Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
È L’ULTIMO ATTO DI UNA CAMPAGNA DI RIABILITAZIONE PORTATA AVANTI DA PUTIN: L’OBIETTIVO DEL CREMLINO È FARE LEVA SULLA NOSTALGIA DEI RUSSI PIÙ ANZIANI, CHE MAI HA DIGERITO LA TRANSIZIONE AL CAPITALISMO – RISPOLVERARE L’EREDITÀ STALINIANA SERVE ANCHE A RAPPRESENTARE LA STORIA RUSSA COME UNA SERIE DI TRIONFI (CHE PUTIN INTENDE CONTINUARE IN UCRAINA)
Dopo quasi sessant’anni di assenza, il volto di Iosif Stalin […] è tornato ad accogliere i pendolari in una delle sontuose stazioni della metropolitana di Mosca.
Una nuova statua è stata svelata dalle autorità questo mese, raffigurante Stalin che guarda saggiamente in lontananza, affiancato da operai adoranti e bambini che gli porgono fiori.
Replica di un bassorilievo rimosso nel 1966 durante la campagna di destalinizzazione, la nuova scultura è rapidamente diventata un’attrazione: la gente lascia fiori, si ferma a farsi fotografare, anche con i propri figli, o semplicemente osserva in silenzio.
L’opera fa parte di una graduale riabilitazione di un leader brutale che continua a dividere i russi, 72 anni dopo la sua morte. Il Cremlino ha
rispolverato parte della sua eredità nel tentativo di riscrivere la storia russa come una serie di trionfi gloriosi che intende proseguire in Ucraina.
Tra gli ammiratori dell’opera, durante una visita recente, c’era Liliya A. Medvedeva, che ha detto di essere “molto felice che il nostro leader sia stato restaurato”.
“Abbiamo vinto la guerra grazie a lui,” ha detto la signora Medvedeva, pensionata nata nel 1950, aggiungendo di essere grata che Stalin non abbia mandato suo padre nel Gulag, pur essendo stato fatto prigioniero durante la Seconda guerra mondiale — circostanza che all’epoca equivaleva a un tradimento. “Sì, ci sono stati molti errori, ma tutti ne commettono.”
In un paese dove criticare l’operato del governo può essere pericoloso, non è chiaro quante persone non condividano la visione positiva della signora Medvedeva, ma alcune sono sconcertate, se non indignate, da quella che vedono come una revisione storica volta a sbiancare il passato.
Vladimir, uno studente di storia di 25 anni che ha rifiutato di fornire il cognome per timore di ritorsioni, ha detto di essersi recato a osservare la folla attratta dalla figura di Stalin, che ha definito “un tiranno sanguinario”. “È difficile esprimere la mia opinione,” ha detto. “Ma nessun altro monumento attirerebbe tanta attenzione.”
Stalin fu responsabile delle grandi purghe, incluso il Grande Terrore del 1936-1938, in cui oltre 700.000 persone furono giustiziate […]. Sotto la sua guida, interi gruppi etnici — come i tatari di Crimea — furono deportati dalle loro terre d’origine. Le sue politiche contribuirono a causare carestie diffuse in tutta l’Unione Sovietica, compresa l’Ucraina.
Ma la nostalgia per l’era sovietica resta forte, specialmente tra le generazioni più anziane traumatizzate dalla dolorosa transizione al capitalismo, che ricordano Stalin come l’uomo forte che impose ordine in un paese immenso e lo guidò alla vittoria contro la Germania nazista. I suoi ammiratori considerano purghe, carestie e deportazioni di massa come “eccessi” di cui furono responsabili soprattutto funzionari locali troppo zelanti.
Da quando Vladimir V. Putin è salito al potere più di 25 anni fa, in Russia sono stati eretti almeno 108 monumenti dedicati a Stalin, e il ritmo si è accelerato dopo l’invasione dell’Ucraina nel 2022, secondo lo storico e giornalista Ivan Zheyanov, che tiene il conteggio delle statue. Una di esse è
stata installata quest’anno nella città ucraina di Melitopol, attualmente occupata dalle forze russe.
Ma nessuna ha la visibilità della nuova scultura nella metropolitana, attraversata quotidianamente da legioni di moscoviti in transito tra la linea circolare principale e la linea viola.
Per anni, il Cremlino ha cercato di mantenere un certo equilibrio, riconoscendo le repressioni staliniane ma opponendosi all’intellighenzia liberale, la cui ideologia si fondava sull’anti-stalinismo.
Il presidente Putin ha più volte condannato Stalin nel corso degli anni. Ha visitato i luoghi delle fosse comuni e convocato attivisti per i diritti umani e storici per discutere del periodo staliniano.
“È molto importante che noi tutti — e le future generazioni, è di grande rilevanza — conosciamo e ricordiamo questo periodo tragico della nostra storia, in cui interi gruppi sociali e interi popoli furono crudelmente perseguitati,” disse Putin a Mosca nel 2017, in occasione dell’inaugurazione del monumento Muro del Dolore, dedicato alle vittime delle repressioni staliniane.
“Questo passato terrificante non può essere cancellato dalla memoria nazionale, né, tanto meno, giustificato con presunti interessi superiori del popolo.”
Nel 2001, il comune di Mosca fondò il Museo della Storia del Gulag, che illustrava vividamente come il sistema dei campi di lavoro di massa causò fino a due milioni di morti.
Ma negli ultimi anni si è verificato un processo del tutto diverso.
Memorial, la più importante organizzazione russa per i diritti civili, fondata da dissidenti negli ultimi anni dell’Unione Sovietica, è stata dichiarata “agente straniero” nel 2014. Alla fine del 2021, un tribunale di Mosca ne ha ordinato la dissoluzione.
