Maggio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
“LASCEREMO SGOMENTO CHI IN QUESTI ANNI SI E’ COSTRUITO UN SISTEMA DI POTERE”… “O VINCIAMO NOI O PERDE GENOVA: VOGLIO UNA CITTA’ DOVE RESTARE NON DA DOVE ANDARSENE, ESEMPIO DI DIGNITA’, DIRITTO AL LAVORO E ALLA CASA, DOVE GLI SPAZI SOCIALI NON SIANO A PAGAMENTO”
Si era parlato di un evento in continuità estetica con l’apertura della campagna elettorale, con Silvia Salis sola sul palco, come ai Magazzini del Cotone. E per molti aspetti è stato così. Ma ci sono state alcune differenze, rispetto a quell’evento, nella chiusura della campagna elettorale di Silvia Salis, nella corsa alle Comunali di Genova 2025.
L’apertura era stata al chiuso, nella sala di un cinema, questa volta il campo largo ha scelto una piazza. Piazza della Vittoria, opzione tirata fuori dal cilindro dopo il caso della vasca idromassaggio spuntata in mezzo a piazza Matteotti.
Una piazza, piazza della Vittoria, da sempre snobbata dai partiti per la fine di campagna elettorale. Per motivi scaramantici, certo. Ma anche perché è grande, molto difficile da riempire. Il quadrante della piazza dove è stato montato il palco di Silvia Salis Sindaca, questa sera, era pieno (oltre 1.500 persone)
L’altra grande differenza, qualcuno l’avrà notato, è che Salis non ha letto il suo discorso. Ma ha parlato seguendo un canovaccio, certo, ma anche improvvisando, alternando accenni al programma e stoccate agli avversari.
Silvia Salis sale sul palco in un look total jeans, come sui manifesti elettorali. A pochi passi lo staff che l’ha seguita in questi mesi di campagna. E il marito regista, Fausto Brizzi, con il figlio Eugenio.
A scaldare la folla, prima di lei, il comico Andrea Di Marco. Nessun altro politico, come da programma.
“Queste elezioni sono importanti – inizia Silvia Salis – o vinciamo noi, o perde Genova, e non ce lo possiamo permettere. Sindaca deriva la greco, significa patrocinare, e io questo voglio essere per Genova, essere sindaca non significa essere una doge o un commissario, o qualcuno che vuole comandare e lascia per mesi il suo vice a comandare al posto suo per continuare ad avere le mani su questa città”.
Non lo nomina mai, ma i riferimento è a Marco Bucci ancora più che al suo avversario, Pietro Piciocchi: “Sono stufa di non avere risposte, di un potere che cala dall’alto, le cose, i progetti, i cantieri, noi vi daremo le risposte che Genova merita, sono emozionata a vedere questa piazza piena, una città che continua ad avere fiducia e vi ripagheremo con la massima serietà e la massima trasparenza“.
Poi un riferimento, l’unico, al passato, e strappa un fragoroso applauso: “Siamo qui per proporre un progetto nuovo, vedete, c’è stato un grandissimo sindaco in questa città, Beppe Pericu, pensare al ricordo che lui ci ha lasciato è una grande ambizione, ecco, io spero che tra anni si dica, questa cosa l’ha fatta la giunta Salis”.
E allora, cosa farà la giunta Salis, se sarà giunta Salis? “Nei primi 100 giorni cancelleremo la riforma dei municipi che ha distrutto questa città. Una città si porta avanti guardando alle grandi cose ma anche alle piccole cose quotidiane, il commercio, le manutenzioni, i quartieri, la cura delle persone, continuano a dirci che siamo “i signori del no”, ma voi a cosa avete detto sì? – chiede Salis – dopo il ponte non avete finito nulla, non c’è una nuova fermata di metro, avete inaugurato 200 volte l’avvio dei lavori, però c’è lo Skymetro e per farlo vogliono buttare giù una delle migliori scuole di Genova”.
“Qual è la mia idea per il welfare di questa città? Abbiamo parlato dagli inizi di infrastrutture sociali – continua – che poi sono quelle che attirano industrie e imprese. Ecco lo Skymetro non è un’infrastruttura sociale, lo dico a Piciocchi che forse non ha capito. La casa, l’assistenza a domicilio, i servizi, queste sono infrastrutture sociali”.
