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FOTI NON SA PIU’ CHE FARE PER NASCONDERE IL DISASTRO DEL GOVERNO SUL PNRR. IL SUCCESSORE DI FITTO È INCARTATO SUL RECOVERY, MA I FATTI E I NUMERI SONO CHIARI: BRUXELLES NON CONCEDERÀ UNA PROROGA ALLA MESSA A TERRA DEL PIANO, MENTRE LA SPESA CONTINUA AD ARRANCARE

Maggio 12th, 2025 Riccardo Fucile

APPENA 65 MILIARDI SU 194 INCASSATI, IL 33,8% DEL TOTALE… FOTI IPOTIZZA DI SPOSTARE 14 MILIARDI DI FONDI DEL PNRR PER FORNIRE INCENTIVI ALLE IMPRESE COLPITE DAI DAZI AMERICANI. UN’OPZIONE CHE PERÒ NON PIACE ALLA COMMISSIONE UE

La proroga non la avremo, la spesa continua ad arrancare, la (seconda) revisione generale per cancellare i progetti che non saranno mai completati e assegnarne le risorse ad altri è sparita nonostante se ne parli da quando al ministero c’era ancora Raffaele Fitto: è assai probabile, insomma, che tra 14 mesi il governo Meloni non sarà più in grado di nascondere il disastro del Pnrr come fa oggi, tenendo all’oscuro delle novità persino il Parlamento.
Cominciamo dalla scadenza del 30 giugno 2026 (più altri due mesi per la rendicontazione): “I tempi indicati sono quelli e non possono essere modificati”, ha spiegato venerdì Raffaele Fitto, ex ministro del Pnrr che oggi
detiene quella delega nella Commissione europea; “bisogna togliersi dalla testa l’idea della proroga”, era sbottato un paio di giorni prima il successore di Fitto al governo, Tommaso Foti.
Forse parlava ai suoi colleghi visto che a proporre la proroga per primo è stato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. C’è un motivo, nonostante la propaganda dell’esecutivo sui record dell’Italia in materia di Piano di ripresa, se si continua a parlare di spostarne la scadenza: siamo in ritardo e lo siamo sulla cosa più importante.
Se finora siamo andati bene su target, milestone e riforme (alcune deleterie come la fine del mercato tutelato dell’energia), è la spesa che continua ad andare male: al 28 febbraio quella dichiarata sulla piattaforma ufficiale del governo era 65,7 miliardi, il 33,8% del totale (194 miliardi e spiccioli).
La progressione negli ultimi quattro mesi registrati è inferiore ai due miliardi al mese, largamente insufficiente a completare il Piano (un po’ meglio, ma non abbastanza, vanno i pagamenti effettivi).
Per questo, cioè per evitare il disastro, serve una nuova revisione generale del Pnrr dopo quella che il governo Meloni ha ottenuto dalla Commissione europea nel 2023.
Fitto la dava per pronta già in autunno, quando abbandonò Roma per Bruxelles, il suo successore Foti l’ha annunciata per febbraio, poi “per i primi di marzo” e siamo ancora qui ad aspettarla: il Parlamento martedì ha votato una mozione che impegna il governo “ad assicurare un adeguato coinvolgimento delle Camere con riguardo alla nuova proposta di aggiornamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ove effettivamente necessaria”.
Il ministro Foti ha fatto sapere non ufficialmente che i progetti da definanziare – e magari spostare sui Piani di sviluppo e coesione – ammontano a circa 14 miliardi e che quei fondi potrebbero essere impiegati per fornire incentivi alle imprese penalizzate dai dazi americani: un utilizzo che però non incontra i favori della Commissione Ue.
(da “il Fatto quotidiano”

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UN’ALTRA PRESA PER I FONDELLI: IL REDDITO DI LIBERTA’, AL MASSIMO 500 EURO PER LE DONNE VITTIME DI VIOLENZA, MA I FONDI STANZIATI POSSO SODDISFARE SOLO 1.666 VITTIME

