Maggio 20th, 2025 Riccardo Fucile
PRESTO L’ADDIO ALLA CASA BIANCA PER SALVARE TESLA
L’imprenditore annuncia il suo disimpegno finanziario da nuove campagne elettorali e
prova a rassicurare gli azionisti: «Resto Ad per almeno cinque anni»
«In futuro farò molto meno. Penso di aver fatto abbastanza».
Con queste parole Elon Musk preannuncia il suo prossimo disimpegno dal sostegno a Donald Trump, se non altro in termini finanziari. Il capo di X e Tesla ha risposto così oggi al Qatar Economic Forum a chi gli chiedeva quanto avesse in mente di spendere in vista delle elezioni di mid-term, in programma nell’autunno 2026.
Perché questo passo indietro, gli ha chiesto l’intervistatrice? La risposta appare come una pietra tombale sul sodalizio politico con Trump: «Se vedrò una ragione in futuro per investire in politica lo farò. Oggi non ne vedo». Dichiarazioni che sembrano confermare lo scenario di una imminente uscita di scena di Musk anche dal ruolo di co-protagonista del copione politico di Trump, nei panni di capo del Doge. I media Usa ne parlano d’altronde ormai da tempo, e la Casa Bianca non ha mai smentito. Anzi nell’ultimo mese le tensioni tra Musk e Trump sono emerse in modo plastico, ad esempio sul tema dei dazi, anche perché l’imperversare del funambolico imprenditore e dei suoi «tagliatori di teste» del Doge gli ha creato ben più di un nemico dentro il governo.
Il crollo di Tesla e la risposta alle «minacce» degli azionisti
D’altra parte Musk deve guardarsi dal crollo di uno dei suoi gioielli, Tesla, che da quando lui s’è «buttato in politica» ha inanellato pessimi risultati in Borsa così come nelle vendite. Gli investitori hanno da tempo avvertito Musk sull’urgenza di tornare a occuparsi dell’azienda a tempo pieno per evitare iil peggio. Alternativa: essere sostituito al timone. Parlando al forum qatariota, oggi Musk ha smentito seccamente la recente indiscrezione del Wall Street Journal secondo cui il Cda di Tesla avrebbe valutato di cacciare il fondatore. «Sì, a meno che non sarò morto», ha risposto secco Musk alla domanda se si vedesse alla guida di Tesla anche tra cinque anni. Poi ha provato a rassicurare pure sulle vendite di auto elettriche. «Abbiamo perso potenziali acquirenti di sinistra ma ne abbiamo guadagnati a destra», ha detto il miliardario riferendosi al boicottaggio tra i Democratici Usa. E comunque, ha aggiunto, le vendite della società sono deboli in Europa, ma forti altrove. Musk ha smentito infine pure un’altra indiscrezione della stampa Usa, quella secondo la quale avrebbe parlato di recente con Vladimir Putin. Macché, ha smentito, «ci ho parlato una sola volta, in una videochiamata cinque anni fa». Quel che è certo, come nota Bloomberg, è che un disimpegno finanziario di Musk non farà certo felice Trump e il suo MAGA, considerato che per le presidenziali 2024 il capo di X oltre a far campagna battente a in prima persona ha donato la bellezza di 290 milioni di dollari.
(da agenzie)
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Maggio 20th, 2025 Riccardo Fucile
OTTENUTA DAL TYCOON LA RICHIESTA DI UN NEGOZIATO “IMMEDIATO”, PRIMA DI QUALSIASI CESSATE IL FUOCO, LA RUSSIA SI SENTE RAFFORZATA… IL PRESIDENTE UCRAINO: “PUTIN STA CERCANDO DI PRENDERE TEMPO PER CONTINUARE LA GUERRA E L’OCCUPAZIONE”
Cosa sia accaduto in realtà tra i due leader dei quali «nessuno voleva riattaccare», come raccontano le fonti russe, ovviamente non è possibile sapere, ma qualcosa si può dedurre ricordando quali erano state le speranze che Trump aveva riposto in questa telefonata
L’impressione è che in due ore di colloquio Putin sia riuscito a convincere Trump a ribaltare completamente le sue stesse proposte. Invece della tregua per iniziare le trattative, ora sembra trionfare la linea di Mosca sul negoziato per un «possibile cessate-il-fuoco per un periodo determinato a condizione del raggiungimento degli accordi necessari», e la prospettiva «immediata» viene sostituita da «assenze di scadenze precise», mentre la Russia continua l’offensiva in territorio ucraino.