Prima di salire, ai giornalisti che le chiedono un pronostico, risponde sicura: “La vittoria al primo turno è alla portata”. E poi dal palco, dopo un sorso d’acqua, si avvia alla conclusione: “Mi dicono sognatrice, ma io penso che sia necessario avere una visione di città, una città dove restare e non da dove andarsene, sogno una Genova per tutti e tutte, che parli di lavoro, di dignità, di diritto alla casa, dove le persone si sentano sicure e camminino per strada trovandola pulita, che abbia spazi sociali non a pagamento, in una città giusta vivono meglio quelli forti e quelli che hanno meno possibilità”
“Abbiamo davanti un momento di svolta per questa città – conclude la candidata del campo largo – ci stiamo preparando a una buona notizia, che lascerà sgomento un sistema di potere che ha paura di perdere la sedia dove è rimasto per otto anni, il loro tempo sta finendo, questa città ha dormito abbastanza, è già domani”.
(da Genova24)
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Maggio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
A SINISTRA SONO CERTI DI RIVINCERE IN CAMPANIA (PREVIO ACCORDO CON DE LUCA), PUGLIA (DECARO) E TOSCANA (GIANNI), A DESTRA HANNO IN TASCA IL VENETO… A PALAZZO CHIGI ALEGGIA UNA CERTA APPRENSIONE: LA PREMIER TELEFONA SPESSO AD ACQUAROLI E HA CHIESTO AI SUOI MINISTRI DI SOSTENERLO IN OGNI MODO
Genova e il referendum. Dopo il referendum, e dopo l’estate, ci sono cinque regioni al
voto, sei con la Valle d’Aosta. Praticamente urne aperte tutto l’anno, per la gioia di una politica che è sempre in campagna elettorale, anche a urne chiuse. Figuriamoci quando sono in calendario.
Mentre fuori il mondo va a pezzi, nel Palazzo, infatti, già non si parla d’altro, con quell’attitudine a trasformare ogni appuntamento elettorale in
un’ordalia, da cui dipendono i destini della politica nazionale. E c’è da scommettere che, alla fine del giro, partirà la lunga campagna verso le politiche. Insomma, un clima già da fine legislatura.
Stavolta tocca alle Marche di Francesco Acquaroli, il fedelissimo di Giorgia Meloni che strappò alla sinistra la seconda regione rossa dopo l’Umbria anticipando l’onda che sarebbe arrivata. È presto detta la ragione di cotanta enfasi: da un lato (a sinistra) sono certi di rivincere in Campania, Puglia e Toscana, dall’altro (a destra) in Veneto nonostante le fibrillazioni sul terzo mandato. La Marche dunque fanno la differenza tra 3 a 2, in cui ognuno tiene quel che già ha, e un 4-1, con una Regione strappata, su cui costruire il racconto dell’inarrestabile avanzata.
A Palazzo Chigi aleggia una certa apprensione. E proprio per “spoliticizzare” il voto e l’effetto referendum sul governo non solo non hanno alcuna intenzione di celebrare un unico election day, ma hanno anche in mente la mossa luciferina di togliere le Marche dal “mazzo” di ottobre. È pressoché certo che si voterà il 21 settembre, relativamente presto per una regione balneare. L’obiettivo è accorciare il più possibile la campagna elettorale – per dare meno tempo allo sfidante Matteo Ricci – ed evitare l’effetto trascinamento di un voto dopo le possibili sconfitte nelle regioni dove vince la sinistra.
Lì la partita sembra aperta. E non a caso ieri la premier ha ricevuto Acquaroli, con tanto di foto sui social, per dimostrare la sua attenzione alle Marche. È vero che il centrodestra governa ovunque tranne Pesaro ed è avanti di qualche punto ma non è suonata come rassicurante la classifica del Sole24ore, dove il governatore uscente figura all’ultimo posto della classifica per consenso e fiducia. Peraltro è una partita che Elly Schlein ha molto nelle corde,
Perché il vero punto debole dell’amministrazione uscente è la sanità, segnata da diversi dati negativi: le liste d’attesa sono ingestibili, secondo la fondazione Gimbe la percentuale delle famiglie che ha rinunciato alle cure è tra le più alte rispetto alla media nazionale, i numeri di chi ricorre a visite nel privato sono da record, l’attuazione del Pnnr riscontra clamorosi ritardi
(un solo ospedale di comunità realizzato, gli altri sei sono fantasma).
