Ottobre 14th, 2025 Riccardo Fucile
SIAMO L’UNICO PAESE DOVE GLI STIPENDI SONO CALATI DAL 1990 A OGGI; SOLO LA METÀ DEI CITTADINI RIESCE A COPRIRE LE SPESE QUOTIDIANE, IL 19% NON PUÒ METTERE DA PARTE DENARO E IL 17% NON PUÒ SOSTENERE UN’EMERGENZA DI 1000 EURO…PENSARE AL FUTURO CON OTTIMISMO È IMPOSSIBILE: LA RABBIA E IL DISGUSTO SONO LE EMOZIONI PIÙ COMUNI E LA CARNEFICINA IN PALESTINA È STATA UN CATALIZZATORE
Non di solo Gaza vivono gli italiani. La protesta pro-pal ha catalizzato l’attenzione dei media per portata, rilevanza e numeri: i 3 milioni di manifestanti che 10 giorni fa hanno riempito le piazze per tre giorni sono un dato impressionante. Ma a fomentare la rabbia delle persone, più che il destino di un popolo lontano, c’è la propria situazione economica.
Secondo il “Radar” di SWG, infatti, in generale gli italiani sono sconfortati e molto incazzati per la loro situazione economica. Il movimento contro la guerra in Medioriente ha funzionato come catalizzatore. Non a caso, secondo l’indagine dell’istituto di sondaggi, i manifestanti non erano solo i soliti professionisti della piazza o attivisti “de sinistra”, ma anche lavoratori over 55, uomini e donne in egual misura, molti con contratti stabili e responsabilità importanti.
Persone che stanno perdendo la pazienza e sono convinte che il proprio stipendio non basti più a coprire le spese essenziali. Il drammatico crollo del potere d’acquisto è il dato più preoccupante: l’Italia è l’unico Paese dell’Ue dove gli stipendi sono diminuiti dal 1990.
I numeri di SWG parlano chiaro: appena il 19% degli italiani riesce a mettere soldi da parte ogni mese, la metà delle donne lavoratrici non può risparmiare, e solo poco più della metà della popolazione copre senza problemi spese di base come cibo,
affitto e trasporti.
Un lavoratore su dieci non è in grado di fronteggiare le spese impreviste, e quasi un quinto della popolazione non potrebbe sostenere una spesa extra di mille euro senza chiedere aiuto o indebitarsi. Sono dati che raccontano di un paese che somiglia a una pentola a pressione, pronta ad esplodere.
La rabbia degli stipendi taglia trasversalmente, unisce chi ha idee politiche diverse e chi ha troppo poco per arrabbiarsi con la politica, vista come lontana e inefficace. Le manifestazioni, quindi, raccontano più di una mera sventagliata di bandiere palestinesi, o di qualche delinquente che si scontra con la polizia: la frustrazione rischia di diventare un grido di allarme sociale.
1. Il profilo dei manifestanti
Le numerose manifestazioni che hanno avuto luogo in Italia negli ultimi mesi hanno portato in piazza, o per la questione di Gaza o per altre istanze, molti cittadini. Con questa indagine abbiamo cercato di capire chi sono i manifestanti di questa epoca e cosa li spinge a prendere parte ai cortei.
Dall’analisi del loro profilo emerge intanto che si tratta di un gruppo composito: se è vero che ha al suo interno componenti marcate di giovani e elettori di sinistra, emerge anche che la metà sono over-55enni e sommando centristi e soggetti di destra e centrodestra si arriva quasi al 40% del corpo dei manifestanti.
Ci sono uomini e donne in misura equivalente e la composizione per titolo di studio non differisce da quella generale. C’è un po’ di tutto, quindi, ed è interessante notare un’accentuata presenza di lavoratori con contratto stabile.
Questi sono infatti irritati, non solo da quanto accade a Gaza o in Ucraina, ma anche dalle preoccupazioni per l’economia e la stagnazione dei salari. In generale, i manifestanti sono mossi da diffusi sentimenti di sconforto e rabbia rispetto ai conflitti in corso e alla situazione economica, mentre i partiti e i leader politici risultano responsabili del malcontento solo marginalmente.
Ciò fa pensare che le aspettative nei loro confronti siano forse piuttosto basse. Le proteste di piazza di queste settimane non sono quindi ascrivibili ad un particolare gruppo sociale e politico, ma hanno coinvolto trasversalmente la popolazione.
Identikit dei manifestanti: soprattutto giovani e con un lavoro sicuro; uno su cinque era un over64.
