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MACRON FA NERA LA MELONI. LA STATISTA DELLA DOMENICA PROVA A GIUSTIFICARE L’EMARGINAZIONE SUBITA A TIRANA DAL QUARTETTO DEI ‘’VOLENTEROSI’’ (MACRON, STARMER, TUSK E MERZ) : “L’ITALIA HA DA TEMPO DICHIARATO CHE NON È DISPONIBILE A INVIARE TRUPPE IN UCRAINA E NON AVREBBE SENSO PARTECIPARE A FORMATI CHE HANNO DEGLI OBIETTIVI SUI QUALI NON ABBIAMO DICHIARATO LA NOSTRA DISPONIBILITÀ’’

Maggio 16th, 2025 Riccardo Fucile

IL PRESIDENTE MACRON REPLICA CON DUREZZA: “C’È UN ERRORE DI INTERPRETAZIONE, NON ABBIAMO PARLATO DI INVIARE TRUPPE, LA DISCUSSIONE ERA PER UN CESSATE IL FUOCO IN UCRAINA, DOMENICA E OGGI. GUARDIAMOCI DAL DIVULGARE FALSE INFORMAZIONI, CE NE SONO A SUFFICIENZA DI QUELLE RUSSE” (CHE BOTTA!)

L’immarcescibile paraculismo politico di Giorgia Meloni non si smentisce mai. La sua emarginazione dal quartetto dei ‘’Volenterosi’’ (Macron, Starmer, Tusk e Merz), che non ha bisogno di uno Stroppa per chiamare Trump, la giustifica con la solita strategia di rovesciare la frittata:
Da Repubblica.it: “L’Italia ha da tempo dichiarato che non è disponibile a inviare truppe in Ucraina e non avrebbe senso partecipare a formati che hanno degli obiettivi sui quali non abbiamo dichiarato la nostra disponibilità. Credo sia un fatto di coerenza e chiarezza”.
Così Giorgia Meloni in un punto stampa a Tirana commentando la riunione dei volenterosi che si è svolta a margine del summit della Comunità Politica
Europea a cui l’Italia non ha preso parte.
MACRON LA FA NERA
“C’è un errore di interpretazione, non abbiamo parlato di inviare truppe, la discussione era per un cessate il fuoco in Ucraina, domenica e oggi. Guardiamoci dal divulgare false informazioni, ce ne sono a sufficienza di quelle russe”.
Lo ha detto il presidente francese Emmanuel Macron in conferenza stampa a Tirana rispondendo ad una domanda sulle parole di Giorgia Meloni sul vertice dei Volenterosi in Albania
(da agenzie)

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SONDAGGIO, SUI MIGRANTI GLI ITALIANI BOCCIANO SONORAMENTE GIORGIA MELONI: IL 62% HA UN GIUDIZIO NEGATIVO SUI CENTRI PER I RIMPATRI IN ALBANIA. E, PIÙ IN GENERALE, IL 67% CONSIDERA INADEGUATE LE POLITICHE DI GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO ADOTTATE DAL GOVERNO

Maggio 16th, 2025 Riccardo Fucile

SONDAGGIO, SUI MIGRANTI GLI ITALIANI BOCCIANO SONORAMENTE GIORGIA MELONI: IL 62% HA UN GIUDIZIO NEGATIVO SUI CENTRI PER I RIMPATRI IN ALBANIA. E, PIÈ UNA BOCCIATURA DA PARTE DELLA MAGGIORANZA DEGLI ELETTORI A PRESCINDERE DALL’ORIENTAMENTO POLITICO