Maggio 12th, 2025 Riccardo Fucile

UNA CIFRA IRRISORIA MENSILE VALIDA SOLO PER UN ANNO E UNO STANZIAMENTO RIDICOLO DI 10 MILIONI TOTALI

Da oggi, lunedì 12 maggio, è attivo il servizio dell’Inps per la presentazione delle nuove domande per il Reddito di libertà, il contributo economico, che può arrivare fino a 500 euro al mese, destinato alle donne vittime di violenza, che siano seguite dai centri antiviolenza e dai servizi sociali.
Cos’è il Reddito di libertà
Il Reddito di libertà è un contributo economico che può arrivare fino a un valore di 500 euro al mese, per un massimo di dodici mesi, pensato per sostenere le donne vittime di abusi nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
I soldi, che verrebbero erogati in un’unica soluzione, quindi fino a un massimo di seimila euro per l’intera annualità, dovrebbero aiutare le donne a recuperare la propria indipendenza, soprattutto economica, favorendo quindi l’autonomia abitativa e personale e il percorso scolastico e formativo dei figli minori.
Chi può avere il Reddito di libertà e quali sono i requisiti
Possono richiedere il Reddito di libertà tutte le donne vittime di violenza, che siano seguite da centri antiviolenza e servizi sociali, e che presentino domanda in Comune. «Le domande – si legge sul sito dell’Inps – devono essere presentate per il tramite dei Comuni di riferimento, ossia dal Comune nel cui ambito è avvenuta la presa in carico da parte del centro antiviolenza e del servizio sociale, a prescindere che in tale Comune la donna abbia fissato la residenza o il domicilio».
Sarà poi il Comune stesso a inoltrare la domanda all’Inps. Basta essere residenti nel territorio italiano (anche con permesso di soggiorno), ed essere in condizione di povertà, legata a uno stato di bisogno straordinario o urgente, accertato dal servizio sociale professionale di riferimento territoriale.
Il rappresentante legale del centro antiviolenza che ha preso in carico la donna avrà poi il compito di attestare il percorso di emancipazione e autonomia intrapreso.
Quali domande verranno accolte
Le domande verranno accettate entro i limiti dei soldi stanziati dal governo (10 milioni di euro), sulla base delle risorse disponibili a livello regionale, in ordine di presentazione delle richieste. Come si legge dal sito dell’Inps, infatti, «quelle presentate nel 2025, comprese quelle ripresentate entro il 18 aprile 2025, restano valide fino al 31 dicembre 2025».
(da agenzie)

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CHIESTO IL PROCESSO PER IL SINDACO DI VENEZIA BRUGNARO

Maggio 12th, 2025 Riccardo Fucile

E’ ACCUSATO DI CONCORSO IN CORRUZIONE

La Procura ha formulato al gip la richiesta di rinvio a giudizio per il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e per gli altri indagati (erano in tutto 34) nell’inchiesta per corruzione, denominata “Palude”, che ha coinvolto il Comune della città lagunare.
Nella richiesta al gip, i pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini confermerebbero l’impianto accusatorio principale, con le ipotesi di corruzione nei confronti di Brugnaro, dei direttore generale e del vicecapo di gabinetto di Cà Farsetti, Morris Cerron e Derek Donadini, e dell’ex assessore Renato Boraso.
La vicenda che coinvolge Brugnaro riguarda le trattative con l’imprenditore di Singapore Chiat Kwong Ching per l’area dei “Pili” alle porte di Venezia, di proprietà dello stesso Brugnaro, e il blind trust che gestisce il patrimonio che il sindaco creò quando venne eletto.
Tra le molteplici accuse mosse a tutti gli indagati spiccano proprio quelle mosse al sindaco, ovvero il concorso in corruzione che coinvolge anche il magnate di Singapore Ching Chiat Kwong e i suoi collaboratori in merito alla vicenda della vendita, mai portata a termine, di 41 ettari dell’area di Pili che si affacciano dalla terraferma sulla laguna.
Area acquistata da Brugnaro da imprenditore, prima di diventare sindaco, per 5 milioni di euro e ora intestata alla società Porta di Venezia ed entrata, come tutti i beni del sindaco in un blind trust nel 2017 per sfuggire alle polemiche su possibili conflitti di interessi.
(da agenzie)