Non si parla più di sanzioni che Trump aveva minacciato di infliggere alla Russia in caso di rifiuto della tregua: anzi, nel suo post il presidente americano evidenzia in maiuscolo le parole COMMERCIO e ILLIMITATE, riferendosi in entrambi alla cooperazione economica con Mosca.
Nessuna sanzione quindi, nessun risarcimento per l’Ucraina, nessuna responsabilità per il regime di Putin: in realtà, anche in tempi di pace
l’interscambio tra Russia e Usa era abbastanza esiguo, ma probabilmente le trattative sui possibili business in comune tra Witkoff e l’emissario putiniano Kirill Dmitriev hanno acceso delle aspettative a Washington.
Ma soprattutto a inquietare è la promessa di Trump di un «negoziato tra le due parti, come è giusto che sia». Resta da capire se questo sia l’annuncio della «uscita dal negoziato» promessa/minacciata più volte dalla Casa Bianca, l’ultima volta soltanto ieri da JD Vance che dice «questa non è una guerra americana».
A giudicare dalla fretta con la quale Zelensky ha richiesto subito un nuovo incontro tra europei e americani, la paura di Kyiv è che Putin sia riuscito finalmente a convincere Trump a volgere lo sguardo verso dossier più promettenti e proficui, abbandonando la resistenza ucraina nelle mani dell’Europa.
In attesa di capire cosa ha promesso il presidente repubblicano al dittatore russo, l’Ue oggi lancerà contro Mosca le nuove sanzioni per non aver accettato la tregua. Una dimostrazione delle scarse aspettative che si avevano nella persuasione telefonica di Trump, e della speranza dei leader europei di riuscire eventualmente a riportarlo in un solco diplomatico condiviso dagli alleati occidentali dell’Ucraina.
(da La Stampa)
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Maggio 20th, 2025 Riccardo Fucile
TERZO MANDATO, AUTONOMIE E CANDIDATI CONTESI: OGNI REGIONE E’ DIVENTATA UN PRETESTO PER LA GUERRA INTERNA AL POTERE
Nel centrodestra non esistono più alleanze, ma trincee. Le tensioni tra Lega e Fratelli
d’Italia, formalmente unite nella coalizione di governo, sono ormai la colonna sonora di ogni campagna elettorale locale. Le Regioni non sono più roccaforti, ma campi di battaglia in cui si consuma la sfida per la leadership della destra italiana. La miccia è la questione del terzo mandato per i
governatori, ma l’esplosione è politica, territoriale, identitaria.
Il terzo mandato come leva di potere
La Lega difende la possibilità di un terzo mandato per i propri presidenti regionali con l’argomento dell’autonomia e della legittimazione popolare. Salvini parla di “buon senso”. Calderoli, ministro per gli Affari Regionali, liquida come “politica” l’eventuale impugnazione della legge trentina voluta per permettere la ricandidatura di Fugatti.
Fratelli d’Italia, al contrario, trasforma il principio del ricambio in bandiera ideologica. Galeazzo Bignami sostiene che “il limite deve valere ovunque”, anche nelle Regioni a statuto speciale. Il governo Meloni, già nel 2024, ha impugnato la legge campana sul terzo mandato per De Luca. Ora si prepara a contestare anche quella trentina, estendendo un principio valido per le Regioni ordinarie anche a quelle autonome. La giurisprudenza come strumento di erosione del potere altrui.
