Dicembre 18th, 2017 Riccardo Fucile
NOVE LEGISLATURE, QUATTRO VOLTE MINISTRO… LE REAZIONI E IL CORDOGLIO
L’ex ministro Altero Matteoli è morto in un incidente stradale sulla via Aurelia, nei pressi di Capalbio. Uno scontro tra due auto che è avvenuto proprio su quell’antica strada tra Grosseto e Civitavecchia di cui in passato Matteoli si era occupato più volte mettendo in guardia dai “pericolosissimi incroci a raso” e lottando, quando era Ministro dei Trasporti del governo Berlusconi, per la costruzione della Tirrenica, il collegamento autostradale tra Livorno e Civitavecchia.
L’incidente è avvenuto oggi, nel primo pomeriggio, nei pressi della località Torba, nella maremma grossetana. Matteoli, 77 anni, viaggiava da solo a bordo di una Bmw ed era diretto a Cecina, la città in cui abita: in quel tratto l’Aurelia da una corsia si allarga e diventa a quattro corsie.
L’altra vettura, una Nissan con a bordo due persone, un uomo e una donna cinquantenni di Roma viaggiava in direzione opposta e per loro la strada da quattro passava a una sola corsia
Il senatore è stato estratto dalle lamiere dell’auto in fin di vita: i medici hanno tentato di rianimarlo sul posto ma non c’è stato nulla da fare.
I due feriti sono stati trasportati lui all’ospedale di Orbetello, lei che è in gravi condizioni, con l’elisoccorso all’ospedale di Siena.
Secondo una prima e ancora provvisoria ricostruzione sembra essere la Bmw di Matteoli ad aver invaso all’improvviso la corsia opposta.
“E’ una tragedia – ha spiegato il coordinatore Toscano di Forza Italia, Stefano Mugnai – dovevamo andare insieme a una cena di partito a Lucca e poi ancora il 19 a Montecatini. Abbiamo ovviamente sospeso ogni attività e ci stringiamo alla famiglia di Altero Matteoli. Ci conoscevamo da anni, per me è stato un maestro di politica, era bravissimo nelle trattative, raggiungeva sempre un accordo. Ci mancherà ”
“Il presidente Brunetta ci ha dato una notizia molto grave – ha detto il presidente della Commissione Banche Pierferdinando Casini nel corso dell’audizione del ministro Padoan – il senatore Altero Matteoli è deceduto in seguito a un incidente d’auto molto grave. E’ un amico grande di tutti noi. Siamo molto rattristati”.
Il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, dove è in corso l’esame della manovra, ha poi interrotto i lavori per annunciare la morte dell’ex ministro. Subito dopo, la commissione ha osservato un minuto di silenzio
Matteoli, nato a Cecina (Livorno) nel 1940, dall’8 maggio 2008 al 16 novembre 2011 è stato Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti nel governo di Silvio Berlusconi.
Dal 2006 al 2011 è stato sindaco del comune di Orbetello, in provincia di Grosseto. Aveva cominciato l’impegno nella politica a Pisa nel Msi, poi nel 1994 aveva aderito ad Alleanza Nazionale e nel 2013 a Forza Italia.
Era un sostenitore dell’autostrada Tirrenica, progetto che da anni suscita accese discussioni in Toscana, aveva anche proposto di alzare la velocità massima a 150 chilometri l’ora attirandosi le contestazioni dell’Associazione Familiari delle vittime della strada.
Sul luogo dell’incidente è arrivato anche il sindaco di Capalbio, Luigi Bellumori: “Voglio esprimere prima di tutto le mie condoglianze. Ci conoscevamo e abbiamo collaborato su alcuni progetti quando è stato sindaco di Orbetello”.
La notizia della morte è giunta a Palazzo Chigi durante la cerimonia della firma tra Governo e sindaci di 93 progetti per la riqualificazione delle periferie delle città . L’annuncio è stato dato dal sindaco di Catania Enzo Bianco.
I sindaci e il premier Gentiloni hanno osservato un minuto di silenzio e, dopo un lungo applauso, la cerimonia ufficiale è stata interrotta.
Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha espresso il suo personale cordoglio e quello del governo ai familiari. Di Matteoli il premier ricorda la passione politica, la coerenza del suo percorso, il profondo senso delle istituzioni.
