Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
GIANNA GANCIA, CONSIGLIERE REGIONALE DELLA LEGA IN PIEMONTE E MOGLIE DEL MINISTRO ROBERTO CALDEROLI, SI FA PORTAVOCE DEL MALCONTENTO NELLA BASE DEL CARROCCIO
«La bassissima affluenza delle regionali è l’ennesima dimostrazione di una frattura profonda
tra cittadini e partiti. Non è solo disinteresse: è sfiducia e anche rassegnazione. La politica ridotta a spettacolo becero allontana le persone. E certi politici alla Vannacci, in questo, sono professionisti».
Gianna Gancia, consigliera regionale della Lega in Piemonte, già europarlamentare e Presidente della Provincia di Cuneo, moglie del ministro Calderoli, usa parole dure per commentare la disfatta del suo partito in Toscana.
Consigliera Gancia, dove nasce questa disfatta?
«Sono stata fra i primi a oppormi alla deriva di estrema destra, fin dai tempi del flirt con le svastichelle di Afd a Bruxelles. Io rappresento una Lega federalista, liberale, moderata, l’opposto delle svastiche sbandierate, dei richiami nostalgici, della decima Mas. Vista dal mio Piemonte la Lega non può dimenticare i principi fondativi della civiltà piemontese: senso dello Stato, lotta per la libertà, rigore amministrativo».
Il solista Vannacci alla sua prima prova da direttore d’orchestra ha fatto flop. Se lo aspettava?
«Sì, il risultato in Toscana è stato al di sotto di ogni aspettativa. Salvini gli ha dato carta bianca e i risultati sono stati miseri. Ma il problema non è solo il risultato in sé: è anche il modo di porsi.
I “team Vannacci” nascono ovunque come funghi, lui ora parla di candidarsi in Puglia. È chiaro che la Lega è diventata un’altra cosa. C’è una vera e propria “vannaccizzazione” in atto. Un termine brutto, ma ci capiamo: siamo all’apoteosi del delirio».
Che futuro vede per Vannacci?
«Se fondasse un suo movimento sarebbe più coerente. È un corpo estraneo. Ha le sue idee, legittime, ma non sono le nostre. Sta tentando di creare un movimento giovanile? Faccia pure. Ma con la Lega storica, con i suoi valori, non ha nulla a che vedere».
E cosa immagina per la Lega? Le piace il “modello tedesco” proposto da Luca Zaia?
«Sì, mi piace. Se ne parla da almeno vent’anni. Io stessa, nel maggio 2024, andai a proporre formalmente a Claudio Durigon la scissione in due partiti distinti: uno al Nord e uno con un’altra linea, perché ormai siamo di fronte a due visioni, due identità completamente diverse. Non possiamo più far finta che sia un solo partito».
Eppure Salvini è stato rieletto al congresso senza nemmeno uno sfidante…
«Sì, ed è proprio questo che fa pensare. In qualsiasi partito serio, dopo una sconfitta come quella delle europee e con una crisi d’identità così evidente, ci sarebbe una riflessione profonda. Oggi invece vediamo solo il proliferare di sigle, gruppi, “team” che si contendono le poltrone. È chiaro che ormai esistono due Leghe».
Perché nessuno ha portato avanti una linea alternativa?
«Credo sia mancato il coraggio. Serve un’assunzione di responsabilità. O si prende in mano la situazione ora, ovviamente coinvolgendo Salvini, o il partito continuerà a perdere anima, consenso e identità. Il nostro elettorato, che è fatto in larga parte da ceto medio, si sente tradito. E ha ragione».
(da La Stampa)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
LA SIMULAZIONE DI UNA RIDUZIONE DELL ALIQUOTA DEL SECONDO SCAGLIONE IRPEF: SOLO UN FAVORE A CHI GUADAGNA OLTRE 4.000 EURO AL MESE
Il taglio dell’Irpef, se l’asticella non salirà sopra il limite dei 50mila euro di reddito, si tradurrà in una pizza al mese o poco più. Nel migliore dei casi, si tratterebbe di un aumento in busta paga di circa 35 euro mensili per chi guadagna 50mila euro lordi all’anno, e di 20 euro per chi si ferma alla soglia dei 40mila.