Nel 2017, Putin dichiarò al regista Oliver Stone che “una demonizzazione eccessiva di Stalin è stata uno dei modi per attaccare l’Unione Sovietica e la Russia.”
Dopo una lunga serie di processi, Yuri A. Dmitriev, storico dilettante che aveva scoperto tombe di vittime staliniane in una remota foresta di pini nel nord della Russia, è stato condannato nel 2021 a 15 anni di carcere. Dmitriev era stato riconosciuto colpevole di aver abusato sessualment
della figlia adottiva, accuse che la famiglia e gli amici hanno sempre definito inventate.
Il Museo della Storia del Gulag è stato chiuso nel 2024 per presunte irregolarità antincendio e non ha più riaperto.
Lo scorso aprile, il governo ha rinominato l’aeroporto di Volgograd con il nome di Stalingrado, come si chiamava la città tra il 1925 e il 1961, in onore sia della colossale battaglia della Seconda guerra mondiale sia del leader che le diede il nome.
“La strisciante restalinizzazione del paese è pericolosa non solo per la società, in quanto giustifica le più gravi atrocità statali della nostra storia, ma anche per lo Stato stesso,” ha dichiarato Lev Shlosberg, politico d’opposizione e membro del partito liberale Yabloko, che ha avviato una petizione per rimuovere il monumento nella metro di Mosca. “Prima o poi, la repressione divora anche chi governa.”
Nella metropolitana, alcuni attivisti hanno lasciato un poster incorniciato davanti al nuovo monumento a Stalin: una protesta rischiosa per gli standard della Russia odierna. Il poster riportava citazioni di Putin in cui criticava i metodi di Stalin.
Le guardie di sicurezza lo hanno rimosso rapidamente, e la polizia ha poi arrestato una persona che aveva partecipato alla protesta.
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
LA POSIZIONE DI NORDIO IRRITA MANTOVANO, MENTRE LA DUCETTA PER ORA NON HA PRESO POSIZIONE… PALAZZO CHIGI FA FILTRARE CHE “SAREBBE FAVOREVOLE” ALLA DEPOSIZIONE DI NORDIO
Il Tribunale dei ministri ha convocato il ministro Carlo Nordio (indagato come Giorgia
Meloni, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano nel caso Almasri) e al momento è in corso una discussione nel Governo sull’opportunità di andare o meno a rendere interrogatorio.
Il ministro della Giustizia è indagato dal 28 gennaio per omissione di atti di ufficio e favoreggiamento. La legge prevede 90 giorni di tempo per le indagini del Tribunale dei Ministri al termine delle quali, sentito il procuratore, può archiviare o trasmettere gli atti alla Camera per l’autorizzazione a procedere contro il ministro.
I 90 giorni sono scaduti da un mese ma il Tribunale non ha deciso e si è dato una proroga. Sono stati sentite molte persone informate dei fatti. L’allora capo del DAG, il Dipartimento per gli Affari di Giustizia, Luigi Birritteri; il magistrato Cristina Lucchini, anche lei in servizio al ministero, il capo della Polizia Vittorio Pisani, il direttore dell’AISE Giovanni Caravelli e altri. Ora il Tribunale vuole interrogare l’indagato Nordio.
Il ministro della Giustizia, da quel che risulta al Fatto, non è convinto di andare a rispondere. Da una decina di giorni si discute del tema ai massimi livelli. Giorgia Meloni non ha preso posizione e ha delegato il dossier a Mantovano
All’inizio della scorsa settimana, da quel che Il Fatto ha ricostruito, si è svolto un confronto tra il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e il ministro. Mantovano, anche lui ex magistrato penale, è convinto che Nordio debba andare a rendere interrogatorio. Nordio nicchia.
Tutti gli indagati, compresi i ministri, possono avvalersi della facoltà di non rispondere. Ma, a parte la funzione passata, anche quella attuale renderebbe difficilmente sostenibile davanti all’opinione pubblica un rifiuto di Nordio. Il Tribunale dei Ministri in fondo è un collegio speciale creato per garantire i governanti tenendoli lontani dai pm che possono convocare i comuni mortali.
D’altro canto Nordio ha qualche ragione a essere più preoccupato di Mantovano. Questo è il secondo segnale sinistro per il ministro che lo pone in una situazione oggettivamente diversa rispetto agli altri indagati.
Il primo era stata l’iscrizione. Il ministro dell’Interno Piantedosi, il sottosegretario con delega ai servizi segreti Mantovano e la presidente Meloni sono stati indagati per peculato e favoreggiamento, cioé per i due reati ipotizzati nella denuncia dell’avvocato ed ex parlamentare Luigi Ligotti dalla quale è partita tutto.
Per Nordio l’iscrizione del procuratore Lo Voi (‘omessa ogni indagine’) si è estesa anche all’omissione di atti di ufficio. E ora quell’ipotesi aggiunta potrebbe preoccupare il ministro perché, a detta di molti giuristi, è meno ‘lunare’ delle altre.
Dopo le prime polemiche contro la Procura, proprio l’Associazione Nazionale Magistrati aveva spiegato l’ipotesi astratta di reato: “Almasri è stato liberato per inerzia del ministro della Giustizia che avrebbe potuto e dovuto, per rispetto degli obblighi internazionali, chiederne l’arresto in vista della consegna alla Corte penale internazionale”.
Alla fine il ministro Nordio potrebbe decidere di cedere ai consigli di Mantovano e rispondere. I rischi non sarebbero tanto penali quanto politici.