Le reazioni. “Oggi perdo e piango un amico”, è stato invece il tweet del senatore di Ala Denis Verdini.
“Siamo addolorati e sconvolti per la morte improvvisa del senatore Altero Matteoli. In questo momento di dolore ci stringiamo alla famiglia, a cui vanno le nostre condoglianze” scrivono in una nota i vertici toscani di Fi: il deputato e responsabile comunicazione Deborah Bergamini, il coordinatore regionale Stefano Mugnai, il vicepresidente del Consiglio della Toscana Marco Stella e i vicecoordinatori regionali Massimo Mallegni e Jacopo Maria Ferri.
“Politico di spessore, sempre dalla parte della gente e del popolo – sottolineano – Altero Matteoli era un uomo di sintesi e di mediazione. Metteva la sua esperienza a disposizione del partito e dei giovani militanti e dirigenti. In questi giorni era coinvolto sul territorio toscano nelle numerose cene di auguri natalizi”.
Lo ricorda come “uomo sensibile, tessitore infaticabile, politico attento e pragmatico” Michela Vittoria Brambilla, ministro del Turismo nel governo Berlusconi IV, cordoglio è stato espresso anche dal presidente della Regione Lombardia Maroni.
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 28th, 2017 Riccardo Fucile
L’EX CONS. REGIONALE SASO E L’EX CONS. COMUNALE PRATICO’ DOPO OTTO ANNI A PROCESSO PER PROMESSA ELETTORALE AGGRAVATA, LA PRESCRIZIONE NON SCATTA
Sapevano di avere di fronte gli emissari della ‘ndrangheta in Liguria, secondo la Procura, e a loro si sono presentati per chiedere voti, promettendo in cambio vantaggi. A sette anni dai fatti, la Direzione distrettuale antimafia di Genova chiude le indagini su Alessio Saso e Aldo Praticò, rispettivamente ex consigliere regionale del Pdl e consigliere comunale candidato (non eletto) alle elezioni regionali del 2010.
L’accusa nei loro confronti è di promessa elettorale, reato aggravato dall’aver favorito un’organizzazione mafiosa.
Non è solo un passaggio burocratico, ma il nodo che tiene in piedi le accuse: senza l’aggravante sarebbero già prescritte; in questo modo l’orologio della prescrizione slitta al 2025.
La vicenda giudiziaria che vede coinvolti i due politici nasce con l’inchiesta antimafia «Maglio 3», coordinata dal pm Alberto Lari.
Un fascicolo che ha avuto esiti giudiziari controversi: gli imputati erano stati assolti in primo e secondo grado; poi la Corte di Cassazione ha ribaltato quei due verdetti, e ha ordinato un nuovo appello.
Le posizioni dei due politici erano state separate, e sono rimaste formalmente ancora in indagine fino a pochi giorni fa.
A entrambi vengono contestati incontri con boss di spicco della ‘ndrangheta, come Mimmo Gangemi, condannato in Calabria a 19 anni e 6mesi perchè ritenuto il rappresentante delle cosche in Liguria:
«Mimmo – diceva Praticò, in un’intercettazione con Gangemi – spiegagli bene come fare la ics sul mio nome… ti portassero dentro l’urna…». «Alessio, Alessio, Alessio – dice a Saso Vincenzo La Rosa, procacciatore di voti considerato vicino ai clan del Ponente – dalla nostra collaborazione escono mille voti, garantito al limone…».
E ancora: «Io – risponde Saso a La Rosa – nel mondo che conoscete anche voi, sono conosciuto anche come una persona affidabile. Se io dico una cosa, cerco di mantenere le promesse».
Aldo Praticò ha abbandonato la politica e oggi fa il broker assicurativo.
La sua replica arriva attraverso l’avvocato Giuseppe Maria Gallo: «Siamo molto stupiti da queste contestazioni. All’epoca dei fatti non esisteva un’associazione criminale riconosciuta sotto il profilo giudiziario a Genova».
Alessio Saso, difeso da Sabrina Franzone, dal 2015 è ritornato al suo lavoro di dipendente della Provincia di Imperia: «Dopo tutto questo tempo non so cosa dire, ho un ricordo sfumato di quegli episodi, non so nemmeno come mi difenderò. Questa vicenda mi perseguita. Come ho già detto in passato, sono stato un ingenuo, ma non sono mai stato colluso. Ho lasciato la politica anche per gli strascichi di questa vicenda, e i rischi che ho capito ».