Corposa la componente di sinistra, ma non mancano gli elettori di centro destra e coloro che non si riconoscono in nessuna area politica
Chi prende parte ai cortei è mosso soprattutto da sconforto e rabbia, 1 su 10 anche dalla paura
Lo scontento di chi manifesta è dovuto principalmente alle guerre, ma per molti i problemi sono la situazione economica e gli stipendi
2. I salari in Italia
Dall’inizio del 2021 gli stipendi italiani hanno perso valore reale in modo più significativo rispetto agli altri Paesi dell’area euro, delineando una situazione di crescente precarietà economica
Il solo salario da lavoro è sempre meno sufficiente a coprire non solo le spese voluttuarie, ma anche quelle essenziali. La maggioranza degli italiani considera il proprio salario inadeguato, sia in rapporto a competenze e responsabilità, sia al numero di ore lavorate settimanalmente.
Ciò si riflette direttamente sulla capacità di risparmio: solo una persona su cinque riesce a mettere da parte denaro ogni mese. Questa precarietà colpisce in modo particolare le donne. Il 55% di loro denuncia un salario non commisurato alle ore lavorate e per il 46% è impossibile risparmiare a fine mese.
Solo poco più della metà degli italiani dichiara di riuscire a coprire completamente i costi relativi alle spese quotidiane e per 1 su 10 è impossibile far fronte a spese impreviste, come quelle derivanti, ad esempio, da visite mediche. Il 17% degli intervistati ammette di non poter sostenere nemmeno un’uscita non programmata di 1.000€.
In questa situazione, risulta difficile pensare con ottimismo al futuro: per molti italiani alcuni desideri resteranno irrealizzabili, come la possibilità di aiutare i propri figli nell’acquisto di una casa, ma anche di poter acquistare per sé una prima abitazione adeguata. I salari dei lavoratori italiani sembrano essere sempre meno in grado di soddisfare i bisogni essenziali, in particolare per le donne lavoratrici.
Per oltre 2 italiani su 5 il proprio salario è inadeguato in relazione alle ore lavorate, alle responsabilità assunte e alle competenze messe in campo. Soprattutto tra le donne
Risparmio privilegio di pochi: solo il 19% riesce a mettere da parte denaro regolarmente. Quasi una donna su due non riesce a mettere da parte nulla del proprio stipendio
Solo per il 55% degli italiani il proprio reddito è sufficiente a coprire integralmente le spese quotidiane. Per quasi un quinto è impossibile pagare una spesa imprevista di 1.000€
Per un lavoratore su tre, non è realizzabile il desiderio di avere una bella abitazione principale
(da agenzie)
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Ottobre 14th, 2025 Riccardo Fucile
“LA RESPONSABILITÀ È SUA: HA FATTO LE SCELTE, STILATO LE LISTE, IMPOSTATO LA CAMPAGNA ELETTORALE”
«Le elezioni potevano restituire un Vannacci vincente o un Vannacci perdente. E mi sembra
che il risultato sia eloquente».
Giovanni Galli, ex portiere della Nazionale e della Fiorentina ed ex capogruppo leghista in Regione, epurato prima del voto, non usa molti giri di parole per definire le briciole raccolte dalla Lega alle elezioni regionali. E individua il responsabile in Roberto Vannacci, che l’aveva “declassato” da capolista, convincendolo a fare un passo indietro.
Cosa racconta il risultato?
«Respinge chiaramente la campagna elettorale impostata. Credo che il responsabile non vada fiero del risultato ottenuto».
Qual è stato il problema?
«È stata una campagna elettorale in cui non si sono visti i candidati: chi erano? Sembrava un referendum sulla figura di Vannacci».
Una figura lontana da Galli…
«Salvini mi aveva chiesto di aprire la Lega al mondo dei moderati. Ho accettato. Ma ora sono state fatte altre scelte, che
non coinvolgono i moderati. Non è un momento facile, ma se un partito ha i migliori ministri e ottiene questi risultati, chi ha preso le decisioni deve assumersene la responsabilità».
Vannacci ha commentato: “Chi vota ha sempre ragione”
«Ma ci sarà anche qualcuno che ha torto? La responsabilità è sua: ha fatto le scelte, stilato le liste, impostato la campagna elettorale. Nessuno conosceva gli altri candidati, a parte Mossuto. Erano figure immaginarie. Ora il responsabile dovrebbe prendere la valigia e andare a occuparsi di altro, dicendo “Ho sbagliato”».
Non c’è proprio nulla da salvare, vero?
«Non sono fra quelli che vedono sempre il bicchiere mezzo pieno, che non ammettono mai di aver perso. Abbiamo perso una grande occasione. E siamo riusciti a “resuscitare” Renzi».