Le tre giudici che compongono il collegio (la presidente Maria Teresa Cialoni, giudice penale, e le componenti Donatella Casari, giudice del lavoro, e Valeria Cerulli, giudice penale) si sono mostrate sensibili alla trasparenza. Applicando
l’articolo 116 del codice di procedura penale hanno consegnato ai denuncianti la richiesta di archiviazione nei confronti dell’ex ministro Roberto Speranza per uno dei procedimenti sull’emergenza Covid. Il documento, comprese le sintesi dell’interrogatorio di Speranza, è così finito on line.
Potrebbe accadere anche con le dichiarazioni eventuali di Nordio che a quel punto potrebbero essere confrontate dalla libera stampa con quelle del ministro in Parlamento. O con quelle di Giorgia Meloni sul web.
Nel suo celebre video del 28 gennaio la premier aveva detto: “La richiesta di arresto della Corte Penale Internazionale non è stata trasmessa al ministero italiano della giustizia come invece è previsto dalla legge e per questa ragione la Corte di appello di Roma decide di non procedere alla sua convalida”.
Da quel che è trapelato finora non sembra che questa ricostruzione sia stata confermata totalmente dalle audizioni dei magistrati in servizio allora al Ministero, in testa l’ex capo del DAG Luigi Birritteri. Anche per questo un eventuale verbale di Nordio potrebbe creare nuovo imbarazzo al Governo.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
A DENUNCIARE L’ACCADUTO È STATO ROBERTO D’AMBROSIO, SINDACALISTA DEL TEATRO: “LA GIOVANE DIPENDENTE È STATA SUBITO PORTATA FUORI DALLA POLIZIA. NEI GIORNI SUCCESSIVI NON L’HANNO FATTA LAVORARE. POI È STATA LICENZIATA. NE COLPISCONO UNO PER EDUCARNE CENTO, CON UN ATTEGGIAMENTO DI AUTORITARISMO GRATUITO”
E’ stata licenziata dalla Scala la maschera del teatro che ha srotolato uno striscione e gridato “Palestina libera”, prima di un concerto andato il scena il 4 maggio: proprio in quel momento era entrata in sala, sul palco reale, la premier Giorgia Meloni. A denunciarlo è il sindacato Cub, che attacca i vertici del teatro.
“Evidentemente per la direzione ha detto qualcosa da punire severamente”, fa sapere in una nota il sindacato di base, citando il provvedimento di licenziamento firmato dal sovrintendente Fortunato Ortombina.
Dal Teatro nessun commento: solo la conferma del licenziamento, avvenuto pochi giorni dopo l’episodio.
Roberto D’Ambrosio, sindacalista del Cub nella Scala. “Quella sera la ragazza, una giovane studentessa dipendente del teatro, ha gridato prima del concerto la sua posizione sulla Palestina. E’ stata subito portata fuori dalla polizia. Nei giorni successivi non l’hanno fatta lavorare. Poi è stata licenziata. Ne colpiscono uno per educarne cento, con un atteggiamento di autoritarismo gratuito. Per questo la difenderemo”.
Secondo la versione dei fatti fornita dal Cub, il Teatro contesta alla giovane maschera di aver tradito la fiducia disobbedendo a ordini di servizio. Una violazione quindi del contratto di lavoro, che alla maschera richiede di mantenere l’ordine in sala, e di abbandono del posto che le era stato assegnato in sala: lei infatti è salita in galleria, per srotolare lo striscione.
(da agenzie)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
I DATI DEL MINISTERO DELL’ECONOMIA: STANDO A QUANTO DICHIARATO DAI RISTORATORI, IL 75% DI LORO SOPRAVVIVE INCASSANDO UNA MEDIA DI 15 MILA EURO ALL’ANNO … A PRENDERE PER IL CULO L’AGENZIA DELLE ENTRATE ANCHE 750 DISCOTECHE E NIGHT CLUB, CHE TIREREBBERO AVANTI CON UNA MEDIA DI 7 MILA EURO … IL 70% DEI PANETTIERI NASCONDE PARTE DEGLI INCASSI AL FISCO, COME IL 64% DEI CAMPEGGI E VILLAGGI TURISTICI … GLI UNICI COGLIONI A PAGARE LE TASSE SONO I LAVORATORI DIPENDENTI, CHE SI FANNO CARICO DELLE SPESE PER I SERVIZI DI CUI GODONO
Per le partite Iva italiane il 2023 è stato un anno di vacche grasse. I redditi medi di
quelle soggette alle “pagelle fiscali” dell’Agenzia delle Entrate sono saliti di oltre il 10%, mentre quelli da lavoro dipendente progredivano solo del 4,5%. Ma l’amore degli autonomi per il “nero” è immutato: i dati appena pubblicati dal dipartimento Finanze del Mef mostrano che il 55% resta probabile evasore. Basta un’occhiata alle cifre rielaborate dal Fatto per capire il motivo: il 75% dei ristoratori risulta aver guadagnato in media solo 15 mila euro.
Credibili quanto i 7 mila euro medi annui con cui tirerebbero avanti 750 discoteche e night club, i 14 mila portati a casa dai gestori di 5.600 tintorie e i poco più di 20 mila con cui sopravvive l’81% dei noleggiatori di auto, primi nella classifica del rischio evasione.
Nella “top ten” anche servizi di assistenza domiciliare e ricerche di mercato, mentre le attività finanziarie sono al quindicesimo posto. Le tabelle del ministero fotografano ricavi e redditi medi di 2,7 milioni di persone fisiche e società soggette agli Indicatori sintetici di affidabilità fiscale (Isa).