(da “il Secolo XIX”)
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Marzo 12th, 2016 Riccardo Fucile
VETI E RIVALITA’ MAI SOPITE, LA FINE DELLA DESTRA ROMANA
Dal miracolo sfiorato del ’93 alla piaga nel deserto della diaspora del 2016.
Dal marciare compatti per «Fi-ni-sinda-co» alla balcanizzazione della «destr-utta» per dirla con Pietrangelo Buttafuoco.
Ai nipoti della Fiamma – da Amministrative ad Amministrative – a Roma si è ristretto lo spazio, in una città dove la destra non è mai stata un dettaglio nè pura testimonianza ma militanza diffusa e pezzo di storia tracciato sui muri e fissato sulle lapidi dei martiri.
Eppure, per la prima volta dalla fine della Prima Repubblica i postfascisti rischiano davvero di uscire dai titoli di apertura della Capitale, di risultare comparse, terzi nemmeno incomodi.
Del resto tra chi sostiene Guido Bertolaso, ex Dc con simpatie rutelliane; chi Alfio Marchini, costruttore e finanziere con il cuore – di famiglia – a sinistra (vedremo se avrà il portafogli a destra); chi la galassia di presunti candidati identitari, il gradino massimo del podio a cui aspirare rimane il terzo.
Eppure, quando ancora si chiamava Movimento Sociale italiano, ci fu un momento in cui la destra a Roma sognava unita la conquista in solitaria del Campidoglio, con Gianfranco Fini che al secondo turno perdeva con Rutelli ma con un partito che superava il 30%; un momento in cui – qualche anno dopo – le sezioni di An erano prese di assalto non dagli antifascisti ma dai cittadini per tesserarsi.
Era una stagione in cui a destra non mancava di certo lo scontro ma si risolveva (anche con le sediate in testa) all’interno del partito: prima «rautiani» contro «almirantiani» poi «sociali» contro «protagonisti», con le fazioni che se le davano però mettendo in campo anche contenuti, immaginario, miti.
Con la fine di An e la rapida implosione del Pdl, le truppe si sono tramutate in clan. Non prima, però, del colpaccio.
Nel segno di una unità «di scopo» si arrivò infatti alla vittoria impensabile: quella di Gianni Alemanno nel 2008, un postmissino al Campidoglio.
In quella notte, tra braccia levate in segno di vittoria, una comunità sembrava aver trovato finalmente l’occasione per ristabilire una pax tra le tribù: quelle che, fin dal Fronte della Gioventù degli anni ’80, si erano date battaglia.
E invece fu l’inizio della frammentazione: da una parte l’opposizione di Francesco Storace – da tempo in rotta con gli aennini – dall’altra la divaricazione («l’eterna lotta», come si dice tra chi conosce l’antropologia della destra romana) tra Colle Oppio e Trieste Salario, per dirlo con una metonimia.
È su questa direttrice che si innesta lo scontro tra le sezioni che vedono di casa rispettivamente la corrente di Fabio Rampelli, uomo-partito di Fratelli d’Italia, e Andrea Augello, già rautiano e oggi sponsor del civico Marchini dopo la parentesi in Ncd.
Se questo è il processo micro (all’interno del quale si innestano codici e ritualità irriducibili), dal punto di vista macro è la crisi tra Fini presidente della Camera e Silvio Berlusconi premier a rompere gli argini.
Venendo meno il riferimento nazionale le carte si sono rimescolate tra chi – mai finiano – seguirà l’ex leader in Fli, come Umberto Croppi, e chi – da ex colonnello finiano, come Maurizio Gasparri – resterà nel Pdl.
Col ritorno a Forza Italia la situazione si ingarbuglia: al centro nasce il partito di Alfano (al quale aderiranno diversi augelliani), a fine 2012 Giorgia Meloni e Fabio Rampelli avevano già fondato FdI.
Nemmeno i funerali a Roma diventano un momento di riconciliazione: a quello di Pino Rauti, ad esempio, Gianfranco Fini – l’avversario interno di sempre – fu duramente contestato e costretto ad andare via.
E nemmeno sul patrimonio storico comune – come il simbolo, la Fiamma – i contendenti risparmieranno i regolamenti di conti: l’assemblea della Fondazione An, infatti, altro non è stata che l’ennesima tappa del congresso «missino».
