Maggio 5th, 2025 Riccardo Fucile
UN ITALIANO SU DUE HA RIDOTTO I PROPRI CONSUMI NEGLI ULTIMI SEI MESI PER FAR FRONTE ALL’AUMENTO DEI PREZZI. E IL 61% RITIENE CHE IL PROPRIO STIPENDIO O PENSIONE NON SIANO ADEGUATI A FAR FRONTE AL COSTO DELLA VITA…IL 70% DEGLI INTERVISTATI RITIENE CHE LE RECENTI MISURE APPROVATE DAL GOVERNO NON SARANNO EFFICACI L’AUMENTO DEI PREZZI
L’inflazione percepita dagli italiani è del 9,9%, un dato che supera di quasi otto punti
percentuali il tasso di inflazione reale, arrivato ad aprile al 2% su base annua (indice Nic, fonte Istat). Un italiano su due ha ridotto i propri consumi negli ultimi sei mesi per far fronte all’aumento dei prezzi.
Inoltre, il 61% ritiene che il proprio stipendio o pensione non siano adeguati a far fronte al costo della vita e due persone su tre pensano che, a causa dei dazi e della guerra commerciale che potrebbe derivarne, i prezzi nei prossimi mesi cresceranno ancora. Sono i risultati di un’indagine condotta da Noto Sondaggi per Il Sole 24 Ore del Lunedì, fra il 22 e il 28 aprile scorsi.
L’inflazione percepita supera sempre quella reale, ma il divario tra i due valori oggi è di 7,9 punti percentuali. Nel sondaggio analogo pubblicato dal Sole 24 Ore del Lunedì a ottobre 2023, questa forbice era di quasi sei punti, ma il tasso di inflazione reale era molto più elevato, al 5,3 per cento.
«Il gap tra l’inflazione percepita e quella reale – spiega Maurizio Del Conte, docente di Diritto del lavoro all’università Bocconi di Milano – si avverte di più in tempi di alta inflazione, soprattutto quando ci sono delle fiammate inflattive».
Il punto è che ormai siamo al terzo anno compiuto di aumento dei prezzi e a dettare la percezione è l’impatto dei rincari sul più lungo periodo: l’inflazione cumulata – misurata da Istat con l’indice generale dei prezzi al consumo – ha raggiunto il 17% rispetto al 2019.
I beni per i quali gli italiani avvertono gli incrementi più pesanti sono quelli legati alla casa: acqua, elettricità e combustibili. Per questa voce, il tasso di inflazione percepita sale al 16,4%, mentre quella reale si ferma al 5 per cento. L’energia è anche il capitolo che – esclusi i generi alimentari – incide maggiormente sulle spese mensili degli intervistati, insieme ai carburanti e ai beni e servizi per la salute.
Per questo motivo il Dl Bollette (19/2025), convertito in legge ad aprile, ha messo in campo risorse per tre miliardi, oltre metà dei quali destinati al bonu
una tantum di 200 euro per le famiglie con Isee fino a 25mila euro.
L’incremento reale dei prezzi per i beni alimentari è del 3,2%, ma quello percepito è del 13,1 per cento. Il divario fra i due valori è ampio anche per altre categorie di prodotti, come l’abbigliamento e le calzature (0,8% contro 9,7%), oppure nei servizi ricettivi (12,3% contro 3,8%) o nei beni e servizi per la persona (+10,4% contro 2,6%).
I comportamenti dei consumatori sono determinati soprattutto dall’inflazione percepita: l’effetto più immediato, per chi ritiene di avere un potere di acquisto inferiore, è quello di ridurre i consumi. Infatti, il 46% degli intervistati dichiara di aver rinunciato a fare degli acquisti o di aver ridotto i consumi negli ultimi sei mesi, esclusi i generi alimentari, e il 50% ha ridotto anche gli acquisti nel carrello della spesa.
Il taglio, non considerando gli alimentari, riguarda principalmente la ristorazione, il tempo libero, l’abbigliamento. Sul fronte della spesa alimentare, invece, il 36% degli intervistati ha rinunciato a consumare o ridurrà il consumo di pesce e frutti di mare; il 34% di vino; il 29% di marmellate o miele.
Il potere d’acquisto delle famiglie è legato a doppio filo con il tema dei salari, come ha ricordato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a ridosso del 1° maggio.
Nell’ultima rilevazione Istat sulle retribuzioni contrattuali, relativa al primo trimestre 2025, «in termini reali si osserva un ulteriore recupero rispetto alla perdita di potere d’acquisto che si è verificata nel biennio 2022-2023, che tuttavia rimane ancora ampia»: le retribuzioni contrattuali reali di marzo 2025 sono ancora inferiori di circa l’otto per cento rispetto a quelle di gennaio 2021.
Gli intervistati da Noto Sondaggi, per il 61% ritengono che il proprio salario o la propria pensione siano inadeguati a far fronte al costo della vita.
Il 70% degli intervistati ritiene che le recenti misure e gli aiuti approvati dal Governo non saranno efficaci nel contrastare l’aumento dei prezzi.