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NAUFRAGIO DI CUTRO, IL PROCESSO SI APRE TRA LE POLEMICHE PER LA DECISIONE DELLA REGIONE CALABRIA DI COSTITUIRSI PARTE CIVILE

Maggio 12th, 2025 Riccardo Fucile

CRITICI I SINDACATI DEI MILITARI IMPUTATI: SONO SEI TRA GUARDIA COSTIERA E GUARDIA DI FINANZA… MA DOVE STAREBBE “LA MINACCIA ALLA GARANZIA DI UN GIUSTO PROCESSO” LO SANNO SOLO LORO

Il processo per i mancati soccorsi al caicco naufragato a Cutro il 26 febbraio del 2023 si apre tra le polemiche. Ai sindacati dei militari che vedono sei dei loro uomini e donne tra guardia costiera e guardia di finanza sul banco degli imputati non è andata giù la decisione della Regione Calabria che questa mattina, come annunciato nei giorni scorsi, si è costituita parte civile in apertura di udienza preliminare su proposta del presidente Roberto Occhiuto.
L’Usim, l’unione sindacale italiana della Marina, ha espresso tutto il suo disappunto per la costituzione di parte civile definendo il gesto di Occhiuto una “minaccia alla garanzia di un giusto processo nei confronti di sei servitori dello stato imputati per fatti avvenuti in servizio”. Ritenendo “prioritario che l’accertamento delle responsabilità avvenga in modo imparziale, soprattutto per un evento così drammatico – scrivono i sindacati dei militari – ci auguriamo che non ci siano ingerenze di natura esterna allo svolgimento del processo penale”.
Sono 113 le costituzioni di parte civile presentata alla gup Elena Marchetto che deciderà nella prossima udienza del 26 maggio.
Ci sono i familiari delle oltre 100 vittime e i superstiti della strage, Arci, Codacons, Emergency, SOS Humanity, Sea Watch, Luis Michel, SOS Mediterranee Italia, Mediterranea e l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI). Presenti in aula per la prima volta gli imputati a carico dei quali sono ipotizzate pesanti responsabilità a carico degli ufficiali e sottoufficiali che quella notte, pur avendo ricevuto da Frontex la segnalazione di un caicco in navigazione verso la Calabria sulla rotta battuta dai migranti che provengono dalla Turchia, non ritennero di intervenire nonostante le condizioni meteo proibitive che portarono sei ore dopo il caicco a schiantarsi sulla secca di Cutro.
La decisione ufficialE sul rinvio a giudizio è attesa per il 9 giugno.
(da agenzie)

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LA BUFALA DEL SACCHETTO DI COCAINA SUL TAVOLO DELL’INCONTRO TRA MACRON, STARMER E MERZ