Il caso Trentino: l’autonomia contro il centralismo di partito
La Provincia autonoma di Trento ha approvato una norma (ddl 52) per consentire a Maurizio Fugatti (Lega) un terzo mandato. FdI si è opposta con fermezza, ma due suoi consiglieri hanno votato a favore e poi lasciato il partito. “Abbiamo votato per l’interesse del Trentino”, hanno spiegato. Calderoli e Fugatti rivendicano l’autonomia della provincia. L’Avvocatura dello Stato, su pressione politica, ha predisposto un ricorso. Il governo doveva decidere entro il 19 maggio.
Qui la frattura è verticale: tra Roma e i territori, tra il diritto delle autonomie e la strategia nazionale di accentramento. FdI vuole imporre un principio nazionale per espellere un alleato-rivale da una delle sue roccaforti. La Lega
difende l’eccezione locale solo quando le conviene. Il risultato è una guerra a colpi di norme, statuti e interpretazioni giuridiche strumentali.
Friuli-Venezia Giulia: una crisi cercata
Luca Ciriani, ministro FdI, ha accusato la giunta Fedriga di inefficienze sanitarie. Gli assessori della Lega e di Forza Italia hanno rimesso le deleghe. Marco Dreosto (Lega) ha denunciato “ambizioni personali”. Fedriga ha chiesto un incontro con Giorgia Meloni.
Il vero nodo è il futuro del governatore: Fedriga, popolare, potrebbe ambire a un terzo mandato. FdI lo sa e alza la tensione. La crisi, dunque, non nasce da un ospedale in ritardo ma da una regia nazionale che punta a delegittimare il potere leghista in vista del rinnovo. È la logica dell’assedio politico, travestita da dibattito amministrativo.
Veneto: la partita simbolica della successione a Zaia
Luca Zaia è a fine corsa. Per la Lega perdere il Veneto significherebbe perdere il suo ultimo bastione simbolico. Marcato ha detto: “Il prossimo candidato deve essere della Lega”. Fratelli d’Italia non ci sta. Il senatore meloniano Luca De Carlo ha rivendicato la forza del partito in Veneto e chiesto “di scegliere il nome migliore, non la casacca”.
FdI mira al bottino più grosso. La successione a Zaia è la prova del nove. Non è solo questione di poltrone, ma di geografia politica. Se Meloni conquista il Veneto, la Lega smette di essere forza territoriale e diventa una minoranza di governo. Se lo perde, FdI perde il suo slancio espansivo. Il compromesso sembra impossibile.
Campania: coalizione senza guida
In Campania nessuno riesce a imporsi. Il centrodestra litiga sui candidati. Il
nome più quotato è quello di Edmondo Cirielli (FdI), ma Forza Italia reclama un ruolo attivo. Il voto disgiunto complica tutto. Ogni ambizione rischia di diventare un boomerang.
Il caos campano è il paradigma dell’alleanza a tre: nessuno vuole cedere, nessuno ha la forza per imporre una linea, e la litigiosità interna diventa il principale elemento di campagna elettorale.
Una coalizione implosa
Dietro la retorica dell’unità, il centrodestra è un’agenda di competizione interna. Fratelli d’Italia impone la sua linea da partito dominante. La Lega cerca di difendere il suo spazio e i suoi uomini. Forza Italia prova a capitalizzare i litigi. Le Regioni sono diventate un’estensione della guerra di logoramento tra Meloni e Salvini.
Il Parlamento è diventato il riflesso delle tensioni regionali. Le Regioni, un terreno di scontro permanente. Le alleanze si sono trasformate in coabitazioni forzate. La Lega tenta resistenze simboliche sull’autonomia, ma l’egemonia è altrove. Fratelli d’Italia non si accontenta di vincere: vuole governare tutto. Anche dove governa qualcun altro.