Diverso il discorso se dovesse andare a buon fine il pressing di Forza Italia e Cisl, che chiedono di portare il taglio dal 35 al 33% dell’aliquota Irpef fino a 60mila euro di reddito.
In questo caso il vantaggio sarebbe più sostanzioso: 940 euro annui per chi guadagna 55mila euro, 1.240 euro con un reddito di 58mila e 1.440 euro per chi arriva a 60mila euro.
Le simulazioni sono state realizzate dallo studio tributario romano Timpone & Associati, che ha preso in considerazione anche gli effetti, molto più modesti, sul reddito da lavoro autonomo. Fino a 85mila euro di reddito, infatti, nulla cambia
perché si resta nel regime di flat tax al 15%. Per chi è invece in regime ordinario — ossia paga in base agli scaglioni Irpef previsti per tutti gli altri — il risparmio su 100mila euro di reddito sarebbe di 440 euro.
Il partito del vicepremier Antonio Tajani e il sindacato stanno facendo pressioni per portare il taglio Irpef a 60mila euro. Dunque, per ottenere un beneficio fiscale realmente visibile, occorre che la manovra al varo del Consiglio dei ministri di domani alzi la soglia di reddito su cui il taglio Irpef va ad agire.
«L’ideale è arrivare a 60mila euro di reddito, ma bisogna vedere se ci sono le coperture», ha dichiarato ieri il segretario azzurro Tajani
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
AVREBBE VIETATO AL VICEMINISTRO SISTO E AL SOTTOSEGRETARIO OSTELLARI DI ACCEDERE ALL’AREA DI SOSTA INTERNA. FINCHÉ UN GIORNO UN UOMO HA DATO FUOCO A UN’AUTO NEI PARAGGI E LEI HA DOVUTO REVOCARE IL DIVIETO – L’AMICIZIA CON DELMASTRO E IL CASO ALMASRI CHE NON L’HA SCALFITA. ANZI, IL GOVERNO HA RIORGANIZZATO IL MINISTERO ASSUMENDO VENTI PERSONE IN PIÙ DA AFFIDARLE
C’è un retroscena, inedito e tragicomico, che più di ogni altra cosa dà l’idea delle manie di
grandezza di Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del ministro della Giustizia Nordio
Riguarda il parcheggio del ministero della Giustizia. Persino su quello è intervenuta la “zarina” di Via Arenula, vietando nientedimeno che al viceministro Sisto e al sottosegretario Ostellari di accedervi con le loro auto di servizio. Poi un giorno un uomo ha dato fuoco a un’auto proprio nei paraggi del ministero e Bartolozzi ha dovuto revocare il divieto. Una trama da film di Alberto Sordi.
Tutto è avvenuto nelle ultime settimane. L’unico a salvarsi dal divieto di sosta era stato l’altro sottosegretario, Andrea Delmastro Delle Vedove, formalmente perché gode di un regime di protezione che implica la presenza di più auto e di una scorta, sostanzialmente – riferiscono fonti autorevoli del ministero – anche in virtù dell’amicizia che scorre tra la capo di gabinetto e il sottosegretario di FdI.Insomma, la “zarina” voleva il parcheggio tutto per sé e per i suoi collaboratori, o quasi. Così aveva disposto di vietare l’accesso a diversi alti funzionari, tra cui addirittura il viceministro Francesco Paolo Sisto e il sottosegretario Andrea Ostellari.
E’ stato necessario che, poco tempo dopo, uno squilibrato desse fuoco a una macchina proprio nelle vicinanze del ministero per spingere Bartolozzi a tornare sui propri passi e a far revocare il divieto, nel timore che i rappresentanti del ministero potessero correre rischi simili.
Da tempo, ormai, il ministero della Giustizia è nelle mani di Giusi. Fin dal suo insediamento, la zarina ha accentrato nelle sue mani tutte le decisioni più importanti che competono al ministero, scavalcando in maniera sistematica i vari capi dipartimento e gli uffici di diretta collaborazione del ministro Nordio.