Si arriva così all’appuntamento centrale – Roma – in ordine che più sparso non si può: ragion per cui non stupisce più che un avversario di Storace come Fini sia uno dei suoi sponsor per il Campidoglio; che ex An come Barbara Saltamartini sia oggi tra le speaker di Matteo Salvini a Roma; che con Marchini si siano schierati pezzi importanti della comunità del Trieste Salario e che dietro al veto di FdI su Alfio non è difficile riscontrare anche le antichi ruggini dell’«eterna lotta».
Eppure negli ultimi giorni un’occasione di concordia c’è stata: la consegna del Premio intitolato a Pinuccio Tatarella – il ministro dell’Armonia scomparso nel 1999 – dove si sono incontrati Fini, La Russa, Gasparri, Matteoli. Foto di un’era fa.
Quando le sedie volavano in casa.
E per la destra non c’era niente «maggior di Roma…».
Antonio Rapisarda
(da “il Tempo”)
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Ottobre 30th, 2015 Riccardo Fucile
A DESTRA NASCE UN NUOVO CONTENITORE POLITICO NEL SEGNO DEI QUARANTENNI
I segnali si erano già avuti all’assemblea della Fondazione An, quando la mozione dei quarantenni appoggiata da Alemanno e Fini ebbe la peggio per 222 voti a 266 su quella della grande alleanza Meloni-La Russa-Gasparri- Matteoli.
Una sconfitta di misura che ha però rappresentato la consapevolezza che il binomio tra l’ex presidente di An e il suo colonnello potesse ancora rappresentare una fascia degli ex An e il conseguente desiderio di coltivare questa base.
Da qui il progressivo distacco degli uomini di Alemanno da “Fratelli d’Italia” e le sue dichiarazioni sempre più critiche verso l’isolamento della Meloni e la sua deriva lepenista e salviniana.
Un altro segnale lo aveva dato Gianfranco Fini pochi giorni fa quando, ospite della Gruber, un po’ a sorpresa non aveva escluso un suo ritorno in campo a tempo pieno.
Il progetto è stato messo a punto durante una riunione a Roma 48 ore fa e doveva rimanere segretato fino a fine prossima settimana, quando diventerà ufficiale e presentato alla stampa.
Che sia in stato avanzato lo dimostra il nome scelto, Azione Nazionale, che ricalca la sigla AN, e il fatto che si sta già lavorando sul simbolo.
L’intesa Fini-Alemanno permetterebbe di unire la esposizione mediatica del primo alla presenza territoriale organizzativa del secondo.
Sullo sfondo, la cordata dei quarantenni che hanno bagnato le polveri all’assemblea dlla fondazione An, per lo più dirigenti locali che credono nella necessità di un rinnovamento dela destra italiana.
Nodi da risolvere restano sia il progetto politico, anche perchè tra Fini e Alemanno rimangono posizioni differenti su diversi temi, che la forma che andrà ad assumere nel tempo questa loro iniziativa comune, destinata a suscitare, come sempre a destra, discussioni e polemiche.
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Ottobre 5th, 2015 Riccardo Fucile
STOP AL NUOVO PARTITO, MEGLIO RESTARE A FARE LA BADANTE DI SALVINI E BERLUSCONI
È il ritorno dei “colonnelli”, dieci anni dopo. Gasparri, La Russa, Matteoli, stavolta tornati insieme per un solo giorno, giusto per sconfiggere (ancora una volta) il fantasma di Gianfranco Fini tornato ad aleggiare dietro il progetto di rifondare la destra.
Con lui, alla resa dei conti finale nell’assemblea della Fondazione An, il grande perdente è l’alleato Gianni Alemanno.
La due giorni decisiva sui destini del simbolo di An e dei 180 milioni di euro di patrimonio ( 50 in liquidità , il resto in cento immobili) ha un esito a sorpresa.
Lo scrutinio di ieri sera all’hotel Midas si chiude con la vittoria della mozione targata Fratelli d’Italia ( Meloni-La Russa) col sostegno dei forzisti Gasparri e Matteoli, appunto, che ha incassato 266 voti su 490 votanti, contro i 222 dei cosiddetti “quarantenni”, dietro i quali si muovevano appunto gli uomini di Fini.
Da Italo Bocchino a Roberto Menia, ma in sala si sono visti ieri anche la storica segretaria dell’ex leader, Rita Marino, e Flavia Perina, oltre ad Aleamanno e ai suoi, appunto.
