Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile
LA PROFESSORESSA RIFILA UNA NOTA AGLI STUDENTI E IL SENATORE DI FRATELLI D’ITALIA, ALBERTO BALBONI, PRESENTA UN’INTERROGAZIONE PARLAMENTARE A VALDITARA PRENDENDOSELA CON L’INSEGNANTE CHE AVREBBE SEQUESTRATO IL TELEFONO A UN ALUNNO PERCHÉ SUL DISPOSITIVO C’ERA L’ADESIVO DI “AZIONE STUDENTESCA”, L’ORGANIZZAZIONE GIOVANILE DI FDI, ILLAZIONE SMENTITA DALLA SCUOLA
Dall’aula di una scuola di Cento, nel Ferrarese, a quella del Senato: un provvedimento scolastico diventa un caso politico. A sollevarlo – riportano la Nuova Ferrara e il Resto del Carlino – è il senatore di Fratelli d’Italia, Alberto Balboni, che ha annunciato una interrogazione al ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, su un episodio a suo dire “gravissimo”, ovvero un cellulare tolto a un ragazzo di un istituto superiore solo perché, a suo dire, aveva sul retro un adesivo di Azione Studentesca, l’organizzazione giovanile del partito di Giorgia Meloni.
Ricostruzione diversa quella della scuola: secondo quanto riferito da docente e dirigente dell’istituto l’episodio va inserito in un quadro più ampio, ovvero l’intera classe che aveva preso una nota perché – tra i vari comportamenti molesti – aveva anche inneggiato a Hitler, al Duce, auspicando pure la riapertura dei forni crematori. Il tutto sarebbe accaduto l’altro ieri mattina.
“La professoressa – si legge nella nota diffusa dal senatore – si è sentita in dovere di spiegare al giovane studente” che quello di Azione Studentesca “era un simbolo ‘fascista’ e che lui non si rendeva conto di cosa esso significasse. Come non bastasse la professoressa non ha voluto restituire il telefono allo
studente, obbligandolo ad attendere l’insegnante dell’ora successiva per riaverlo”.
Episodio “inaccettabile” per il senatore.
A replicare è la preside dell’istituto di Cento, l’Isit Bassi Burgatti, Annamaria Barone Freddo, dopo aver approfondito quanto accaduto. La vicenda non riguarda un solo studente, bensì l’intera classe.
L’insegnante, una volta entrata in aula, si sarebbe trovata di fronte a una situazione grave, con gli alunni che urlavano, mimavano gesti sessuali, e pronunciavano frasi inneggianti Hitler, il Duce, come “Riapriamo i forni crematori”.
La docente ha quindi messo una nota a tutta la classe, approvata dalla dirigente. Quanto all’episodio del cellulare, la dirigente precisa che all’ingresso in aula tutti gli studenti sono costretti a lasciare i telefoni in un cestino per poi riprenderli solo a fine lezione. “Di certo, da quanto mi è stato raccontato, la questione non è legata a un simbolo presente sul cellulare, il problema è ben più grave ed è a monte”.
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Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile
IL BOEING 777 DIRETTO A KUALA LUMPUR FU ABBATTUTO DA UN MISSILE TERRA ARIA BUK: MORIRONO TUTTE LE 298 PERSONE A BORDO, E ORA MOSCA DOVRÀ RISARCIRE LE FAMIGLIE… I RIBELLI FILO RUSSI DEL DONBASS, ALLORA, SOSTENNERO CHE L’AEREO ERA STATO ABBATTUTO DA UN JET UCRAINO
L’agenzia delle Nazioni Unite per l’aviazione civile non ha dubbi: responsabile
dell’abbattimento dell’Mh17 della Malaysia Airlines – avvenuto il 17 luglio del 2014 nei cieli sopra all’Ucraina – sarebbe la Russia. Di qui la richiesta a Mosca di “risarcire” le famiglie delle vittime
Il Boeing 777, partito da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur, era stato abbattuto da un missile terra-aria Buk di fabbricazione russa causando la morte delle 298 persone a bordo, tra passeggeri e membri dell’equipaggio. Tra le vittime 196 olandesi, 43 malesi e 38 australiani.il Boeing 777 della Malaysia Airlines – in volo da Amsterdam a Kuala Lumpur – si è schiantato nella regione di Donetsk, nell’Ucraina orientale, dove i ribelli separatisti filo-russi stavano combattendo contro le forze ucraine.
Un tribunale olandese ha condannato in contumacia nel 2022 tre uomini all’ergastolo tra cui due russi, ma Mosca – che ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nella tragedia – ha rifiutato di estradarli. per il loro ruolo nella distruzione dell’aereo.