Ogni attività riceve, sulla base delle informazioni comunicate al Fisco, un voto da 1 a 10: da 8 in su si è considerati “affidabili”, chi sta sotto – salvo errori – ha fatto il furbo. I “furbi” sono il 55%. Che il quadro sia questo non è un mistero, visto che stando alle relazioni annuali del ministero gli autonomi nel complesso versano quasi il 70% in meno rispetto all’Irpef attesa in un mondo di perfetta onestà.
Per ristoranti e bar, nonostante siano raddoppiati rispetto al 2022, i redditi dei 75 mila ristoratori con voti Isa insufficienti restano bassissimi: poco più di 15 mila euro. I locali più piccoli risultano addirittura in perdita: difficile capire perché restino aperti. C’è un abisso rispetto alle attività con pagelle brillanti, che guadagnano oltre 63 mila euro.
Nel comparto dei bar e gelaterie, gli inaffidabili scendono invece al 56% dal 68% dell’anno prima. Per le discoteche, la categoria che tiene insieme locali notturni e scuole di danza, conquista il secondo posto in classifica con un 77% di potenziali evasori. Tra loro e quelli che il fisco considera “congrui” c’è una distanza abissale, ben 83 mila euro di reddito mancante.
Nel commercio al dettaglio la propensione al nero è molto variabile. Male panetterie (70%), mercerie (68%), giocattoli (67%), abbigliamento (65%)
Più virtuosi i giornalai (45%) e i commercianti di materiale per ottica e fotografia (poco sotto il 50%). Gioiellerie e pelliccerie, simboli di un consumo di lusso che sta passando di moda, si piazzano all’undicesimo posto: più di due su tre campano ufficialmente con 1.200 euro al mese.
La categoria dei gioiellieri dal canto suo porta a casa mediamente 51 mila euro, non da buttare. Ma il 55% sostiene di guadagnarne solo 28 mila.
Andando agli alberghi, il 64% dei campeggi e villaggi turistici è sospetto per il Fisco. Per le strutture alberghiere la quota è più bassa di 10 punti. Più della metà di hotel, B&B e case vacanza dichiara comunque appena 18 mila euro. Ci sono poi le attività finanziarie.
Qualcuno si stupirà, ma le attività di intermediazione e consulenza finanziaria e assicurativa hanno punteggi Isa da allarme rosso. Il 68% non raggiunge la sufficienza e dichiara 125 mila euro contro i 568 mila di quelli con dichiarazioni attendibili. Per i balneari un’altra annata difficile, a quanto pare, con gli imprenditori delle spiagge eternamente in lotta contro la messa a gara delle concessioni. Il 58% di loro sopravvive con 15 mila euro.
Le Entrate non sono convinte: bocciati. Cinema, giostre e parchi: il 64% delle attività di “gestione di spazi culturali, sportivi e ricreativi” è inaffidabile. Reddito medio: 3.400 euro. All’anno. Tra i principali sospettati giostre e circhi. Elettricisti e idraulici: quasi sei su dieci sono in odore di evasione. I redditi medi che rendono noti al Fisco non sono bassissimi (oltre 46 mila euro), ma per essere ritenuti in regola bisogna dichiarare quasi il doppio. Tassisti e Ncc legati a cooperative sono esclusi dagli Isa, cosa che rende i dati incompleti.
La mappa per regione mostra che la distribuzione lungo lo Stivale delle attività a rischio evasione riserva qualche sorpresa. In Molise il problema riguarda il 62% delle attività, in Calabria e Basilicata il 59%. Seguono Abruzzo, Lazio, Puglia, Sardegna, Marche e Sicilia. Poi la Toscana (56,5%), dove si concentrano più partite Iva inaffidabili che in Campania (55,5%). In Trentino invece la quota di inaffidabili si ferma al 51,3%. Poco meno virtuose Liguria e Friuli-Venezia Giulia.
Il flop del concordato: naturale chiedersi perché le Entrate, dati alla mano, non vadano a bussare a colpo sicuro a chi ha un Isa insufficiente. Risposta: al momento mancano le risorse umane per occuparsene. I controlli
sostanziali nel 2023 sono stati meno di 400 mila. Il viceministro Maurizio Leo sperava di aggirare il problema con il concordato preventivo, l’intesa tra fisco e partite Iva sulle tasse da pagare nel successivo biennio.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
RINFACCIA ALLA MELONI DI AVER CAUSATO LA SCONFITTA SPOSTANDO MARCO BUCCI DAL COMUNE ALLA REGIONE: “RIMANENDO SINDACO AVREBBE POTUTO RAPPRESENTARE UN OTTIMO PUNTO D’APPOGGIO. LA CANDIDATA SAREBBE POTUTA ESSERE ILARIA CAVO” (FEDELISSIMA DI TOTI)
«Uno scivolone ci sta dentro un ciclo politico. Prima di dire che è finito occorre però fare una analisi seria senza autoindulgenze. E capire se è stato un incidente di percorso o qualcosa di più serio».
Giovanni Toti è il convitato di pietra delle elezioni comunali di Genova. Evocato a vario titolo da molti, l’ex presidente della Regione Liguria, costretto a dimettersi per l’inchiesta giudiziaria che lo ha colpito nella primavera di un anno fa, è stato anche accusato di aver aiutato sottobanco la neosindaca Silvia Salis.
Ma è vero?
«Conosco Silvia, la stimo e le auguro ogni bene, e conosco ancora meglio il marito con cui abbiamo collaborato su diversi progetti. Ma faccio il tifo per la mia squadra anche se l’ho vista incerta. Sarebbe meglio parlare degli errori ».