Risultato: il partito della Meloni potrà continuare ad utilizzare il simbolo di An, ma si impegna a convocare un nuovo congresso, che si terrà prima delle amministrative.
E i soldi? Chi mette le mani sul bottino? Nessuno. O meglio, tutti.
Le decine di milioni di euro potranno essere utilizzati solo per finalità culturali, come in teoria è accaduto finora. In nessun modo la Fondazione potrà promuovere invece la nascita di un nuovo partito.
Trentasei ore per sancire ancora una diaspora, insomma, la lite a destra che non finisce mai e che può competere ormai solo con quella socialista.
Mozioni, contro mozioni, riunioni notturne e scintille.
Come quando nella notte tra sabato e domenica le due “fazioni” in lotta sono a un passo dall’accordo, La Russa smussa il suo documento di mediazione per convincere Alemanno e i finiani a rinunciare al loro.
Finchè alle 4,30 del mattino Menia rientra in sala dopo una telefonata che i bene informati (o i maliziosi) attribuiscono proprio a Gianfranco Fini e dice che loro rinunciano all’accordo, vogliono andare alla conta.
Sono convinti di spuntarla e di far proprio l’intero piatto. Si va al muro contro muro.
Dal palco del Midas in mattinata La Russa accusa i sei quarantenni firmatari della mozione di essere dei “manichini”, in sostanza dei prestanome dei veri registi dell’operazione, Fini e Alemanno.
L’ex sindaco di Roma perde le staffe, si alza e va a urlare sotto la tribuna, «non ti devi permettere di nominarmi». Seguono scuse e chiarimenti, ma il clima resta tesissimo.
Parlano Gasparri e Matteoli, ritirano la loro mozione pur di schierarsi con Fdi e sconfiggere Fini. Così pure Andrea Ronchi.
Giorgia Meloni prevede la sconfitta, non si presenta nemmeno e a ora di pranzo tira bordate dall’esterno: «La mia destra non è quella di Alemanno e di Fini e di chi vuole dilaniare per avere un ruolo».
Poi la votazione alle 19 e il colpo di scena. La Russa gongola: «Tocca a noi di Fdi adesso riaggregare la destra, faremo un congresso, cambieremo anche nome se necessario, il simbolo resta nella nostra disponibilità “.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
FINISCE 266 A 222 LA COMPETIZIONE AMATORIALE DEL MUSEO DELLE CERE… I QUARANTENNI NON CE LA FANNO, IL SIMBOLO DI AN RESTA ALLA GRANDE SORELLA
Alla fine della conta, tutto rimane così com’è e l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, incassa la sconfitta.
Passa infatti la mozione di Fratelli d’Italia all’assemblea dei soci della Fondazione An: una riunione che va avanti da ieri all’hotel Midas di Roma tra tensioni continue, accordi mancati e frenesie.
La proposta, intitolata Fondazione per l’Italia, supera infatti la ‘mozione dei quarantenni’ incassando 266 sì su 490 votanti, superando il quorum dei 246 voti.
Per la ‘mozione dei quarantenni’ i voti sono stati invece 222.
Con la prevalenza della mozione Fdi, il partito guidato da Giorgia Meloni potrà continuare ad utilizzare il simbolo di An.
Se avesse vinto la cordata dei ‘quarantenni’, infatti, Fratelli d’Italia avrebbe dovuto dire addio al simbolo di An e appoggiare un congresso per la creazione di un nuovo partito della destra sotto l’egida della Fondazione medesima.
A spuntarla sul filo di lana, invece, è stata la linea Gasparri-Matteoli-La Russa contro i quarantenni, Alemanno e Bocchino.
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Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
TENSIONE IN ASSEMBLEA E SULL’USO DEL SIMBOLO DI AN DA PARTE DEI FRATELLI D’ITALIA
Sembra un remake di un film già visto. I vecchi colonnelli di An schierati l’uno contro altro a colpi di mozioni e numeri di delegati. E, nell’ombra, l’ingombrante figura di Gianfranco Fini che rischia di allontanare ogni possibilità di intesa.
Sì, perchè è proprio il ruolo che sta giocando l’ex presidente della Camera – o meglio, i suoi fedelissimi all’assemblea – quello che alla fine potrebbe far cadere il faticosissimo accordo sul quale ormai da giorni sta lavorando Ignazio La Russa.