Gli inquirenti internazionali hanno sospeso le indagini sul caso lo scorso anno, affermando che non c’erano prove sufficienti per identificare altri sospettati.
Il Consiglio dell’organizzazione, con sede a Montreal, in Canada, ha affermato che i reclami presentati da Australia e Paesi Bassi in merito al volo della Malaysia Airlines erano “fondati in fatto e in diritto”.
Questa è la prima decisione del Consiglio dell’organizzazione “nel merito di una controversia tra Stati membri”, sottolinea il comunicato diffuso dall’Icao.
“La Federazione russa non ha rispettato i suoi obblighi alla luce del diritto aereo internazionale per la distruzione dell’Mh17 della Malaysia Airlines nel 2014”, ha stimato l’Organizzazione dell’aviazione civile internazionale.
L’allora presidente ucraino, Petro Poroshenko, definì l’accaduto un “atto terroristico”. I ribelli filo-russi nella zona affermarono che l’aereo di linea era stato abbattuto da un jet militare ucraino e il presidente russo Vladimir Putin dichiarò che l’Ucraina “ha la responsabilità”.
Il giorno seguente, l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama disse che l’aereo fu abbattuto da un missile lanciato da un territorio controllato dai separatisti e che i ribelli non sarebbero stati in grado di colpirlo senza l’appoggio russo.
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile
IL DIPLOMATICO CULTURALE, MARITO DELLA NIPOTE DI LE PEN, IL PARLAMENTARE NON RIELETTO, L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI PROVATA FEDE: C’E’ POSTO SOVRANISTA PER TUTTI
Sarebbe ingeneroso sostenere che al nuovo consigliere del ministro Alessandro Giuli per le funzioni di “diplomatico culturale” manchi del tutto l’esperienza sul campo. La prova è in un resoconto dell’Ansa datato 25 settembre 2014, dieci anni e mezzo fa. L’agenzia di stampa riferiva che alla testa di un manipolo di giovani calabresi del circolo culturale “Il Talebano” il ventisettenne Vincenzo Sofo aveva tentato il rapimento simbolico dei Bronzi di Riace al museo archeologico nazionale di Reggio Calabria.
Si era ovviamente trattato di un’azione puramente dimostrativa a sostegno della battaglia condotta da Vittorio Sgarbi, che avrebbe voluto portare i Bronzi all’Expo 2015 di Milano. Battaglia persa per il parere contrario della Soprintendenza calabrese alla trasportabilità delle due statue. «Solo politici miopi e campanilisti come quelli calabresi possono opporsi al progetto di Sgarbi», aveva detto ai giornalisti il giovane Sofo, milanese ma di origini calabresi.
All’epoca aveva già mollato la Destra di Francesco Storace, di cui era stato appena ventenne responsabile nel capoluogo lombardo. A Milano aveva l’incarico di consigliere municipale per la Lega. Il suo leader di riferimento, l’eurodeputato Matteo Salvini, a lungo anche consigliere comunale milanese. La fedeltà al capo paga, e infatti Sofo si guadagna un posto in lista alle elezioni amministrative del 2016, però senza fortuna. Ma non demorde. E il destino l’aiuta. Il credo sovranista, si sa, non conosce confini. Così la sorte vuole che un bel giorno Sofo incontri l’anima gemella in Marion Maréchal, la nipote di Marine Le Pen, giovane deputata del Front National. Da lì a una candidatura per la Lega al Parlamento europeo il passo è breve. E in quella fine di maggio 2019 l’onda salviniana è tanto impetuosa da spingere anche lui su un seggio di Strasburgo.
Ma la fede fatalmente s’incrina. Il rapporto con la Lega si rompe bruscamente nel 2021, quando Salvini va al governo con Mario Draghi. Sofo si ribella e torna dove la sua storia politica è iniziata: alla fiamma. Passa a Fratelli d’Italia e sarebbe una scelta giusta, perché mentre la Lega crolla il partito di Giorgia Meloni invece decolla. Le cose però non vanno esattamente bene. I voti che incassa alle Europee del 2024, candidato stavolta nelle liste meloniane, non bastano. E deve fare le valigie da Strasburgo proprio mentre lì atterra l’europarlamentare Marion Maréchal, nel frattempo diventata sua moglie. Una beffa crudele.
Ma ecco almeno un piccolo salvagente per restare a galla, sia pure in acque molto più basse. Il ministro della Cultura lo nomina “diplomatico culturale”. Trentamila euro l’anno. Una miseria, al confronto degli emolumenti (e al prestigio) da europarlamentare.