Come risultato di queste ingerenze, hanno deciso di lasciare il loro incarico a Via Arenula: l’originario capo di gabinetto di Nordio (Alberto Rizzo), la direttrice dell’ispettorato generale (Maria Rosaria Covelli), il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Giovanni Russo), il capo del Dipartimento affari di giustizia (Luigi Birritteri), il capo del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria (Gaetano Campo), il direttore generale dei sistemi informativi automatizzati (Vincenzo De Lisi), la capo ufficio stampa (Raffaella Calandra)
Proprio per il caso Almasri ora Giusi Bartolozzi è indagata dalla procura di Roma con l’accusa di false informazioni rese al Tribunale dei ministri e per difenderla la maggioranza vuole che la Camera sollevi un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. Ieri i capigruppo dei partiti di centrodestra hanno esplicitato la richiesta in una lettera trasmessa al presidente della Camera, Lorenzo Fontana.
Chi si aspettava che la vicenda potesse scoraggiare la zarina si è dovuto ricredere.
Proprio su proposta di Bartolozzi, il governo ha adottato uno schema di decreto di riorganizzazione del ministero della Giustizia che introduce ben venti unità in più (da 201 a 221) negli uffici di diretta collaborazione con il gabinetto del ministro e la figura del capo della segreteria del capo di gabinetto, al quale viene riconosciuto un trattamento economico pari ai capi segreteria dei ministri.
Le venti risorse vengono sottratte all’ispettorato generale del ministero, come se questo avesse dimostrato particolare efficienza negli ultimi anni […] Insomma, per festeggiare i tre anni di governo Nordio ha deciso di regalare a Giusi una sorta di mini-ministero
(da il Foglio)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
L’ESTREMISMO ANTIEUROPEO E FILORUSSO EVOCA UNA SORTA DI ‘SCALATA OSTILE’ CHE DESTABILIZZA LA LEGA E PUÒ CAMBIARNE I CONTORNI E L’IDENTITÀ, SENZA PERALTRO DARLE PIÙ VOTI
Il coro leghista contro il generale Roberto Vannacci è in realtà un appello accorato al vicepremier e leader Matteo Salvini perché cambi radicalmente strategia.
E sullo sfondo si indovina il timore non solo di un calo progressivo dei voti a vantaggio di Fratelli d’Italia o dei
berlusconiani. La sfida che il leghismo storico comincia a intravedere è per la sopravvivenza come partito espressione degli interessi del Nord.
L’estremismo antieuropeo e filorusso, abbinato all’emarginazione dei gruppi dirigenti tradizionali, evoca una sorta di «scalata ostile» che destabilizza la Lega; e in prospettiva può cambiarne i contorni e l’identità, senza peraltro darle più voti.
Il dubbio che si insinua nel Carroccio è che il leghismo sia in declino; e che il travaso di voti verso Giorgia Meloni, e la crescita dei berlusconiani siano un fenomeno non passeggero.
In attesa di capire che cosa farà Zaia, crescono i malumori dell’intera nomenklatura . In più, ieri è arrivata una dichiarazione spiazzante del segretario regionale di FdI, Luca De Carlo, che ha negato un veto di Palazzo Chigi sulla candidatura del governatore uscente alle Regionali del 23 e 24 novembre. «FdI ha sempre dichiarato che se avesse un fuoriclasse del calibro di Luca Zaia», ha detto De Carlo, « lo avrebbe candidato capolista in tutte le province»
Sono parole che scaricano il problema sul Carroccio. E rendono ancora più intricata la questione, facendo capire che se fosse stato dei loro, FdI non ci avrebbe rinunciato.
Questo finisce per incrociare le tensioni crescenti dopo la sconfitta in Toscana. Anche perché il perdente Vannacci non sembra intenzionato a cambiare il suo approccio sprezzante verso la dirigenza della Lega.
«Gli ho parlato ed è bello combattivo. Stavolta è andata male? Si imparano tante cose, fare il politico è diverso da fare il generale», ha riferito il senatore Claudio Borghi.
È su questo sfondo che arriva la solidarietà a Zaia del presidente della Lombardia, Attilio Fontana e dei capigruppo in Parlamento. E ritornano gli avvertimenti di chi si sente boicottato. «Trovo strano», ribadisce Zaia, «che un governatore uscente che ha oltre il 70 per cento tra i veneti si ritrovi prima ad avere negata la candidatura, poi la lista civica, e infine la possibilità di mettere il nome sul simbolo. Se sono un problema vedrò di crearlo». Di nuovo, aleggia la minaccia di un altro partito del Nord, spinto dal malessere e dalla disperazione del leghismo storico.