«Il primo, che io considero esiziale, è stato commesso nell’autunno scorso quando si è giocata la partita delle Regionali. Bucci, rimanendo sindaco di Genova, avrebbe potuto rappresentare un ottimo punto d’appoggio per il candidato in Regione. Che doveva essere un altro o un’altra. Penso anzitutto a Ilaria Cavo, che anche in queste Comunali ha fatto il boom di preferenze . Si è voluto giocare tutto all’attacco quando sarebbe servita più calma».
Un altro errore?
«È strettamente legato al primo. Si è immaginato di sfruttare un momento
di debolezza dell’area civico-totiana per rivedere i rapporti di forza dentro il centrodestra. Già è difficile giocare una sfida alla volta, volerne fare due contemporaneamente è stato un azzardo che non ha pagato».
Ce l’ha con Fratelli d’Italia?
«No, con tutti i partiti. Legittimamente, dopo aver avuto un ruolo minore durante la mia esperienza (l’area che si era coagulata raggiungeva il 22 per cento), hanno pensato di “riappropriarsi” di quell’elettorato. Ma hanno fatto male i loro conti».
Perché?
«Perché quell’elettorato non è dentro il bacino del centrodestra, anzi spesso ne è estraneo. La Liguria ha una storia precisa, di marca progressista. Per una strana alchimia, eravamo riusciti a coinvolgere quell’elettorato nel nostro progetto politico. Una volta lasciato in libertà, in buona parte è tornato a casa».
Che meriti ha Salis?
«Era la figura giusta: una solida tradizione familiare di sinistra ma con un posizionamento politico centrista. Ma ho un altro errore da spiegare».
Dica.
«Noi abbiamo rappresentato un centrodestra attento al fare, con una comunicazione forte, anche sopra le righe, iperottimista, allegra. Qualcuno mi ha accusato di promuovere una “Genova da bere”.
Se, al contrario, cerchi di distinguerti, se vuoi porti con un’immagine diversa rischi di non sapere più che cosa dire ai tuoi elettori. Se ti proponi come l’artefice del cambiamento, allora sono meglio gli altri che vogliono davvero cambiare. Le campagne elettorali sono binarie: o di qua o di là. I distinguo finiscono per essere pelosi».
Il candidato sconfitto Pietro Piciocchi ha detto che l’inchiesta che l’ha coinvolta un anno fa «ha rotto l’incantesimo». È d’accordo?
«Non l’ha detta male. È vero che c’è stata una cesura. Non si poteva far finta di niente. Però io penso che per recuperare quell’elettorato sarebbe stato necessario rivendicare il lavoro fatto, non rinnegarlo o sminuirlo”
Quindi, non c’entra la scelta del candidato sindaco?
«Dare addosso a Pietro è da gaglioffi. Come prendersela con l’ufficio stampa se un amministratore delegato ha sbagliato una scelta. Io penso, con sincerità, che Ilaria se la sarebbe potuta giocare meglio. Ma non è questo l’errore che ha fatto perdere la partita».
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
“AFFERMAZIONI VERGOGNOSE”…. RENZI: “IL SOLITO PENSIERO RAFFINATO DI SALVINI”
«I toscani hanno rotto le palle». Questa volta non è l’iconica battuta di Stanis La
Rochelle nella serie Tv Boris, ma un’affermazione del vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini. La frase è stata detta in uno scambio di battute tra lui e il governatore dell’Abruzzo, Marco Marsilio, prima di una riunione del tavolo ministeriale sulle priorità infrastrutturali della regione.
Ma in quale contesto è uscita? Salvini ha risposto così quando Marsilio gli ha detto: «È più conosciuto ed esportato il Montepulciano d’Abruzzo che il Nobile di Toscana». A quel punto, il vicepremier ha incalzato con ironia: «Ah sì? Meglio, perché i toscani hanno rotto le palle».
«Affermazioni vergognose e indegne»
L’affermazione ha subito scatenato la polemica. Il primo a intervenire è il presidente del Consiglio regionale della Toscana, il dem Antonio Mazzeo, che in un post sui social scrive: «Queste dichiarazioni di Salvini sono vergognose e indegne di un ministro spero che abbia almeno il buon gusto di chiedere immediatamente scusa a tutte le toscane e i toscani».
L’ira di Matteo Renzi: «Dice Salvini che i toscani hanno rotto. Può darsi, per carità. Sono i soliti pensieri raffinati e profondi di un uomo che cantava “Senti che puzza scappano anche i cani stanno arrivando i napoletani” e poi è andato a chiedere i voti in Campania. Ma ammettiamo pure che i toscani abbiano rotto non si capisce cosa. Cosa ha rotto invece il Ministro delle Infrastrutture? A parte il pantografo dico», scrive su X il di Italia Viva, ed ex sindaco di Firenze.
(da agenzie)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
“COS’ALTRO PUÒ ESSERE DECIDERE DI AFFAMARE DUE MILIONI DI PALESTINESI SENZA MOTIVO? MINISTRI E PARLAMENTARI DICHIARANO PUBBLICAMENTE CHE TUTTI GLI ABITANTI DELLA STRISCIA DI GAZA SONO ASSASSINI E DUNQUE OBIETTIVI DA ELIMINARE. NETANYAHU NON VUOLE IL RILASCIO DEGLI OSTAGGI: STIAMO FACENDO UNA GUERRA PRIVATA”… “NON C’È UN INTERESSE NAZIONALE, CI SONO SOLO GLI INTERESSI DEL PRIMO MINISTRO CHE ORDINA DI CONTINUARE A COMBATTERE PUR DI EVITARE LE CONSEGUENZE DEI PROCESSI IN CUI È IMPUTATO
“Israele sta compiendo crimini di guerra a Gaza». Crimini di guerra. L’ex premier israeliano Ehud Olmert lo ripete per sei volte durante l’intervista con Repubblica e per sei volte scandisce bene le parole. «Sì, crimini di guerra. Il governo Netanyahu è responsabile e non è più possibile negarlo. Cos’altro può essere decidere di affamare due milioni di palestinesi senza motivo? Come lo chiami quando ministri e parlamentari importanti della Knesset dichiarano pubblicamente che tutti gli abitanti della Striscia di Gaza sono assassini e dunque obiettivi da eliminare?».
