Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
E 5.8 MILIONI DI ITALIANI HANNO DOVUTO RINUNCIARE ALLE CURE
Vista l’ultima Manovra, che toglie ai poveri per dare ai ricchi, c’è da crederle sulla parola. Ma quando la premier Giorgia Meloni promette che con la destra al governo la patrimoniale non vedrà mai la luce, l’affermazione è vera “fino a un certo punto”, un po’ come il diritto internazionale quando c’è di mezzo Israele (copyright del ministro Tajani).
Non è solo il lungo elenco di tasse che l’esecutivo ha rimaneggiato, per lo più aumentandole, nei suoi primi tre anni di vita a lasciare più di qualche dubbio. Ad esse vanno aggiunte pure quelle occulte, spesso generate dall’inerzia del governo. Un
esempio? L’impennata dei prezzi dei prodotti alimentari – alla faccia del carrello tricolore! – che secondo l’Istat ha prodotto rincari di quasi il 25%, otto punti in più rispetto all’inflazione, dal 2021 ad oggi.
Una non tassa che però si sente eccome nelle tasche degli italiani. Con l’aggravante della totale assenza di progressività: i prezzi dei generi alimentari sono gli stessi per i poveri e per i ricchi, ma i rincari impattano decisamente di più su un pensionato al minimo rispetto al top manager d’impresa.
Un po’ come le accise sulla benzina che Meloni prometteva di abolire, finendo per abolire invece solo lo sconto introdotto dal governo Draghi per poi aumentare quelle sul diesel per equipararlo alla benzina. Risultato: il pieno dell’utilitaria dell’operaio costa come quello della fuoriserie del milionario. Ma la tassa occulta più odiosa grava sulla Sanità. Che sarebbe pubblica, cioè pagata con i soldi delle imposte pagate dagli italiani (almeno di quelli che le pagano), ma che sta diventando sempre più privata. Se è vero come è vero l’allarme lanciato dall’Istat, la spesa delle famiglie è salita quest’anno a 41,3 miliardi. Chi può paga, chi non ce la fa rinuncia alle cure: nel 2024 un italiano su dieci (5,8 milioni) non ha fatto esami o visite per le liste di attesa, per le difficoltà economiche o per quelle logistiche.
Quando Meloni giurava “mai la patrimoniale!” forse si riferiva a quella che colpirebbe i grandi patrimoni. Del resto, per chi un patrimonio non ce l’ha i problemi sono altri. Tipo mettere
insieme il pranzo con la cena. Un’impresa, visti i prezzi.
(da lanotiziagiornale.it)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
IL FLOP DEI CENTRI PER MIGRANTI… GRATTERI SU TIRANA: “I CLAN INFILTRANO LE ISTITUZIONI”
Dopo l’accordo siglato tra Italia e Albania, dal valore di quasi un miliardo di euro, per la
gestione dei migranti, il presidente albanese Edi Rama torna a Roma per incontrare Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio aveva promesso, con tono perentorio, che i centri per migranti costruiti in terra albanese «funzioneranno», ma quel modello è fallimentare.
Non c’è solo la questione dell’efficacia, sulla quale Domani può svelare nuove anomalie tra agenti rimpatriati e alloggi
inadeguati, ma anche un tema in buona parte sottaciuto, quello relativo alle scorribande criminali in quel paese. Cammina sotto traccia una domanda, a chi abbiamo dato 100 milioni di euro di soldi pubblici (destinati alla sorveglianza esterna)? Con quale paese abbiamo sottoscritto un accordo da quasi un miliardo di euro (si prevede una spesa minima di 650 milioni di euro), in cinque anni?
Gli oppositori del governo Rama, osservatori internazionali, una parte della destra italiana, hanno definito nel recente passato l’Albania un narcostato. Questa definizione è un’esagerazione? «No, tutt’altro. I gruppi albanesi hanno iniziato a trafficare in marijuana per passare successivamente all’eroina, grazie ai rapporti con la mafia turca, e infine alla cocaina, di cui sono diventati broker internazionali.
I proventi di queste attività hanno dato ulteriore potere economico e politico ai gruppi albanesi che hanno molte affinità con la ‘ndrangheta, dal familismo ai rigidi codici comportamentali, basati sulla besa, il senso dell’onore e della parola data, dalla capacità di infiltrazione nel tessuto economico-finanziario al condizionamento del settore politico-amministrativo». A dirlo è il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, intervistato da chi scrive per raccontare l’egemonia internazionale della mafia albanese.