Tutti temevano l’astensionismo. Cosa pensa di questa fuga dalle urne?
«Io credo che dovremmo essere più credibili e ammettere sia il lavoro che viene fatto sia la responsabilità delle sconfitte. E dare risposte concrete alle persone».
Qual è il rammarico più grande?
«A me dispiace per com’è andata, perché sul territorio sento e tocco con mano le grandi lamentele della gente e purtroppo non siamo riusciti a dare alla gente una proposta per convincerli a cambiare. Qui si vive di assistenzialismo e l’assistenzialismo può far comodo per tante cose. Tomasi era la proposta migliore in questo momento».
L’ha sentito? Cosa gli dirà?
«Lo abbraccio forte, ha tutta la mia stima, ci ha creduto fino all’ultimo momento. Si è preso il carico di questa campagna elettorale, ma qualcuno gli ha messo il bastone fra le ruote».
Lo hanno fatto anche con lei?
«In cinque anni avevo trovato nella Lega persone eleganti e competenti. Da gennaio in avanti, non più. Ho cercato di parlare con Vannacci per quattro mesi, invano. Avrei preferito che mi dicesse: “Avete fatto cinque anni di ca…ate”. Invece no, hanno preferito un altro capolista ignorando il gran lavoro fatto. Ora, forse, avrà meno presunzione».
(da agenzie)
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Ottobre 14th, 2025 Riccardo Fucile
L’ITALIA DOVRÀ RISPONDERE DELLA LIBERAZIONE DEL TORTURATORE E ASSASSINO LIBICO ALMASRI ANCHE DAVANTI ALLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO… LA NOTIZIA ARRIVA POCHI GIORNI DOPO LA DECISIONE DEL PARLAMENTO DI NON CONCEDERE L’AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE PER NORDIO, PIANTEDOSI E MANTOVANO… NEL FRATTEMPO LA MAGGIORANZA PROVA A SCUDARE LA CAPA DI GABINETTO, GIUSI BARTOLOZZI
Alcuni consiglieri del Csm hanno chiesto l’apertura di una pratica a tutela in favore del tribunale dei ministri di Roma dopo le dichiarazioni del ministro della Giustizia, Carlo Nordio in seguito al no espresso dalla camera dei deputati alla richiesta di autorizzazione a procedere per il caso Almasri.
“I sottoscritti consiglieri – si legge nella richiesta sottoscritta dai togati di Area, Unicost e Md oltre ai laici Carbone, Romboli e Papa -, fermo restando la Funzione Giudiziaria, devono purtroppo osservare come ancora una volta siano stati platealmente superati i limiti di continenza propri di quel diritto grazie ad affermazioni che per il loro contenuto irrisorio e per l’eccezionale diffusione mediatica hanno arrecato grave ed evidente turbamento alla credibilità dell’ordine giudiziario”.
Dopo la Cpi de l’Aja, la Corte europea dei diritti dell’uomo. L’Italia dovrà rispondere della liberazione del torturatore e assassino libico Almasri anche davanti alla Cedu: la Corte ha infatti dichiarato ammissibile, registrando formalmente la domanda, il ricorso presentato da un migrante vittima di tortura durante la sua detenzione illegale in Libia. «Per la prima volta, la Corte europea dei diritti dell’uomo esaminerà il rifiuto di uno Stato di consegnare un sospettato di tortura e omicidi, ricercato su mandato di arresto della Cpi.
La vita del ricorrente è stata messa in grave pericolo non solo per mano di Almasri mentre era detenuto in Libia, ma anche per l’inadempienza dell’Italia ai propri obblighi giuridici che ha portato alla mancata consegna del sospettato», spiega Chantal Meloni, una dei legali che rappresentano il ricorrente in Italia.
La notizia dell’istruttoria alla Cedu arriva pochi giorni dopo la decisione del Parlamento di non concedere l’autorizzazione a procedere per i tre ministri. Nel frattempo la maggioranza prova a scudare la capa di gabinetto, Giusi Bartolozzi: ieri i capigruppo di maggioranza hanno scritto al presidente della Camera per avviare l’iter che porta al conflitto di attribuzione con il tribunale dei ministri e la procura di Roma che non hanno ritenuto di estendere l’immunità anche a Bartolozzi.