A 79 anni, Ehud Olmert non ha paura di chiamare le cose col loro nome. Anche se questo in patria gli vale le feroci critiche e le accuse di tradimento di mezzo parlamento e del governo dello Stato ebraico. Che lui ha guidato, da primo ministro, dal 2006 al 2009
Olmert non è mai stato un uomo di sinistra ma non fa mistero di considerare Benjamin Netanyahu parte del problema.
Perché lo dice soltanto adesso? Anche un anno fa, quando ci ha rilasciato la prima intervista, c’erano chiare evidenze di crimini di guerra in corso a Gaza.
«Allora la comunità internazionale riteneva che la guerra cominciata dopo il massacro del 7 ottobre fosse legittima. Ora non lo è più».Quando ha maturato questa convinzione?
«Quando è diventato chiaro che Netanyahu non vuole il rilascio degli ostaggi. C’è solo un modo per ottenerlo ed è chiudere il conflitto. Subito. Ma lui, invece, continua. Per la prima volta in 77 anni di storia di Israele stiamo facendo una guerra privata».
In che senso?
«Non c’è un interesse nazionale, ci sono solo gli interessi del primo ministro che ordina di continuare a combattere pur di evitare le possibili conseguenze dei processi in cui è imputato. Ci sarà un motivo se tutti gli ex capi di stato maggiore, gli ex capi del Mossad, gli ex capi dei servizi segreti concordano nell’opporsi a continuare la guerra. Sono forse tutti dei traditori?»
Netanyahu ancora in queste ore ha detto di volere la vittoria totale su Hamas per garantire la sicurezza dello Stato ebraico
«Guardi, il 7 ottobre è stato un attacco terroristico brutale, barbaro, crudele, che non ha precedenti nella storia moderna e che ha giustificato l’inevitabile controffensiva israeliana contro Hamas. Ma non c’è stato un solo secondo in cui l’esistenza di Israele sia stata davvero in pericolo. Invece Netanyahu sin dall’inizio l’ha presentata come una guerra di sopravvivenza, perché, ovvio, se combatti per sopravvivere, tutto sul campo di battaglia diventa legittimo. Ancora oggi il primo ministro ripete la storia della guerra di sopravvivenza. È un’idea detestabile, esagerata, fuori dalla realtà».
Qual è l’obiettivo militare della nuova offensiva denominata Carri di Gedeone?
«Cosa è rimasto di Gaza? Quasi niente. La maggior parte dei palazzi è distrutta. La gente lotta per un pezzo di pane. La completa eliminazione di Hamas è una fantasia, non succederà. La verità è che Netanyahu è ostaggio dei suoi partner di governo, sono loro che determinano il suo destino politico».
Come valuta ciò che è successo a Rafah martedì, quando è cominciata la distribuzione del cibo con questo nuovo sistema militarizzato gestito, almeno formalmente, dall’americana Gaza Humanitarian Foundation?«È Israele che sta finanziando la Fondazione ma lo nasconde per non andare contro le idee dei ministri Smotrich e Ben-Gvir che sono contrari a fornire aiuti umanitari»
Come fa a dirlo
“O la distribuzione del cibo viene fatta in modo da sfamare davvero la popolazione palestinese, oppure Israele sarà colpevole di non averlo fatto».
Netanyahu ha la maggioranza nella Knesset, come pensano le opposizioni di fermarlo politicamente?
«Nell’ottobre del 2026 scade naturalmente il suo mandato e si va alle elezioni, quello sarà un momento decisivo. Penso però che Israele non si può permettere di avere questo governo per un altro anno e mezzo e le elezioni potrebbero anche essere indette prima se il primo ministro andrà in collisione con la Corte Suprema. C’è bisogno che il presidente Donald Trump lo convochi alla Casa Bianca, nel suo Studio Ovale, e davanti alle telecamere gli dica: “Bibi, ora basta”».
E pensa che lo farà?
«La mia impressione è che Trump si sia stufato di Netanayahu. […] Prima o poi [rump lo bloccherà minacciandolo di non inviare più armi a Israele. […] Biden ha dato tutto a Israele, non c’è stato miglior sionista del precedente presidente degli Stati Uniti. Ma non ha avuto la forza e il coraggio di mandare a quel paese Netanyahu»
(da agenzie)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
IL 44,25% DELLE PERSONE DETENUTE FA USO DI SEDATIVI O IPNOTICI, E CRESCE LA SOFFERENZA: DA INIZIO ANNO CI SONO STATI 33 SUICIDI – CRESCONO DEL 54% I GIOVANI DETENUTI NELLE CARCERI MINORILI – IL CARCERE È LA MISURA CAUTELARE PIÙ USATA (28,9% DEL TOTALE): NEL 12% DEI CASI NON ARRIVA MAI UNA CONDANNA
“Dei 95 istituti visitati, la metà si trova fuori dal contesto urbano, mentre l’altra metà
dentro il contesto urbano e di questi ultimi solo otto sono di recente costruzione e 19 risalgono a prima del 1900
In trenta istituti sui 95 visitati c’erano celle in cui non erano garantiti tre metri quadri calpestabili per ogni persona”. È quanto scrive l’associazione Antigone nel suo rapporto ‘Senza Respiro’.