Alla domanda “Come considera le politiche di gestione del fenomeno migratorio adottate dal Governo Meloni?” il 67% degli italiani intervistati risponde con un giudizio negativo. E negativo è anche il giudizio del 62% degli italiani sui centri per i rimpatri in Albania.
E’ quanto emerge da un sondaggio sul tema “La gestione dei migranti” realizzato da Izi, azienda di analisi e valutazioni economiche e politiche, presentato questa mattina nel corso della trasmissione l’Aria che Tira condotta da David Parenzo su La 7. ”
Alla domanda sulla pericolosità per la sicurezza data dal fenomeno migratorio la percezione negativa è evidente. Per la stragrande maggioranza degli elettori, pari a più del 64%, i migranti costituiscono un problema in termini di sicurezza, percentuale plebiscitaria, quasi il 93% , per chi ha votato i partiti di governo e molto alta , quasi il 44 , per gli elettori dell’opposizione”.
“La cosa più sorprendente resta il giudizio sull’operato del governo : una bocciatura da parte della maggioranza degli elettori a prescindere dall’orientamento politico, con il 67% che ritiene inadeguate le misure sulla gestione dei migranti ma soprattutto con una valutazione negativa anche all’interno del centrodestra, dove uno su tre non è soddisfatto “, dice Giacomo Spaini, Presidente e Ceo di Izi che continua: “interessante anche il dato del partito del non voto che nella stragrande maggioranza boccia il governo sulla gestione migranti e sui centri in Albania “.
(da agenzie)

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“IL SOVRANISMO NON HA FUTURO, FA MALE AL PAESE, CHI AMA LA PATRIA BUTTA VIA LE FRONTIERE”_ IL CAPO DEI VESCOVI MATTEO ZUPPI DIBATTE AL SALONE DEL LIBRO CON LIGABUE E INFIOCINA MELONI-SALVINI

Maggio 16th, 2025 Riccardo Fucile

“PARLIAMO DI RIARMO E NON DI DISARMO. UNA FOLLIA. DALLA GUERRA ABBIAMO RICEVUTO L’EUROPA UNITA. UNA COSA STRAORDINARIA. SIAMO DEI MATTI A DOVER PENSARE DI USARE IL NUCLEARE”

Zuppi entra subito nei tormenti dell’attualità. Alla domanda sulla sua più grande paura ha risposto subito: “La guerra, non c’è dubbio”. Per poi spiegare: “Oggi noi giochiamo con la guerra, parliamo di riarmo e non di disarmo. Anziché abbattere le frontiere, vogliamo tracciarne di nuove. Follia. Dalla guerra abbiamo ricevuto l’Europa unita. Una cosa straordinaria. Teniamocela la paura della guerra – il suo monito – siamo dei matti a dover pensare di usare il nucleare. La paura facciamola diventare consapevolezza. Senza speranza non c’è futuro”.
Il cardinale ha fatto riferimento anche a Gaza a e alle morti nel Mediterraneo: “Oggi come si fa a non provare dolore quando muoiono due bambini di freddo e di sete e li tengono sulla barca altrimenti li dovevano buttare in mare? Come ci ha insegnato papa Francesco dobbiamo piangerli. Inaccettabili i bambini che
muoiono nella striscia di Gaza, come sono inaccettabili i morti nel massacro del 7 ottobre e quelli di tutte le guerre. Le lacrime sono anche un grande collirio, aiutano a vedere meglio”.
Sulla guerra in Ucraina – ha detto poi parlando con i giornalisti – ho la speranza, che è un po’ di più dell’ottimismo, non dobbiamo mai perderla. Dobbiamo anche pagare il prezzo di questa speranza, ma dobbiamo mettercela tutta, come ci ha insegnato papa Francesco e come mi sembra abbia già detto Papa Leone XIV, che ha già offerto la Santa Sede come luogo di incontro e negoziato”.
D’altronde, Zuppi è schierato in prima linea per la pace. Perché? “Perché la chiesa è universale, sovranazionale. Abbraccia tutti, tutti devono entrarci”: Qua qui un collegamento. “Il sovranismo non ha futuro, fa male al Paese, chi ama la patria butta via le frontiere”.
Alle riflessioni di Zuppi si sono aggiunte poi le riflessioni di Ligabue. “Tempi così duri non li avevo mai visti – ha detto – ci sono tante paure che fanno sentire soli. È il peggiore decennio tra i sei che ho vissuto, tra pandemia, la guerra in Ucraina e tutti gli altri conflitti, i ragazzi che vanno dallo psicologo e gli dicono che non sanno immaginarsi un futuro”.
“Sono stato bambino negli anni ’60 – ha spiegato – in un’Italia meravigliosa in cui c’era la speranza che il mondo potesse cambiare. Adolescente negli anni ’70 quando pensavamo di potere aggiustare le cose. Oggi ci sono 26 persone che detengono il patrimonio della metà del mondo, è l’opposto di quello in cui noi speravamo. Questo tipo di squilibrio non può non portare infelicità”.
(da agenzie)