(da agenzie)
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Ottobre 14th, 2025 Riccardo Fucile
IL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE CULTURA, PREZZEMOLONE DELLE FESTE ROMANE, HA RIBATTEZZATO LA LEGGE “L’ITALIA IN SCENA”, COME IL SUO LIBRO PUBBLICATO NEL 2021… IL DEPUTATO DI FRATELLI D’ITALIA ALLORA ESALTAVA LE ORIGINI DELLE SEZIONI DI COLLE OPPIO DEL MSI. ORA IL NOME RICICCIA CON L’ISTITUZIONE DI QUELLO CHE VIENE DEFINITO UN “CIRCUITO CULTURALE”
Un progetto di legge, ribattezzato “L’Italia in scena” e finanziato con 5 milioni di euro statali,
dietro la spinta del presidente della commissione Cultura della Camera, il meloniano Federico Mollicone.
I fondi andranno a eventi minori, in piccole località, oppure per sostenere beni culturali privati. Ma non solo. “L’Italia in scena” è anche il titolo di un libro pubblicato nel 2021. E chi è l’autore? Federico Mollicone, all’epoca semplice deputato di Fratelli d’Italia.
Il testo vanta una prefazione d’eccezione, firmata da Giorgia Meloni, e contiene un colloquio con Gian Marco Chiocci, ora direttore del Tg1 (allora al timone dell’agenzia di stampa AdnKronos), dove Mollicone esalta le origini della sezione di Colle Oppio del Msi sotto la guida dell’attuale vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, che ha formato gran parte dei dirigenti attuali di Fratelli d’Italia. Presidente del Consiglio in testa.
Il sottotitolo della fatica letteraria di Mollicone specificava che in quelle pagine erano riportati «tre anni di battaglie fuori e dentro il Palazzo per costruire la destra di governo». E, appena la destra è arrivata al governo, ha scelto l’autocelebrazione mescolando un progetto di legge e un’opera editoriale.
Un cortocircuito che non è passato inosservato. «È un fatto molto singolare ed è una scelta assai inopportuna. Un atto parlamentare non può trasformarsi in una vetrina personale o nel prolungamento di un’operazione editoriale», dice a Domani
Giovanna Iacono, deputata del Pd in commissione Cultura, che ha denunciato la sovrapposizione tra l’iniziativa legislativa e la pubblicazione.
Ma cosa prevede nello specifico l’Italia in scena? Il progetto è inserito in una proposta di legge, sottoscritta da altri 18 deputati del partito di Meloni e approdata in aula a Montecitorio. Il testo prevede l’istituzione di quello che viene definito un «circuito culturale» con uno stanziamento complessivo di 5 milioni di euro.
Le risorse saranno attinte dal cosiddetto fondino delle leggi di Bilancio, una dotazione economica messa a disposizione per coprire spese di vario tipo. Tra le varie attività finanziabili nell’ambito del progetto, ci sono l’organizzazione di spettacoli dal vivo, le rievocazioni storiche, le iniziative di comunicazione istituzionale, ma anche la valorizzazione di «beni culturali di appartenenza privata» a spese dello stato, dato che non sono previsti «oneri a carico dei proprietari».
Lo scopo è quello di migliorare l’accesso e la fruibilità «degli istituti, dei luoghi della cultura e dei beni culturali di pertinenza pubblica, con riguardo prioritario alle aree interne, ai comuni montani, ai piccoli borghi». Una pioggia di soldi utile a soddisfare un po’ di appetiti nell’ambito culturale.
Il marchio sull’iniziativa è indelebile: Mollicone non è solo il primo firmatario della proposta di legge, quindi l’ideatore del nome, ma è stato indicato come relatore del testo alla Camera. §Iacono del Pd chiede un passo indietro, almeno sul nome: «Ci auguriamo che in aula, nei prossimi giorni, venga immediatamente modificato il titolo della proposta di legge: c’è un limite a tutto». Perché l’Italia in scena rischia di diventare una messinscena per celebrare la fiamma meloniana.