(da lanotiziagiornale.it)
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Maggio 20th, 2025 Riccardo Fucile
PUTIN NON HA MAI NASCOSTO CHE NON SI SAREBBE FERMATO ALL’UCRAINA: “LA GUERRA CONTRO KIEV? È SOLO UNA FASE INTERMEDIA: CI DOBBIAMO IMPEGNARE ANCORA. SE SIAMO PREPARATI PER SCONTRARCI CON LA NATO? SARANNO MOLTO PIÙ DEBOLI DEGLI UCRAINI”
Mentre si discute di pace, la Russia ha iniziato un massiccio schieramento militare a ridosso della frontiera finlandese. I satelliti hanno fotografato un’installazione creata negli ultimi mesi con centinaia di tende e piazzole per elicotteri: sembra essere un campo di addestramento, destinato a formare reparti scelti. Altre cinque basi risalenti ai tempi dell’Urss stanno venendo ristrutturate: sorgono hangar per caccia, sono stati dislocati squadroni di elicotteri e ci sono
atterraggi frequenti di bombardieri.
L’iniziativa non sorprende: il confine finlandese è il settore nord della nuova Cortina di Ferro, che prosegue nei Paesi Baltici e in Polonia. Queste nazioni stanno costruendo barriere sulla frontiera orientale con ostacoli anti-tank: si preparano a uscire dal Trattato di Ottawa, che vieta gli ordigni anti-uomo, per munirle di campi minati.
L’adesione alla Nato di Helsinki e Stoccolma ha fatto svanire il “cuscinetto neutrale” su cui Mosca poteva contare nella regione, mettendola per altri mille chilometri a contatto diretto con l’Alleanza atlantica. Ma i piani del Cremlino non sono ritenuti soltanto difensivi: si comincia a delineare la postura che l’armata di Putin prenderà dopo la fine delle ostilità in Ucraina. «I militari russi hanno intrapreso una significativa espansione delle forze – ha dichiarato al New York Times Michael Kofman, analista del Carnegie Endowment – .
Dopo la guerra, l’esercito sarà più grande di quello del 2022. Alla luce della ristrutturazione dei loro distretti, sembra che stiano dando la priorità al confronto con la Nato». C’è un’altra notizia che conferma questo spostamento del baricentro strategico di Mosca. La scorsa settimana il Cremlino ha insediato al vertice dell’esercito Andrey Mordvichev, un generale di 49 anni che dall’inizio dell’invasione non ha perso una sola battaglia.
Di lui si ricorda un’unica intervista, concessa nel 2023 alla tv statale: «Quanto durerà la guerra? L’Ucraina è solo una fase intermedia: ci dobbiamo impegnare ancora, non metto date. Ma se andiamo alle cose concrete e parliamo dell’Europa Orientale – perché è di questo che bisogna parlare – allora richiederà più tempo». Alla domanda «Siamo preparati per scontrarci con la Nato?», ha risposto: «Saranno più deboli degli ucraini, molto più deboli:
l’Ucraina ha l’approccio slavo e la scuola sovietica».
Nessuno si è reso conto del suo ruolo: gli ucraini lo avevano dato per morto nel marzo 2022, vittima di un raid. Invece nella primavera del 2023 ha preso il comando delle brigate impegnate nel Donbass. Il conflitto si era trasformato in una lotta di trincea e lui ha cambiato le tattiche. Ha compreso la rivoluzione determinata dai droni; fatto i conti con i limiti dei volontari, anziani e poco motivati; infine ha sfruttato il potenziale delle bombe plananti appena adottate dall’aviazione. Ed ecco che in pochi mesi ha messo a punto un nuovo modo di combattere, lento ma vincente
(da agenzie)
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Maggio 20th, 2025 Riccardo Fucile
SEQUESTRATI 12 MILIONI DI STERLINE IN GRAN BRETAGNA AL TRAFFICANTE …. SE VIENE ARRESTATO E PARLA IL GOVERNO MELONI TREMA
Nuove accuse per quello che è accaduto negli ultimi dieci anni, dal 2015 a oggi. Con
ipotesi di omicidi, torture, «persecuzione per motivi religiosi e ideologici».