E se un pezzo della partita è tra gli schieramenti, l’altro è tutto interno al campo largo.
Perché Elly Schlein, ha deciso di trasformare le regionali in una tappa fondamentale per presentarsi come l’anti-Meloni. Tutte le sue mosse raccontano questo: agganciare Conte, in chiave nazionale, e rafforzarsi come leadership nel Pd. Per poi contarsi alle primarie, dando per scontato che il leader pentastellato non potrà sottrarsi.
Per questo vuole dare la Campania a Roberto Fico, senza trattare con Vincenzo De Luca che minaccia il terzo polo se il candidato non è concordato. E per questo vorrebbe – anche se è molto complicato – sostituire l’uscente Eugenio Giani in Toscana, che non ha l’appoggio dei Cinque Stelle, candidando uno dei suoi, il segretario regionale e parlamentare Eugenio Fossi, mettendo poi Giani nel suo collegio.
E c’è un motivo se la segretaria del Pd vorrebbe dare il suo via libera in Puglia alle candidature, come capolista a sostegno di Antonio Decaro, di Michele Emiliano e Nichi Vendola, cosa che Decaro non gradisce. Diventerebbe, nell’immaginario, la regione dei “tre governatori” e di una vittoria non attribuibile solo all’ex sindaco di Bari, che nei desiderata di qualcuno è vissuto come un competitor alla guida del Pd. È così pimpante che, per tirare di qua Calenda, gli ha anche promesso che nel suo governo lo rifarà ministro perché lo considera molto competente.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
L’UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO SOTTOLINEA I RITARDI NEGLI OBIETTIVI PER L’EDILIZIA (OSPEDALI E CASE DI COMUNITA’) E LA GRAVE CARENZA DI PERSONALE: “SI RISCHIA DI COMPROMETTERE IL RAFFORZAMENTO DEL SISTEMA SANITARIO E L’OFFERTA DI ASSISTENZA UNIFORME SU TUTTO IL TERRITORIO NAZIONALE” – LA SITUAZIONE PEGGIORE È NELLE REGIONI DEL SUD
Ritardi nella realizzazione dei progetti, in particolare di edilizia, e grave carenza di personale. Sono queste le principali criticità per la riorganizzazione e il potenziamento del Servizio sanitario nazionale che l’Ufficio parlamentare di bilancio segnala nel focus pubblicato ieri in cui fa il punto sulla Missione 6 Salute del Pnrr.
Mettendo in guardia dal «rischio di compromettere il rafforzamento del Ssn e l’offerta di assistenza uniforme su tutto il territorio nazionale».
Nel documento l’Upb fotografa lo stato di avanzamento degli investimenti sulla base dei documenti ufficiali e della piattaforma ReGiS, ma valuta anche gli sviluppi in termini di effettiva entrata in funzione a pieno regime e in modo strutturale dei servizi pensati per imprimere una svolta al Ssn:
L’Upb fa i conti: al 21 marzo scorso il finanziamento pubblico complessivo in questo ambito rilevato in ReGiS – per un totale di 10.110 progetti censiti – si attestava su 19,4 miliardi, di cui 15,6 mld relativi al Pnrr.
Risorse destinate a un ampio raggio di interventi, che va dall’assistenza territoriale a quella ospedaliera e dalla ricerca alla formazione. Fino a oggi le scadenze della Missione Salute concordate a livello Ue sono state
rispettate ma – avvisano dall’Upb – le prossime tappe saranno le più difficili da completare e «richiederebbero performance decisamente migliori rispetto alla tradizionale lunghezza della durata dei lavori pubblici in Italia».