(da Domani)
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Ottobre 14th, 2025 Riccardo Fucile
IL PATTO TRA BARTOLOZZI E PALAZZO CHIGI (DIMISSIONI IN CAMBIO DI UN SEGGIO IN PARLAMENTO NELLE FILE DI FDI ALLE PROSSIME POLITICHE) VACILLA. COSI’ LEI HA RIPRESO A PARTECIPARE A CENE A CASA DI DEPUTATI DI FORZA ITALIA
Quando fa ingresso a via Arenula, stanno tutti sull’attenti. Del resto Giusi Bartolozzi, capa di gabinetto del guardasigilli Carlo Nordio, è ritenuta la ministra ombra del dicastero della Giustizia. E così la zarina si comporta come tale
Non è un caso che dal ministero raccontano che quando Nordio arriva all’ingresso monumentale di via Arenula, c’è sempre un poliziotto della penitenziaria pronto ad aspettarlo all’ascensore, saluto militare compreso. Tutto normale, si tratta del ministro. Ma fonti qualificate aggiungono che Bartolozzi abbia sollecitato pari trattamento, Oggi quando la ministra ombra arriva, scatta il rito anche per lei
Ma per la zarina qualche ansia c’è. Indagata dalla procura ordinaria di Roma per false dichiarazioni rese nell’ambito del caso Almasri, non è più vista di buon occhio dalla premier Giorgia Meloni, e dal sottosegretario con delega ai servizi, Alfredo Mantovano. Che la considerano la principale responsabile del pasticcio Almasri.Così il patto tra Bartolozzi e Chigi – dimissioni in cambio di un seggio in Parlamento nelle file di Fdi alle prossime Politiche– sta vacillando. Nemmeno il voto alla Camera ha allentato le tensioni. Bartolozzi però vuole un seggio sicuro a tutti i costi: motivo per cui nelle ultime settimane l’ex magistrata, già eletta con Forza Italia e moglie dell’avvocato siciliano ed ex vicepresidente della Regione sotto Musumeci, Gaetano Armao, ha ripreso a partecipare a cene a casa di importanti deputati di Forza Italia, il partito che potrebbe candidarla se Meloni ne boicottasse le ambizioni. Cene a cui ha partecipato anche il ministro Nordio.
Apertissimo anche il fronte giudiziario: Nordio e i suoi fedelissimi stanno facendo di tutto per renderla immune da eventuali processi.
Sforzi che si scontrano con la tesi dei magistrati, secondo cui l’ipotesi di reato per cui è iscritta la zarina è autonoma e indipendente rispetto a quella dei ministri, ormai salvati dal Parlamento. Ma alla fine, dice la storia, che anche l’ultimo degli zar fu costretto ad abdicare.
(da agenzie)
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Ottobre 14th, 2025 Riccardo Fucile
ANNUNCIATI A COSTO ZERO PER LE OLIMPIADI DI CORTINA SPENDEREMO 7 MILIARDI
Scandalose, insostenibili, costosissime Olimpiadi. Quando il 6 febbraio 2026 verrà acceso il
braciere nello stadio di San Siro a Milano, il sipario non si alzerà solo su un evento sportivo planetario, ma anche su uno spettacolo molto poco edificante di
spese folli e sprechi, promesse di rispetto ambientale non mantenute, opere pubbliche e colate di cemento, menzogne, affari e ideologia. È il Circo Bianco del Coni e del Cio che controllano lo sport e i suoi interessi, è un grande appuntamento diventato simbolo dell’orgoglio nazionale meloniano che ci costerà miliardi, è l’allegra giostra delle opere pubbliche, con una ressa di ministri, sindaci e governatori che vi sono saliti sopra e intendono restarci fino allo stordimento. È un’abbuffata collettiva frutto della sbornia olimpica, occasione irripetibile con il bottino assicurato, il che non significa che i fatti siano soltanto di rilievo penale, come si sta scoprendo nella Milano dei grattacieli. In molti casi basta la politica.
Con una incredibile e vergognosa operazione-fotocopia della storia, a distanza di cento anni dal “Manifesto degli intellettuali del Fascismo”, pubblicato il 21 aprile 1925 su Il Popolo d’Italia, la stessa definizione che racchiude l’essenza del regime diventa il brand del Comitato Organizzatore dei XXV Giochi Invernali. “Il Fascismo è un movimento recente ed antico dello spirito italiano, intimamente connesso alla storia della Nazione italiana…”, scriveva il filosofo-ideologo Giovanni Gentile, raccogliendo le firme di 250 uomini di cultura nell’anno delle “leggi fascistissime”, dieci mesi dopo l’omicidio Matteotti. “Vogliamo rappresentare il Nuovo Spirito Italiano radicato nella tradizione, ma proiettato verso il futuro, uno spirito vibrante e dinamico” annuncia Fondazione Milano Cortina, presentando il progetto al mondo. È la stessa espressione che troviamo nel
testamento di Benito Mussolini, scritto sei giorni prima di essere ucciso dai partigiani.
Un secolo dopo, non si tratterà di una sovrapposizione perfetta di identità, eppure non si può catalogare la sincronia terminologica come una semplice bizzarria o coincidenza. È semplicemente inquietante. Non tutte le parole sono innocenti. Quegli stessi termini vengono messi in bocca dagli organizzatori perfino a un ignaro campione del tennis come Jannik Sinner, diventato primo testimonial, che in una lettera-appello ai suoi coetanei scrive: “Saremo i colori di un suggestivo affresco che racconterà l’Italia… racconteremo insieme il nuovo Spirito Italiano, vibrante e dinamico”.