Un maxi sequestro di beni da 12 milioni di sterline in Gran Bretagna con il sospetto che la grande cassa del traffico di essere umani sia altrove, in Europa, forse, o in altri Paesi arabi, in conti cifrati di cui soltanto Almasri detiene le chiavi.
La possibilità concreta che, se l’attuale governo di Abdulhamid Dbeibah riesce a superare i prossimi giorni, e se nessuno, come è accaduto per Bijia, il trafficante di uomini, lo ammazza prima, Osama Najim Almasri possa essere arrestato e consegnato alla Corte penale internazionale.
«Non posso lasciarlo nel suo incarico» ha detto Dbeibah in un discorso alla
nazione nel fine settimana. «Non ho chiesto la sua rimozione all’Italia, non lo conosco e non l’ho mai incontrato. L’Italia ha forse subito le pressioni di una milizia».
In Italia c’è molta preoccupazione per il caso Almasri. Nei giorni scorsi la Libia ha firmato un nuovo accordo con la Cpi scaricando di fatto il capo delle milizie che Roma non aveva arrestato e rimpatriato in Libia. Nelle ultime 48 ore la situazione però è diventata ancora più complessa.
Perché Dbeibah ha nei fatti sostenuto che l’Italia ha subito pressioni da parte delle milizie che hanno usato l’ambasciata libica (Repubblica aveva pubblicato il documento inviato al ministro degli Esteri, Antonio Tajani). E che il suo governo era restato fuori dalla trattativa.
«Siamo sorpresi da chi lo difende» ha detto Dabaiba. «Secondo la Cpi avrebbe stuprato una ragazza di 14 anni, come possiamo fidarci di una persona del genere? Io ho avuto pressioni da più parti ed anche dall’ambasciata italiana per il suo rilascio».
Potrebbe essere una mossa della disperazione, quella del presidente libico, di rifugiarsi sotto il cappello protettivo della giustizia internazionale. Ma è altrettanto vero che un eventuale arresto ed estradizione di Almasri creerebbe non pochi problemi all’Italia: e non soltanto un imbarazzo politico, dopo la riconsegna a gennaio del criminale libico.
Ma perché potrebbe raccontare cosa è accaduto nei giorni del suo arresto e i suoi rapporti in questi anni con i Paesi occidentali. Come ha ricordato il sottosegretario Alfredo Mantovano nella nota del 30 aprile con cui l’Italia si è
difesa dalle accuse della Cpi, Almasri ha girato per settimane in Europa prima dell’arresto in Italia
(da Repubblica)
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Maggio 20th, 2025 Riccardo Fucile
LA LIBIA SCARICA ALMASRI E INGUAIA MELONI, DOPO IL NUOVO MANDATO D’ARRESTO PUBBLICATO DALLA CPI PER 12 REATI GRAVI, TRA CUI OMICIDIO, STUPRO E TORTURA, IL PREMIER ABDUL HAMID DBEIBAH HA PRESO LE DISTANZE DAL GENERALE
In attesa che a Roma il tribunale dei ministri decida sui componenti del governo italiano che nel gennaio scorso hanno assecondato il rilascio e il rimpatrio del generale Osama Njeem Almasri, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, adesso è la Libia che mostra di volersi liberare di lui.
Dopo la pubblicazione di un nuovo mandato d’arresto pubblicato dalla Cpi per dodici reati gravi tra cui omicidio, stupro e tortura, il premier Abdul Hamid Dbeibah ha dichiarato di essere rimasto «sorpreso dal rapporto terrificante della Corte penale internazionale; come possiamo fidarci di qualcuno che ha violentato una ragazza di 14 anni? Non posso accettare la presenza del criminale Osama Njeem dopo aver letto ciò che ha scritto la Cpi».
Affermazioni che seguono la ripresa degli scontri tra le forze fedeli a Dbeibah e le milizie che hanno le loro roccaforti a Tripoli (compresa la Rada a cui appartiene Almasri), nonché l’annuncio del premier di voler liberare il Paese dai miliziani
Ma Dbeibah ha voluto fare un riferimento anche alla vicenda che ha coinvolto l’Italia: «Non ho chiesto il suo rilascio dall’Italia, né lo conosco personalmente».