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DOPO 181 GIORNI DI DETENZIONE IN VENEZUELA, ALBERTO TRENTINI HA POTUTO CHIAMARE CASA: IL COOPERANTE, ARRESTATO IL 15 NOVEMBRE SCORSO DAI SERVIZI SEGRETI DI MADURO SENZA ACCUSE CONCRETE, HA FATTO SAPERE AI FAMILIARI CHE MANGIA E PRENDE LE MEDICINE: “SPERO DI TORNARE PRESTO IN ITALIA”

Maggio 16th, 2025 Riccardo Fucile

LA SCORSA SETTIMANA ERA RIENTRATO NEL NOSTRO PAESE ALFREDO SCHIAVO, IL CITTADINO ITALO-VENEZUELANO RIMASTO PER CINQUE ANNI IN UNA CELLA VENEZUELANA

Alberto Trentini è vivo. Ha potuto finalmente rassicurare la famiglia: mangia e prende le medicine. E spera di tornare presto a casa. Lo ha detto lui stesso, l’altra notte, la voce emozionata, nella prima telefonata a casa che è riuscito a fare dopo 181 giorni di prigionia nelle carceri venezuelane.
La telefonata, fanno sapere a Repubblica fonti di Palazzo Chigi, è arrivata improvvisa. Ma non inattesa. Perché è il frutto di un lungo lavoro di mediazione diplomatica che da mesi il governo italiano, insieme con la famiglia Trentini e l’avvocato Alessandra Ballerini, stanno facendo per allacciare un rapporto con il governo Maduro.
In questo senso importante è stata la liberazione e l’arrivo in Italia di Alfredo Schiavo, il cittadino italo-venezuelano anche lui arrestato in Venezuela, tornato in Italia dopo cinque anni di carcere, la scorsa settimana.
In quell’occasione era arrivata una dichiarazione del viceministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, che “a nome del governo italiano esprimeva soddisfazione” e ringraziava “Nicolas Maduro per il suo personale intervento”.
Era il segnale che il Venezuela aspettava sin dal momento dell’arresto di Trentini. In questi mesi, poi, erano stati compiuti una serie di passi – in un lavoro della nostra diplomazia e servizi per arrivare a un disgelo. E una possibile collaborazione per la scarcerazione di Alberto.
(da agenzie)

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COMUNQUE VADANO I REFERENDUM, LANDINI HA GIÀ VINTO LA SUA PARTITA, I QUESITI REFERENDARI DELL’8 E 9 GIUGNO, DESTINATI A NON RAGGIUNGERE IL QUORUM, SPOSTERANNO COMUNQUE GLI EQUILIBRI NEL CENTRO-SINISTRA

Maggio 16th, 2025 Riccardo Fucile

UN’AFFLUENZA DISCRETA SEBBENE SOTTO LA SOGLIA, IL 42-45 PER CENTO, RENDEREBBE PIÙ SOLIDA LA SEGRETERIA SCHLEIN. SAREBBE LA RIPARTENZA DI UN PD E DI UNA COALIZIONE SPOSTATI SU POSIZIONI PIÙ NETTAMENTE DI SINISTRA