(da ilsole24ore)
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Maggio 5th, 2025 Riccardo Fucile
“È BRAVO AD ALIMENTARE LA RABBIA DI UNA PARTE DI POPOLAZIONE CHE È STATA TRADITA DAL SOGNO AMERICANO. STA DICENDO CHE IL PROBLEMA SONO GLI IMMIGRATI, QUANDO IL VERO PROBLEMA È LA DISLOCAZIONE ECONOMICA. LE TEORIE COSPIRAZIONISTE DI MIO FRATELLO ROBERT KENNEDY JR? LOTTO PER VALORI DIVERSI”
«Se mio padre fosse vivo oggi, detesterebbe quasi tutto ciò che Donald Trump rappresenta».
Lo dice senza mezzi Kerry Kennedy, figlia del senatore Robert Francis Kennedy, fratello del presidente John Fitzgerald. Presidentessa onoraria della Robert F. Kennedy Human Rights Italia, la figlia del senatore ucciso nel giugno del 1968 si trova a Napoli, città da dove prenderanno il via le celebrazioni per il centenario della nascita del padre e dove la Fondazione Kennedy ha aperto la sua seconda sede italiana in collaborazione con FoQus, la fondazione dei Quartieri Spagnoli che, da anni, fa un lavoro di recupero nei quartieri spagnoli secondo un modello educativo centrato sulla tutela dell’ambiente e dei diritti, temi cari a Robert Kennedy.
Gli Stati Uniti sono stati aggiunti alla Civicus Monitor Watchlist, un organismo che individua i Paesi che vivono un declino delle libertà civili
«È il risultato dell’operato di Trump, degli ordini esecutivi progettati pe
smantellare le regole delle istituzioni democratiche, la cooperazione globale, Usaid e i programmi di inclusione e diversità».
Come avvocato, lei rappresenta 12 venezuelani deportati e trasferiti in una prigione di El Salvador.
«Si tratta di persone prelevate senza il giusto processo che la nostra Costituzione consente loro. Nessuno dei nostri clienti aveva precedenti penali, tranne uno con un caso minore. L’80% si trovava negli Usa legalmente. L’amministrazione Trump ha agito in modo autoritario, mandandoli in una delle prigioni più famose al mondo per l’uso di torture e abusi. Siamo andati in El Salvador per incontrarli ma il governo locale non ha riconosciuto il loro diritto ad avere un avvocato».
Trump però è stato votato sull’immigrazione.
«Sta perdendo consenso. Trump è bravo a alimentare la rabbia di una parte di popolazione che è stata tradita dal sogno americano. Alimenta la furia verso l’altro, la tendenza da incolpare chi è diverso. Sta dicendo che il problema sono gli immigrati, quando il vero problema è la dislocazione economica. Ferire donne, neri, immigrati o le persone transgender non risolve nulla».
Che cosa deve fare il partito democratico per recuperare il voto dei maschi bianchi?
«Ascoltarli e affrontate i loro problemi. Molte delle iniziative di Biden hanno fatto del bene alla classe media, ma è mancata la parte di ascolto. Bisogna saper comunicare».
È un problema di messaggio più che di idee politiche?
«Negli ultimi sei mesi della campagna, i repubblicani erano presenti sui social media a un ritmo 12 volte superiore rispetto a democratici. Indipendentemente da ciò che dicevano i democratici, la gente lo sentiva dire dai repubblicani 12 volte di più».
C’è difficoltà da parte dei democratici nel trovare leader
«Chris Murphy senatore del Connecticut sta facendo un lavoro incredibile di
opposizione; Chris Holland, del Maryland è appena andato in El Salvador; Corey Booker ha battuto il record per il più lungo filibuster del Senato, un oratore eccellente e una figura carismatica. Credo che il campo sia ricco, ci sono persone che alle prossime primarie avranno occasione di farsi conoscere».
Oggi a Napoli iniziano le celebrazioni per la nascita di suo padre, Robert Kennedy. Quale è la parte più importante della sua eredità politica?
«In occasione della morte di Martin Luther King diede un discorso in cui citò Eschilo: “La nostra missione è domare la natura selvaggia dell’uomo e rendere gentile la vita in questo nostro mondo”. Questa frase riassume il modo in cui si è sempre mosso contro i bulli, non importa chi fossero, se il crimine organizzato, i suprematisti bianchi, le aziende che abusavano delle persone o i governi sudafricani che praticavano l’apartheid».
Di quali sue qualità avremmo bisogno oggi?
«Mio padre era una persona unica, gentile, compassionevole. Toccare il viso di un bambino, abbracciare qualcuno: aveva la capacità di comprendere il dolore altrui e affrontarlo».
Di suo fratello Robert Kennedy Jr ha detto che non è d’accordo con ciò che dice in materia di politiche pubbliche e sanitarie. Quanto è difficile per lei parlare di lui?
«Adoro Bobby ma ho dedicato tutta la mia vita alla difesa dei diritti umani e continuerò a farlo. Questo è ciò che sono».
Lei pensa che suo fratello creda in quello che dice, nelle teorie cospirazioniste che divulga, o lo fa per tornaconto?
«È una domanda irrilevante. La mia domanda è: ciò che sta proponendo è coerente con la mia visione di un mondo più giusto e pacifico? Se non lo è, devo impegnarmi per combatterlo. Questa è l’unica domanda che mi faccio, non perché la pensa così o cosa lo motiva o se sta dicendo la verità».