Intanto, la spesa effettuata ammonta ad appena 2,8 miliardi, poco meno di quanto preventivato dal cronoprogramma (3,1 miliardi) ma lontano dal totale delle risorse da utilizzare e «con il rischio di slittamenti oltre il 2026».
Sia sul fronte delle strutture che degli investimenti – 12,5 miliardi sarebbero concentrati negli ultimi due anni di realizzazione del Piano con 7 miliardi nel 2025 – la strada da percorrere in quest’ultimo miglio che condurrà alla scadenza del Pnrr si preannuncia quindi in salita.
In particolare nelle Regioni del Mezzogiorno, pure in presenza di un vincolo di destinazione delle risorse. Se l’81,7% di tutti i progetti è in fase esecutiva (36,3%) o conclusiva (45,4%) – con Veneto, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia teste di ponte – le criticità che riguardano il 15,3% dei progetti sono concentrate al Sud con picchi in Sardegna e in Molise.
Prendiamo le case di comunità, cuore della riorganizzazione delle cure sul territorio: il 90% dei cantieri è stato avviato ma se il Centro-Nord a eccezione di Piemonte e Lazio è più vicino ai target minimi previsti dai contratti istituzionali di sviluppo, il Sud arranca.
Il Molise è senza cantieri, la Sardegna li ha avviati in appena nove delle cinquanta strutture previste, la Calabria in diciotto sul target minimo di 57 e la Campania in 57 su 169. E i livelli di spesa riflettono l’andamento dei cantieri con il Mezzogiorno che nel complesso si ferma al 18,5% del totale.
Analogo schema per gli ospedali di comunità: se al Nord risulta avviato l’80% dei progetti, le regioni meridionali segnano il passo con il Molise di nuovo a zero progetti, la Sardegna a quota tre sul target minimo di 13 e la Campania con 10 progetti su 45 preventivati.
Tutto da sciogliere poi il nodo del personale: «La realizzazione degli investimenti – avvisano infatti dall’Upb – non garantirà l’entrata ifunzione a pieno regime delle strutture nuove o potenziate se queste non verranno popolate di professionisti appositamente formati».
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
TUTTI I LISTINI EUROPEI SONO CROLLATI: PIAZZA AFFARI SPROFONDA A -2,7% PARIGI A -2,4%, FRANCOFORTE A -2,2% – IN RIALZO LO SPREAD TRA BTP E BUND…IN ROSSO ANCHE I FUTURE DI WALL STREET, ANCHE PERCHÉ “THE DONALD” HA PRESO DI MIRA ANCHE APPLE, MINACCIANDO TARIFFE “ALMENO DEL 25%” SE L’AZIENDA NON PRODURRÀ I SUOI IPHONE NEGLI USA
Brusco scivolone per le Borse europee dopo una mattinata di debolezza. I listini
reagiscono alle parole del presidente americano, Donald Trump, che è tornato a minacciare attraverso il social Truth nuovi dazi.
Il tycoon ha scritto che le trattative con l’Ue «non stanno portando a nulla» e per questo raccomanda «un dazio diretto del 50% sull’Unione europea, a partire dal primo giugno 2025». Non solo, anche Apple è stata presa di mira, con Trump che ha parlato di dazi di «almeno del 25%» se l’azienda non produrrà i suoi iPhone negli Stati Uniti.
Così, scivolano il FTSE MIB -2,76% di Milano (che torna sotto i 40.000 punti), il CAC 40 -2,41%di Parigi e il DAX 40 -2,21% di Francoforte. In calo anche l’IBEX 35 -2,10% di Madrid e il FTSE 100 -1,02% di Londra, con le vendite al dettaglio nel Regno Unito in crescita dell’1,2% ad aprile, oltre le attese.
Le minacce di nuovi dazi da parte del presidente Trump fanno precipitare in rosso anche i future di Wall Street, con gli investitori preoccupati di ciò che potrà accadere sul fronte commerciale. L’inquilino della Casa Bianca ha azzerato le speranze di un accordo sul fronte tariffe con l’Unione europea e ha preso di mira anche Apple.