Secondo il dossier, inoltre, negli istituti viene fatto “un diffuso uso di terapie psicofarmacologiche, il 44,25% delle persone detenute fa uso di sedativi o ipnotici, il 20,4% utilizza stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi”.
“L’emergenza morti in carcere non dà segni di arresto. Anzi, continua a peggiorare. Nel 2024 sono stati almeno 91 i casi di suicidi commessi da persone private della libertà.
Tra gennaio e maggio 2025, almeno 33. Il 2024 passa così alla storia come l’anno con più suicidi in carcere di sempre, superando addirittura il record del 2022 quando l’emergenza ha avuto inizio.
Il 2024 passa alla storia anche come l’anno con più decessi in carcere in generale. Sono state complessivamente 246 le persone che hanno perso la
vita nel corso della loro detenzione”.
E’ quanto sottolinea Antigone presentando a Roma il XXI Rapporto sulle condizione di detenzione e specificando i numeri citati provengono dal conteggio elaborato da Ristretti Orizzonti nel Dossier ‘morire di carcere’.
Gli istituti con più casi di suicidio “sono tutti in condizione di sovraffollamento”, spiega Antigone. Oltre ai suicidi, aumentano anche i decessi per altre cause, “segno di un carcere sempre più malato”.
E se lo scorso anno ha registrato 246 decessi, tra gennaio e inizio maggio 2025 sono stati 100: dieci in più rispetto allo stesso periodo del 2024.
La sofferenza penitenziaria “cresce drammaticamente”: nel 2024 l’autolesionismo è aumentato del 4,1% rispetto al 2023, mentre i tentati suicidi sono cresciuti addirittura del 9,3%.
Il 44,25% delle persone detenute fa uso di sedativi o ipnotici, il 20,4% utilizza stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi, “si tratta di classi di farmaci con rilevanti effetti collaterali e che vengono spesso utilizzati al di fuori di un quadro diagnostico definito. Le diagnosi psichiatriche gravi sono in media il 13,7%”, evidenzia Antigone.
Ma a fronte di questa situazione difficile c’è una carenza di professionisti della salute mentale: in media ogni 100 detenuti vi è una presenza settimanale di uno psichiatra per 7 ore e di uno psicologo per 19 ore.”Sono 611, di cui 27 ragazze, al 30 aprile 2025 i giovani detenuti nelle carceri minorili italiane
Alla fine del 2022 le presenze erano 381 e alla fine del 2024 raggiungevano le 587 unità, con una crescita del 54% in due anni.
Crescita che sarebbe ancora maggiore se non fosse per la facilitazione introdotta dal decreto Caivano a trasferire in chiave punitiva gli ultra diciottenni del circuito minorile a carceri per adulti, con la conseguenza di interrompere bruscamente il percorso educativo del ragazzo e di affaticarne enormemente il recupero.
Tali trasferimenti sono stati 189 nel corso del 2024, l’80% in più rispetto ai 105 del 2022″. È quanto scrive l’associazione Antigone nel suo rapporto
‘Senza Respiro’.
“Dalla relazione al Parlamento sulle Misure Cautelari Personali e la Riparazione per Ingiusta Detenzione (anno 2024) apprendiamo che la custodia cautelare in carcere rappresenta la misura cautelare personale coercitiva più usata (28,9% del totale delle misure), seguita dagli arresti domiciliari ‘senza braccialetto elettronico’ (15,6%) e dagli arresti domiciliari ‘con braccialetto elettronico’ (6,6%).E’ quanto emerge dal XXI Rapporto sulle condizione di detenzione di Antigone, presentato oggi a Roma.Nei procedimenti definiti (anche se non in via definitiva) nello stesso anno in cui è stato emesso il provvedimento, nel 12% dei casi in cui è stata emessa una misura cautelare personale coercitiva l’esito è stata l’assoluzione o il proscioglimento.
L’associazione ricorda che nel 2024 sono entrate in carcere 43.417 persone, circa 3.000 in più degli ingressi dell’anno precedente.
(da agenzie)
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Maggio 29th, 2025 Riccardo Fucile
DA UN LATO LA MEME-COIN $TRUMP, SENZA ALCUN VALORE, CON CUI HA TURLUPINATO MIGLIAIA DI SUPPORTER (CHE HANNO VISTO BRUCIARE I LORO INVESTIMENTI). DALL’ALTRO LA SOCIETÀ WORLD LIBERTY FINANCIAL, GESTITA DAI FIGLI, CHE FUNZIONA COME UNA SPECIE DI BANCA CRIPTO. E IN CUI AFFLUSCONO MILIARDI DAGLI EMIRATI E DA ANONIMI DI TUTTO IL MONDO
L’anno scorso ospite d’onore fu Donald Trump che, in piena campagna elettorale, alla Bitcoin Conference di Las Vegas celebrò la sua conversione alle criptovalute: da nemico che in passato aveva definito il bitcoin una «truffa, una moneta fatta di thin air » (cioè aria fritta), a condottiero dell’avanzata delle monete digitali.
Con l’obiettivo dichiarato di fare degli Usa il gigante mondiale del denaro virtuale (e quello, non dichiarato, di arricchire enormemente la sua famiglia).
Quest’anno The Donald non ci sarà. Non per discrezione (pochi giorni fa ha offerto una cena a 220 investitori che hanno comprato milioni di dollari di $TRUMP, cioè di una memecoin con la sua faccia, suggestiva ma privo di valore) ma perché ha passato il ruolo di star al suo vice, JD Vance: il politico di riferimento della Silicon Valley che ha avuto Thiel come mentore in tutte le fasi della sua carriera e che ieri dal palco ha promesso che le criptovalute miglioreranno la vita degli americani.