L’esistenza di una richiesta di estradizione di Almasri da parte di Tripoli (accompagnata da una lettera dell’ambasciatore libico a Roma al ministro degli Esteri Tajani subito dopo l’arresto avvenuto a Torino e motivata con le stesse accuse mosse dalla Corte dell’Aia) è una delle ragioni con cui l’Italia ha giustificato alla Cpi la mancata consegna del ricercato.
Ma quando fu riportato in Libia con un aereo dei servizi segreti, il generale fu accolto con scene di giubilo all’aeroporto di Mitiga, non certo come un
prigioniero da processare per fatti tanto gravi. E dopo non è accaduto nulla.
(da Corriere della Sera)
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Maggio 20th, 2025 Riccardo Fucile
LA “CNN” CONTRADDICE LA VERSIONE DEL PRESIDENTE AMERICANO, CHE AVEVA PARLATO DI UN “REGALO” GENTILMENTE OFFERTO DA AL THANI
È stata l’amministrazione Trump a chiedere al Qatar di acquistare un Boeing 747 da
utilizzare come Air Force One e non l’emirato a offrirlo all’inquilino della Casa Bianca. Lo riporta la Cnn contraddicendo la versione del presidente degli Stati Uniti che sostiene che il Qatar si sarebbe rivolto alla sua amministrazione e avrebbe offerto l’aereo in “regalo”.
Secondo le fonti citate dall’emittente, dopo l’insediamento di Trump a gennaio, il Pentagono è stato informato da Boeing che la casa produttrice non sarebbe stata in grado di consegnare in due nuovi Air Force One prima di un paio d’anni.
Ma Trump non aveva alcuna intenzione di attendere così a lungo e tra le opzioni valutate per ottenere un nuovo aereo in tempi rapidi c’è stata quella di incaricare Steve Witkoff, inviato in Medio Oriente, di stilare un elenco di velivoli idonei da utilizzare nel frattempo.
Nell’elenco di clienti che Boeing ha fornito ai funzionari della Difesa spiccava il Qatar e quando il Pentagono “si è offerto di acquistare l’aereo”, l’Emirato si è detto disponibile a venderlo. Le discussioni iniziali si sono concentrate sul leasing dell’aereo, valutato circa 400 milioni di dollari, piuttosto che sull’acquisto diretto.
Tuttavia, Trump ha ripetutamente descritto il potenziale accordo come un “gesto” o un “contributo” da parte della famiglia reale del Qatar e ha scritto sui social che si trattava di un “regalo” e affermando che si sarebbe trattato di un sostituto temporaneo dell’Air Force One che sarebbe stato consegnato alla sua biblioteca presidenziale una volta lasciata la Casa Bianca.
(da agenzie)
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Maggio 20th, 2025 Riccardo Fucile
LE TELEFONATE INEDITE DELLA MADRE DI ANDREA SEMPIO, GLI AUDIO VOCALI MAI SENTITI DI PAOLA CAPPA
Il racconto integrale di un testimone finora inedito, insieme ad alcune telefonate mai ascoltate della madre di Andrea Sempio — nuovo indagato nel caso — sono al centro del servizio di Alessandro De Giuseppe e Riccardo Festinese, in onda stasera, martedì 20 maggio, in prima serata su Italia 1. Nel video anche alcuni messaggi vocali di Paola Cappa, inviati a un amico, inerenti all’omicidio di Chiara Poggi.
Di seguito alcune anticipazioni del servizio.
Il testimone, indicato con il nome fittizio di “Carlo”, spiega all’inviato che, poco dopo l’omicidio, aveva incontrato in ospedale una donna di Tromello che abitava vicino alla casa della nonna materna delle gemelle Cappa. La donna gli riferì di aver visto Stefania Cappa agitata, intenta a entrare nella
vecchia casa con una borsa pesante. Carlo precisa che, contrariamente a quanto riportato dai giornali, non ha mai parlato di un alare da camino e aggiunge che la donna gli disse che le gemelle non erano mai state viste lì prima e che l’episodio l’aveva colpita molto.