Una montagna di soldi, edito da PaperFirst (362 pagine, 18 euro), dal 14 ottobre in libreria e in tutti gli store online, prende avvio dalla retorica dello sport che fa l’occhiolino a Palazzo Chigi. Continua attraversando le inchieste giudiziarie milanesi, gli appalti truccati, i raccomandati, i giochi di potere in Fondazione Milano Cortina a colpi di spioni, il dominio assoluto del Cio sugli sponsor e la guerra del governo contro la Procura meneghina, colpevole di voler indagare su una società che si dice privata, anche se è composta solo da enti pubblici ed è finanziata dal denaro degli italiani. L’indagine giornalistica è anche un viaggio nei disastri ambientali compiuti nei fragilissimi territori montani di Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige, frutto di Olimpiadi diffuse che hanno moltiplicato i costi e lo scialo di denaro, in nome della monocultura del turismo, dello sci senza
neve e dell’assalto alla montagna. Tutto è cominciato da tre bugie. La prima: le sedi per le gare sono già esistenti e richiedono solo un modesto restyling. La seconda: “La nostra filosofia di moderazione e responsabilità finanziaria darà vita a Giochi Invernali di cui tutti potranno essere orgogliosi”. Talmente orgogliosi e moderati che la spesa pubblica per le sole sedi di gara si è gonfiata dai 204 milioni di euro iniziali alla cifra di 945 milioni di euro.
La semplice organizzazione, che sarebbe dovuta costare 1 miliardo e mezzo di euro grazie a risorse esclusivamente private, è schizzata a 2 miliardi di euro, con quasi 400 milioni di soldi già stanziati dal governo Meloni per ripianare in anticipo i debiti. La terza rassicurazione (“Non sono necessarie nuove infrastrutture di trasporto”) è annegata in un fiume di cemento da 5 miliardi di euro per strade, ponti, ferrovie e parcheggi, con opere per un valore di 3 miliardi che non saranno pronte per le Olimpiadi. Tutto a spese dei contribuenti.
Le gare e le medaglie sono solo una dimensione sovrastrutturale delle Olimpiadi. Lo sport è sudore e fatica, sorrisi e lacrime. Lo sport è bello, ma la ragione profonda – il movente dello scandalo Milano Cortina 2026 – è una banalissima storia di soldi. È il merchandising della montagna che diventa modello di sviluppo e fabbrica del consenso.
Basta prendere una bella cartolina con i campanili e gli chalet, i boschi e i pendii innevati di Anterselva, Predazzo, Tesero, Bormio, Livigno e Cortina. Basta farne un collage con le rocce
dolomitiche, le periferie metropolitane di Milano e le pietre millenarie dell’Arena di Verona.
Un pizzico di richiamo identitario allo spirito italiano e il gioco è fatto. È il Belpaese che dice di sì a tutto. All’ingordigia e allo scempio del paesaggio, allo strapotere di Simico che gestisce gli appalti e utilizza scorciatoie che non tollerano valutazioni di impatto ambientale, all’abbattimento meticoloso di un bosco a Cortina così da costruire una pista da bob per pochi intimi, diventata simbolo dello spreco e dell’ossessione del potere.
Sotto gli occhi degli ambientalisti costretti all’impotenza, i campioni di questo saccheggio sono i signori dello sport e gli impareggiabili, sfacciati, protagonisti della politica nostrana. A loro, una medaglia non gliela toglierà nessuno.
(da il Fatto Quotidiano)
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Ottobre 14th, 2025 Riccardo Fucile
SI PUO’ CREARE UNA PACE SPOGLIANDO IL POPOLO DI GAZA DI OGNI VESTE POLITICA, RENDENDO QUELLA TERRA DI MACERIE UNA ZONA DA INVESTIMENTI EDILIZI ALLTRUI?
Il 13 ottobre 2025 è una data storica. Dopo le carneficine di israeliani il 7 ottobre 2023 e, a seguire, due anni di sistematica eliminazione di civili palestinesi (per stanare, ci è stato detto, i miliziani di Hamas), uno spiraglio di speranza si intravede. Gli ultimi 20 ostaggi israeliani vivi sono stati riconsegnati alle loro famiglie. Il rilascio di duecento palestinesi imprigionati nelle carceri israeliane è cominciato.
Si consegneranno infine i corpi dei deceduti da entrambe le parti. È il primo segno di vita e di civiltà. Ma i festeggiamenti si faranno ancora attendere, perché troppo vaghe sono le tappe di questo lungo processo e il governo di Israele non è convinto che
questa sia una pace. Un difficile percorso verso una pace che non ha contorni, non consente di capire in quali forme di vita e di società si materializzerà. Speranza di pace, non ancora pace.