(da agenzie)
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Maggio 5th, 2025 Riccardo Fucile
TRATTATI COME ALL’ASILO INFANTILE, MA NESSUNO CHE RISPONDA: “CI ARRIVO DA SOLO, NON HO BISOGNO DELLA VELINA”
Cari deputati e senatori di FdI, niente tifoserie sul toto-conclave. Chi va a dichiarare in
tv, o viene agganciato dai cronisti in Transatlantico, non si avventuri in commenti sul futuro pontefice, perché sarebbe «inopportuno», anzi addirittura «senza senso da parte di esponenti politici» mettere bocca su una scelta che «attiene esclusivamente a una dottrina di fede». Il «momento è storico» e a chi fa politica in questa fase tocca muoversi «da spettatore».
Il partito di Giorgia Meloni mette in guardia i suoi eletti. Sabato è stata spedita a tutti i parlamentari di Camera e Senato una «nota informativa» di 3 pagine messa a punto dall’ufficio studi di Fratelli d’Italia, emanazione diretta del sottosegretario di Palazzo Chigi, Giovanbattista Fazzolari, braccio destro della premier, anche sulle questioni comunicative
L’ordine di scuderia è chiaro: non bisogna nemmeno dare l’idea che Meloni o il suo partito abbiano preferenze sul prossimo Papa. I giornali di destra se la sono presa a lungo, in questi giorni, con Emmanuel Macron, “reo” di avere interloquito con i porporati francesi, anche nella sua visita a Roma per i funerali di Francesco.
L’inquilino dell’Eliseo è stato dipinto dalla stampa sovranista come un manovratore spregiudicato, persino su questioni spirituali. Ecco, il cerchio magico della premier non vuole dare la stessa impressione, di parteggiare per qualcuno.
Anche perché, ma questo nel report non viene ovviamente annotato esplicitamente, con chiunque approderà al soglio di Pietro poi toccherà dialogarci. E possibilmente intrattenere buone relazioni.
Per Meloni, l’uomo dei contatti con il Vaticano è sempre il sottosegretario Alfredo Mantovano. Ma un conto sono le interlocuzioni informali, un altro è lasciar passare l’immagine di un governo che trama dietro le quinte, con una smaccata (e per giunta rischiosa) partigianeria.
Il dossier di FdI, titolo La scomparsa di Papa Francesco e il conclave, si apre con una serie di paragrafi tecnici, che ripercorrono il meccanismo di elezione del pontefice e un passaggio sul ricordo della premier, «che ha descritto Francesco come un grande pastore».
Nell’ultima parte del documento, visionato da Repubblica, viene espressa «la linea» politica di Fratelli d’Italia. Per via della Scrofa è «assolutamente inopportuno», oltre che «privo di senso» che «istituzioni ed esponenti politici interferiscano» su una questione che «attiene esclusivamente a una dottrina di fede». Il messaggio recapitato alle truppe meloniane è fin troppo esplicito: zero intromissioni.
La nota interna di FdI arriva dopo una settimana in cui anche il conclave è entrato nella polemica politica, soprattutto dopo la pubblicazione sui profili social della Casa bianca di un fotomontaggio che ritrae Trump in veste di papa.
(da La Repubblica)
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Maggio 5th, 2025 Riccardo Fucile
CRESCIUTO TRA GLI HOOLIGAN, NEL 2019 HA FONDATO IL PARTITO DI ULTRA DESTRA AUR, IL CUI MOTTO È “FAMIGLIA, NAZIONE, FEDE E LIBERTÀ” … ALCUNI DEI DEPUTATI DEL SUO PARTITO NEGANO L’OLOCAUSTO. AL SUO MATRIMONIO SI È VESTITO DA LEGIONARIO
Si è preso la scena presentandosi a sorpresa al seggio insieme al controverso Calin Georgescu. Il vincitore del primo turno poi annullato era pressoché scomparso dalla scena pubblica dopo essere stato escluso dal nuovo round elettorale, ma ieri mattina di buon’ora — erano da poco passate le 8 — è riemerso in una scuola appena fuori Bucarest accanto al suo «erede» politico, George Simion, il rampante leader del partito di estrema destra Aur impegnato a trasferire su di sé il consenso mescolando vecchio fascismo dei legionari e nuovi slogan trumpiani, assieme a una vera ossessione per TikTok (è il politico con più follower): un cocktail che lo ha reso il favorito al primo turno.
Finora Georgescu non si era mai espresso a favore di Simion, ma la sua presenza ieri mattina valeva più di mille parole, proprio nel giorno in cui la legge vieta ai candidati di rendere pubbliche le proprie intenzioni di voto.
Simion è intervenuto con una provocazione: «Ho votato per Georgescu», ha detto continuando a sbandierare la versione delle «elezioni rubate» che lo ha portato a boicottare i dibattiti tv con gli altri candidati.
All’ultimo confronto, con fare da showman, si è presentato con un mezzo di fiori per Elena Lasconi, definendola «la sola candidata legittima», e poi se n’è andato (era finita al ballottaggio al primo turno poi annullato, ndr ). Stesso cuore a destra che più a destra non si può ma temperamenti opposti: fare pacato e aria tra l’intellettuale e il mistico per il 63enne Georgescu; modi spicci, rampanti, e talvolta aggressivi quasi da hooligan per il 38enne Simion.