L’8 e il 9 giugno si voterà (oppure non si voterà) nel merito dei cinque quesiti sul lavoro e la cittadinanza. Ma l’esito dei referendum provocherà una serie di ricadute politiche tali da coinvolgere numerosi soggetti, ognuno con aspettative che possono non coincidere con quelle del vicino, dell’alleato.
Vediamo in primo luogo la destra. FdI, Lega, Forza Italia e Moderati sono uniti nel “no” o nell’astensione. Se i quesiti saranno bocciati, come gli indizi lasciano presagire, canteranno vittoria all’unisono e non si può dar loro torto. L’insuccesso referendario del centrosinistra permetterebbe a Giorgia Meloni e ai suoi spesso inaffidabili alleati di smaltire l’amarezza per qualche risultato amministrativo negativo.
La mappa dei comuni e delle province al voto copre quasi tutto il territorio nazionale con alcune centri di rilievo come Genova, Ravenna, Taranto, Matera. Luoghi dove il centrodestra non è granché competitivo.
Più interessante la partita che si gioca a sinistra. Qui Landini, segretario della Cgil, è in campo da protagonista. Se il “sì” raggiungesse il quorum, assicurando la vittoria ai promotori, la vittoria sarebbe comune: di Landini, appunto, perché
avrebbe il maggior merito di aver mobilitato milioni di italiani, sconfiggendo la riluttante Cisl; ma non sarebbe da meno l’esultanza dei politici, Elly Schlein in primo luogo.
Sarebbe una vittoria del tutto inaspettata dopo un paio d’anni di prevalente frustrazione. Ma pochi credono a un tale colpo di scena. Perciò è bene prepararsi ad altri scenari.
In caso di fallimento del quorum, ci sarebbero reazioni diverse perché differenti sono le aspettative. Un’affluenza discreta sebbene sotto la soglia, tipo il 42-45 per cento, sarebbe motivo di consolazione per tutti. Il Pd e i suoi alleati potrebbero denunciare la “congiura del silenzio” delle forze governative, di Palazzo Chigi e delle tv.
L’esperienza del passato dice che quando i quesiti erano chiari e rispondevano a un bisogno collettivo, il quorum s’imponeva per la forza delle idee più che per gli spot trasmessi. Quando invece i referendum sono stati utilizzati per coprire le debolezze della politica e del Parlamento, si è andati incontro a sconfitte ripetute.
In ogni caso, attendiamoci che qualcuno vorrà annettersi la percentuale dei “sì”. L’argomento sarà: “beh, il 45 per cento è comunque più di quanto il Pd e i suoi alleati più stretti hanno avuto alle elezioni del ‘22. Ripartiamo di qui”.
Ma sarà la ripartenza di un partito e di una coalizione spostati su posizioni più nettamente di sinistra: apparirà più solida la segreteria, in grado di gestire con determinazione l’ultima parte della legislatura. E saranno invece ancora silenziosi i riformisti, a meno che non trovino proprio allora il coraggio.
C’è poi chi, come Matteo Renzi e i suoi, hanno fatto una scelta tutta politica. Restare con Elly Schlein costi quel che costi. Il referendum è volto a smantellare le leggi sul lavoro introdotte dal governo Renzi? Pazienza, va sostenuto perché quel che conta è fare muro contro il governo Meloni e, se possibile, provocarne l’inciampo.
Quindi l’ex premier, capo di Italia Viva, è oggi un alleato della segreteria Schlein, nella speranza d’essere compensato quando si faranno le liste elettorali.
Sullo sfondo rimane Landini. Vincerà, in un certo senso, anche con i referendum sconfitti. Nel senso che il suo gioco è interno al mondo sindacale. E sul piano politico, le sue possibilità di diventare capo di fatto della sinistra sociale cresceranno.
(da agenzie)

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DOMENICA SERA “REPORT” PROMETTE DI RIVELARE NOTIZIE ESCLUSIVE SULLA STRAGE DI CAPACI, SU PAOLO BORSELLINO E SULL’OMICIDIO DI PIERSANTI MATTARELLA

Maggio 16th, 2025 Riccardo Fucile

SARANNO SPIATTELLATI UNA SERIE DI DOCUMENTI E COLLOQUI INVESTIGATIVI INEDITI SULLA PRESENZA A CAPACI DI STEFANO DELLE CHIAIE, LEADER DI AVANGUARDIA NAZIONALE … E SULLA PUNTATA E’ ARRIVATA L’INIBITORIA DI MARIO MORI