Il silenzio
Parole pronunciate da un esperto magistrato in prima linea contro il crimine che aumentano gli interrogativi sull’esigenza di
sottoscrivere un protocollo con un paese extra-Ue, che non ha una normativa adeguata di contrasto al crimine organizzato e, ancor di più, non ha una legislazione in grado di colpire l’accumulazione illecita di patrimoni economici e finanziari. Una vicenda ancora più grave se si considera quanto rivelato da Domani in merito a un incontro accertato dalla Dia tra un cartello criminale ed esponenti imprecisati del governo Rama. Era il 2019. Una vicenda, sulla quale Rama ha scelto il silenzio, che ha sollevato un polverone politico e mediatico in Albania, ma oscurata in Italia.
La presidente del Consiglio si spertica in parole contro la mafia poi sceglie interlocutori internazionali, le cui politiche nel fronteggiare riciclaggio, corruzione e infiltrazioni sono giudicate «non all’avanguardia», dice ancora Gratteri.
A Villa Pamphili ci sarà l’incontro tra Rama e Meloni, è prevista la firma di un accordo strategico globale che comprende settori quali energia, salute, ambiente, difesa, istruzione, innovazione, migrazione e sviluppo economico. Fotografie di rito, parole di elogio reciproco anche per nascondere la fallimentare campagna d’Albania. Un anno fa aprivano i centri per migranti, quasi sempre vuoti, fiaccati dal diritto internazionale e resi così enormi monumenti allo spreco. In realtà in un caso il baraccone albanese ha funzionato benissimo. È il caso dell’agente rimpatriato.
L’unico rimpatrio? L’agente
Nel progetto fallimentare messo in piedi dal governo italiano dall’altra parte dell’Adriatico, infatti, è stato previsto anche un
carcere da 20 posti. Una struttura che si trova all’interno del complesso più grande che include il centro di trattenimento dei richiedenti asilo e il centro per i rimpatri. Destinato a chi, tra i migranti, avrebbe commesso reati nell’area considerata sotto la giurisdizione italiana.
Attualmente è presidiato da 15 agenti della polizia penitenziaria, un terzo rispetto al contingente originario che era stato distaccato in Albania. Ma che colpa ha l’agente rimpatriato? Sospettato di aver fotografato i cani randagi che si raccoglievano, sfamati dai poliziotti, nei pressi del carcere vuoto. Così, dopo un procedimento disciplinare chiusosi con l’archiviazione, l’agente è stato rispedito a casa. Insomma il rimpatrio funziona che chi è sospettato di interloquire con sindacati. Ma c’è anche altro. Rispondendo a una sollecitazione arrivata al dipartimento della polizia penitenziaria dalla Uil, si scopre una carenza strutturale. Le camere degli agenti dovrebbero essere per una sola persona altrimenti non sono a norma rispetto alle previsioni dell’accordo nazionale quadro. E, invece, cosa accade?
«Le camere dedicate al personale, pari a 30 metri quadrati, ospitano al momento massimo due unità; ciascuna stanza, munita di impianto di climatizzazione, ed il relativo bagno sono dotati degli arredi previsti dall’allegato A dell’Accordo Quadro, si ritiene opportuno evidenziare che nessuna lamentela è stata registrata da parte del personale», scrive Rita Russo, oggi direttore del personale, e prima provveditore nel Piemonte, dove il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove
Proprio Russo si occupava di quella regione quando questo giornale pose la questione del caposcorta di Delmastro, in particolare le ragioni della scelta e della selezione nonostante l’età avanzata. «Non voglio assolutamente parlare», rispose. Silenzio anche quando le chiedemmo della tramontata ispezione interna. Dopo quell’esperienza è volata a Roma a dirigere il personale nel dipartimento del Delmastro gestisce ogni nomina. E ora risponde sugli alloggi inadeguati rassicurando tutti: «Nessuno si lamenta». Anche perché se si lamentano, li rimpatriano.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
NEL CIRCO BARNUM SOVRANISTA CI MANCAVA UN MINISTRO CHE DA’ IN ESCANDESCENZE
Il ministro Valditara, (che ieri ha dato in escandescenze in Parlamento accusando la
sinistra di sfruttare i femminicidi e mostrando la sua idea di confronto), ha introdotto con una circolare la par condicio nelle scuole. E cos’è mai? Negli eventi pubblici organizzati negli istituti “aventi ad oggetto tematiche di
ampia rilevanza politica o sociale” devono intervenire “ospiti ed esperti di specifica competenza ed autorevolezza” (in quelli che non sono di grande rilevanza si può invitare anche il Gabibbo). Si devono “assicurare il pieno rispetto dei principi del pluralismo e della libertà di opinione e garantire il dialogo costruttivo e la formazione del pensiero critico”.
