormai un’egemonia politica e culturale. Ed è chiaro che se la società scivola a destra lo fanno anche le scuole».
Il pericolo dell’Afd: «È ancora più a destra delle destre, vuole uno Stato senza stranieri»
All’origine di tutto ciò, o forse frutto di tutto ciò, c’è proprio il partito dell’Afd. «Se c’è poi un partito fa lo stesso dai banchi delParlamento come l’Afd, anche i neonazisti si sentono autorizzati a comportarsi in modo più sfrontato. I Jungen Nationalisten (Giovani nazionalisti) vengono a Buchenwald e si fanno fotografare in pose provocatorie e lo postano sui social come un trofeo». Quattro anni fa, proprio il partito di estrema destra appese dei manifesti in campagna elettorale a Buchenwald con la scritta «Il coraggio della verità», sottintendendo che la storia ufficiale racconti il falso. I manifesti sono stati strappati e sono costati una denuncia allo stesso Wagner da parte della formazione politica. «L’Afd è un partito pericolosissimo, vuole sostituire la democrazia con un regime autoritario e völkisch, ispirato ai movimenti protonazisti. Hanno un’idea etnica dello
Stato, che esclude chiunque abbia origini straniere. È più radicale ed estremista delle altre destre europee, detesta i migranti, le persone Lgbtqi+, i diversi, gli ebrei»
Roccella e le «gite» ad Auschwitz: «Anche l’Afd parla così»
Inevitabile anche la domanda sulle parole della ministra Roccella, che ha definito «gite» le visite ad Auschwitz: «Anche l’Afd parla di “gite”. E chiede il ripristino della strada del vecchio Reich tedesco, nonché il fatto che le scolaresche visitino quella e non i campi. È cruciale creare un “cordone sanitario” anti-Afd, anche perché storicamente ogni volta che i conservatori si sono illusi di poter arginare gli estremisti, di poterli controllare, sono stati distrutti. Ma l’Afd non è più quello degli inizi, sono d’accordo con chi sostiene sia necessario un ricorso alla Corte costituzionale perché venga vietato».
(da agenzie)
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Ottobre 31st, 2025 Riccardo Fucile
“LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE C’E’ GIA’”
«Sono contrario alla separazione delle carriere per più motivi», dice in un’intervista al
Fatto Quotidiano Nicola Gratteri, procuratore capo di Napoli. «Il primo, e di buon senso, è che c’è già: nell’ultimo periodo lo 0,0036% dei magistrati – una percentuale bulgara a rovescio – è diventato pm o viceversa, in
una diversa regione. Secondo: la riforma è il primo step di un percorso diretto alla sottoposizione del pm alla politica che indicherà prima quali reati perseguire e poi come controllare l’esercizio dell’azione penale. I politici sono insofferenti al controllo di legalità», dice Gratteri.
La durate dei processi e il carcere
«I problemi che maggiormente affliggono la giustizia sono – aggiunge -: durata dei processi e carcere come luogo di pena. La separazione delle carriere non riguarda né l’uno né l’altro», spiega Gratteri. All’obiezione che secondo il governo fare campagna referendaria sarebbe ai margini della costituzionalità, visto che, come ha ricordato il viceministro Sisto, «esistono norme sulla possibilità per i magistrati di fare politica», Gratteri replica così: «Mi stupisce che Sisto – che è uomo di legge – voglia incidere su due diritti fondamentali quali la libertà di pensiero e quella di manifestarlo. Diritti che per i magistrati soffrono già di limitazioni per legge o normativa del Csm, ma non di quella di opportunità proposta dal viceministro».
La separazione delle carriere
«Chi propugna la separazione delle carriere come panacea non tiene conto della vita dei cittadini», aggiunge il procuratore. «Non è un regolamento di conti tra politica e magistratura – è l’insofferenza al controllo di legalità comune a tutti i governi degli ultimi venti anni che, con una serie di interventi, hanno
creato un’area di impunità o di responsabilità sempre più affievolite attraverso due strumenti: la modifica del Codice penale e l’introduzione di mezzi, per alcuni di garanzia, che creano ritardi nel processo», conclude. Che iniziative intraprenderà per il No? «Parlare alla gente di legalità. Ovviamente con il mio stile, il mio vocabolario».
(da agenzie)
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