Del resto è proprio in curva che è iniziata la sua vita pubblica: è cresciuto allo stadio di Focsani, sua città natale non lontana dalla regione romena di Moldavia, dove ha contribuito a far nascere due formazioni di hooligan. «Tra questi tifosi ho imparato più che a scuola». Nel 2011 fonda l’ong «2012 action» che si batteva per l’unione tra Romania e la Moldova. Per anni organizza marce e proteste, senza risultati. E allora passa alla politica: nel 2019 fonda il partito di ultra destra Aur, Alleanza per l’Unità dei Romeni.
Il suo motto è «famiglia, nazione, fede e libertà» e in poco tempo raddoppia il suo sostegno fino a diventare il secondo partito in Parlamento. Alcuni suoi deputati in Aula hanno negato l’Olocausto e dichiarato eroi alcuni legionari fascisti che hanno combattuto il comunismo.
Nel 2022 fa anche del suo matrimonio un atto politico: cerimonia in stile «legionario» in un piccolo villaggio, Maciuca. Seguendo l’esempio di Corneliu Zelea Codreanu, fondatore tra le due guerre mondiali del primo movimento legionario romeno, ultranazionalista e antisemita, invita alle nozze tutti gli abitanti della Romania offrendo autobus gratuiti: partecipano in 12 mila.
E come Codreanu si presenta in costumi tradizionali: in bianco con stivali e mantello nero anche in pieno agosto. La moglie Ilinca, oggi 27enne, è una fedelissima: era nel team della prima campagna nel 2019. Ha scritto «Eu sunt Ilinca» («Sono Ilinca»), storia di una cenerentola nata e cresciuta con i nonni in campagna che ha incontrato il suo principe azzurro.
Da quando l’anno scorso Aur è entrato nel gruppo dei Conservatori e riformisti europei con Fratelli d’Italia, Simion ha dovuto smussare i toni antisemiti, pur senza abbandonare il revanchismo sulla Grande Romania (con pezzi di Ucraina e Moldova ceduti dopo la Seconda guerra mondiale).
«Anche per questo a novembre, primo round delle presidenziali, gli elettori gli hanno preferito il più radicale Georgescu», dice al Corriere Cristian Pirvulescu, rettore dell’Università nazionale di Scienze politiche a Bucarest. «Ora Simion sta tornando su posizioni più estreme: per essere più vicino a Georgescu m
anche per non cedere voti all’altro candidato sovranista, Victor Ponta, più radicale di lui».
Lo chiamano euroscettico: non vuole uscire dalla Ue ma trasformarla in un’Europa di nazioni sovrane (a cui puntano Orbán e Fico) .
(da agenzie)
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Maggio 5th, 2025 Riccardo Fucile
MELONI PENSA GIÀ AL SECONDO MANDATO, PUNTA AD ANTICIPARE LE ELEZIONI ALLA PRIMAVERA 2027 E NON VUOLE CORRERE IL RISCHIO DI AVERE IL REFERENDUM A RIDOSSO DEL VOTO
I deputati di maggioranza della commissione Affari costituzionali attendono indicazioni
dalla ministra delegata alle riforme Elisabetta Casellati. A sua volta però la ministra che avrebbe in teoria la titolarità sul premierato attende che le dicano cosa fare da Palazzo Chigi, del testo fermo in seconda lettura alla Camera.
La ragione che spiega questa attesa a catena è tutta in una precisa volontà di Giorgia Meloni: rallentare l’iter parlamentare di quella che ha definito «la madre di tutte le riforme», dilatare i tempi con l’obiettivo di evitare il referendum prima del termine della legislatura, a ridosso della campagna elettorale del 2027. Una battaglia per la riconferma che la premier vorrebbe, tra l’altro, anticipare portando gli italiani alle urne in primavera.
Una dote che riconoscono a Meloni gli amici e gli alleati è che arriva sempre preparata agli appuntamenti. Non improvvisa mai. Giunta a metà mandato, con un consenso che non è stato sgonfiato dalla fisiologica disaffezione degli elettori verso chi governa, per lei è tempo di fare precisi calcoli politici. E li sta facendo, condividendoli con coloro di cui più si fida nel partito, a partire dalla sorella Arianna.
Da Fratelli d’Italia fanno notare che nell’intervista con l’AdnKronos, al premierato dedica poco più di un passaggio, una citazione di maniera, doverosa, come se non volesse dargli peso. Nessuna sorpresa per i parlamentari di destra della commissione Affari costituzionali della Camera.
Due di loro ci raccontano di un rallentamento imposto dall’alto e di una ministra Casellati che attende impotente i desiderata della presidenza del Consiglio sulle modifiche al testo di legge. Sono sostanzialmente tre quelle irrinunciabili.
La prima riguarda il voto all’estero, la seconda la norma anti-ribaltone e la leva che avrebbe il cosiddetto “secondo premier”, la terza è la legge elettorale, tema quest’ultimo che è stato astutamente rilanciato proprio nelle ultime ore .
Riforma sulla quale si registra anche un piccolo effetto Trump, a sentire i deputati: come se lo strapotere manifestato dal presidente americano abbia riacceso le paure degli italiani verso le tentazioni dell’uomo forte solo al comando.
Da calendario, a maggio i deputati saranno impegnati a discutere di decreto Sicurezza e decreto Albania. E così mentre la politica riprende a parlare, senza fretta, di regole del voto, della legge costituzionale non si troverà traccia nelle agende degli eletti, per tutto il mese e oltre. Secondo fonti coinvolte nei lavori, l’approvazione non sarà prima di settembre. A quel punto potrebbe passare all’incirca un altro anno per il via libera del Senato, riducendo a zero i tempi tecnici per indire il referendum prima delle politiche del 2027.