Maggio 12th, 2025 Riccardo Fucile

LE SOLITE TEORIE DEMENZIALI SOVRANISTE PER SCREDITARE GLI AVVERSARI: ERA SOLO UN FAZZOLETTO DI CARTA

Venerdì 9 maggio il presidente francese Emmanuel Macron si è recato a Kiev insieme al cancelliere tedesco e al primo ministro britannico per sostenere l’Ucraina e proporre un cessate il fuoco a Vladimir Putin. Ci sono delle immagini dei leader sul treno notturno che li portava in Ucraina, dato che insieme a Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Keir Starmer viaggiavano anche diversi fotografi. E proprio alcune delle immagini realizzate durante quel viaggio stanno rimbalzando in queste ore sui social per alimentare una teoria: ovvero che il presidente francese avrebbe avuto tra le mani un sacchetto di cocaina.
Una teoria prontamente smentita dal quotidiano Liberation, che ha “risposto” ai vari tweet con immagini di qualità non ottimale apparsi su X. In questi video pubblicati sui social si vede davanti a Macron un oggetto bianco che secondo qualcuno potrebbe essere un sacchetto di cocaina che il presidente ben presto nasconde. E ancora, c’è anche chi ha parlato di un altro oggetto davanti a Merz come di un accessorio necessario proprio per consumare droga.
“Macron, Starmer e Merz ripresi in un video al loro ritorno da Kiev. Un sacchetto di polvere bianca sul tavolo. Macron lo infila velocemente in tasca, Merz nasconde il cucchiaino. Nessuna spiegazione. Zelensky, noto appassionato di cocaina, li aveva appena ospitati. Tutti e tre i leader sembrano
completamente sconvolti”, recita uno dei tanti tweet pubblicati.
“Una serata a base di cocaina tra amici?”, si chiede un altro utente condividendo i video di pessima qualità.
Ma a smontare questa teoria e spiegare cos’era quell’oggetto bianco che Macron mette via ci pensa appunto Liberation fornendo una spiegazione. L’oggetto bianco, già presente sul tavolo quando Macron entra nel vagone, è un fazzoletto di carta appallottolato.
Il leader francese lo toglie dal tavolo quando gli operatori presenti iniziano a realizzare video e foto. Mentre quello davanti a Merz sarebbe semplicemente uno stuzzicadenti o una paletta per il caffè.
(da Fanpage)

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GLI SLOVACCHI NON VOGLIONO DIVENTARE UTILI IDIOTI DI MOSCA : MIGLIAIA DI PERSONE SONO SCESE IN PIAZZA CONTRO QUEL FIGLIO DI PUTIN DEL PRIMO MINISTRO ROBERT FICO, UNICO LEADER DELL’UE A PARTECIPARE ALLA PARATA MILITARE DEL 9 MAGGIO IN RUSSIA

Maggio 12th, 2025 Riccardo Fucile

GLI SLOGAN: “LA SLOVACCHIA È EUROPA”, “NE ABBIAMO ABBASTANZA DI TE, RESTA LÌ” – FICO HA VINTO LE ELEZIONI NEL 2023 E INSIEME A ORBAN RAPPRESENTA LA QUINTA COLONNA DI “MAD VLAD” IN EUROPA

Migliaia di manifestanti si sono riuniti venerdì nella capitale slovacca, Bratislava, per esprimere la loro opposizione alla recente visita del primo ministro Robert Fico in Russia.
Fico è stato l’unico leader di un Paese dell’Unione europea a partecipare alle celebrazioni a Mosca per l’80esimo anniversario della vittoria sulla Germania nazista nella Seconda Guerra Mondiale.
“Ne abbiamo abbastanza di Fico”, “la Slovacchia è Europa”, e “resta lì”, sono stati alcuni degli slogan scanditi dai manifestanti riuniti in Piazza della Libertà a Bratislava. Gli organizzatori hanno dichiarato che Fico non rappresenta l’intera Slovacchia.
Le manifestazioni a Bratislava e in altre città slovacche sono state le ultime di una serie di proteste scatenate dal recente viaggio di Fico a Mosca, dove ha incontrato Putin per discutere delle forniture di gas previste per dicembre.
Figura controversa sia a livello nazionale che internazionale, Robert Fico è tornato al potere nel 2023, quando il suo partito di sinistra Smer ha vinto le elezioni parlamentari facendo leva su sentimenti filorussi e anti-americani.
Rinomato per la sua posizione favorevole al Cremlino, si è pubblicamente opposto alle politiche dell’Unione europea sulla guerra in Ucraina.
La sua amministrazione ha suscitato forti proteste per il suo orientamento filorusso e per l’approccio sempre più euroscettico. Fico ha più volte ripreso la retorica anti-Ue e minacciato in diverse occasioni di ritirare la Slovacchia dalla Nato.
(da agenzie)

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ECCO PERCHÉ LA MELONI È TAGLIATA FUORI DAL TAVOLO DELLE TRATTATIVE DI PACE TRA RUSSIA E UCRAINA: SE N’È FREGATA DI KIEV