Le iniziative promosse devono, “attraverso il libero confronto di posizioni diverse”, favorire “una più approfondita e il più possibile oggettiva conoscenza dei temi proposti, consentendo a ciascuno studente di sviluppare una propria autonoma e non condizionata opinione”. Bisogna educare gli studenti a “cogliere la complessità della realtà che li circonda” e a fuggire “dalla logica della mera contrapposizione”.
Cos’è capitato? Secondo il Corriere (il Corriere!) c’è un nesso di causalità con un episodio specifico: “La circolare è seguita ad un convegno organizzato al liceo scientifico Righi con gli attivisti della Sumud Flotilla, cancellato a poche ore dall’inizio dopo che il deputato della Lega Rossano Sasso aveva fatto notare che sarebbe mancato il contraddittorio”.
Dunque trattasi di ritorsione con il chiarissimo intento di censurare posizioni non gradite, in assoluto sfregio dell’autonomia scolastica, assicurata dallo Stato agli istituti da 25 anni.
Gli studenti – che domani scenderanno in piazza contro la circolare bavaglio – si sono domandati chi avrebbero dovuto invitare per garantire il contraddittorio con gli attivisti della
Flotilla: i soldati dell’Idf che li hanno fermati e incarcerati? O qualche commentatore che dal salotto di casa li ha sbeffeggiati? La circolare riguarda tutti i temi di “ampia rilevanza”.
Dunque, per esempio, se si organizzasse un dibattito sulla legge 194, secondo il codice Valditara bisognerebbe chiamare gli attivisti Pro-vita che quella legge vogliono cancellare. Il diritto di abortire in sicurezza in Italia è garantito da quasi mezzo secolo: vogliamo dire che una legge dello Stato ha bisogno di un contraddittorio?
La libertà di manifestazione del pensiero è il primo diritto che definisce una democrazia, ma quando una presidente del Consiglio, come ha fatto Giorgia Meloni nelle settimane passate, scredita i cortei pacifici di cittadini per Gaza dicendoli inutili e dannosi (“Nulla per Gaza, solo disagi per gli italiani”) svela il suo disinteresse per le libertà che la Costituzione – sulla quale lei ha giurato – garantisce a quei cittadini. E quando approva norme come i decreti Sicurezza che criminalizzano gli scioperi si spinge ben oltre, mostrando in che conto tenga il dissenso e i diritti dei lavoratori. Nel caso della guerra a Gaza però dovrebbero mettersi l’animo in pace: milioni di persone si sono mobilitate a favore di una popolazione martoriata in una situazione di totale oscuramento dell’informazione. Ancora oggi i giornalisti stranieri non possono entrare nella Striscia, ci sono solo i giornalisti palestinesi, decimati da Israele (ne sono morti quasi 250). Eppure gli italiani si sono schierati senza esitazioni per il cessate il fuoco (che in un mese, secondo il Government Media
Office di Gaza è stato violato 282 volte da Israele). Le censure trovano sempre i loro antidoti, specie in un tempo in cui, volendo cercare, le informazioni sono a portata di click: non sarà facile per il governo indottrinare gli studenti. L’unico risultato di questa supposta par condicio delle idee è che la scuola sarà sempre più percepita come un luogo di costrizioni e divieti, ostaggio della pretesa dei politici di inculcare dogmi: ciò che di più lontano c’è dal pensiero critico.
(da ilfattoquotidiano.it)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
DAL LINGUAGGIO PARLAMENTARE DI MORO, BERLINGUER ED ALMIRANTE SIAMO ARRIVATI A VALDITARA
Dopo l’aspra seduta parlamentare nella quale si è litigato a proposito della legge
sull’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, culminata in una scenata del ministro Valditara, Bruno Tabacci, che è uno dei reperti della Prima Repubblica da conservare tra le (poche) cose preziose che rimangono alla politica italiana, ha commentato con amarezza: «Sono nostalgico del linguaggio parlamentare che ho studiato da Moro, Berlinguer e Almirante. C’è una retrocessione».