Anche perché andranno riscritte intere parti, cancellato il riferimento alla legge elettorale (una norma costituzionale non può dipendere da una norma ordinaria) e rivisto il capitolo che dà più poteri alla figura del premier scelto dalla maggioranza nel caso delle dimissioni del primo presidente del Consiglio, uscito vincitore dalle urne.
Tanto più che Meloni sta già discutendo di uno scenario preciso che prevede di non replicare quello che nel 2022 fu un inedito nella storia repubblicana: andare ad elezioni in autunno, alla vigilia della sessione di bilancio. Punta a spostarle in primavera, ed è anche per questo che si sta preoccupando di come neutralizzare la consultazione popolare
Avvicinare troppo la data del referendum a quella delle politiche è una mossa ad altissimo rischio, e lo ha capito di fronte alla contrarietà verso il testo di quasi tutti i costituzionalisti, e dopo quasi due anni di confronti con il Quirinale: la premier teme che il referendum venga vissuto come una sfida tra lei e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, costituzionalista, ex membro
della Consulta, che ha enormi indici di gradimento tra gli italiani e che non è certo entusiasta della legge.
Meloni vuole evitare insidie e intralci al progetto di un bis. Il contraccolpo di una polarizzazione accentuata, come avvenne nel caso del giudizio popolare sulla legge che costò il posto da premier a Matteo Renzi, è un pericolo che non correrà.
Meglio ottenere l’approvazione del Parlamento, andare davanti agli elettori e venderla come una promessa mantenuta, ma fare in modo di organizzare il referendum all’inizio della nuova legislatura, magari con lei di nuovo a Palazzo Chigi.
(da “la Stampa”)
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Maggio 5th, 2025 Riccardo Fucile
I SOLDI SPUTTANATI DALL’UE, MENTRE 25.000 ESSERI UMANI SONO AFFOGATI NEL MEDITERRANEO
In occasione del suo decimo anniversario, l’Ong tedesca SOS Humanity oggi pubblica un nuovo report dal titolo: “Borders of (In)humanity”.
In 40 pagine, visualizzate da Fanpage.it in anteprima, si getta una luce brutale e necessaria sulle reali conseguenze delle politiche di esternalizzazione delle frontiere adottate dall’Unione Europea. Attraverso le voci di 64 sopravvissuti a bordo della nave Humanity 1, emerge una narrazione tragica e coerente: fuggire è l’unica scelta possibile per chi è intrappolato tra la violenza istituzionalizzata in Libia e la crescente repressione in Tunisia.
Da Mare Nostrum alla cooperazione con i carnefici
Il report ricostruisce come, dalla fine dell’operazione Mare Nostrum nel 2014, l’UE abbia progressivamente abdicato al dovere legale e morale di salvare vite in mare, preferendo investire miliardi di euro nel rafforzare le capacità di controllo di paesi terzi come Libia e Tunisia. Attraverso il supporto di SAR zones, guardie costiere “fantoccio” e accordi bilaterali, l’obiettivo dell’Europa è chiaro: impedire a ogni costo l’arrivo dei migranti in Europa, anche se ciò significa respingerli verso la tortura, lo stupro, la schiavitù e la morte.
“Nel 2018 l’UE ha sostenuto la creazione, da parte della Libia, di una sua zona internazionale di ricerca e soccorso (SAR) e l’istituzione di un centro libico di coordinamento marittimo per i soccorsi. Il sostegno europeo alla cosiddetta Guardia costiera libica e tunisina rende sempre più difficile raggiungere in tempo le persone in difficoltà, prima che vengano catturate e ricondotte nei Paesi da cui fuggivano, in violazione del principio di non respingimento”, spiega Sasha Ockenden co-autore del report.
Gli accordi con la Guardia Costiera libica
“Il nostro report – continua Ockenden – evidenzia un aumento allarmante dei cosiddetti pull-back illegali verso la Libia a partire dal 2021: ogni anno dal 2021 in poi abbiamo registrato più respingimenti rispetto a qualsiasi anno precedente. Nel 2020 e nel 2021 sono stati dati alla Libia due diversi strumenti di finanziamento, entrambi volti a fornire supporto e formazione alla cosiddetta Guardia costiera libica, che esegue i respingimenti. Dal 2016, oltre 166.000 persone sono state intercettate in mare e forzatamente riportate in Libia, rendendo l’UE e i suoi Stati membri complici degli abusi documentati in questo report, tra cui: discriminazioni, persecuzioni, detenzioni arbitrarie senza cibo né
cure mediche, schiavitù moderna, tratta di esseri umani, violenze fisiche e sessuali, e desert dumping – ovvero l’abbandono delle persone nel deserto, lasciate a morire.”
Tunisia, nuovo “partner strategico”
Ma se le conseguenze degli accordi europei e italiani con la Libia le conosciamo già da un pò di anni, sono nuove quelle che emergono dalle testimonianze delle persone fuggite dalla Tunisia. Il report mostra, infatti, come la Tunisia stia rapidamente assumendo un ruolo simile a quello della Libia. La Tunisia del presidente Kais Saied è oggi teatro di respingimenti illegali, priva di un sistema d’asilo funzionante e sempre più repressiva verso migranti subsahariani. Le testimonianze raccontano di lavori forzati, sfruttamento sessuale, violenze fisiche e psicologiche, e perfino della pratica dell’abbandono forzato nel deserto ai confini con la Libia.
