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I PAGAMENTI DELLO STATO ALLE CITTÀ PER I CANTIERI DEL PNRR, A UN ANNO DALLA SCADENZA DEL PIANO, SONO FERMI E I BILANCI COMUNALI SONO A RISCHIO

Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile

I SINDACI ANTICIPANO LE SOMME MA IL GOVERNO NON LI RIFONDE (I MAGGIORI RITARDI SONO DEI MINISTERI DEI TRASPORTI E DELL’ISTRUZIONE GUIDATI DA SALVINI E VALDITARA)

Non bastavano i tagli a Comuni e Regioni da oltre 3,5 miliardi in quattro anni con l’ultima manovra. I pagamenti dello Stato alle città per i cantieri del Pnrr, a un anno dalla scadenza del Piano, sono praticamente fermi. Bloccati, secondo l’Associazione nazionale dei Comuni italiani (Anci), dalla burocrazia ministeriale, soprattutto dei dicasteri “leghisti” dell’Istruzione e dei Trasporti, guidati da Giuseppe Valditara e Matteo Salvini. Con un montante di rimborsi, secondo fonti della stessa Anci, fermo a circa 8 miliardi.
Così i bilanci degli enti locali, soprattutto quelli dei piccoli centri, che continuano ad anticipare centinaia di migliaia di euro per realizzare le opere e procedere con la digitalizzazione amministrativa (sono esposti in tutto per circa 2 miliardi), rischiano di entrare in crisi, finendo per essere costretti a tagliare servizi pubblici essenziali o ad aumentare le tasse locali.
Un allarme già lanciato dall’Ufficio parlamentare di bilancio rispetto alle novità introdotte in manovra. A poco e nulla, finora, sono servite le nuove norme di semplificazione burocratica volute dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (altro leghista), e introdotte per decreto a inizio dicembre. Tra fine 2024 e inizio 2025 c’è stata effettivamente un’accelerazione, coi ministeri che avevano iniziato a smaltire circa 300 richieste di rimborsi sui progetti e i cantieri avviati, per lo più da grandi città come Roma. Sarebbe quindi stato versato oltre un miliardo e se ne attendevano altri 4 entro aprile.
Ma poi, spiega l’Anci, il procedimento si è in gran parte arenato per l’atteggiamento “ostativo dei principali ministeri”, che continuano a chiedere ai Comuni il preventivo perfezionamento delle domande già presentate, ma anche documenti e informazioni ulteriori rispetto ai modelli semplificati introdotti a dicembre. Il decreto prevedeva il rimborso del 90% delle somme entro 30 giorni dall’invio della domanda con solo una semplice attestazione caricata sulla piattaforma statale Regis e controlli a campione posteriori: le verifiche aggiuntive della Ragioneria generale dello Stato dovrebbero riguardare quasi solo le “vecchie richieste”.
Tra il 2024 e il primo trimestre 2025 sono stati erogati circa 2,5 miliardi di contributi statali per investimenti (per lo più interventi Pnrr), ma nel frattempo le spese per le città sono salite di circa 3,4 miliardi, mentre gli impegni nei bilanci comunali hanno raggiunto la cifra record di 22 miliardi. Non solo, agli 8 miliardi di stock da cui siamo partiti se ne sommano almeno altri 4 di trasferimenti statali attesi per investimenti “ordinari” e qualche residuo sul fronte della spesa corrente. L’Anci, quindi, sta chiedendo al governo di velocizzare i pagamenti e ridurre il montante dei rimborsi di almeno 2 miliardi entro l’autunno.
Ad alzare la voce, peraltro, non sono solo i sindaci civici e di centrosinistra, ma anche decine di centrodestra: ci sono, dicono, centinaia di cantieri a rischio e pure le penali previste, se non si pagano in tempo gli imprenditori che si aggiudicano le gare (sanzioni che lo Stato non rimborsa e di cui non risulta responsabile).
Per i piccoli Comuni la situazione è quasi tragica. “Siamo di fronte a un pericolo di vera e propria crisi – spiega Marco Bussone, presidente dell’Unione nazionale Comuni ed enti montani (Uncem). – Questo vale sia per gli enti più grandi, che hanno richiesto maggiori anticipazioni di cassa, che per noi centri minori, con meno possibilità di anticipo. Penso al miliardo di fondi per la digitalizzazione: i Comuni hanno speso le cifre assegnate due anni fa, ma ancora non c’è la certezza di incassare i rimborsi per via di documenti che devono essere verificati a Roma”.