Perché raccontare questa storia? Per quanto possa apparire singolare, risulta del tutto simile a decine di altre vicende. È ormai una regola la pratica per cui vengono messe a carico della collettività nei modi più creativi le sfortune dei politici rimasti senza seggio e in attesa di tempi migliori, come le aspirazioni di chi rivendica dal partito un risarcimento o un avanzamento. Anche a prescindere, nella stragrande maggioranza dei casi, da competenze, esperienze e attitudini.
Si dirà che è sempre accaduto. Vero. Adesso però la cosa ha assunto proporzioni senza precedenti. E non si rispettano nemmeno più i dettati del manuale della lottizzazione, perché chi governa ritiene di poter disporre della cosa pubblica a proprio piacimento. Come fosse cosa propria, e non della collettività. Perciò anche i posti negli enti e nelle società pubbliche gli appartengono. La nuova invasione è cominciata due anni e mezzo fa e non conosce soste. Perché un giro di giostra non si nega a nessuno, come dimostrano i fatti degli ultimi mesi.
Al contrario di Sofo, la deputata forzista Maria Rosa Sessa detta Rossella, commercialista, molla il partito perché il partito ha mollato Draghi accodandosi
al Movimento 5 stelle e alla Lega che lo sfiduciano spianando la strada del governo a Giorgia Meloni. E trasloca ad Azione di Carlo Calenda, che la candida alle Politiche del 2022. Ma non ce la fa, e ad agosto del 2023 Rossella Sessa fa ritorno a Forza Italia. Dove evidentemente Antonio Tajani, orfano di Silvio Berlusconi, l’accoglie a braccia aperte. Adesso è presidente di Fs Sistemi Urbani, società del gruppo Ferrovie dello Stato.
Il ragionier Flavio Nogara, salviniano a quattro ruote motrici, approda invece al consiglio regionale della Lombardia nel 2018. Siccome però è anche consigliere di amministrazione di Ferrovie Nord, che è controllata indirettamente dalla Regione, al voto si è trovato in una situazione di incompatibilità e l’elezione viene annullata. Poco male.
Qualche mese dopo viene risarcito con un posto nel Cda delle Ferrovie. Scaduto il mandato triennale, si ricandida alla Regione Lombardia ma perde per un niente. Ora è presidente di Busitalia, altra società delle Ferrovie. Risarcimento bis con avanzamento di grado.
Ma è niente al confronto di quanto si profila nell’universo della Cassa depositi e prestiti. Dove il sottosegretario meloniano Giovanbattista Fazzolari, potente braccio destro della premier, ha, se possibile, ancor più voce in capitolo sulle nomine.
Il suo marchio è inequivocabile: nel consiglio di amministrazione di Fincantieri arriva Emilio Scalfarotto. Dirigente del Comune di Fiumicino, fa parte dell’assemblea di Fratelli d’Italia. Soprattutto, è il capo della segreteria tecnica di Fazzolari a Palazzo Chigi.
Due anni fa ha già avuto uno strapuntino nel cda di PostePay, gruppo Poste italiane. Chissà se per una curiosa par condicio sovranista, si materializza nel consiglio di amministrazione della Fincantieri anche un posto per Mariachiara Geronazzo, assessora leghista del Comune di Valdobbiadene.
Il sociologo Alessandro Zehetner, candidato senza fortuna alle Politiche del 2022 per il centrodestra, circoscrizione estero, deve aver così ben figurato nel consiglio di amministrazione dell’Enel, dove era stato collocato da governo Meloni dopo la sua non indimenticabile prova elettorale, da meritarsi ora anche una presidenza. Alla Snam, nientemeno. Nel consiglio c’è anche Augusta
Iannini, ex magistrata, ex componente dell’autorità della Privacy, incidentalmente consorte del giornalista Bruno Vespa.
Candidata senza fortuna nel 2022 per Fratelli d’Italia alla Camera al pari di Zehentner, anche Costanza Bianchini avrà finalmente un posticino al sole. È destinata al consiglio di amministrazione dell’Italgas, incarico che potrà sommare a quello di segretaria particolare della sottosegretaria di Fratelli d’Italia al ministero dell’Economia, Lucia Albano.
E anche qui lo schema par condicio sovranista esige una poltroncina leghista, affidata a Erika Furlani, ex sindaca di Campoformido non riconfermata nel 2024.
Cinque anni all’Europarlamento nelle file leghiste devono essere bastati ad Antonio Maria Rinaldi, economista allievo dell’ex ministro presidente della Consob Paolo Savona, che vorrebbe l’Italia fuori dall’euro. Infatti nel 2024 non si è ricandidato. Meritandosi comunque da euroscettico la presidenza di una società di costruzioni della Cassa depositi e prestiti, la Trevi.