“Il numero di persone forzatamente respinte in Tunisia con il sostegno dell’UE è aumentato significativamente ogni anno dal 2020 al 2023 (nel 2023, più persone sono fuggite dalla Tunisia che dalla Libia). Durante questo periodo, la situazione dei diritti umani per le persone in movimento nel Paese è peggiorata con la stessa rapidità. Eppure, nel 2023 l’UE ha siglato un partenariato che includeva 105 milioni di euro per il controllo delle frontiere e della migrazione, con ulteriori finanziamenti apparentemente in programma”, spiega Ockenden, “quando ero a bordo della Humanity 1 nel 2023, ho raccolto testimonianze di sopravvissuti che in Tunisia avevano subito violenze razziste indicibili, come Demsy (nome di fantasia), la cui moglie incinta era stata picchiata così brutalmente che quando è arrivata nella clinica della nave aveva perso il bambino che portava in grembo. Queste storie sono la norma, non l’eccezione. Eppure, nel 2024 l’UE ha sostenuto la creazione di una zona di ricerca e soccorso tunisina, conferendo legittimità a un attore accusato di abusi sistematici, stupri e traffico di esseri umani”.
Il prezzo umano ed economico dell’esternalizzazione
Il paradosso che emerge dal report è evidente: i fondi europei destinati a combattere i trafficanti finiscono per alimentare gli stessi circuiti criminali che dichiarano di voler fermare
Il Report stima che tra il 2015 e il 2027, l’UE avrà investito almeno 290,5 milioni di euro solo nei regimi di frontiera di Libia e Tunisia (compresi i finanziamenti per le RCC libiche e tunisine e per le cosiddette guardie costiere tunisine e libiche), per impedire alle persone di fuggire in Europa. In media, su un periodo di dieci anni, ciò corrisponde a 242.083.333 euro, un importo di gran lunga superiore ai costi di gestione di una nave di soccorso come la Humanity .
Il valore più grande del report sta però nelle testimonianze: Romeo, costretto a lavorare come schiavo in Tunisia; Mariam, minacciata dalla polizia di essere deportata nel deserto; Sekou, per cui “la Libia è come l’inferno”; Fatime, che ha perso i fratelli sotto gli spari dei guardacoste libici. Storie che, insieme, compongono un atto d’accusa diretto contro l’ipocrisia europea e le sue politiche sanguinarie.
Nel cuore del Mediterraneo, le politiche europee di esternalizzazione hanno creato una vera e propria macchina di violenza sistemica, portata avanti dai “cani da guardia” della Fortezza Europa. Il report chiede una svolta: cessare ogni cooperazione con Libia e Tunisia, e istituire un vero programma europeo di ricerca e soccorso. Finché l’Europa continuerà ad appaltare il controllo delle sue frontiere a regimi che violano sistematicamente i diritti umani, non potrà più parlare credibilmente di tutela dei diritti né di umanità.
(da Fanpage)
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Maggio 5th, 2025 Riccardo Fucile
GLI ATTACCHI ARRIVANO DALLA GALASSIA CONSERVATRICE STATUNITENSE, CHE IMPUTA AI DUE PORPORATI IL DIALOGO CON LA CINA… IL SEGRETARIO DI STATO È IL NOME PIÙ FORTE: PARTE GIÀ CON UNA 40INA DI VOTI, ED È SOSTENUTO DAL “PARTITO DEI NUNZI”. MA LA GESTIONE DEL CASO BECCIU POTREBBE AVERLO INDEBOLITO
«Nello spirito, fisso lo sguardo benevolo di Cristo risorto. Egli, pur consapevole della
mia umana fragilità, mi incoraggia a rispondere con fiducia come Pietro: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo”. E poi mi invita ad assumere le responsabilità che Lui stesso mi ha affidato».
Il cardinale Dominique Mamberti richiama le parole di Giovanni Paolo II e si rivolge al prossimo Papa, che è lì davanti a lui e lo sta ascoltando, ma non lo sa.
Nella basilica di San Pietro, nel nono giorno dei Novendiali, si celebra l’ultima messa in suffragio di Francesco.
Mamberti, 73 anni, francese nato a Marrakech, ha un’esperienza diplomatica pluridecennale, è stato ministro degli Esteri vaticano e ha guidato la Segnatura Apostolica, il tribunale supremo della Santa Sede, eppure il compito che lo attende è il più importante che gli sia mai capitato: sarà lui, come cardinale protodiacono, ad affacciarsi alla Loggia delle Benedizioni di San Pietro e pronunciare l’«Habemus Papam» davanti al mondo, rivelando in diretta planetaria il nome del nuovo vescovo di Roma.
Oggi l’assemblea dei cardinali si riunirà sia al mattino sia al pomeriggio, ed è la prima volta da quando sono iniziate le congregazioni generali.
Domani, ultimo giorno prima della clausura, è convocata al mattino ma potrebbe prolungarsi. Ci sono 133 elettori da 71 Paesi e «serve tempo», spiega uno dei cardinali più autorevoli.