Massimo Franco
per il “Corriere della Sera”
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
TITO BOERI: “IL GOVERNO SOSTIENE DI AVERE ABBASSATO LE TASSE SUL LAVORO E CHE L’AUMENTO DELLA PRESSIONE FISCALE SIA DOVUTO ALL’AUMENTO DELL’OCCUPAZIONE. MA IL TAGLIO DEL CUNEO NON È RIUSCITO A NEUTRALIZZARE GLI EFFETTI DEL DRENAGGIO FISCALE SULLA GRAN MASSA DI LAVORATORI. QUESTI HANNO PERSO POTERE D’ACQUISTO, AL CONTEMPO, HANNO PAGATO PIÙ TASSE PERCHÉ PASSATI AD UN’ALIQUOTA FISCALE PIÙ GRAVOSA”
Un paese in declino demografico, che perde quasi mezzo milione di cittadini in età lavorativa
ogni anno, dovrebbe porsi l’obiettivo imprescindibile di sostenere i redditi da lavoro e di farne aumentare la produttività.
Sono due obiettivi tra di loro non solo compatibili, ma che si possono rafforzare a vicenda. Sostenere i redditi da lavoro […] serve ad incoraggiare la partecipazione al mercato del lavoro, quindi a contenere il calo del numero di coloro che generano reddito
Aumentarne la produttività serve a contenere gli effetti sul reddito nazionale della diminuzione di coloro che possono lavorare. Si interviene in questo caso sulla qualità piuttosto che sulla quantità del lavoro. Se la produttività aumenta, anche con meno lavoratori il reddito nazionale può crescere.
Le manovre di bilancio sin qui varate dal Governo Meloni sembrano avere seguito una strada diversa e quella che verrà presentata alle Camere nei prossimi giorni non sembra scostarsi da questa tradizione
Sono manovre del “non fare”, sempre più piccole e che ignorano completamente l’emergenza demografica. Ma la cosa più grave di queste manovre è che aumentano la pressione fiscale sul lavoro anziché ridurla.
Lo fanno per effetto della mancata sterilizzazione del cosiddetto drenaggio fiscale, vale a dire il fatto che molti contribuenti sono stati soggetti in questi anni ad aliquote fiscali più alte senza che il loro reddito, in termini di potere d’acquisto, fosse aumentato.
Come certificato dall’Istat, nel solo 2024 la pressione fiscale (il rapporto fra entrate e reddito nazionale) è aumentata del 3% (dal 41,4 al 42,6 per cento), comportando 26 miliardi di entrate aggiuntive. Questo aumento della pressione fiscale è anch’esso figlio della politica del non fare, Non è legato a un esplicito inasprimento delle tasse […] ma alla scelta di non indicizzare all’inflazione le aliquote fiscali, come avveniva in passato in Italia.
Il governo sostiene, invece, di avere abbassato le tasse sul lavoro e che l’aumento della pressione fiscale sia dovuto all’aumento dell’occupazione (si veda l’audizione del Ministro Giorgetti sulla
legge di bilancio).
Ma il taglio del cuneo fiscale varato da questo governo non è riuscito a neutralizzare gli effetti del fiscal drag sulla gran massa di lavoratori.
Questi hanno perso potere d’acquisto, al contempo, hanno pagato più tasse perché passati ad un’aliquota fiscale più gravosa
Inoltre, come chiarito da Massimo Bordignon e Leonzio Rizzo su lavoce.info, l’aumento del numero di lavoratori non comporta affatto, di per sé, un incremento della pressione fiscale, perché in questo caso aumentano sia le entrate che il reddito nazionale, vale a dire numeratore e denominatore della pressione fiscale.
Sterilizzare il fiscal drag di un inflazione al 2%, il target della Banca Centrale Europea, ha un costo limitato, attorno ai 3 miliardi, secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio. E se la produttività del lavoro fosse aumentata, la pressione fiscale si sarebbe presumibilmente ridotta anche senza sterilizzare il fiscal drag.