Nel suo affollato consiglio di amministrazione troverà Pietro di Paolantonio detto Paolo, ex consigliere regionale del centrodestra nel Lazio, ex assessore della giunta di Renata Polverini, sindacalista Ugl.
È incidentalmente il marito di Barbara Saltamartini, già pasionaria missina e aennina deputata per 14 anni, poi folgorata da Salvini. Ma Rinaldi troverà anche Matteo Mognaschi, ex vicesindaco leghista di Pavia, nominato un anno e mezzo fa dalla giunta regionale lombarda di Attilio Fontana alla presidenza dell’Aler (l’azienda pubblica per l’edilizia residenziale) di Milano. Nonché l’avvocata Adriana Baso, impegnata nel 2015 nella campagna elettorale del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che l’ha poi designata per l’amministrazione del casinò. Dove oltre alla fortuna, in certi casi, una spintarella politica non guasta.
Sergio Rizzo
(da lespresso.it)
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Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile
UNO SPUTTANAMENTO ENORME DI SOLDI DEI CONTRIBUENTI AMERICANI PER IL DELIRIO DI UN MEGALOMANE
L’aereo Boeing 747-8 extra lusso che il Qatar ha regalato a Donald Trump – e che è
destinato a diventare il nuovo Air Force One – si trova già da cinque settimane in un hangar nell’aeroporto internazionale di San Antonio, in Texas.
Trump ha infatti affidato ad una società di appalti del Pentagono, L3 Harris, il compito di trasformare il jet di lusso a due piani, acquistato 13 anni fa dalla famiglia reale del Qatar, nell’Air Force One. Un lavoro che potrà richiede anni e centinaia di milioni dollari, e che, scrive oggi il Washington Post, sarà impossibile terminare prima della fine del mandato di Trump.
L’aereo è arrivato in Texas il 3 aprile, dopo essere partito da Doha il 30 marzo, aver fatto una sosta a Charles de Gaulle a Parigi e poi un’altra all’aeroporto di Bangor, in Maine, il 2 aprile, secondo il portavoce dei FlightRadar 24. Nel difendere la decisione di accettare il regalo da 400 milioni di dollari del Qatar, liquidando come “perdenti democratici” chi critica e esprime preoccupazione per le implicazioni etiche di una tale scelta, Trump ha enfatizzato che sarebbe “stupido” rifiutare “un aereo molto costoso che ci viene dato gratis” al posto degli ormai invecchiati Air Force One in servizio.
Ma Politico oggi sottolinea come questo “non sarà un regalo per il contribuente americano”, dal momento che verranno usati soldi pubblici per di fatto
smontare l’aereo per poter inserire i sistemi di comunicazione protetti, di difesa tecnologica e di scudi elettromagnetico necessari per il velivolo presidenziale.
Il tutto per centinaia di milioni di dollari, afferma l’ex capo delle acquisizioni dell’Air Force, Andrew Hunter, spiegando che soltanto il controllo nell’intero aereo per modificazioni del software o di tecnologia straniera nascosta “costerà decine di milioni di dollari”.
“Questo regalo potrebbe diventare un bene molto costoso da gestire – aggiunge Hunter – ci si potrebbe chiedere anche perché il Qatar non vuole più questo aereo e la risposta potrebbe essere che è troppo costoso da mantenere”.
“Questo non è veramente un regalo, di fatto bisogna smontare l’aereo e rimontarlo per soddisfare tutte le necessità di comunicazione, sopravvivenza e sicurezza dell’Air Force One. E’ un impresa enorme e non finanziata”, conclude Joe Courtney, democratico della commissione Forze Armate della Camera.
Trump, che ha fatto un tour dell’aereo il 15 febbraio scorso quando il Boeing è atterrato all’aeroporto di Palm Beach per una visita di un’ora del tycoon prima della sua partita di golf del sabato, insiste sulle caratteristiche di extralusso dell’aereo, che, secondo le foto fornite dalla compagnia aerea svizzera Amac Aerospace, ha un camera da letto principale e una per gli ospiti, due bagni completi e nove toilette, diverse sale, un ufficio privato, e poltrone in pelle su entrambi i piani del velivolo.
“Donald Trump sta ricevendo un aereo organizzato per un emiro”, commenta con il Post Garrett Graff, storico specializzato in sicurezza dei presidenziale che descrive il regalo come un vero incubo per gli addetti al controspionaggio, anche perché Trump già da febbraio ha segnalato il suo interesse per il velivolo, dando così alle intelligence i Paesi avversari mesi di tempo per organizzare eventuali infiltrazioni.