E’ arrivata l’inibitoria di Mario Mori contro la puntata di “Report” in onda domenica, che promette di rivelare notizie esclusive sulla strage di Capaci e su Paolo Borsellino, nonché sull’omicidio di Piersanti Mattarella. Tra le rivelazioni, una serie di documenti scomparsi e colloqui investigativi inediti sulla presenza di Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia Nazionale, a Capaci.
Durante le audizioni segrete del 1988 e del 1990 davanti alla Commissione Antimafia, Giovanni Falcone aveva discusso degli omicidi eccellenti in Sicilia, tra cui quello di Piersanti Mattarella, fratello del Presidente.
Gli audio di queste testimonianze sono andati distrutti. Ora, grazie ai verbali originali desecretati nel 2021 dalla Commissione Morra e all’uso dell’intelligenza artificiale, “Report” è riuscito a far rivivere la voce di Falcone. E dalla sua voce riemerge la pista nera che alcuni oggi cercano di soffocare nel tentativo di riscrivere la storia delle stragi.
Mori e De Donno, in commissione antimafia, hanno puntato il dito anche contro “Report”, accusando la trasmissione di inseguire la pista dei mandanti esterni delle stragi. Scrive Mori a pagina 131 della sua memoria: «Resta da osservare che l’accoppiata Repici/Report ha tentato negli ultimi tempi di rivitalizzare la “pista nera” sulle stragi di mafia, prospettandola come più convincente di quelle sostenute nelle sentenze sin qui emesse in merito».
(da agenzie)

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LEONE XIV TORNERÀ A VIVERE NEL PALAZZO APOSTOLICO, MA PRIMA È NECESSARIO DARE UNA RINFRESCATA ALL’APPARTAMENTO, VISTO CHE BERGOGLIO SCELSE DI ALLOGGIARE A SANTA MARTA

Maggio 16th, 2025 Riccardo Fucile

CI VORRÀ UN MESE PER RIFARE I BAGNI, TOGLIERE LE MACCHIE DI UMIDITÀ E FAR ARRIVARE I NUOVI ARREDI RICHIESTI DA PAPA LEONE XIV

I romani potrebbero presto recuperare quella che fino a dodici anni fa era una tradizione, ogni sera: la finestra della terza loggia del Palazzo Apostolico con le luci accese. Per molti (fedeli, pellegrini, ma anche turisti e semplici curiosi) era in qualche modo confortante sapere che il Papa «vegliava» sulla città.
Ora Leone XIV sembrerebbe avere sciolto la riserva sulla sua residenza: tanto che nell’appartamento del Palazzo in cui tutti gli ultimi Papi tranne Francesco hanno vissuto sono in corso i lavori. I più urgenti riguardano il rifacimento dei bagni e la cancellazione delle fastidiose tracce di umidità sulle pareti di alcune stanze.
Benedetto XVI aveva fatto sistemare i grandi tamburi montati nel controsoffitto per catturare le perdite d’acqua, ma evidentemente 12 anni dopo, il problema si è ripresentato.
Il nuovo Papa potrebbe entrarci fra più o meno un mese, il tempo di far arrivare anche i nuovi arredi che ha chiesto per lo studio e la camera da letto, mentre nella Biblioteca, con la celebre finestra da cui il Pontefice si affaccia ogni
domenica per l’Angelus (in questo periodo pasquale il Regina Coeli) dovrebbe restare tutto com’era.
Fonti vaticane dicono che sarebbero stati anche parecchi cardinali a chiedergli di trasferirsi a Palazzo e comunque Leone XIV avrebbe già detto di avere bisogno di spazio e riservatezza per gli incontri e le udienze.
L’appartamento che occupa ora (e dal 2023) nel Palazzo del Sant’Uffizio non è certamente piccolo, si tratta pur sempre della residenza di un cardinale, ma la pur ampia metratura (si parla di 150 metri quadri) sarebbe comunque insufficiente per un Papa e il suo seguito. Il piano a Santa Marta Anche papa Francesco, in fondo, con il tempo aveva scelto una sistemazione spaziosa.
Aveva annunciato di voler rimanere nella «Domus Sanctae Martae», come poi ha fatto per tutti i suoi dodici anni da Papa. Per il Conclave che l’aveva eletto gli era stata assegnata la suite 207, poco dopo si trasferì nella 201, che divenne la sua residenza definitiva. Ma con il tempo gli venne riservato l’intero secondo piano.
Il che era necessario per motivi pratici: oltre al suo staff e agli assistenti, il piano ospitava anche strutture mediche e personale sanitario per garantire la sicurezza e il benessere del capo dei cattolici.
Ora se il suo successore vivrà, come tutto lascia pensare, nel Palazzo Apostolico, le opere realizzate per ospitare al meglio Francesco potrebbero essere smantellate. Le stanze occupate dallo staff torneranno a essere separate, come quelle di un hotel, per accogliere prelati di passaggio a Roma e i cardinali per il Conclave.
Resta da capire se sarà modificata anche la cappella, che contiene alcune opere dell’ex gesuita Marko Ivan Rupnik: l’artista e sacerdote sloveno ha creato immagini e mosaici a soggetto religioso in chiese e santuari di tutto il mondo. Ma nel 2023 fu espulso dalla Compagnia di Gesù, dopo accuse di abusi sessuali su religiose, emerse a partire dal 2021. In quell’occasione da molte parti si chiese al Papa di rimuovere le sue opere almeno a Santa Marta, ma sono ancora lì.
Nell’appartamento, oltre a Leone, vivranno anche il suo segretario personale, il 36enne sacerdote peruviano di Chiclayo, Edgar Rimaycuna, e le suore
benedettine che si occupano della Prefettura della Casa Pontificia. Ma le loro stanze sono sistemate in modo da garantire comunque al Papa la sua necessaria privacy.
Avrà a disposizione anche la cappella, da venti posti, collegata a una piccola sacrestia. E Leone ha già deciso che terrà udienze anche nel pomeriggio, a differenza di Francesco che negli stessi orari metteva in agenda solo incontri privati. Un altro dubbio è legato alla residenza estiva di Castel Gandolfo: Francesco, che non ci ha mai messo piede, l’aveva trasformata in museo nel 2016. Il suo successore tornerà a trascorrere lì le vacanze, come chiedono i residenti?
(da agenzie)