Ma non sembrano queste le priorità del governo. Operano micro redistribuzioni a favore di esigue minoranze particolarmente ben rappresentate, e non vanno certo ad aumentare i redditi da lavoro o a incoraggiare aumenti di produttività. Vanno, ad esempio, a vantaggio di coloro che avranno 67 anni nel 2027, che potranno andare in pensione due o tre mesi prima che a legislazione vigente
Ma questo governo non voleva incoraggiare il lavoro rispetto al non lavoro?
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
SALVINI POTREBBE CONTINUARE LA SUA SVOLTA MAL-DESTRA CON IL GENERALE VANNACCI – FONTANA: “ZAIA È FONDAMENTALE E NON SOLTANTO IN VENETO, IL PARTITO HA BISOGNO DI PERSONE COME LUI”
È la serata di lancio della candidatura dell’ enfant prodige leghista Alberto Stefani. Ma la scena se la prende Luca Zaia. I tremila presenti lo accolgono con standing ovation e invocazioni «Lu-ca, Lu-ca». Ed è il segno che il futuro del Doge difficilmente si esaurirà nel ruolo di «semplice» consigliere regionale veneto.
Il suo nome affiora in molti discorsi interni, la sua figura cattura interessi convergenti
Anche Matteo Salvini lo coccola riempiendolo di complimenti
Sembra di intravedere all’orizzonte qualcosa di più, difficile ora da definire ma che potrebbe man mano delinearsi se la Lega dovesse continuare sulla strada del sovranismo-populismo che risulta sempre più indigeribile dentro il partito e poco apprezzato anche dagli elettori (vedi la pesante battuta d’arresto in Toscana dove la regia è stata lasciata a Roberto Vannacci).
Bisogna ascoltare le voci che arrivano da leghisti storici per capire cosa si sta muovendo.
Sentite Attilio Fontana, governatore della Lombardia: «Io credo che Luca Zaia sia fondamentale non soltanto in Veneto, perché sicuramente ha dimostrato di essere un grande presidente di Regione ma anche un uomo politico di notevole spessore. Quindi, penso che il partito debba avere bisogno di persone
come Zaia».
Attenzione alla sottolineatura sull’utilità del presidente uscente per la Lega.
Riaffiora l’idea di creare due Leghe, sul modello delle gemelle Cdu e Csu, per tenere dentro sia le istanze del Nord sia le esigenze del Centro-Sud. Fontana la mette sul tavolo: «È una cosa sulla quale si può discutere, l’importante è che rimangano le nostre prerogative.
Poi sulla strutturazione si valuterà, ne parliamo. L’importante è che ogni territorio trovi nella Lega la propria tutela».
Un progetto politico che per camminare ha bisogno necessariamente che qualcuno se ne faccia carico, che detti la linea e la porti avanti. Ed è qui, forse, che si potrebbe individuare un nuovo ruolo di rilievo per Zaia.
Nessuno lo dice ad alta voce, si preferisce evitare pubblicamente l’argomento. Ma Zaia è una risorsa della Lega. E ora che lascia la prima linea, avrà molto tempo libero.
Quale condizione migliore per coltivare un modello e dargli corpo assumendone la leadership
Il ruolo di Matteo Salvini, al momento, non è in discussione. E
però in politica «tutto ha un inizio e una fine». L’apprezzamento che il governatore uscente raccoglie dentro il partito è marcato.
Massimo Garavaglia, leghista lombardo della prima ora, la dice così: «Non mi riconosco in una Lega triste e arrabbiata (si riferisce a quella toscana, ndr ). La Lega è altra cosa: il buon governo di Giorgetti, il buon governo di Zaia ma anche un’idea di libertà e sviluppo che trova nell’autonomia dei territori verso Roma la chiave».
Riccardo Molinari, capogruppo alla Camera, la prende più larga : «Il fatto di lanciare un messaggio politico così ideologico ha pesato nel voto in Toscana, perché non è il messaggio della Lega, perché la Lega ha sempre preso voti da destra, da sinistra, dal centro, proprio perché è post ideologica».
È una richiesta di tornare ai valori e alle parole d’ordine storiche del partito, come sottolineato anche dal collega capogruppo al Senato Massimiliano Romeo. E chi meglio di Zaia, tanto più se libero da impegni istituzionali, può farsene testimone?