Siamo liberi di pensare alla solita lamentela del vecchio boomer sulla deriva dei tempi. Ma anche di valutare, con un metro il più possibile oggettivo, se la retrocessione della quale parla Tabacci ci sia stata oppure no.
Secondo me sì. E non perché quando parlavano Moro e Berlinguer e Almirante ero giovane e il mondo mi sembrava migliore. Ma perché c’è uno scarto effettivo tra quello “stare in aula”, quel parlare magari limato, magari poco spontaneo, che però rifletteva la responsabilità che la parola politica sentiva su di sé; e questo continuo apostrofarsi, da una curva all’altra, come se parlare fosse una ordinaria forma di sopraffazione (a imitazione dei social).
C’erano anche allora i faziosi e gli energumeni, ma le loro intemperanze erano contenute dalla cornice complessiva, anche nei rispettivi partiti, che ebbero una funzione educativa prima di tutto per i loro esponenti meno ispirati.
C’erano, rispetto a oggi, ben più gravi ragioni di tensione (basti pensare al terrorismo). Ma l’idea condivisa era che la politica fosse la più alta e la più importante delle forme espressive. La politica intimidiva anche i politici. Se niente più mette soggezione, si perdono le inibizioni, e il controllo delle parole ne risente.
(da repubblica.it)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
DA MANCUSO A BALDASSARRE FINO A SANTANCHE’
Chi si dimette in realtà è perduto. Questo spiega le epiche resistenze della politica italiana e i mille sottili espedienti per guadagnare tempo e non mollare. Dai rustici forchettoni democristiani all’elaborato centrotavola di Santanché è comunque la stessa zuppa alla mensa del comando. D’altra parte, in certe occasioni occorre essere realisti, è già tutto scritto in Machiavelli. Chi non avesse voglia di trovare conferma in quei diabolici testi, basta che guardi con gli occhi del cuore l’assai eloquente foto dei garanti della Privacy in formazione, l’uno al fianco dell’altro, tutti e quattro radiosi sullo sfondo di volumi rilegati in qualche esclusiva sede istituzionale.
Dicono bene, quei volti, la fatica, la fortuna, la soddisfazione di esserci, loro e non altri. E perché mai dovrebbero schiodarsi da
lì? Dimissioni mai, risuona l’antico motto. Puntuale come un orologio svizzero è giunto il Tg1, come accadde durante l’estrema e intrepida trincea di Sangiuliano, a raccogliere e propagare quel rifiuto e la sottostante verità, in gran parte inconfessabile.
E non solo o non tanto perché dietro l’imperiosa richiesta delle dimissioni aleggia l’ombra arcaica e crudele del sacrificio. No, più modestamente, ora che il sacrificio ha preso di vezzo di chiamarsi “passo indietro”, chi si dimette è perduto perché di colpo vengono a mancargli i fotografi, gli scatti in squadra e quell’estetica di conclamato splendore castale.
Una volta fuori dal giro, cessano le occasioni, le opportunità, l’orgoglio dei famigliari, l’ossequio dei condomini, i privilegi inaspettati, gli stipendioni, le vaste segreterie, le segretarie “dalle lunghe gambe”, come diceva quel maschilista di Pertini, i divanetti nelle anticamere, gli autisti, i telefonini, ovvero le ore liete del potere. Rassegnate le dimissioni, la vita diventa più difficile e costosa, come dimostrano le spesucce e i coupon che emergono nelle cronache, la pretesa di volare in classe superiore, millemiglia incluse, la carta di credito, il ristorantino, la bisteccona, le vacanze, il parrucchiere e dunque: perché mai dimettersi? Sarebbe un’ammissione di colpa, si sente dire con sospetta assiduità.
Perciò si rimane a oltranza, la riabilitazione affidata all’incerto e controverso futuro dei posteri come è accaduto al povero
Berlusconi di cui tutti o quasi hanno dimenticato la strenua e disperatissima resistenza alle lettere della Bce, ai colpi di sonno, allo spread che schizzava, alle liti con Tremonti, alle risatine all’estero, alle intercettazioni sulla patonza che deve girare, perfino a un enorme tapiro consegnato da Striscia la notizia a Palazzo Grazioli – ed era una trasmissione Mediaset!