Il successo di Donald Trump nel creare questa condizione di speranza è fuori discussione. La sua filosofia: sarete ricchi e penserete al vostro benessere economico. Guadagni vogliono pace. E ha messo alle strette Netanyahu e il suo gabinetto fondamentalista, che gli israeliani riuniti da mesi nelle piazze di Tel Aviv e di Gerusalemme accusano di aver pensato ai loro piani, personali e politici, prima del benessere degli ostaggi. Strana figura quella del presidente americano, che, mentre militarizza alcune grandi metropoli del suo paese, inventandosi guerre civili che non ci sono, porta speranza in Medio Oriente, dove da decenni c’è guerra non immaginaria.
Se pace potrà esserci, molti passi difficilissimi restano da fare. Decisioni che i venti punti del piano di pace di Trump non indicano con chiarezza e scrupolo come possano avvenire. Contraddizioni che, comunque, aprono squarci di luce. Ma che restano contraddizioni. Una fra tutte: il ruolo di Hamas. Il punto 6 dice: «Una volta che tutti gli ostaggi saranno stati restituiti, i membri di Hamas che si impegneranno a coesistere pacificamente e a smantellare le loro armi saranno graziati. Ai membri di Hamas che desiderano lasciare Gaza sarà garantito un passaggio sicuro verso i paesi di accoglienza».
Questo è il primo dei due luoghi del piano in cui Hamas è menzionata. Eppure, ironicamente, Trump conta su Hamas per la
restituzione degli ostaggi israeliani; ha bisogno di una sua collaborazione. Ma poi, risolto il problema degli ostaggi, i miliziani di Hamas se ne andranno disarmati (ovviamente, quel che faranno altrove, se si riorganizzeranno in gruppo armato o si daranno ai commerci, non è dato sapere, ma ognuno capisce che andarsene da Gaza non vuol dire sparire dalla faccia della terra e deporre le armi). L’assenza di una rappresentanza dei palestinesi è un macigno enorme.
Non si comprende chi sono, se ci sono, i rappresentanti che per i gazawi seguiranno questo processo di transizione dalla carneficina e dalla fame ad una minima umanità. Si può pensare di portare la pace in Medio Oriente trasportando molti fuori da Gaza e rendendo quelli che scelgono di restare (nella propria terra!) dei lavoratori salariati delle imprese immobiliari che si insedieranno per ricostruire la regione? Si può pensare di creare la pace spogliando il popolo di Gaza di ogni veste politica, rendendo quella terra di macerie una zona da liberare per avviare investimenti edilizi fatti da altri? “Occupare” le terre da ricostruire, visto che sembra irrealistico pensare che gli investitori le acquisteranno dagli sradicati palestinesi. E infine, nulla si sa su come si passerà eventualmente (quando?) dalla “governance” al “government”. Forse mai.
La pace di Trump assomiglia a un contratto di investimento e di arricchimento. Il commercio è indubbiamente volano di pace, ma l’occupazione per l’estrazione di ricchezza non lo è. Pace in cambio di libertà non funziona. Non ha mai funzionato. Ma il 13
ottobre 2025 è un giorno storico, di speranza che alla fine delle violenze sistematiche contro i civili seguirà un’età di pace, nel rispetto dell’autodeterminazione del popolo palestinese. Perché solo questa può essere una realistica condizione di pace.
Non solo per ragioni di principio, ma anche perché un popolo che combatte e soffre da decenni per governarsi non si arrenderà facilmente ad essere senza una rappresentanza politica, e con una rappresentanza solo “tecnocratica” per la gestione della New Gaza. Gli accordi di Oslo furono siglati il 13 settembre 1993 da Yasser Arafat e Shimon Peres in rappresentanza dei loro popoli. Il piano di oggi è tra Trump e Netanyahu. Il popolo palestinese è assente. Questa è la logica del piano di pace targato Trump.
Nadia Urbinati
(da editorialedomani.it)
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Ottobre 14th, 2025 Riccardo Fucile
IL MANDATO BIS DI MATTARELLA SCADE NEL 2019, DUE ANNI DOPO LA POSSIBILE RICONFERMA DI MELONI COME PREMIER… LA RIFORMA ELETTORALE CON PREMIO DI MAGGIORANZA E POI IL GRANDE SALTO
Una suggestione? O piuttosto una tentazione? Di certo, da mesi, indiscrezioni e retroscena sulle
ambizioni di Giorgia Meloni rimbalzano sulle pagine dei principali quotidiani nazionali.