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IL GRANDE BLUFF DI PUTIN: È TERMINATO A ISTANBUL L’INUTILE INCONTRO TRA LE DELEGAZIONI DI RUSSIA E UCRAINA. DURANTE I COLLOQUI, MOSCA AVREBBE POSTO COME CONDIZIONE LA CESSIONE “INTEGRALE” DELLE CINQUE REGIONI CONTESE (IN PARTE OCCUPATE, IN PARTE LIBERATE DALLE TRUPPE DI KIEV

Maggio 16th, 2025 Riccardo Fucile

UNA POSIZIONE CHE GLI UCRAINI DICHIARANO “INACCETTABILE, E MIRATA A FAR DERAGLIARE I NEGOZIATI”

L’incontro a Istanbul fra le delegazioni della Russia e dell’Ucraina è terminato.
E’ quanto riporta la Afp citando fonti del ministero degli Esteri turco secondo cui il meeting è terminato alle 15.20 ora locale, le 14,20 in Italia.
È stato il primo incontro diretto tra le due nazioni dall’inizio del 2022, subito dopo che la Russia ha lanciato la sua invasione su larga scala.
Una fonte diplomatica Ucraina ha riferito alla Reuters che le richieste della delegazione russa sono irrealistiche e vanno ben oltre quanto discusso in precedenza.
Durante i colloqui che si sono appena conclusi a Istanbul, la Russia ha chiesto all’Ucraina di cedere nuovi territori. E’ quanto ha dichiarato all’Afp una fonte diplomatica ucraina, definendo queste richieste “inaccettabili” e mirate a far deragliare i negoziati.
“I rappresentati russi hanno presentato delle richieste inaccettabili che vanno oltre quanto discusso prima dell’incontro” ha detto che queste comprendono “il ritiro delle forze ucraine da gran parte del territorio ucraino sotto il loro controllo affinché possa essere stabilito un cessate il fuoco”.
(da agenzie)