Carlo sottolinea che questa testimonianza è emersa solo oggi perché allora, secondo lui, «non c’era stata volontà di ascoltare». Incontrato nuovamente il giorno seguente, a De Giuseppe conferma: «Stefania era nel panico, con un borsone», il rumore di qualcosa gettato nel fosso, e aggiunge che le persone che avevano assistito alla scena erano già anziane all’epoca e oggi non sono più in vita. All’inviato Carlo racconta infine, di aver annotato tutto su dei taccuini, per non dimenticare.
Un altro documento inedito in onda è quello riguardante alcune telefonate tra la madre di Andrea Sempio e Alessandro De Giuseppe.
Prima che l’indagine sul figlio diventasse pubblica, la donna contattò la trasmissione di Italia 1 per difenderlo dai sospetti. Con l’inviato delle Iene parlò anche dell’avvocato Tizzoni, accusandolo di aver passato documenti della procura al difensore di Sempio.
Raccontò inoltre di una presunta testimone che, il giorno prima dell’omicidio, avrebbe assistito a un litigio molto sospetto tra Chiara e la cugina, ma che non ne parlò né ai carabinieri né ad altri. Nella telefonata con l’inviato, la madre di Sempio affermò anche che in paese «in pochi credono davvero che Alberto sia l’assassino».
Infine, nel servizio alcuni messaggi vocali di Paola Cappa, cugina di Chiara Poggi, sul caso. Nei giorni scorsi è circolata la notizia che Paola, sorella di Stefania, avrebbe inviato un SMS con scritto: «Mi sa che abbiamo incastrato Stasi».
Il destinatario, Francesco Chiesa Soprani — ex amico di Paola — ha consegnato spontaneamente a “Le Iene” centinaia di messaggi e audio scambiati con lei, in gran parte riguardanti la terribile vicenda.
Nel materiale fornito, tuttavia, quella frase non compare mai, né per iscritto né nei vocali. E tra i vocali inviati dalla ragazza risulta il seguente: «Guarda io non ho mai aperto bocca, però arriverà il giorno che la apro. Voglio essere pagata fior di milioni…però dirò tutto, tutto, tutto”
(da Le Iene)
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Maggio 20th, 2025 Riccardo Fucile
IL REPERTO È STATO RINVENUTO SUL MURO DELLE SCALE CHE PORTANO ALLA CANTINA DI CASA POGGI, DOVE L’ASSASSINO HA GETTATO IL CORPO DI CHIARA DOPO AVERLA UCCISA
Un’impronta palmare che all’epoca delle prime indagini non venne attribuita a nessun
nome. Si tratta della numero 33 per utilizzare la dicitura con cui venne refertata dai carabinieri del Ris nella villetta di via Pascoli a Garlasco.
Un’impronta che secondo la procura di Pavia, come riportato anche da un’indiscrezione del Tg1, apparterrebbe ad Andrea Sempio, il nuovo indagato per l’omicidio di Chiara Poggi.
Ad attribuire al 37enne l’impronta è stata una consulenza disposta dai magistrati diretti da Fabio Napoleone nel corso delle indagini del nucleo investigativo dei carabinieri di Milano.
Sono stati proprio gli investigatori dell’Arma i primi a prendere e a confrontare quel reperto con le impronte del nuovo indagato. Un elemento che secondo gli inquirenti colloca Sempio sulla scena del crimine. L’impronta del palmo della mano, infatti, si trova proprio sul muro delle
scale che portano alla cantina di casa Poggi. Il luogo dove l’assassino di Chiara ha gettato il suo corpo dopo averla uccisa. All’epoca delle indagini, la relazione scientifica degli inquirenti non attribuì quell’impronta ad alcun nome. Anzi, quell’elemento venne ritenuto dagli investigatori di allora «di nessuna utilità».
(da Il Corriere della Sera)
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