(da agenzie)

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“MOLTI HANNO PARLATO PIÙ FUORI CHE DENTRO L’AULA”: LA STOCCATA DEL CAPO DEI VESCOVI MATTEO ZUPPI CONTRO LE TROPPE CHIACCHIERE DEI CARDINALI: “MA E’ UN SEGNO DI UNITA’ LA CONVERGENZA IN POCO TEMPO”

Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile

“IO TRA I POSSIBILI PAPABILI? MAI SPERATO” … PER ZUPPI NON SONO ESCLUSI NUOVI RUOLI IN VATICANO (PREVOST ANCORA VESCOVO FU OSPITATO DA ZUPPI ARCIVESCOVO A BOLOGNA IL 14 MAGGIO 2023, AL SUO RIENTRO DAL PERÙ)

I momenti di fraternità, senza cellulari, a Santa Marta. Il peso della scelta nella
cappella Sistina, «sarà che hai un grande giudizio davanti di cui si vede anche la parte sotto, l’inferno, e quindi si sta molto attenti ». E qualche uscita di troppo, semmai, prima: «Ho l’impressione che molti si siano esercitati più fuori che dentro», osserva il cardinale Matteo Zuppi usando il fioretto.
Dopo aver dribblato i giornalisti in Vaticano, il presidente della Cei parla alla tv dei vescovi dell’elezione di papa Leone XIV. «C’è stata un convergenza — osserva — Ed è un grande valore. Un’unità come questa, in un momento come questo, penso sia un bellissimo segno e anche una grande responsabilità ».
Al suo primo conclave — Bergoglio lo ha voluto cardinale nel 2019 — Zuppi descrive le congregazioni come «un allenamento con interventi molto liberi, aperti, franchi. Una grande parresia , proprio come voleva papa Francesco che ha sempre detto: le cose si dicono qui, non fuori».
E all’esterno non sono mancati i veleni così come il fango che ha macchiato il favorito Parolin. Zuppi bacchetta genericamente chi si è esercitato fuori, ma ciò che conta, insiste, «è che si è guardato ai problemi e al futuro, e l’essere nel pieno del Giubileo della speranza ci ha dato una mano».
Il cardinale, a Tv 2000, parla della grande bellezza della Chiesa: «La si ritrova nell’unità e nella diversità: cardinali che vengono da situazioni, culture e storie di chiesa diverse», quello che papa Francesco chiamava il “poliedro”.
Il «senso della chiesa» per Zuppi si è visto nella piazza che ha travolto Leone XIV e commosso gli stessi cardinali: «Era commovente vedere tante persone, frutto di quell’attenzione che Francesco ha seminato toccando i cuori di tutti, un grande patrimonio che sicuramente papa Leone amministrerà con la sua sapienza, mitezza, con il suo coraggio e con quelle che saranno le sue scelte che seguiremo perché intorno a lui si fa unità. Amiamolo e aiutiamolo» l’indicazione di Zuppi non più papabile («mai sperato») ma per il quale non sono esclusi nuovi ruoli in Vaticano.
Nella chiesa, rimarca, «siamo tutti a servizio della famiglia universale ed è una
grazia in un mondo così frammentato, segnato dalle divisioni, dall’idea della forza, del vincere sugli altri o di fare a meno degli altri, di umiliarli e schiacciarli».
Robert Francis Prevost ancora vescovo fu ospitato da Zuppi arcivescovo a Bologna il 14 maggio 2023, al suo rientro dal Perù chiamato da Bergoglio, «colpì tutti per l’attenzione e la delicatezza ». Il presidente della Cei vede in Leone XIV un disegno unitario e di continuità: «Ci chiede di non essere spettatori, ma di essere disarmati per disarmare, e di continuare a costruire ponti. Mi sembrano indicazioni in continuità, per i cristiani e per tutti». E ancora: «Ci aiuterà a mandare avanti qualcosa che è nella Chiesa: non c’è un vangelo in chiesa e poi un vangelo sociale, se incontri e ti innamori di Cristo poi ti innamori del prossimo. Papa Francesco proprio perché metteva Cristo al centro ha messo il povero al centro.