Ieri, il primo giorno dell’assemblea della Fondazione Alleanza Nazionale che culminerà oggi con il voto dei delegati, era la raffigurazione plastica della spaccatura. Di fronte alla sala dell’assemblea, un corridoio con due stanze: a sinistra quella dei «quarantenni» (sostenuti da alemanniani e finiani) che spingono per far nascere un nuovo partito unico della destra sotto l’egida della Fondazione; a destra quella dei Fratelli d’Italia, che rivendicano il loro diritto a rappresentare l’eredità del partito di Fiuggi.
Sul tavolo la «linea» di La Russa: un congresso «rifondativo» di FdI (che manterrebbe nel proprio logo lo storico simbolo con la Fiamma) da convocare entro il 5 aprile (in tempo per compilare le liste per le Amministrative) a cui avrebbero diritto di partecipare due delegazioni «paritarie»: dieci membri della segreteria scelti da Fratelli d’Italia, altri dieci scelti dalla Fondazione.
L’intesa su questo schema sembrava fatta nella notte di venerdì. Ma la mattina di sabato scombina i piani.
Alemanniani e finiani danno uno sguardo alla sala: dei circa 350 presenti (sui 580 aventi diritto) la maggior parte è schierata con loro. È l’occasione per provare a forzare la mano. Viene fatta circolare una nuova bozza di mozione che prevede di togliere il simbolo di An a Fratelli d’Italia e di creare un’associazione politica sotto l’egida della Fondazione. È il segnale della rottura.
Sale il nervosismo tra i meloniani, anche se c’è chi garantische che «domani (oggi, ndr) arriveranno centinaia dei nostri e i numeri torneranno in parità ».
Giorgia abbandona l’assemblea intorno alle 17 ma le consegne lasciate ai suoi sono chiare: «Siamo già arrivati all’ultima mediazione possibile. Se loro non la accettano, andiamo alla conta».
L’altro fronte, invece, non sembra più così compatto. Perchè i «quarantenni», e con loro Alemanno, cercano di evitare la rottura o fanno filtrare che, anche in caso di «vittoria» nelle votazioni, si rimetterebbero subito al tavolo con Fratelli d’Italia.
Ma la componente finiana è molto più agguerrita. Non ha mai digerito lo schiaffo subìto nell’assemblea di due anni fa nè l’isolamento a cui è stata costretta dopo lo strappo di Futuro e Libertà . E ora pare intenzionata a vendicarsi. «Non molliamo» si infervorano i fedelissimi di Gianfranco, «abbiamo la maggioranza».
Per farne cosa? «Vogliono toglierci il simbolo – racconta un meloniano – e rifare An tale e quale. E rimetterci dentro Fini. Una cosa che nel partito di Giorgia non sarebbe mai possibile».
E, d’altronde, qualche settimana fa era proprio l’ex presidente della Camera a «cinguettare» su Twitter: «L’unica cosa che voglio, è avere un luogo in cui poter esprimere le mie idee».
Lo troverà ? Lo si scoprirà oggi, quando la consegna delle mozioni svelerà se si è arrivati all’intesa o all’ennesima resa dei conti del congresso infinito degli ex An.
Carlantonio Solimene
(da “il Tempo”)
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Ottobre 4th, 2015 Riccardo Fucile
INUTILE TIRARE UNA COPERTA CORTA, VA LIBERATO L’ARMADIO DALLE TARME
Proprio non mi piace l’idea della “mediazione” tra i “meloniani” ed i “riformatori” quale criterio per la composizione della contrapposizione in seno alla coeva Assemblea della Fondazione di AlleanzaNazionale.
Il principio secondo cui una “ampia destra” dovrebbe coagularsi intorno a FdI, lo trovo, non soltanto assurdo, ma addirittura ridicolo.
Questione di idee, di visioni, di valori ed anche di persone.
FdI è una versione confusa e confusionaria di destra. Non ha proprio nulla di quello che è stato il patrimonio culturale ed ideale di Alleanza Nazionale e volere, a tutti i costi, farlo diventare il punto di riferimento prevalente per la costruzione di una “casa comune”, è cosa davvero fuori luogo.
Ove mai fosse sfuggito, FdI “non vola”, sia per le idee (che altro non sono che una mera duplicazione delle posizioni di Salvini – a loro volta, per buona parte mutuate dalla le Pen) ma anche per il presunto leader.