Le dimissioni si danno e non si preannunciano, sosteneva De Gasperi, dopo tutto nato sotto gli Asburgo. Nella fase più matura della Prima Repubblica, eminentemente democristoide, chiamarsi fuori costituiva addirittura una violazione dell’ordine naturale, tanto che Antonio Gava, richiestovi a gran voce, aspettò di ammalarsi per cedere il Viminale: “Me lo ha richiesto Nostro Signore”. Nell’Italia contemporanea resistere, se non fa bene al welfare e al wellness, rianima la tribu d’appartenenza, rallegra l’umore di chi fa le nomine e celebra le conquiste del più bronzeo individualismo.
Ognuno poi ci mette del suo. Il presidente della Rai Baldassarre rimase incollato alla poltrona nonostante il consiglio d’amministrazione si fosse assottigliato fino a non entrare nemmeno “in una Smart”. Così come l’ostinazione dell’onorevole Villari, pd, richiesto di ritirarsi dalla Vigilanza per superiore pretesa veltroniana, prese le sembianze dell’imperturbabilità, poi del buonumore, quindi della burla, fino alla suprema rivelazione di un flirt in gioventù con Barbara D’Urso.
“In-fran-gi-bil-mente” sillabò in aulica lingua il ministro Mancuso contro i diktat di chi lo voleva “supino”, cioè fuori dal governo Dini. Idem il Governatore di Bankitalia Fazio, bersaglio di mille frecce, oltre che di una canzoncina del Gabibbo: “Co-co-come una cozza/ attaccato sta/ e chi lo schioderà?”. Vedi del resto la ministra Santanché, intercettata dai giornalisti nientemeno che a Gedda: “Non vedete come sto? In formissima”. Tutto questo, beninteso, in un tempo che come l’attuale ha superato ogni forma di vergogna – e più ci “mette la faccia”, si sente ripetere, più in realtà l’ha già perduta.
(da La Repubblica)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
TUTTI I PARTITI SONO D’ACCORDO: DOPO LE INCHIESTE DI “REPORT”, BISOGNA FARE PIAZZA PULITA NELL’AUTHORITY. E VISTO CHE NON HANNO INTENZIONE DI MOLLARE LA POLTRONA, TOCCA TROVARE UN ESCAMOTAGE
Sono tutti d’accordo, destra e sinistra, Giorgia Meloni ed Elly Schlein: di questo
Garante della privacy non ne possono più. Pasquale Stanzione & co. un giorno torneranno alle loro attività, ma il mandato dura sette anni e loro non se ne vogliono andare, come ha detto il numero uno dell’Authority al telegiornale Rai di massimo ascolto, il Tg1 delle 20.
E allora che si fa? Circola un’indicazione: «È sufficiente ridurre la durata della carica da sette a cinque anni». E visto che sono i “magnifici quattro” sono entrati a far parte del Garante della privacy nel luglio 2020, a quel punto risulterebbero già scaduti.
Anche avendo davanti un biennio con la vecchia regola dei sette anni, «per il quieto vivere e anche per dignità i nominati lascerebbero senz’altro il posto, dimettendosi. E bastano le dimissioni di due componenti per far saltare l’Authority», sono commenti che girano nei palazzi romani. Alcuni giuristi di chiara fama sono già al lavoro per preparare un testo blindato, studiato per evitare polemiche.
(da www.lettera43.it)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
SONO RISULTATI IN VIOLAZIONE DEL CODICE DI AUTOREGOLAMENTAZIONE
Sono otto i candidati impresentabili alle prossime elezioni regionali in Campania e Puglia. Nessuno per le votazioni in Veneto. È quanto emerge dalle verifiche svolte dalla Commissione parlamentare Antimafia e annunciati in commissione dalla presidente Chiara Colosimo, in merito alle violazioni del codice di autoregolamentazione.
Campania
Sono quattro gli impresentabili alle regionali in Campania che in base alle verifiche della commissione antimafia sono risultati in violazione del codice di autoregolamentazione: si tratta di tre candidati nelle liste che sostengono il centrodestra con la corsa di Edmondo Cirielli a governatore e uno per la candidatura di Roberto Fico, sostenuto dal campo largo.