Se ufficialmente l’intenzione della presidente del Consiglio sarebbe quella di ricandidarsi alle politiche del 2027 per ottenere un secondo mandato a Palazzo Chigi, il vero obiettivo della prima premier italiana donna sarebbe quello di colorare di rosa, per la prima volta nella storia repubblicana, anche la poltrona del Quirinale.
La tempistica, d’altra a parte, è congeniale. Il mandato bis di Sergio Mattarella scadrà nel 2029, due anni dopo l’eventuale riconferma di Meloni a Palazzo Chigi.
Una precondizione per le sue ambizioni quirinalizie: la vittoria alle prossime politiche le garantirebbe una maggioranza parlamentare di partenza – anche piuttosto solida qualora nel frattempo passasse la riforma elettorale con premio di maggioranza che le destre avrebbero già in cantiere – dalla quale lanciare la scalata al Colle.
Come si dice, se son rose fioriranno. Ma c’è chi è pronto a scommettere che se Meloni sarà davvero della partita per raccogliere il testimone di Mattarella, c’è un segnale inequivocabile per capirlo in anticipo, già in questa legislatura: il destino della riforma costituzionale che dovrebbe rimpiazzare l’attuale sistema parlamentare con il tanto sbandierato premierato.
Una vecchia conoscenza dei palazzi della politica, ex parlamentare di lungo corso, lo spiega così. “Se Meloni davvero intendesse correre per la successione a Mattarella, la riforma del premierato finirà quasi certamente sul binario morto. Le due cose non stanno insieme, anzi, l’una esclude l’altra”, argomenta passeggiando nel transatlantico di Montecitorio. Il nesso è evidente. “Il premierato, checché ne dica il centrodestra magnificandone i pregi, prevede, se non uno svuotamento, un drastico ridimensionamento dei poteri del Presidente della Repubblica – prosegue nel ragionamento -. In questi primi tre anni di governo Meloni ha dimostrato, nell’esercizio delle funzioni di presidente del Consiglio, una spiccata propensione al comando e una buona dose di decisionismo. Ce la vedete a correre per una poltrona che, di fatto, ridimensionerebbe il suo ruolo, oscurandolo rispetto a quello di un premier eletto direttamente dai cittadini?”.
Sarà forse solo una coincidenza ma, guarda caso, dopo il primo via libera del Senato, arrivato a giugno 2024, dopo oltre un anno il premierato è ancora impantanato alla Camera. Ufficialmente
per il nodo della legge elettorale. A due anni dalla fine della legislatura, quindi, mancano all’appello tre passaggi parlamentari oltre al referendum confermativo per dare alla luce la riforma. Sempre che sia ancora nei piani di Giorgia.
(da lanotiziagiornale.it)
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Ottobre 14th, 2025 Riccardo Fucile
SE HAI I SOLDI LA PACE PUOI COMPERARLA
Se hai i soldi, la pace puoi comperarla, perché la pace, come tutto il resto, è una merce. Troveremo il modo di quotarla in Borsa. Se oltre ai soldi hai dalla tua anche il Dio della Bibbia (degli altri chi se ne importa), oltre che ricco sei anche dalla parte giusta. Questa la mia sintesi del discorso di Trump alla Knesset. Sintesi brutale e forse anche tendenziosa, me ne rendo conto, ma non saprei farla diversamente.
Si è detto: ben venga la pace di Trump, se porta un poco di
conforto alla gente di Gaza e al Medio Oriente in generale. È giusto dirlo, è giusto pensarlo. Né la boria scandalosa con la quale il bullo attualmente capo dell’Occidente incensa se stesso basta a cancellare il suo innegabile momento di trionfo: l’interruzione della carneficina porta la sua firma.
E la memoria torna al nulla, o al quasi nulla, che ha preceduto, nei decenni, questa orribile guerra e questa parvenza di pace. La memoria torna ai dem americani (ed europei: un nome solo, Blair) nel momento in cui il gioco era nelle loro mani.
E a parte un meraviglioso discorso di Obama al Cairo, nel 2009, rivolto al mondo musulmano («fino a quando i nostri rapporti saranno definiti dalle nostre differenze, daremo maggior potere a coloro che perseguono l’odio invece della pace»), ditemi quali concrete tracce politiche, quali gesti di disarmo, quali cambiamenti strutturali per un mondo di pace portano la firma dei dem.
Se oggi un supporter di Trump, con il suo ridicolo cappellino calcato in testa, viene a dirci: e voi, prima di lui, che cosa avevate fatto di concreto per la pace in Medio Oriente e per la pace in generale? È difficile trovare una risposta decente. La prepotenza dei nostri giorni è anche figlia dell’impotenza che l’ha preceduta.
(da Repubblica)
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