Il Conclave comincerà alle 16:30 di mercoledì e si potrebbero dedurre il nomi di chi parte favorito anche solo dai veleni che vi si addensano alla vigilia. Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Francesco, e il filippino Antonio Tagle, già prefetto di Propaganda Fide, sono stati accusati dall’associazione statunitense BishopAccountability.org di avere coperto casi di abusi sessuali davanti alle autorità civili o non avere fatto abbastanza per evitarli.
Il gruppo ha promesso di fare «altri nomi» proprio mercoledì. Del resto è evidente quanto siano sospette accuse che arrivano pochi giorni prima del Conclave, anche perché, nell’organizzazione della Santa Sede, a occuparsi di segnalazioni e denunce è la Dottrina della Fede, nella quale Francesco ha creato una sezione specifica.
Del resto negli Stati Uniti, soprattutto ma non solo nella destra cattolica, i due cardinali tendono ad essere contestati per il ruolo che entrambi hanno avuto nel dialogo con la Cina: Parolin è stato l’artefice dell’accordo con Pechino sulla nomina dei vescovi ed è a Tagle, di madre cinese, che Francesco confidò: «L’Asia è futuro della Chiesa».
Nel primo conclave al tempo dei social, i tentativi di interferenza erano scontati.
L’alto giorno era stata diffusa la voce, smentita , di un malore di Parolin. Non a caso lo stesso Parolin, Tagle e il patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa vivono ritirati, una sorta di anticipo del Conclave.
Ieri non erano tra coloro che hanno celebrato la messa nelle chiese romane in cui sono «incardinati». Tra gli altri, Joseph Tobin, Newark, ha raggiunto Santa Maria delle Grazie in metrò. Il cardinale di Marsiglia Jean-Marc Aveline ha celebrato a Santa Maria ai Monti: «Non abbiamo paura della verità, degli altri che sono diversi da noi perché ogni uomo e donna è un fratello e una sorella».
I conti veri si faranno solo in Cappella Sistina, quando, separati dal mondo esterno e sotto lo sguardo del Dio michelangiolesco, i 133 cardinali elettori metteranno nell’urna la scheda sulla quale avranno scritto il nome di «colui che», è la formula, «secondo Dio, ritengo debba essere eletto». Solo allora si capirà quali sono i veri pesi in campo, come si sono coagulati i consensi, quanto sono forti le candidature ipotizzate in questi giorni, pallottolieri alla mano.
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Maggio 5th, 2025 Riccardo Fucile
CHARLES KUPCHAN: “TRUMP CERCA DI PREPARARE L’OPINIONE PUBBLICA AL FALLIMENTO. È STATO INGENUO, HA FATTO CONCESSIONI PRIMA ANCORA DI TRATTARE CON PUTIN. SONO ERRORI DA PRINCIPIANTE”
Prima di tornare alla Casa Bianca, Donald Trump aveva garantito di mettere fine in ventiquattr’ore alla guerra tra Russia e Ucraina. «Forse – aveva aggiunto anche prima che torni nello Studio Ovale». Superati i cento giorni di governo, il presidente degli Stati Uniti ha messo in dubbio la stessa ipotesi di pace.
In un’intervista a Nbc News Trump ha detto che tra l’ucraino Volodymyr Zelensky e il russo Vladimir Putin c’è un odio troppo forte. «Forse – ha confessato – la pace non è possibile». Trump sognava di annunciare la pace prima di Pasqua e di partecipare alle celebrazioni degli 80 anni dalla vittoria nella Seconda guerra mondiale, ospite di Putin sulla Piazza Rossa.
Lo storico incontro con Zelensky a San Pietro e il successivo accordo sullo sfruttamento delle “terre rare” hanno accelerato lo spostamento del baricentro della Casa Bianca già in atto da almeno tre settimane. Trump aveva già minacciato di ritirarsi dai negoziati, mentre il segretario di Stato Marco Rubio aveva ammesso che una «soluzione rapida non è all’orizzonte».
Il problema non è più Zelensky, e questo ad appena due mesi dallo scontro allo Studio Ovale con il leader ucraino. Ma Putin, continuando a bombardare gli ucraini, sostiene Washington, ha voluto “umiliare” Trump, mostrando come la sua mediazione non fosse sufficiente.
Le parole di apertura verso l’Ucraina del presidente adesso sono accompagnate dai fatti: Kiev riceverà nuovi aiuti dagli Stati Uniti. Un sistema di difesa aerea Patriot, che era stato di base in Israele, verrà inviato a Kiev dopo aver superato la revisione. Lo ha rivelato il New York Times , citando quattro funzionari del governo Usa, i quali si sono rifiutati di dire quale fosse l’opinione di Trump.
«Trump sta preparando l’opinione pubblica al fallimento della sua mediazione sull’Ucraina». Charles Kupchan, che aveva gestito questa crisi alla Casa Bianca quando Obama era presidente, spera ancora nella «possibilità un accordo», ma nello stesso tempo avverte che «gli Usa devono prepararsi alla possibilità che Putin lo rifiuti e la guerra duri ancora a lungo».
L’incontro in Vaticano fra Trump e Zelensky ha cambiato le cose?