–
(da Il Corriere della Sera)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
LO HA DECISO IL TRIBUNALE DI MILANO DOPO AVER VALUTATO LE AFFERMAZIONI DELL’AUTORE DI “EDUCAZIONE SIBERIANA”: “IL MIO AUGURIO È DI STARE ATTENTI. VI SIETE SCAVATI LA FOSSA DA SOLI I SERVIZI RUSSI COMUNQUE VI TROVERANNO. E VI FARANNO A PEZZI A LORO MODO”
Lo scrittore moldavo Nicolai Lilin andrà a processo per le minacce all’inviata Rai Stefania
Battistini e al suo operatore tv Simone Traini. Lo ha deciso il tribunale di Milano dopo aver valutato le affermazioni di Nicolai Verbjbitkii (nome all’anagrafe) sul suo canale Youtube tra il 16 e il 20 agosto 2024.
«Se un giorno vi troverete un po’ di polonio nel tè, sappiate che vi siete scavati la fossa da soli. A questi due deficienti dei nostri giornalisti Rai che sono andati lì con i terroristi (…) e che hanno fatto questo schifoso lavoro di propaganda filonazista (…) il mio augurio è di stare molto attenti. Non accettate il tè dalla gente sconosciuta», aveva detto Lilin.
L’autore del best seller «Educazione siberiana», ricorda oggi il Corriere della Sera, ce l’aveva con i due che in Ucraina il 14 agosto avevano documentato un’incursione dei soldati di Kiev in territorio russo. Il Tribunale distrettuale Leninsky di Kursk aveva spiccato nei loro confronti un mandato d’arresto internazionale.
Per essere «entrati illegalmente nella Federazione Russa», e prospettando 5 anni di pena. I due sono ancora sotto scorta. La pm milanese Francesca Crupi ha valutato anche le affermazioni di Lilin sui servizi segreti militari russi Gru «che state certi in 2, 3, 5 anni comunque vi troveranno. E vi faranno a pezzi a loro modo, ovviamente io dico in modo metaforico…». E ha deciso che il 45enne nato in Transnistria quando era ancora Unione Sovietica deve andare a processo
«Abbiamo fiducia nella giustizia che esaminerà questo caso», commenta Eleonora Piraino, l’avvocata dello scrittore. Al quale la notifica del procedimento è stata fatta acrobaticamente nelle more di un suo scalo in un aeroporto italiano. Lilin è stato citato direttamente in giudizio senza passare per l’udienza preliminare. Con lui altri due indagati. Un ingegnere 59enne, che su Telegram invocò «trattamenti israeliani per la lurida e il lercio cameraman, parenti stretti all’obitorio e loro a guardare i crisantemi dalla parte della radice» (ma in un contesto differente dai commenti di Lilin, prospetta il difensore Nicolò Velati per cui ci sarebbe un difetto di querela).
L’altro è un disoccupato 50enne già sposato con una ucraina. Su Telegram inviò «condoglianze a questa idiota italica Vanno fucilati subito, devono fare la fine di Navalny».
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
IL PARLAMENTARE FA IL PESCE IN BARILE E SCARICA LA COLPA SU UNO DEI SUOI COLLABORATORI
La polizia del Campidoglio è stata chiamata ad intervenire a causa di una bandiera americana alterata per includere una svastica ed esposta all’interno dell’ufficio del deputato repubblicano Dave Taylor.
Politico ha ottenuto un’immagine scattata durante una riunione virtuale che mostra la bandiera appuntata a quello che sembra essere un pannello divisorio dietro Angelo Elia, uno dei collaboratori di Taylor.
Accanto alla bandiera — con le linee rosse e bianche modificate a forma di svastica — sono appuntate altre immagini, tra cui una Costituzione tascabile e un calendario del Congresso
Non è chiaro se Elia abbia avuto un ruolo nell’incidente, sul
quale sono state aperte indagini. “Sono a conoscenza di un’immagine che sembra raffigurare un simbolo vile e profondamente inappropriato vicino a un dipendente del mio ufficio”, ha dichiarato Taylor in una nota.