Si tratta di Davide Cesarini, candidato al consiglio regionale della Campania per la lista “Democrazia Cristiana con Rotondi
Centro per la Libertà’, Luigi Pergamo, candidato al consiglio regionale della Campania per la lista “Pensionati Consumatori Cirielli Presidente”, Maria Grazia Di Scala, candidata al consiglio regionale della Campania per la lista “Casa Riformista per la Campania” e Pierpaolo Capri, candidato al consiglio regionale della Campania per la lista Unione di Centro, come comunicato dalla presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo.
Puglia
In Puglia sono risultati “in violazione del codice di autoregolamentazione” e quindi impresentabili altri quattro candidati al consiglio regionale. Si tratta di tre candidati nella lista FI-Berlusconi-Partito Popolare Europeo-Lobuono Presidente (Antonio Ruggiero, Paride Mazzotta e Pasquale Luperti) e di un candidato per la lista Alleanza Civica Per La Puglia (Marcello Cocco collegato al candidato governatore Sabino Mangano).
Altri candidati impresentabili sono stati individuati per le amministrative nei Comuni sciolti per mafia: Caivano, Monteforte Irpino, Acquaro e Capistrano.
(da agenzie)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
HANNAH ARENDT, CHE CRITICÒ IL MODO ‘INGIUSTO’ IN CUI VENIVANO TRATTATI I PALESTINESI, NON POTREBBE PIÙ PARLARE NELLA GERMANIA DI OGGI. STESSA COSA ALBERT EINSTEIN, CHE SI DICHIARÒ A FAVORE DI UNA SOLUZIONE DEI DUE STATI” … IN SINAGOGA È ESPLOSO IL CAOS, STANLEY NON HA POTUTO FINIRE IL DISCORSO
A marzo Jason Stanley è emigrato in Canada. Il filosofo di Yale, grande studioso di
fascismi, nipote di ebrei tedeschi emigrati da Berlino durante il Terzo Reich, si sentiva minacciato dalla repressione di Trump. «Questo è fascismo», aveva dichiarato allora, prima di accettare una cattedra a Toronto.
Ma il 9 novembre, in occasione della rimembranza del pogrom del 1938, Stanley è stato invitato nel Paese di origine della sua famiglia per tenere un discorso nella sinagoga di Francoforte. Il filosofo non è riuscito neanche a concluderlo: è stato invitato dagli stessi organizzatori ad abbandonare il tempio tra urla e contestazioni. La sua colpa: aver criticato Israele e soprattutto l’atteggiamento omertoso della Germania nei confronti del massacro di Gaza.
Nel suo discorso, Stanley aveva ricordato la storia della sua famiglia, costretta nel 1939 a fuggire a New York. […] Il filosofo aveva criticato la destra odierna come l’Afd che distingue tra tedeschi e ‘tedeschi da passaporto’, ossia i migranti naturalizzati. «La costruzione di una nazione basata sulla scelta di un nemico di razza, etnico, religioso o sessuale è la quintessenza del fascismo», aveva sottolineato. Il discorso era un manifesto in difesa del liberalismo, che i nazisti avevano sempre
odiato – anzitutto il giurista principe di Hitler, Carl Schmitt – e considerato un’invenzione degli ebrei.
Ma le prime contestazioni nella sinagoga di Francoforte sono arrivate durante i passaggi in cui Stanley ha cominciato a parlare di Israele. Suo padre – aveva ricordato il professore – rifiutava l’idea di uno Stato basato sulla religione, si sentiva solidale con i palestinesi «che avevano vissuto negli espropri e nelle perdite qualcosa di simile alla sua famiglia». Il filosofo aveva condannato il massacro del 7 ottobre e l’orribile antisemitismo che si è diffuso da allora. Ma aveva detto: «La critica agli orrori perpetrati da Israele nella Striscia di Gaza non è antisemitismo».
Lo studioso aveva tirato una bordata alla Germania, rea di voler ascoltare «solo le voci di chi sostiene incondizionatamente Israele».
Poi l’affondo: «Di fatto i tedeschi pretendono di decidere chi è ebreo e chi non lo è», cioè chi può criticare Israele e chi no. Per Stanley un fatto «offensivo», anzi: «da piccolo ho imparato che l’antisemitismo è questo». Tanto più insopportabile se proviene dai non ebrei «e in particolare dai tedeschi», aveva aggiunto.
Secondo Stanley, Hannah Arendt, che criticò a più riprese il modo «ingiusto» in cui venivano trattati i palestinesi, «non potrebbe più parlare nella Germania di oggi».