La Meloni è una “brava citta”: nulla di più.
Un leader ha ben altre qualità e, soprattutto, ha carisma. Insomma, se davvero, alla fine “dei giochi” (e mi riferisco all’assemblea della Fondazione di AN), si dovesse optare per rinviare tutto al prossimo congresso di FdI, con la partecipazione numericamente paritaria di “meloniani” e “riformatori”, la “cosa” davvero sarebbe ridicola.
FdI si è tanto vantata di aver “fatto le primarie”. Si, ma quali primarie?
Il Presidente non si poteva votare (lo si poteva soltanto “accalmare: “correva da sola”). I delegati “al congresso” furono eletti, non si sa bene in base a quale percorso logico e/o di merito se è vero, com’è vero, che in nessuna pseudo-sezione di FdI era dato incontrarli e/o ascoltarne le idee e le proposte.
Ed anche sulla scelta del simbolo del Partito (la Fiamma la volevano ad ogni costo, anche se a nulla è valso, però), la pantomima di consumò tutta.
Insomma, Fratelli d’Italia è un capitolo da chiudere: coagulare “tutto” intorno a questo prodotto confuso e confusionario non servirebbe proprio a nulla, come peraltro imostrato dai pessimi risultati elettorali degli ultimi anni.
La Fondazione Alleanza Nazionale si dia il coraggio delle scelte ardite e dia l’inizio ad una nuova fase politica: il resto è – e resterà ! – soltanto noia.
E lasciate stare le iniziative culturali o i “giornaletti”.
Capisco che qualcuno sia “a spasso” e che lo dovrà pur trovare un modo per procurarsi un stipendio, ma farlo coi soldi di chi, negli anni, ha “donato i propri beni ed i propri sacrifici alla causa” di una politica di destra, mi sembra davvero indegno.
Sarò oltremodo critico, lo so: ma almeno sono vero.
Non voterò mai per chi non è all’altezza del compito. Chi non merita deve starsene a casa o ritornarci presto.
Salvatore Castello
Right Blu – La Destra Liberale
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Ottobre 3rd, 2015 Riccardo Fucile
TENSIONE DAVANTI ALL’HOTEL DOVE SI SVOLGEVA LA RIUNIONE CON LANCIO DI BANCONOTE (FINTE): QUELLE VERE NESSUNO RIESCE A PRENDERLE (PER ORA)
Nel pomeriggio un centinaio di militanti di Forza Nuova e del Movimento Sociale Europeo hanno assaltato l’hotel dove era in corso la riunione dei membri della Fondazione.
I quali, secondo i militanti, sarebbero colpevoli di essere interessati soltanto al patrimonio economico ereditato dal Movimento Sociale Italiano
“Ci sono moltissime sedi romane dell’Msi chiuse o in procinto di chiudere, mentre loro si spartiscono i fondi ricavati dalle donazioni”, spiega infatti, Roberto Fiore, leader di Forza Nuova, presente alla manifestazione, “così abbiamo deciso di lanciare una campagna per occupare tutte le sedi che sono attualmente vuote, al fine di dare nuovo valore all’eredità lasciataci dal Movimento Sociale”.
Cosa c’entri Forza Nuova con il patrimonio della Fondazione An peraltro non è chiaro.
Tra le sedi a rischio sfratto c’è anche quella storica di via Ottaviano 9, in zona Prati, sede del Movimento Sociale Europeo, che sta per essere trasformata in un bed and breakfast proprio per mancanza di fondi.
Ed è anche per questo che il gruppo di militanti si è scagliato contro i membri della Fondazione. “Siamo stufi di questi politici che pensano solo ai soldi e non al patrimonio umano e ideale dell’Msi” ha concluso Alfredo Iorio, a capo della sezione di Via Ottaviano.
Al grido di “andate a lavorare” i militanti hanno quindi lanciato contro i partecipanti all’assemblea false banconote da 100 euro, sventolando delle bandiere di Alleanza Nazionale “bucate”, dalle quali è stato ritagliato, appunto, proprio il logo del partito. Tra i manifestanti e alcuni membri della fondazione, infine, è volato anche qualche spintone.
Domani forse si replica: Almirante, Rauti, Romualdi e Niccolai si rivolteranno nella tomba.
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