«Ho informato da tempo Tim Cook di Apple che mi aspetto che gli iPhone venduti negli Stati Uniti siano fabbricati e costruiti negli Stati Uniti, non in India o altrove. In caso contrario, Apple dovrà pagare dazi di almeno il 25% negli Stati Uniti», ha scritto Trump sulla sua piattaforma Truth Social.
In lieve rialzo lo spread tra BTp e Bund: il differenziale di rendimento tra il BTp decennale benchmark e il Bund tedesco di pari durata si attesta a 103 punti, in lieve aumento rispetto ai 101 punti della chiusura della
vigilia. In flessione il rendimento del BTp decennale benchmark al 3,58%, in calo rispetto al 3,65% della chiusura della vigilia.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
AVVISATE LA “PONTIERA” GIORGIA MELONI, CHE SI ERA AUTO-CELEBRATA COME MEDIATRICE TRA BRUXELLES E WASHINGTON… IL TYCOON: “LE DISCUSSIONI NON PORTANO A NULLA. LE LORO BARRIERE COMMERCIALI HANNO PORTATO A UN DEFICIT COMMERCIALE DI OLTRE 250 MILIARDI ALL’ANNO” – GLI EUROPEI SI PORTANO AVANTI E SONO PRONTI A SPALANCARE LE PORTE AI CINESI: STAMANI IL CANCELLIERE TEDESCO, FRIEDRICH MERZ, HA PARLATO CON XI JINPING
“L’Unione Europea, che è stata costituita con l’obiettivo primario di trarre vantaggio dagli Stati Uniti in materia di commercio, si è rivelata molto difficile da affrontare. Le loro potenti barriere commerciali, le imposte sull’Iva, le ridicole sanzioni alle imprese, le barriere commerciali non monetarie, le manipolazioni monetarie, le cause legali ingiuste e ingiustificate contro le aziende americane e altro ancora hanno portato a un deficit commerciale con gli Stati Uniti di oltre 250.000.000 di dollari all’anno, una cifra del tutto inaccettabile”.
Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in un post su Truth, affermando che “le nostre discussioni con loro non stanno portando a nulla. Pertanto, raccomando l’introduzione di un dazio del 50% sull’Unione Europea a partire dal 1° giugno 2025”.
“Non è previsto alcun dazio se il prodotto è costruito o fabbricato negli Stati Uniti. Grazie per l’attenzione dedicata a questa questione!”, ha aggiunto.
Stati Uniti e Unione europea “restano troppo lontani” nelle trattative sui dazi commerciali e negli scambi di comunicazioni scritte avute finora hanno compiuto “pochi progressi concreti”.
Lo riporta il Financial Times, citando diverse fonti anonime vicine alle trattative, iniziate dopo che l’amministrazione Trump ha deciso una tregua di 90 giorni sui nuovi dazi “reciproci”.
Una terza fonte, che viene accreditata di essere aggiornata sulle interazioni tra le parti, si dice “non ottimista” sul raggiungimento di un accordo prima della scadenza del termine. “Scambiarsi lettere non è fare progressi – afferma questa fonte -. Non stanno andando da nessuna parte”.
Secondo il quotidiano finanziario, i delegati Usa stanno premendo sull’Ue affinché “riduca in maniera unilaterale i suoi dazi sui beni importati dagli Usa”, con una mossa equivalente a quella decisa al Regno Unito.
Gli Usa sono insoddisfatti che ad oggi l’Ue si sia limitata ad offrire una riduzione parallela dei dazi e che non intende mettere su un tavolo negoziale anche la sua proposta di Digital tax.
Un appuntamento chiave, e in questo caso non a colpi di missive ma faccia a faccia, è previsto a giugno, a Parigi, tra il rappresentante al Commercio degli Stati Uniti, Jamieson Lee Greer e il Commissario Ue responsabile del Commercio, Maros Sefcovic.