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile
“HA ACCELERATO IL DECLINO DEL DOLLARO. LA CREDIBILITÀ DELLO STATO DI DIRITTO, LA CAPACITÀ DI MANTENERE IL SOFT POWER, IL POTERE DI FAR SÌ CHE GLI ALTRI VOGLIANO CIÒ CHE L’AMERICA VUOLE. NON È SOLO UN PROBLEMA DI DAZI. MA L’APERTURA AL COMMERCIO, ALLA GLOBALIZZAZIONE FINANZIARIA, LE UNIVERSITÀ AMERICANE SONO PILASTRI DEL DOLLARO”
Il dollaro sta recuperando dopo il primo accordo con la Cina sui dazi. Torna un po’ di fiducia nell’economia statunitense?
«Be’, l’amministrazione di Donald Trump fondamentalmente ha capitolato. Non ha ottenuto nulla — risponde Kenneth Rogoff di Harvard, ex capoeconomista del Fmi, gran maestro di scacchi e ora autore di L’impero del
dollaro (Egea)
Trump, visto dai mercati, cerca un modo di ritirarsi dalle stupide politiche che aveva messo in atto.
Per gli Stati Uniti è positivo: le probabilità di recessione calano ed è buono per il dollaro.
Ma il valore del biglietto verde è ancora molto alto ed è probabile che scenda. Mi sorprenderebbe se non vedessimo 1,20 o magari anche 1,30 sull’euro. Altre volte in passato il dollaro è già stato sopravvalutato, ora l’amministrazione Trump ne ha accelerato il declino».
Che intende dire?
«I cinesi non hanno bisogno di farsi dire due volte che devono allontanarsi dalla valuta americana. Gli europei ora sono costretti a militarizzarsi, il che è probabilmente il punto di maggiore debolezza dell’euro come valuta internazionale. Trump accelera queste tendenze, che erano già in atto. […]».
Quali fattori garantivano alla moneta americana il suo ruolo e ora sono in dubbio?
«La credibilità dello stato di diritto, la capacità di mantenere il soft power, il potere di far sì che gli altri vogliano ciò che l’America vuole. Non è solo un problema di dazi. Ma l’apertura al commercio, alla globalizzazione finanziaria, le università americane sono pilastri del dollaro».
Cos’ha spinto Trump a capitolare di fronte alla Cina?
«Lui è pragmatico. Quando qualcosa non va, cerca una via d’uscita. L’ha fatto nel primo mandato e ora di nuovo. Il problema ora, visto dall’Europa, è che non ci si può fidare. Con il Canada e il Messico era stato lui a concludere un accordo quattro anni fa e ora lo ha fatto saltare. Ma […] il problema […] sono gli Stati Uniti. Lo abbiamo eletto e possiamo eleggerne un altro. Questa arroganza è molto americana, non andrà via»
L’incertezza frenerà gli investimenti?
«Vede, una delle grandi cose riguardo agli Stati Uniti è che se compri qualcosa, è tuo. Non lo portiamo via solo perché sei italiano. Finché rispetti le nostre leggi, non le cambiamo in modo arbitrario
Ora invece con il modello di governo forte e del favoritismo al potere, non sei più sicuro. Non sai se sarai tassato o penalizzato in modo speciale perché sei italiano o altro. Questa incertezza mina alla base una delle grandi forze degli Stati Uniti».
Trump non cerca neanche di nascondere il proprio arricchimento personale grazie alla carica. E la passa liscia.
«È il punto più importante. Penso che Trump finirà massacrato alle elezioni di midterm e allora forse inizieranno i processi di impeachment su di lui al Congresso, ma ora no. I congressisti repubblicani hanno paura».
Intanto il deficit pubblico corre verso il 7% del Pil…
«Non c’è un piano per chiuderlo, ma i mercati obbligazionari non saranno così indulgenti. Avremo sicuramente problemi nei prossimi anni. I rendimenti dei titoli del Tesoro americano a dieci anni sono attorno al 4,4%, ma penso che nei prossimi anni sia più probabile vederli al 5% o al 6% che al 3% o al 3,5%».
Fra quanti anni?
«Nel mio libro scrivo fra cinque o sette anni, ma ora credo due. Avverrà con Trump alla Casa Bianca. Vedremo inflazione, repressione finanziaria. Non è difficile immaginare che Trump cercherà di controllare i prezzi o i flussi di capitali. E le persone che credono che l’indipendenza della Federal Reserve sia protetta dalla Costituzione potrebbero doversi ricredere»
Consigli per l’Europa?