«Penso sia stato potenzialmente un punto di svolta. Ma sarei cauto nel trarre
conclusioni affrettate, perché non è la prima volta che Trump parla della necessità di aumentare la pressione su Putin. Finora però sembrava decisamente orientato a favore della Russia, mentre adesso è più impegnato con l’Ucraina».
Il New York Times rivela che riprendono le forniture di Patriot.
«È molto importante, perché fino a pochi giorni fa non c’era alcun segnale che gli Usa avrebbero continuato a fornire armi all’Ucraina, e una delle carenze più gravi che Kiev deve affrontare è quella della difesa aerea».
Perché Trump dice che la pace potrebbe essere impossibile?
«A giudicare dal linguaggio usato, cerca di preparare l’opinione pubblica al fallimento, dopo aver detto che avrebbe chiuso la guerra in 24 ore. Penso abbia sottovalutato drasticamente quanto fosse difficile raggiungere un accordo, e soprattutto Putin, da cui finora non è venuto alcun segnale di una possibile rinuncia agli obiettivi massimalistici. Per quanto ne sappiamo, mira ancora alla sottomissione dell’Ucraina e così l’accordo è impossibile».
Trump minaccia di lasciare il negoziato per alzare la pressione?
«In parte, ma potrebbe anche essere un riflesso realistico della sua frustrazione. Credeva che una volta in carica avrebbe chiamato il suo migliore amico Vladimir, e Putin avrebbe chiuso l’accordo. Poi avrebbe fatto un po’ di pressione su Zelensky e la partita sarebbe finita. Non è così che funziona, è stato ingenuo».
E cosa dovrebbe fare ora?
«Questo negoziato non è andato bene perché è stato gestito molto male. Trump ha fatto la cosa giusta nel cercare di chiudere la guerra, parlare con Putin e incontrare i russi in Arabia, però doveva anche fare prima i compiti, sedendosi con europei e ucraini per elaborare un piano coerente e poi negoziare con Mosca.
Invece ha iniziato facendo concessioni prima ancora di trattare, tipo il riconoscimento della Crimea o il “no” all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. Sono errori da principiante. Ora può ancora correggersi e negoziare duramente con i russi. Se Mosca rifiuterà, gli Usa dovranno prepararsi ad una guerra lunga, chiedendo al Congresso più armi e soldi.
Perché?
«Putin vuole soggiogare l’Ucraina, ma tiene anche al rapporto con Trump. interesse alla revoca delle sanzioni e alla riabilitazione internazionale. Poi magari più avanti invaderà di nuovo, per questo serve un accordo che dia garanzie a Kiev».
Inasprire le sanzioni su Mosca potrebbe servire?
«Potenzialmente. Però se arriviamo al punto in cui Trump è così frustrato da voler punire Putin, questo potrebbe significare la fine del negoziato, perché non credo che il capo del Cremlino accetti di fare marcia indietro sotto pressione, dimostrando che cede alla forza della Casa Bianca».
(da Repubblica)
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Maggio 5th, 2025 Riccardo Fucile
“ACCANTO ALLA NECESSITÀ DI CREARE NUOVI POSTI DETENTIVI, EMERGONO LA MANCATA REALIZZAZIONE DI NUMEROSI INTERVENTI E L’URGENZA DI COMPLETARE QUELLI DI MANUTENZIONE STRAORDINARIA GIÀ AVVIATI”… LE INADEMPIENZE CONTRATTUALI E LA SCARSITÀ DI FINANZIAMENTI
A dieci anni dalla conclusione della gestione commissariale, l’analisi sullo stato di
attuazione del ‘Piano Carceri’ evidenzia situazioni critiche di sovraffollamento carcerario che – soprattutto in Lombardia, Puglia, Campania, Lazio, Veneto e Sicilia – assumono contorni ai limiti dell’emergenza, anche alla luce dei dati del Ministero della Giustizia.
È quanto sottolinea la Corte dei conti nella relazione “Infrastrutture e digitalizzazione: Piano Carceri”, approvata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato con Delibera n. 42/2025/G.
Accanto alla necessità legata alla creazione di nuovi posti detentivi, si legge nel documento, emergono la mancata realizzazione di numerosi interventi e l’urgenza di completare quelli di manutenzione straordinaria già avviati, per migliorare le condizioni ambientali, igienico-sanitarie e di trattamento all’interno degli istituti.
Molteplici, secondo la Corte dei Conti, le cause dei ritardi: dalle inadempienze contrattuali da parte delle imprese, ai mutamenti repentini delle esigenze detentive rispetto al passo dei lavori, fino alle carenze nei finanziamenti necessari per attuare le modifiche progettuali, con la necessità – è il richiamo ulteriore dei giudici contabili – di applicare il principio dell’individualizzazione della pena, che impone una corretta collocazione dei detenuti all’interno delle strutture in base alla loro condizione giuridica e alle esigenze trattamentali.
All’Amministrazione si è pertanto raccomandato, conclude il documento, di predisporre fin dall’inizio stime realistiche dei costi, accompagnate da una pianificazione efficace delle risorse e dalla definizione di linee guida per le strutture penitenziarie, coerenti con gli standard minimi europei e internazionali. Al nuovo Commissario straordinario si chiede di tenere conto delle criticità emerse dall’indagine e di assicurare un attento monitoraggio degli interventi nel rispetto dei cronoprogrammi procedurali e finanziari, per evitare ulteriori ritardi e criticità operative.
(da agenzie)
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