Vista la località non si possono quindi escludere “incursioni” del padrone di casa, il presidente francese Emmanuel Macron. In caso di mancato accordo Washington potrebbe riattivare il dazi supplementari al 20%, oltre a quelli base del 10% ancora in vigore sull’import dalla Ue, salvo acciaio, alluminio e componenti per le auto, su cui i dazi Usa salgono al 25%
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Maggio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
L’ACCUSA E’ DI VIOLENZA SESSUALE AGGRAVATA
Giovanni Sgroi, sindaco di Rivolta d’Adda (in provincia di Cremona), è stato arrestato
nella mattinata di ieri, giovedì 22 maggio, con l’accusa di violenza sessuale aggravata ai danni di quattro donne. Stando a quanto emerso dalle indagini condotte dai carabinieri del Comando provinciale di Milano, il 70enne avrebbe molestato le pazienti mentre collaborava da chirurgo in un centro medico specialistico a Pozzuolo Martesana (nella Città Metropolitana di Milano). Su richiesta della Procura, il gip ha emesso nei confronti di Sgroi la misura cautelare degli arresti domiciliari.
Le indagini, coordinate dell’aggiunta Letizia Mannella e della pm Alessia Menegazzo, sono iniziate nel 2024, a seguito della denuncia sporta da una presunta vittima. La donna aveva raccontato di aver subito violenza sessuale nel corso di una visita medica eseguita all’interno di un centro medico dove Sgroi collaborava in quanto chirurgo specializzato nell’apparato digerente. Attraverso intercettazioni, perquisizioni e altri accertamenti, gli investigatori del nucleo Investigativo di Milano sono riusciti a identificare altre tre presunte vittime.
Secondo gli inquirenti, però, al momento non si può escludere la presenza di eventuali altre pazienti che potrebbero aver subito abusi da parte del medico. La gip del Tribunale di Milano, Sara Cipolla, ha emesso nei confronti di Sgroi la misura cautelare degli arresti domiciliari con l’ipotesi di reato di violenza sessuale aggravata.
In pensione da inizio 2020, Sgroi era stato direttore della Chirurgia e del dipartimento di Scienze chirurgiche a Treviglio, dove ha lavorato tra il 2011 e il 2019, nell’Asst Bergamo Ovest. Prima per cinque anni è stato primario dell’ospedale di Alzano Lombardo e aveva iniziato la carriera professionale al San Paolo di Milano. Nel 2021 è stato eletto sindaco di Rivolta d’Adda con una lista vicina al centrodestra e nel 2024 si era candidato alle Europee con Libertà.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA PAURA DI DOVER FARE I CONTI CON LA REALTA’: OVVERO PARLARE DI UN’INVASIONE CHE NON C’E’ E DI UN PERICOLO CHE NEANCHE ESISTE
Qualche giorno fa mi rammaricavo del fatto che il dibattito pubblico sui referendum dell’8 e 9 giugno si fosse orientato più sulla diatriba sulla legittimità o meno dell’astensione (e degli appelli a disertare le urne) che sul merito dei quesiti.
Non informare adeguatamente i cittadini su proposte che riguardano lavoro e cittadinanza è una colpa grave di media e politica, dunque, proprio perché si tratta di tematiche importanti, che impattano fortemente sulla società del futuro.
Ed è piuttosto desolante constatare come, quando mancano poco più di due settimane alla consultazione, i giornali italiani diano poco spazio al dibattito di merito e si concentrino su polemiche di secondo piano o sulle divisioni interne ai partiti.
Uno degli elementi che ritornano ogni volta che si affronta il tema della riforma della cittadinanza è quello legato al “numero” di nuovi italiani che si andrebbero a determinare e alle presunte problematiche di carattere economico-assistenziale che si andrebbero a determinare.