Maggio 12th, 2025 Riccardo Fucile

IL VALORE ECONOMICO DEL SOSTEGNO MILITARE ITALIANO NEI CONFRONTI DI KIEV È PARI A SOLO LO 0,07% DEL NOSTRO PIL (È UGUALE A L’IMPEGNO DELLA GRECIA. PEGGIO DI NOI SOLO L’AUSTRALIA, CON LO 0,06%) … L’EUROPA HA AIUTATO L’UCRAINA PIÙ DI QUANTO VENGA RACCONTATO, CIOÈ CON 202,6 MILIARDI DI EURO A FRONTE DEI 119 MILIARDI STANZIATI DAGLI STATI UNITI (PARI A SOLO LO 0,3% DEL PIL USA)

Negli ultimi tre anni, non solo le cause della guerra in Ucraina, ma anche l’origine e l’entità degli aiuti internazionali sono state oggetto di disinformazione. Nei circoli filo-russi e tra coloro contrari all’assistenza a Kyjiv si è diffusa una narrazione conveniente per chi parla di «guerra per procura» tra Stati Uniti e Russia: l’idea che l’Europa abbia avuto un ruolo marginale, lasciando agli americani il peso principale del supporto militare.
Questo racconto, oltre a essere fuorviante, serve anche a giustificare l’esclusione dell’Unione Europea e del Regno Unito dai negoziati tra Donald Trump e Vladimir Putin. Tuttavia, i numeri raccontano un’altra storia. I Paesi dell’Ue e le istituzioni comunitarie hanno contribuito con oltre la metà dei circa quattrocento miliardi di euro destinati all’Ucraina, impegnando 202,6 miliardi, a fronte dei centodiciannove miliardi stanziati dagli Stati Uniti, dei 27,2 del Regno Unito, dei 15 miliardi della Norvegia e dei 12,4 del Canada. Anche considerando solo i fondi già effettivamente erogati, il supporto europeo resta superiore. Sommando gli aiuti provenienti da Ue, Norvegia, Regno Unito, Islanda e Svizzera, si arriva a 132,3 miliardi di euro, superando i 114,15 miliardi forniti dagli Stati Uniti.
Certo, in questi numeri è incluso tutto, anche l’assistenza umanitaria e finanziaria, snobbata da chi parla solo di armi consegnate, dimenticando che mantenere uno Stato funzionante e condizioni socio-sanitarie e alimentari decenti è necessario per proseguire la difesa dall’invasore.
Anche dal punto di vista del solo soccorso militare, comunque, le cose sono diverse da quelle che una certa vulgata vuole trasmettere: Ue e istituzioni europee si sono impegnate per 72,2 miliardi, gli Stati Uniti per 65,6, contando anche il Regno Unito, la Norvegia e altri piccoli Paesi europei il Vecchio Continente con quasi cento miliardi, la grande maggioranza del totale, è protagonista assoluta del sostegno in armamenti.
Il sostegno europeo è stato più costante nel tempo, non ha vissuto come negli Stati Uniti un blocco come quello che ha caratterizzato gli aiuti americani tra metà 2023 e l’inizio del 2024 a causa dell’ostruzionismo dei repubblicani al Congresso. Soprattutto, è stato più prezioso da un punto di vista qualitativo. L’Europa ha già allocato diciannove miliardi in armi pesanti contro i 13,76 degli Stati Uniti, si tratta di carri armati, autoblindo, obici, lanciarazzi multipli, escludendo munizioni ed equipaggiamento.Qui la parte del leone l’ha fatta la Germania, con 7,15 miliardi, seguita da Paesi Bassi e Regno Unito. Molti non sanno che molti Paesi europei hanno svuotato i magazzini per aiutare Kyjiv, cosa che non hanno fatto gli Stati Uniti. La Norvegia si è impegnata per consegnare il 52,8 per cento del proprio stock, la Danimarca il 49,6 per cento, avendo già inviato il 43,3 per cento.
Nel caso dei Paesi Bassi parliamo del 45,7 per cento, in quello del Regno Unito che certo non ha un piccolo esercito, del 34,6 per cento. Percentuali simili sono quelle di Germania e Cechia e persino l’Italia, così ignava mediamente, ha fatto più degli Usa, promettendo il 10,1 per cento di ciò che è nei propri magazzini, contro il 5,1 per cento americano.
Nello specifico il Regno Unito ha impegnato l’80,3 per cento dei propri howitzers, gli obici, la Danimarca il 73,8 per cento, mentre la Norvegia il 91,7