«Di mantenere la calma e non inchinarsi a Trump. Lui rispetta la forza. È come uno scacchista da caffè, bravo e aggressivo contro i deboli. Ma gli avversari forti che sanno difendersi e colpire contro di lui vincono. La Cina non si è piegata e dalla Cina non ha ottenuto nulla. Anche dall’Europa otterrà poco».
Federico Fubini
per il “Corriere della Sera”
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Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile
UN PARADOSSO: NELL’INDICE “DI PERCEZIONE DELLA DEMOCRAZIA” UN PAESE COMUNISTA CHE NON CONCEDE DIRITTI AI SUOI CITTADINI È PIÙ IN ALTO DELLA DEMOCRATICA AMERICA… TRUMP È MENO POPOLARE DEI DITTATORI PUTIN E XI JINPING
Gli Stati Uniti stanno diventando sempre meno popolari a livello globale in seguito al
ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, secondo nuovi dati.
L’Indice di Percezione della Democrazia 2025 riassume le opinioni su democrazia, geopolitica e attori globali, e ha intervistato più di 110.000 persone in 100 paesi.
Nel frattempo, la Cina continua a migliorare la propria posizione nel mondo, superando per la prima volta gli Stati Uniti e registrando percezioni per lo più
positive in tutte le regioni, ad eccezione dell’Europa.
La Russia, la cui reputazione era crollata dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte del presidente Vladimir Putin nel 2022, è ancora (leggermente) più impopolare degli Stati Uniti — sebbene anche la sua immagine stia migliorando.
La reputazione di Trump è in linea con quella del suo paese. Il sondaggio ha mostrato che è meno popolare a livello globale rispetto ai suoi omologhi russo e cinese, Putin e Xi Jinping.
Trump ha ottenuto il punteggio peggiore tra una serie di leader politici, culturali e spirituali che include il proprietario di X Elon Musk, il fondatore di Microsoft Bill Gates, il defunto Papa Francesco, Taylor Swift e Kim Kardashian.
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile
INTERVISTA A VANETINA BRINIS: “SI TRASFERISCE LA GESTIONE DELL’ASILO A PAESI DOVE NON ESISTONO GARANZIE E SI PAGANO GOVERNI CHE PRATICANO VIOLENZA E DETENZIONI ARBITRARIE”
C’è qualcosa di profondamente distorto nel modo in cui l’Europa e, in particolare, l’Italia hanno scelto di affrontare il fenomeno migratorio. Le politiche adottate negli ultimi anni rivelano una volontà sempre più marcata di demandare ad altri Paesi la responsabilità di contenere i flussi, anche quando quegli stessi Paesi non garantiscono né la vita né i diritti fondamentali delle persone. È un approccio che dovrebbe sollevare inquietudine, non compiacimento, e che invece viene spesso rivendicato come successo politico. Valentina Brinis, esperta di diritti umani e immigrazione e Advocacy officer della ong Open Arms, descrive così, a Fanpage.it, le storture del sistema italiano ed europeo in materia di immigrazione: si stipulano accordi con Stati come la Libia, la Tunisia, l’Egitto, paesi in cui le persone vengono respinte, incarcerate, lasciate morire nelle zone di confine o abbandonate nei deserti.
Nonostante le immagini feroci che continuano ad arrivare da quelle aree, bambini morti di sete e di fame in mare, uomini e donne picchiati e respinti, aggiunge Brinis, le istituzioni europee insistono nel rafforzare partenariati che espongono i migranti a violenze sistematiche; un paradosso di una politica che pretende di gestire il fenomeno migratorio ma che in realtà “continua a scaricare le proprie responsabilità su altri, senza affrontare le cause profonde degli spostamenti forzati”. Anche il lessico, poi, ha un peso: parlare di “invasione”, come ha fatto ripetutamente il governo Meloni, non sarebbe una novità ma una retorica che affonda le radici in un immaginario antico, quello delle “invasioni
barbariche”, ricorda Brinis, usato per descrivere movimenti di popolazioni che spesso andavano semplicemente da nord a sud. Un linguaggio che non fa altro che alimentare paure, mistificare i numeri reali e avvelenare il dibattito pubblico: si parla di emergenza, ma l’emergenza vera, come sottolinea Brinis, quella dei diritti negati, delle vite sospese, delle morti dimenticate, resta fuori dalla narrazione dominante.