Non è un calcolo semplice, per la complessità e quantità di fattori in gioco, un aiuto ci viene dal sito de LaVoce.info, che propone un lavoro di Raffaele Lungarella su “Quanti saranno i nuovi cittadini italiani se passa il referendum”. Prima di tutto si ricorda che “in dieci anni, dal 2014 al 2023, gli stranieri che sono diventati cittadini italiani per una delle motivazioni previste dalla legislazione vigente sono stati quasi 1,7 milioni”. La cosa si fa interessante quando si vanno ad analizzare i dati per le diverse modalità con cui si può acquisire la cittadinanza italiana:
Diventa cittadino chi sposa un’italiana o un italiano e risiede nel paese per almeno due anni dopo il matrimonio. Dai dati Istat si ricava che la quota delle cittadinanze per matrimonio è minoritaria: solo nel 2018 si è attestata sul 20 per cento. In tutti gli anni considerati, in più di otto casi su dieci sono le straniere a diventare cittadine italiane sposando un italiano. modalità “altro” arriva sempre almeno intorno al 40 per cento del numero totale di cittadinanze concesse. Nel 2023 quasi uno straniero su due è diventato italiano per una delle ragioni riunite in questo gruppo. I nuovi cittadini italiani con questa motivazione sono tutti molto giovani: nei primi tre anni della serie storica, tutte le cittadinanze “altro” sono state attribuite a persone di età fino a 20 anni; successivamente il loro peso sul totale è sceso sotto l’80 per cento solo nel 2023. La forte concentrazione di giovani è dovuta, quasi esclusivamente, alla cittadinanza ottenuta dagli immigrati di seconda generazione. La normativa dà infatti ai figli nati in Italia da genitori stranieri la possibilità di richiedere la cittadinanza entro un anno dal compimento della maggiore età.
E per quanto concerne il requisito della residenza? Le acquisizioni per residenza riguardano circa 700mila persone in dieci anni, ma senza che sia possibile disaggregare i dati tra comunitari ed extracomunitari. Come ricorda l’autore, dunque, “gli oppositori del referendum temono che una vittoria del “sì” possa far crescere il numero di extracomunitari che diventano cittadini italiani per la riduzione della durata della residenza richiesta”.
Senza girarci troppo intorno, però, va detto che si tratta di una preoccupazione infondata. Dalle simulazioni effettuate, infatti, emerge come “nel caso di una vittoria referendaria del “sì”, la riduzione da dieci a cinque degli anni di residenza pregressi, produrrebbe effetti solo nel breve termine, che verrebbero tuttavia riassorbiti nel tempo”. Nel pezzo, che vi consigliano caldamente di leggere, sono riportate delle simulazioni piuttosto chiare, che aiutano a porre la questione nei giusti termini.
Non ci sarebbe nessuna “esplosione” del numero di nuovi italiani, nessun boom di extracomunitari che avrebbero accesso facile alla cittadinanza, anche perché tutti gli altri requisiti per ottenerla resterebbero invariati.
Si tratterebbe di un segno di civiltà e di un piccolo passo in avanti, importante anche sul piano simbolico. Lo ricorda Riccardo Noury in un’intervista a L’Unità:
Ridurre il periodo di attesa della cittadinanza significherebbe riconoscere più rapidamente il ruolo delle persone che già vivono qui e contribuiscono alla nostra società. Produrrebbe anche un miglior accesso ai diritti: con la cittadinanza si acquisiscono pieni diritti civili e politici, tra cui il diritto di voto.
n altre parole, si otterrebbe una sostanziale riduzione delle forme di discriminazione per le persone oggi prive di cittadinanza italiana. Soprattutto, ne deriverebbe un profondo cambiamento sotto il profilo identitario: chi ha un background migratorio non verrebbe più percepito come “di passaggio” o semplicemente “soggiornante” in Italia, ma come una persona che progetta di costruire la sua vita qui.
Ecco, niente allarmismi, niente mistificazioni. Un gesto di rispetto e un segno di
apertura. Niente di rivoluzionario, ma già molto per questi tempi bui
(da Fanpage)
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Maggio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA DUCETTA PROVA A VENDERSI COME ARTEFICE DELLA TRATTATIVA, MA IL PAPA SI È MESSO A DISPOSIZIONE DA SOLO, FIN DAL PRIMO GIORNO DEL PONTIFICATO
“Si sta lavorando a un nuovo turno di negoziati e la prima cosa che dobbiamo fare è
ringraziare il presidente Zelensky e il governo ucraino che hanno dimostrato in queste settimane la sincera volontà di cercare la pace, accettando i negoziati.
Dall’altra parte non abbiamo visto alcun passo concreto da parte russa al momento. Vale la pena ricordarlo per smontare una certa narrativa per cui i russi sarebbero stati disponibili alla pace”.”Al di là di date e luoghi, la priorità a cui arrivare è che ci siano negoziati seri, in cui gli interlocutori vogliano tutti manifestare la disponibilità e la voglia di fare passi avanti.