per cento degli Mlrs, i lanciarazzi, immagazzinati. Cechia, Danimarca e Paesi Bassi hanno consegnato o promesso rispettivamente il 60,5, il settantacinque e il cento per cento dei carri armati, contro l’1,2 per cento degli Stati Uniti.
Gli Stati partono da stock più vasti, ma l’enormità del divario è lo stesso eloquente. Come il Kiel Institute sottolinea, poi, gli europei non si sono limitati a scavare nei magazzini già abbastanza sguarniti dopo ottant’anni di ottimismo pacifista, una volta attinto abbondantemente a essi si sono messi a ordinare nuovi armamenti alle fabbriche. Al punto che se nel 2022 dagli appalti al comparto industriale militare occidentale veniva solo il ventidue per cento delle armi inviate in Ucraina, nel 2024 si è trattato del sessantasei per cento.
Sono nati strumenti di procurement multilaterali, fondi partecipati da più Paesi, per il novantacinque per cento del valore da Paesi europei, che ordinano insieme armamenti, dall’iniziativa ceca per le munizioni alla Drone Capability Coalition, con Lettonia e Regno Unito. Proprio il Regno Unito, la Danimarca, i Paesi Bassi, la Cechia sono protagonisti di questi fondi multilaterali, forse timidi e parziali embrioni di una difesa comune.
Gli stessi Paesi, guarda caso, sono in testa anche alla classifica di quelli che hanno impegnato di più la propria economia per la difesa dell’Ucraina. I 65,58 miliardi americani corrispondono solo allo 0,3 per cento del Prodotto interno lordo americano, mentre nel caso della Danimarca e dell’Estonia si arriva al 2,43 e al 2,77 per cento.
Sopra l’uno per cento sono anche gli altri Paesi scandinavi e baltici, mentre ci si avvicinano, con lo 0,93 per cento, i Paesi Bassi. Peggio degli Stati Uniti fanno in pochi, come la Francia, con lo 0,22 per cento del Pil, la Spagna, con lo 0,13, e l’Italia, con solo lo 0,07 per cento.
Ma se invece che solo agli aiuti militari guardiamo a quelli complessivi, gli Stati Uniti vengono superati anche dall’Italia, avendo promesso un’assistenza corrispondente allo 0,55 per cento del Pil, contro lo 0,92 per cento italiano. Per non parlare dell’impegno totale, anche nell’assistenza umanitaria e finanziaria, di Paesi come Norvegia, Danimarca, Estonia, che hanno versato o promesso più del tre per cento del proprio prodotto interno lordo.
Tutti questi numeri non includono, tra l’altro, la spesa sostenuta per i rifugiati, tema su cui la nuova amministrazione della Casa Bianca è molto sensibile, lo sappiamo. Se la comprendessero, l’assistenza totale della Polonia, per esempio, arriverebbe al 5,44 per cento del Pil, anche considerando solo quella già allocata, visto che quella per i soli rifugiati di Varsavia giunge al 4,66 per cento. Nel caso dell’Estonia si arriva al 4,33 per cento, in quello della Lettonia al 4,19 per cento del Pil e un po’ ovunque (Italia esclusa) a percentuali maggiori a quelle messe sul tappeto dagli Stati Uniti.
Tutto ciò dimostra che il Vecchio Continente ha fatto molto più di quello che Donald Trump, molti americani e anche molti europei pensano. Vuol dire che oggi possiamo fare a meno degli Stati Uniti? No, per nulla, se Washington dovesse tirarsi indietro e fermare ogni assistenza per l’Ucraina il colpo sarebbe fortissimo, l’Europa non potrebbe probabilmente sostituirla nel medio e nel breve periodo, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, tecnologico.
Questo, se possibile, rende ancora più grave quella che a molti appare come una resa americana, anche se, lo sappiamo, negli Stati Uniti e in molti settori d’Europa verrebbe accolta come una vittoria contro «l’internazionale liberal», il mondo globalista, persino contro il woke.