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IL CASO DELLA “SCUOLA DI BETHARRAM” PORTA ALLA RESA DEI CONTI SUL PREMIER BAYROU: 200 EX ALLIEVI DEL COLLEGIO CATTOLICO DEI PIRENEI DENUNCIANO DECENNI DI ABUSI SESSUALI

Maggio 16th, 2025 Riccardo Fucile

DI QUELLA REGIONE NEL SUD-OVEST BAYROU È ED È STATO PER OLTRE 40 ANNI L’UOMO POLITICO DI RIFERIMENTO. POTEVA IGNORARE GLI ABUSI, LUI CHE HA MANDATO I SUOI FIGLI IN QUELLA SCUOLA, LUI CHE È SPOSATO A UNA DONNA CHE VI INSEGNAVA IL CATECHISMO?

Il caso Bétharram, ovvero gli abusi fisici e sessuali durati decenni e denunciati da oltre 200 ex allievi del collegio cattolico dei Pirenei, diventa uno scontro politico attorno alla figura di François Bayrou, premier della Francia ed ex ministro dell’Istruzione. Di quella regione nel Sud-ovest Bayrou è ed è stato per oltre quarant’anni l’uomo politico di riferimento. Poteva ignorare gli abusi?
Poteva non sapere, lui che ha mandato i suoi figli in quella scuola, lui che è sposato a una donna che vi insegnava il catechismo, che i suoi conterranei per anni hanno detto ai «se non stai bravo ti mando a Bétharram»? Per oltre cinque ore e mezza Bayrou è stato interrogato, martedì, dalla commissione d’inchiesta dell’Assemblea nazionale formata da due relatori, l’ insoumis (la sinistra radicale di Jean-Luc Mèlenchon) Paul Vannier, parte dell’opposizione, e la macronista alleata di Bayrou, Violette Spillebout.
E ora il mondo politico si divide anche su questo: da una parte Vannier e gli insoumis , che giudicano Bayrou evasivo e bugiardo, parte di quell’omertà che ha permesso a sacerdoti e assistenti laici della scuola cattolica di abusare dei ragazzini; dall’altra il resto dei deputati, dal socialista François Hollande ai lepenisti, che trattano Vannier come un inquisitore e paragonano l’audizione di Bayrou a un processo staliniano.
E torna in primo piano il celebre gesto di cui François Bayrou, una vita da insegnante e ministro, profilo anche fisico da bonario notabile di provincia, si rese protagonista nel lontano 2002: uno schiaffo, anzi a dire il vero poco più di un buffetto, allungato a Yacine, un undicenne che in piazza a Strasburgo stava cercando di rubargli il portafoglio. «Tu non mi metti le mani in tasca», disse Bayrou davanti alle telecamere, assestando lo scappellotto.
Quel giorno Bayrou era in campagna elettorale per l’Eliseo, non vinse ma di sicuro non perse voti, secondo l’interpretazione comune e la sensibilità «quando ci vuole ci vuole» che allora era poco contrastata. Nel frattempo, Yacine è diventato un delinquente abituale, condannato più volte per furti e traffico di droga.
Bayrou è diventato premier, ma quello schiaffetto oggi sembra meno banale. Almeno per il severo Vannier, che durante l’audizione non ha mancato di rinfacciarglielo: «Vorrei chiederle del suo rapporto con la violenza sui
bambini», ha esordito, «e la concezione educativa dello schiaffo che lei sembra difendere ancora oggi». Secondo questa logica, sarebbe questo il motivo di fondo, la noncuranza quanto all’allungare le mani, che avrebbe portato Bayrou a non fare nulla nei decenni di violenze a carico di centinaia di ragazzi, sua figlia compresa.
Il premier ha risposto indignato: «Quello che lei dice è un’assurdità. Non era affatto uno schiaffo violento, era lo scappellotto di un padre. E credo che molti qui, se sono onesti, potranno ammettere di avere fatto lo stesso almeno una volta nella vita».
La posizione del premier è debole politicamente — non ha una vera maggioranza a sostenerlo — e certo non esce rafforzata dalle indagini e dalle audizioni che continuano.
(da “Corriere della Sera)

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