Questo è il centro del lavoro che dobbiamo fare adesso, per arrivare a un cessate il fuoco e un accordo di pace complessivo, che non può prescindere da garanzie sicurezza per l’Ucraina”.Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in dichiarazioni alla stampa con Mette Frederiksen, primo ministro di Danimarca, dopo l’incontro a Palazzo Chigi.
“Se c’è un aspetto che mi piace sottolineare della collaborazione tra Italia e Danimarca è la sua concretezza, ci piace essere concreti nelle risposte. Mette non si perde in chiacchiere, è una persona molto operativa”.
“L’altro aspetto interessante di questa collaborazione – ha aggiunto – è che due Paesi che sulla carta sono molto distanti, e due persone, che politicamente dovrebbero essere molto distanti, si ritrovano a lavorare molto bene insieme per dare risposte concrete ai cittadini. I nostri punti di osservazione sono diversi, ma siamo mossi dallo stesso obiettivo: dare risposte ai cittadini e far sì che l’Europa dia risposte ai cittadini”.
“In questi giorni siamo costantemente in contatto con diversi leader a livello europeo e americano. Ho sentito qualche ora fa Trump l’ultima volta, lavoriamo per avviare un nuovo turno di negoziati”.
(da agenzie)
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Maggio 23rd, 2025 Riccardo Fucile
LA SINISTRA PROTESTA E LUI È COSTRETTO A CHIEDERE SCUSA: “STAVO CITANDO ALCUNE FONTI CHE AVEVO LETTO. SEMBRA CHE NON SIANO VERIFICATE…”
Ernesto ‘Che’ Guevara, uno dei leader della rivoluzione cubana, era uno “stupratore” e un “guerrafondaio”. Questa l’accusa che gli ha rivolto Maurizio
Nerini, consigliere comunale di Fratelli d’Italia a Pisa, nel corso di una seduta del Consiglio.
All’ordine del giorno c’era la proposta della maggioranza – di centrodestra – di dare la cittadinanza onoraria pisana al Capar, il centro di addestramento dei paracadutisti della Folgore. E nel difendere l’iniziativa, Nerini ha fatto riferimento a un Comune in provincia di Pisa che aveva dato la cittadinanza al cubano.
“Sì, è un voto politico”, ha detto il consigliere, come riporta un video che ha poi avuto ampia circolazione in rete. “È un voto politico come quello che fu dato, per esempio, a Che Guevara a San Giuliano. Noto personaggio guerrafondaio, stupratore, chi più ne ha più ne metta. Va bene?”.
A quel punto diversi esponenti dell’opposizione sono insorti. Che Guevara è una figura diventata simbolo per molti movimenti di sinistra, ma soprattutto non risulta da alcuna fonte storica attendibile che abbia commesso stupri. “Ma cosa dici?”, hanno chiesto a Nerini consiglieri della minoranza, accendendo una protesta che ha poi portato alla sospensione della seduta
“Vabe, che non posso dir niente?”, ha risposto l’esponente di FdI. Più avanti nello scontro, Nerini ha chiesto: “Qualcuno difende Che Guevara di voi? Va bene, se viene il signor Che Guevara gli chiedo scusa”.
Quando poi i lavori sono ripresi, però, il consigliere di destra ha dovuto ammettere l’errore: “Io non vorrei che qualcuno si fosse sentito offeso da quello che ho detto prima, stavo citando alcune fonti che avevo letto. Sembra che non siano verificate per cui mi rimetto al giudizio degli esperti, secondo i quali Che Guevara non è stato uno stupratore”.
E ha continuato: “Per cui mi scuso per questa cosa. Però ha detto: ‘Io amo l’odio’. Non mi hanno fatto finire il discorso, sennò avrei detto che la figura a mia giudizio, come altre, politicamente oggi alla luce di quello che sappiamo non sono belle”. Poi ha aggiunto un riferimento al duce: “Del resto in quest’aula è stata revocata la cittadinanza a Benito Mussolini e io ho detto:
come si fa a togliere la città a qualcuno già morto?”.
(da agenzie)
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