Illusione del controllo: tra decreti e blocchi artificiali
Brinis ricorda poi come il governo rivendichi una diminuzione degli sbarchi e leghi questo risultato all’inasprimento delle norme introdotte dal decreto Piantedosi: l’assegnazione di porti più lontani alle ONG, il contenimento selettivo dei salvataggi in mare, le restrizioni imposte all’azione umanitaria. Ma una riduzione dei numeri sulla rotta mediterranea non significa che il fenomeno sia sotto controllo. Significa, piuttosto, che molte persone sono bloccate altrove. Non sono sparite, non hanno smesso di migrare: sono semplicemente intrappolate in paesi terzi, senza tutele, senza vie legali di accesso, spesso in condizioni disumane. A fronte di tutto questo, l’Unione europea continua a perseguire una strategia che Valentina Brinis definisce con chiarezza: esternalizzazione delle frontiere. Si paga cioè un altro Stato perché blocchi le persone prima che arrivino alle nostre porte. È successo con la Libia, con la Turchia, con il Niger, con l’Egitto e ora di nuovo con la Tunisia, dice Brinis. Forse nell’immediato funziona, rallenta i flussi, ma il costo umano è altissimo, e “la miopia di questa scelta strategica diventa evidente appena si guarda al quadro più ampio”.
Centri oltreconfine e consenso immediato: la posta in gioco politica
L’obiettivo politico resta quello dell’effetto immediato: servono risultati visibili, da rivendere all’opinione pubblica. Ma l’immigrazione è un fenomeno complesso, che richiederebbe studio, tempo, capacità di analisi e un’etica della responsabilità. Invece, secondo Brinis, si preferisce il consenso rapido a scapito delle soluzioni durature, e non sarebbe quindi un caso che il governo abbia deciso di trasformare i centri previsti sul territorio albanese in veri e propri CPR, cioè in Centri di permanenza per il rimpatrio. Una modifica che sembra rivelare il fallimento dell’idea iniziale, e che appare come “un tentativo di tener
in piedi a ogni costo un’operazione politica più che funzionale”. Del resto, l’Italia ha già dieci CPR attivi, che senso ha aggiungerne altri fuori dai propri confini? La risposta sembra più politica che pratica: difendere la narrazione di un controllo rafforzato, anche se ciò significa esportare i limiti del nostro sistema detentivo in un altro Paese.
Nel frattempo, restano le domande fondamentali: dove sono finite le persone che prima cercavano di attraversare il Mediterraneo? In che condizioni vivono? Chi ne garantisce i diritti? E, soprattutto, quale responsabilità si assume un Paese quando decide di bloccare vite umane in zone dove il diritto non esiste? L’apparente diminuzione degli arrivi non racconta la verità, dice Brinis. La verità si nasconde nelle frontiere esterne, nei deserti, nei centri di detenzione, nei silenzi delle istituzioni. Ed è lì che, prima o poi, saremo costretti a guardare.
(da Fanpage)
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Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile
I DISASTRI INNESCATI DALLA NATURA HANNO COSTRETTO QUASI 10 MILIONI DI PERSONE A FUGGIRE E STABILIRSI ALTROVE, UNA CIFRA CHE È RADDOPPIATA IN CINQUE ANNI
Secondo un rapporto annuale pubblicato martedì, i conflitti in Sudan e Gaza, nonché le
calamità naturali, hanno spinto il numero di sfollati interni a un nuovo record di 83,4 milioni entro la fine del 2024.
Secondo il Centro di monitoraggio degli spostamenti interni (IDMC) e il Consiglio norvegese per i rifugiati (NRC), si legge nel loro studio congiunto pubblicato a Ginevra, negli ultimi sei anni il numero di sfollati è aumentato del 50%. Questa cifra di 83,4 milioni, equivalente alla popolazione della Germania, è da confrontare ai 75,9 milioni di sfollati interni in tutto il mondo alla fine del 2023.
“Gli sfollati interni sono maggiori là dove i conflitti, povertà e crisi climatica si intersecano, colpendo più duramente i più vulnerabili”, ha affermato Alexandra Bilak, direttrice dell’Idmc, in una dichiarazione. A differenza dei rifugiati che fuggono da un Paese per stabilirsi altrove, gli sfollati interni sono persone che hanno dovuto lasciare le proprie case ma che rimangono nel loro Paese. Il numero di Paesi che hanno segnalato sfollati a causa di conflitti e disastri è triplicato in 15 anni.
Oltre tre quarti degli sfollati interni a causa dei conflitti vivono in Paesi altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Quasi il 90% di questi spostamenti forzati sono dovuti a violenza e conflitti. Colpiscono 73,5 milioni di persone, una cifra aumentata dell’80% dal 2018. I disastri hanno costretto quasi 10 milioni di persone a fuggire e stabilirsi altrove, una cifra che è raddoppiata in cinque anni.