Idem Albert Einstein, che si dichiarò a favore di una soluzione dei due Stati. E il filosofo aveva rievocato il caso della scrittrice ebrea di origine russa Masha Gessen, cui è stato negato a
dicembre del 2023 un premio in Germania perché in un articolo sul New Yorker aveva paragonato Gaza al ghetto di Varsavia e aveva condannato il feticismo, la burocrazia del culto della memoria dei tedeschi.
In Germania vige il dogma dell’irripetibilità della Shoah: l’idea che nulla possa essere paragonabile al genocidio degli ebrei. Ma il “mai più” del 1945 significa anche, questo il senso dell’articolo di Gessen, che i tedeschi dovrebbero essere i primi a capire quando determinate atrocità rischiano di ripetersi.
Stanley non è mai riuscito a finire il suo discorso alla comunità ebraica: le urla e le proteste sono diventate insostenibili, tanto che il rabbino lo ha pregato di concludere. Il filosofo ha lasciato precipitosamente la sinagoga, ha detto alla Taz di essere “scioccato” dal trattamento riservatogli anche dagli organizzatori. Ma ha potuto pubblicare il suo discorso integrale sul quotidiano della città, la Frankfurter Allgemeine Zeitung.
La civilissima Germania, sul fronte del dibattito su Gaza non ha mostrato il suo volto migliore.
(da La Repubblica)
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Novembre 13th, 2025 Riccardo Fucile
UN GIUDICE DI TORINO HA ORDINATO ALLA FARNESINA DI SBLOCCARE IMMEDIATAMENTE L’IMPASSE
Quando qualche giorno fa Niccolò Califano, food blogger e già concorrente di Masterchef, ha condiviso con i suoi 500mila follower sui social la disperazione per non riuscire a vedere la fidanzata iraniana a cui l’ambasciata italiana non ha concesso il visto, non sapeva che a Torino una giudice aveva appena firmato una sentenza dirompente che riaccende le speranze di migliaia di giovani studenti iraniani: l’ordine al ministero degli Esteri di fissare immediatamente gli appuntamenti agli iscritti alle università italiane in modo tale da ottenere il visto entro il 30 novembre
L’ambasciata a Teheran, apparentemente senza motivo, avrebbe negato l’espatrio alla fidanzata di Califano. «Tutti i documenti sono a posto, ma sei iraniana», si sarebbe sentita rispondere la giovane. Che però, almeno, un appuntamento in ambasciata evidentemente era riuscito ad ottenerlo. A differenza di migliaia di altri giovani, tutti già pre-iscritti ad università italiane.
Dal ricorso di uno di loro, iscritto all’università di Genova, si scopre che, senza alcuna spiegazione e soprattutto senza alcun preavviso, quest’anno l’Ambasciata italiana in Iran ha limitato a soli otto giorni, dal 2 al 10 maggio, ed esclusivamente con proceduta telematica, la finestra per richiedere il visto per studio. Peccato che non lo sapesse nessuno e così la stragrande maggioranza degli interessati non ha potuto presentare la richiesta
È una scelta, quella del ministero degli Esteri, che la giudice di Torino Chiara Comune ha ritenuto illegittima e discriminatoria nei confronti degli studenti iraniani. Da qui, in accoglimento del ricorso patrocinato dagli avvocati Alberto Guariso, Livio Neri e Paola Fierro di Asgi, la sentenza che ordina al ministero degli Esteri di «fissare per tutti gli studenti iraniani che ne abbiano fatto richiesta un appuntamento per l’esame delle domande di visto entro il 30 novembre, in tempo utile per consentire l’ingresso in Italia in tempo per la frequenza dell’anno accademico».
La sentenza, dunque, nel giro di pochi giorni dovrebbe sbloccare l’impasse che sta tenendo lontani dall’Italia alcune migliaia di giovani iraniani. Sono circa tremila, ogni anno, gli studenti che arrivano da Teheran per studiare nelle università italiane.
Chissà che la riapertura delle porte dell’ambasciata non consente il riesame anche della domanda della fidanzata di Niccolò Califano. Lei non l’aveva avanzata perché iscritta ad un’università italiana. «Voleva andarsene da un paese dove i suoi
diritti non sono rispettati. Ma solo per un po’. Poi tornare — ha spiegato il food blogger — e invece non mi permettono di amare la mia ragazza iraniana. Ti sposo pure, così sei libera».
(da agenzie)
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