(da agenzie)

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LEONE XIV DOVRÀ FARE I CONTI CON LA CRISI DELLE VOCAZIONI: DAL 2022 AL 2023 IL NUMERO DI PRETI E SUORE È DIMINUITO DI 10 MILA UNITA’

Maggio 12th, 2025 Riccardo Fucile

IL DATO INTERESSANTE SU CUI LA CHIESA DEVE RAGIONARE È LA CRESCITA DEI DIACONI (+2,6%), SEGNO DELL’INTERESSE DEI LAICI NEI CONFRONTI DEL CATTOLICESIMO, MA CHE NON VOGLIONO RINUNCIARE A MOGLIE E FIGLI. RESISTONO LE VOCAZIONI IN AFRICA

La Chiesa oggi è ancora davvero attrattiva, come si potrebbe pensare guardando le piazze stracolme di questi giorni, le folle incredibili che hanno accompagnato l’addio a papa Francesco, l’attesa per il nuovo pontefice e il grande giubilo per la sua elezione, culminata nella festa, scandita dai ritmi delle bande, di ieri in piazza San Pietro?
Forse no, o soltanto in parte, certamente non verso la vita consacrata, a giudicare dalle parole di papa Leone XIV che ha scelto di fare un appello contro la crisi delle vocazioni e contro il distacco dalla Chiesa, proprio nella sua prima uscita pubblica, dopo il Regina Coeli.
«Oggi, fratelli e sorelle, ho la gioia di pregare con voi e con tutto il popolo di Dio per le vocazioni, specialmente per quelle al sacerdozio e alla vita religiosa. La Chiesa ne ha tanto bisogno».
«È importante che i giovani e le giovani trovino, nelle nostre comunità accoglienza, ascolto, incoraggiamento nel loro cammino vocazionale, e che possano contare su modelli credibili di dedizione generosa a Dio e ai fratelli. E ai giovani dico: non abbiate paura, accettate l’invito della Chiesa e di Cristo Signore », ha detto con voce chiara papa Prevost evocando la famosa frase sulla paura di Giovanni Paolo II.
Un appello forte perché la realtà della Chiesa, al di là del grande spettacolo popolare, è tutt’altro che in buona salute. Se è vero, come sottolineano l’Annuario Pontificio 2025 e l’Annuarium Statisticum Ecclesiae 2023, che il numero dei cattolici nel mondo è in leggero aumento, l’1,15% rispetto al biennio precedente, con il numero complessivo dei credenti che passa da 1.39 a 1.4 miliardi, il numero delle vocazioni invece continua a scendere.
Alla fine del 2023, si legge nei rapporti pontifici, erano presenti nelle 3.041 circoscrizioni ecclesiastiche del mondo cattolico 406.996 sacerdoti, con una flessione di 734 unità rispetto al 2022. In netta crescita invece i diaconi permanenti, a riprova dell’interesse dei laici ad essere presenti nel servizio alla Chiesa, pur senza prendere i voti. Nel 2023 il loro numero aveva raggiunto le 51.433 unità rispetto ai 50.150 registrati nel 2022, con un incremento del 2,6%.Cresce, poi, anche il numero dei vescovi: passato da 5.353 unità del 2022 a 5.430 del 2023. Ma è invece dei preti di strada, dei parroci, dei “don” vicini alle persone che “il popolo di Dio” sembra aver bisogno, invece delle gerachie. Diminuiscono com’è noto, le religiose, passando da 599.228 nel 2022 a 589.423 nel 2023.
Sempre più vuoti i conventi, sempre più deserte le stanze della clausura, l’unico ambito ancora attrattivo sembra essere quello missionario. E anche i candidati al sacerdozio sono passati nel pianeta da 108.481 unità nel 2022 al 106.495 nel
2023, con una variazione negativa dell’1,8%.
Il calo interessa tutti i continenti, con l’eccezione dell’Africa, dove i seminaristi continuano ad aumentare. E questo dato si somma al percorso che sta facendo oggi la Chiesa, sempre più lontana in termini di numeri, dall’Europa. L’Africa, ad esempio, raccoglie oggi il 20% dei cattolici dell’intero pianeta: il loro numero è passato dai 272 milioni nel 2022 a 281 milioni nel 2023. Dunque il 3,31% in più
Finita la festa per l’elezione del Papa insomma, le messe torneranno ad essere seguite, come ormai accade, da pochi fedeli. E se dunque Roma resta la casa simbolica della cristianità è davvero altrove che il cattolicesimo mette nuove radici.