Entro la fine del 2024, 10 Paesi contavano ciascuno più di tre milioni di sfollati interni a causa di conflitti e violenze. Con 11,6 milioni di sfollati, il Sudan è il Paese con il numero più alto di persone in fuga mai registrato, come sottolinea il rapporto. Quasi tutta la popolazione della Striscia di Gaza era stata sfollata entro la fine del 2024, anche prima dei nuovi spostamenti di massa causati dalla ripresa dei bombardamenti israeliani il 18 marzo, dopo la fine di una tregua di due mesi.
(da agenzie)
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Maggio 13th, 2025 Riccardo Fucile
RITORNARE AL SERVIZIO MILITARE OBBLIGATORIO SAREBBE COSTOSO E POI SERVE UN ESERCITO DI PROFESSIONISTI, NON DI COSCRITTI
Non la chiamate naja, mini-leva, obbligo di servire la Patria perché non sarà mai così. Quel che l’Associazione nazionale alpini sta portando avanti con il progetto di un Corpo ausiliare alpino al momento è solo un’idea e comunque ruota più attorno alle funzioni di Protezione civile che a quelle della Difesa.
E infatti lo stesso ministro Guido Crosetto, che domenica scorsa ne parlava a Biella, ha cautamente ipotizzato «un’esperienza che non sia proprio entrare direttamente nelle forze armate, quello possono farlo quando vogliono…». […]
«Anche noi sappiamo che la leva non tornerà più», conferma il presidente dell’Associazione, Sebastiano Favero. «La nostra proposta non ha direttamente a che fare con le armi, quanto con funzioni ausiliari eppur fondamentali anche per le forze armate, sia, Dio non voglia, che ci sia un’aggressione di forze esterne, sia nel caso di calamità».
Si parte da quel che gli ex alpini fanno già con ottimi risultati: volontariato di protezione civile, gruppi mobili, un ospedale da campo che può essere persino elitrasportato, del tutto autosufficiente. […] Ma a lungo andare non può reggere. «Siamo tutti – racconta ancora Favero – avanti con gli anni. Con la fine della leva, si è fermato il ricambio generazionale»
Ecco perché da anni l’Ana insiste con le forze armate per reinventare un canale di comunicazione con i giovani. E nella politica trovano un certo ascolto. Così fu quando l’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa volle la mini-naja simbolica di 15 giorni. Così è stato con Matteo Salvini che un anno fa ha depositato una proposta di legge della Lega per reintrodurre la leva
obbligatoria, per uomini e donne, di sei mesi.
Il punto è che reintrodurre forme di servizio obbligatorio per i neo-diciottenni sarebbe davvero impopolare e quindi nessun governo prende sul serio l’ipotesi. Le stesse forze armate sono contrarie, in quanto ritornare indietro sarebbe estremamente costoso per rimettere in piedi un sistema […] che ormai non esiste più. E poi sarebbe del tutto anacronistico.
Spiega un generale di lungo corso come Giorgio Battisti ormai fuori dal servizio attivo, ex alpino anch’egli: «La guerra in Ucraina insegna che per addestrare un soldato occorrono almeno 15 mesi, altrimenti si fa come la Russia che nella prima fase dell’invasione mandò al macello i suoi reparti, impreparati alla guerra moderna».
Ecco perché lo stesso ministro Crosetto, un anno fa, allorché si trovò di fronte al ddl della Lega, reagì a brutto muso: «Non sono certo sei mesi in una caserma – disse in un’intervista a questo giornale – che cambiano i giovani. Sarebbero soldi buttati via. Abbiamo bisogno di forze armate professioniste, di persone formate e preparate».
Le opposizioni sono contrarissime. Temono che ciò portel’indebolimento del Servizio civile nazionale. «Trent’anni fa – risponde Stefano Graziano, Pd – si decise di abbandonare la leva proprio per avviarsi verso un esercito di professionisti. E in futuro sarà sempre più così, con la dimensione cyber, i droni, i laser, le guerre ibride. A noi servono soldati ancor più tecnologici».
Anche dentro la maggioranza c’è il gelo. «Non credo – dice Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato di Forza Italia – che si tornerà alla leva obbligatoria per ragioni di costi e di organizzazione. Può essere una sana aspirazione volere un periodo formativo per giovani ragazzi, ma credo che sia incompatibile con uno strumento di difesa che oggi si deve basare su professionisti di lunga permanenza e adeguatamente formati. Poi, ovviamente, se ci dovessero essere emergenze belliche, tutti saremmo chiamati a fare la nostra parte. Ma mi auguro sinceramente che l’Italia, benché non lontanissima da scenari di guerra, non sia coinvolta direttamente in un conflitto militare e si limiti alle operazioni di pace
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