Sul palco degli oratori anche i figli del leader, Eric e Donald Jr, ai quali lui dice di aver trasferito la guida della Trump Organization.
Per il Financial Times il summit di Las Vegas doveva essere anche l’occasione per il lancio da parte del Trump Media & Technology Group di un prestito di 3 miliardi di dollari coi quali acquistare «criptovalute come il bitcoin». Vedremo, ma comunque di operazioni miliardarie sulle cripto i Trump ne hanno già avviate più di una.
La materia è complessa anche per gli operatori che a volte rischiano di perdersi nel labirinto dei suoi vari livelli ed è sconcertante per chi, dall’esterno, vede che la stessa realtà viene alternativamente definita (e non solo da Trump) truffaldina o una nuova Eldorado.
Dietro l’espressione valute digitali ci sono cose molto diverse. Le cripto
nascono nel 2008 col bitcoin: una moneta virtuale ma prodotta in quantità limitate e sotto controllo perché estratta attraverso un lavoro computazionale (detto mining ) di difficoltà crescente che costa fatica e assorbe molta energia, poi registrata sulla blockchain (un registro elettronico immodificabile).
Da qui il sogno di una moneta con un suo valore ma indipendente da governi e banche centrali. Altre criptovalute, come l’Ether (legata alla blockchain Ethereum), traggono il loro valore non dal mining ma da modi meno impegnativi di produzione e, soprattutto, dal fatto di avere un ruolo privilegiato come mezzo di pagamento di certi servizi.
Dunque contorni meno definiti, ma anche queste valute troveranno spazio nella riserva federale che Trump vuole creare. Le memecoin come quelle create da Trump con la sua effige o con quella di Melania, o quella precedente di Musk […], non hanno utilità specifica, né un valore intrinseco. Infine le stablecoin : valute digitali legate a monete reali, soprattutto il dollaro.
Per anni un investimento rischioso, con grandi oscillazioni di valore e denaro anonimo usato spesso dalla criminalità. Ora proprio da Las Vegas parte il tentativo di usare il bitcoin come strumento alternativo alle carte di credito. Ma la funzione principale nella mente dei criptoimprenditori è quella della riserva di valore.
Trump ha offerto loro un’autostrada con la riserva federale in cripto.Cosa ci finirà dentro non è chiaro, ma la vera partita futura per le finanze federali si gioca sulle stablecoin : farà guadagnare molto gli emittenti ma potrebbe rilanciare il dollaro (sta perdendo colpi per le mosse sciagurate di Trump, tra dazi e aumento del debito).
Gli emittenti dovranno comprare titoli del Tesoro Usa su cui basare le nuove monete. Salirà, così, la domanda di dollari e di Treasury bills , indispensabile per finanziare a tassi accettabili l’enorme debito pubblico Usa.
Trump annuncia una nuova età dell’oro ma fin qui si è arricchita soprattutto la sua famiglia: guadagnano coi meme (entità del profitto oscillante col valore del token , ma rendita di centinaia di milioni già incassata come commissione sulle transazioni).
Il grosso sta, però, in World Liberty Financial, la società creata 8 mesi fa dalla famiglia Trump (la controlla al 60%) che funziona da marketplace, emittente di cripto e stablecoin : una specie di banca per tutte le attività trumpiane nel settore. Vi possono affluire fondi in modo anonimo da ogni parte del mondo.
Per investimento o per ottenere i favori del presidente: denaro invisibile di provenienza spesso sconosciuta. Ma Trump, che respinge le accuse di conflitto d’interessi e violazione della Costituzione (vieta finanziamenti esteri al presidente) sostenendo di aver trasferito le proprietà ai figli (che lui, peraltro, comanda a bacchetta), non si sforza di nascondere gli affari: il solo fondo MGX di Abu Dhabi ha annunciato un investimento di 2 miliardi di dollari nelle cripto dei Trump.
I pochi controlli esistenti su questo nuovo settore finanziario volatile, impalpabile, ad alto rischio, sono stati smantellati da Trump appena arrivato alla Casa Bianca. La Sec, il poliziotto della Borsa, che stava indagando su numerose società impegnate in attività sospette o che presentavano agli investitori prospetti non veritieri, ha chiuso tutti i procedimenti appena è arrivato il nuovo capo scelto dal presidente: Paul Atkins, un entusiasta delle cripto.
Nel frattempo il Congresso (controllato dai repubblicani) prepara una legge per il mercato delle stablecoin che diventeranno riserva federale e, quindi, richiederanno un minimo di regolamentazione.
Tutte le nazioni vogliono emettere queste monete digitali «garantite», le banche centrali sono al lavoro. Ma Trump, che vuole lanciare le sue stablecoin e ha già un controllo indiretto di parte del mercato attraverso il Tether, oggi nelle mani di Howard Lutnick, il finanziere di Cantor Fitzgerald che lui ha portato nel governo come ministro del Commercio, ha vietato con un suo ordine esecutivo alla Fed di entrare in questo mercato con una sua emissione: meglio evitare il fastidio di un concorrente autorevole.
C’è, infine, l’aspetto Ue: l’Unione tarda a far nascere le sue stablecoin : un po’ perché le banche frenano temendo di essere scavalcate, un po’ perché blocca strumenti come il Tether, considerati inaffidabili. Rischia, così, di restare fuori anche dalla parte potenzialmente sana di questo nuovo mercato.
(da agenzie)
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