(da agenzie)

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MASSIMO CACCIARI E IL COMPLESSO D’INFERIORITA’ DEL MINISTRO GIULI: “E’ SIMPATICO, MA NON SA NIENTE”

Maggio 12th, 2025 Riccardo Fucile

“IL LAVORO INTELLETTUALE NON E’ DI DESTRA O DI SINISTRA”

Il ministro della Cultura Alessandro Giuli ha un complesso d’inferiorità che evidentemente lo danneggia. E farebbe bene a smetterla. Parola del filosofo Massimo Cacciari, dopo che il successore di Sangiuliano è andato all’attacco di Elio Germano e degli sfottò di Geppi Cucciari in occasione dei David di Donatello. «Avevano intellettuali e li hanno persi, si sono poi affidati agli influencer, ora gli sono rimasti i comici e basta», ha detto Giuli.
«Ma dai, è una battuta da comico», dice oggi Cacciari a Francesca Schianchi in un’intervista per La Stampa. Perché Giuli «è simpatico, carino, ma non sa niente».
Il lavoro intellettuale
Secondo Cacciari il lavoro intellettuale «non è di destra o di sinistra. Può essere giudicato in base al contesto storico più vicino a una parte rispetto a un’altra,
ma il dovere dell’intellettuale è cercare di dire le cose come stanno». E ancora: «Poi ogni dottrina è una prospettiva e non la totalità, quindi limitata, e può risultare parziale o anche erronea. Ma il dovere dell’intellettuale consiste nel cercare di dire la realtà, Giuli se la metta via… Sono gli altri poi a etichettare: “Quello è un intellettuale di sinistra”, come hanno fatto con me. Ma non è un problema come ti considerano gli altri, devi essere in pace col tuo dio: cercare di dire il reale».
Sull’egemonia culturale, spiega Cacciari, «c’è quando una parte egemonizza tutto ciò che conta, gli organismi che decidono, le cattedre universitarie. L’egemonia la faceva Giovanni Gentile durante il fascismo. Quello che c’è stato è il fatto che alcuni tra i più importanti artisti, scrittori e filosofi della seconda metà del Novecento si sono orientati dal punto di vista politico più verso partiti di sinistra. Semmai c’è stata una vaga egemonia sul piano della politica editoriale, un maggior peso della sinistra».
Le università
Anche nelle università, aggiunge il filosofo, «c’era una spartizione assoluta: un terzo di sinistra, un terzo cattolici e un terzo per caso. Nessuna egemonia di sinistra». Mentre quelli di destra «finché erano fascisti ti credo che non ci fossero: l’apologia di fascismo è reato. Ora che sono diventati democratici e postfascisti eccoli qui». E su Giuli conclude: «Quando venne nominato ministro, proprio su La Stampa gli indirizzai una lettera aperta: smettila con ‘ste scemenze di destra e sinistra, basta col revanscismo. Ora gli dico: stai tranquillo, quando ti agiti dimostri solo di avere un complesso d’inferiorità. Lascia che ti critichino e quando parli di cultura preoccupati solo di dire: questo è interessante, quest’altro no».

(da agenzie)

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