“Il contenuto di quell’immagine non riflette i valori o gli standard di questo ufficio, del mio staff o di me stesso, e lo condanno nei termini più forti”, ha aggiunto. Taylor ritiene che la bandiera sia frutto di “atto vandalico o manomissione”, ha detto il suo portavoce.
La rivelazione arriva un giorno dopo che Politico ha svelato la chat di gruppo su Telegram in cui i leader dei Giovani repubblicani scambiavano epiteti razzisti, scherzavano sull’Olocausto e lodavano Adolf Hitler.
(da agenzie)
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Ottobre 16th, 2025 Riccardo Fucile
E’ UN BEL CETRIOLO PER LA DUCETTA: CON IL “DOGE” IN CAMPO, IL CARROCCIO PUO’ TOGLIERE MOLTI VOTI A FRATELLI D’ITALIA E LIMITARNE COSI’ LE FUTURE PRETESE SUI POSTI IN GIUNTA… IL “PIZZINO” A SALVINI IN VISTA DEL CONSIGLIO FEDERALE LEGHISTA DI MARTEDI’ PROSSIMO CON MEZZO PARTITO IN RIVOLTA PER LA ”VANNACCIZZAZIONE”: “NOI SIAMO SEMPRE GLI STESSI”
La notizia arriva poco prima delle 21.30. E la dà il governatore veneto Luca Zaia: «Sarò il
capolista della Lega in tutte le Province». Il presidente non ricandidabile ufficializza quanto già si diceva da tempo: a dispetto della battaglia persa dalla Lega per il terzo mandato, a dispetto dell’impossibilità di fare il candidato sindaco di Venezia (andrà a FdI), non ci saranno strappi.
Solo l’amarezza più volte ribadita di «aver scoperto di essere un problema», perché «posso capire tutto, ma non i veti». Così con «l’orgoglio del militanti», farà la parte in cui tutti speravano: il portare voti per il suo partito, l’unica «soluzione per diventare un problema reale».
«Se prima si diceva “dopo Zaia, solo Zaia”, adesso si dirà “dopo Zaia, scrivi Zaia”», dice in chiusura, mentre il segretario veneto di FdI ieri sportivamente ha detto ad Affaritaliani che se il suo partito «avesse un fuoriclasse del calibro di Luca Zaia», lo avrebbe «candidato capolista ovunque e in tutte le province».
Fa bene Matteo Salvini, a sua volta «militante tra i militanti», forse un po’ più umile del solito, a ricordare la lunga marcia per arrivare a ieri sera: «Che battaglia, che fatica, quante sere, quanti tavoli di trattativa»
Non era scontato infatti essere al via di una nuova campagna elettorale in Veneto con un candidato, ancora una volta, leghista: Alberto Stefani, vicesegretario dello stesso Salvini e deputato. A dispetto dei rapporti di forza con FdI. Ma se c’è una cosa certa riguardo al leader leghista, è che non molla: «Conto di portare la Lega a essere ancora coraggiosamente e gagliardamente il primo partito in Veneto». Anche se è attento a non risultare ingombrante: alla fine del comizio, cosa senza precedenti, non torna sul palco.
Luca Zaia non scioglie il gran quesito su che cosa farà a mandato scaduto e a sua volta fa bene a ricordare che «noi siamo sempre gli stessi». Perché la sensazione di tanti, soprattutto dopo le regionali in Toscana, è che la Lega stia cambiando ancora fisionomia, con mezzo partito in rivolta per la «vannaccizzazione». Ma di questo si parlerà martedì prossimo, al consiglio federale leghista.
Certo, c’è il presidente della Camera Lorenzo Fontana, dal governo i sottosegretari Ostellari e Bitonci. Ma il resto dello stato maggiore leghista è altrove.
E pazienza se per anni nella Lega è stato Salvini «il Capitano». Stefani inizia un po’ pallido, la tensione è comprensibile. Essere il successore di Zaia non è facile, dare il segno della discontinuità nella continuità è complicato. Il ragazzo prodigio della Liga su un punto vuole essere chiaro: «La nostra non è soltanto una sfida generazionale. La nostra deve essere una rivoluzione di stile, di chi non prova odio. Non mi sentirete mai parlare male degli avversari. Così bisogna fare politica: senza odio, senza violenza verbale a cui per troppo tempo abbiamo assistito».
(da agenzie)
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