(da agenzie)

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IL SABATO BESTIALE DI GIORGIA MELONI: IL SUO VELLEITARISMO GEOPOLITICO CON LA GIORNATA DI IERI FINISCE NEL GIRONE DELL’IRRILEVANZA. LA PREMIER ITALIANA OGGI CONTA QUANTO IL DUE DI PICCHE

Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile

SUL TRENO DIRETTO IN UCRAINA PER INCONTRARE ZELENSKY CI SONO MACRON, STARMER, MERZ. AD ATTENDERLI, IL PRIMO MINISTRO POLACCO TUSK. NON C’È PIÙ, COME TRE ANNI FA, L’ITALIA DI MARIO DRAGHI. … DOVE È FINITA L’AUTOCELEBRATOSI “PONTIERA” TRA USA E UE ? E COME HA INCASSATO L’ENNESIMA GIRAVOLTA DEL CALIGOLA DELLA CASA BIANCA CHE SI È DICHIARATO D’ACCORDO CON I VOLENTEROSI CHE DA LUNEDÌ DOVRÀ INIZIARE UNA TREGUA DI UN MESE, FUNZIONALE AD AVVIARE NEGOZIATI DI PACE DIRETTI TRA UCRAINA E RUSSIA?

E’ stato un sabato bestiale, quello di ieri, per Giorgia Meloni. Una giornata che ha sbattuto definitivamente il suo insolente, al limite della stupidità, velleitarismo geopolitico nel girone dell’irrilevanza: il premier italiano oggi conta quanto un due di picche. Niente.
Sul treno diretto in Ucraina per incontrare Zelensky ci sono Macron, Starmer, Merz. Ad attenderli, il primo ministro della Polonia, Donald Tusk. Non c’è più, come tre anni fa, l’Italia di Mario Draghi. La Statista della Garbatella si concede a un collegamento video perché schifa il quartetto dei Volenterosi, colpevole ai suoi occhi di anti-trumpismo.
Non riuscendo i 27 paesi dell’Unione europea a trovare una unità di intenti e di mezzi a difesa dell’Ucraina invasa da Putin, dopo la minaccia di Trump di voler disimpegnare gli Stati Uniti dall’Alleanza Atlantica, su iniziativa di Starmer e di Macron nacque il quartetto dei Volenterosi.
“Anche nella nota in cui sintetizza il suo intervento da remoto, e dove ribadisce “l’urgenza del cessate il fuoco totale e incondizionato di 30 giorni”, la premier non cita i Volenterosi”, scrive Ilario Lombardo su “La Stampa”.
Mentre omaggia gli sforzi del presidente americano – “la Russia risponda positivamente all’appello fatto da Trump” – e rivendica con aggettivi entusiastici – “un grande appuntamento” – la Conferenza per la ricostruzione ospitata dall’Italia a luglio”.
Al solito, se la suona e se la canta per il Minculpop di giornali e televisioni sdraiati sotto i suoi tacchi. Ma il diavolo, grazie a dio, esiste e si chiama Trump. Che smorfia di dolore avrà fatto la presidente del Consiglio italiana quando, ieri, ha letto il seguente lancio dell’agenzia Radiocor:
“A seguito della riunione della Coalizione dei Volenterosi a Kiev, tutti e cinque i leader hanno avuto una proficua conversazione telefonica con il presidente degli Usa incentrata sugli sforzi di pace”. Lo fa sapere su X il ministro degli Esteri ucraino Andrii Sybiha. “L’Ucraina e tutti gli alleati – prosegue imessaggio di Sybiha – sono pronti a un cessate il fuoco completo e incondizionato su terra, aria e mare per almeno 30 giorni a partire già da lunedì.
Se la Russia accetta e si garantisce un monitoraggio efficace, un cessate il fuoco duraturo e misure di rafforzamento della fiducia possono aprire la strada ai negoziati di pace”.
Dove è finita l’autocelebratosi “pontiera” tra Usa e Ue quando, insieme con Zelensky, i quattro caballeros hanno preso il telefono e chiamato direttamente il ‘’suo caro amico” Trump? E come ha incassato l’ennesima giravolta del Caligola della Casa Bianca che si è dichiarato d’accordo con i Volenterosi che da lunedì dovrà iniziare una tregua totale di un mese, funzionale ad avviare negoziati di pace diretti tra Ucraina e Russia?
In quale infosfera saranno finiti i suoi volatili otoliti quando ha ricevuto la notizia che Trump fa scopa non più con il “fenomeno” Meloni ma con Francia, Gran Bretagna, Germania e Polonia anche sulla minaccia di “nuove e massicce” sanzioni se Putin non dovesse accettare?
I camerati di “Pa-Fazzo” Chigi, deficienti come sono di cultura del potere, mica hanno capito che, dopo i clamorosi fallimenti nei primi cento giorni di governo di “King Donald” non restava altro che sondare altre vie per imporre un cessate il fuoco in Ucraina.
Come del resto, sta succedendo con i suoi rapporti giunti alla deriva con Netanyahu: in visita d’affari a Riad, Trump avrebbe ipotizzato con Bin Salman la nascita dello Stato Palestinese. Un’altra botta alla Reginetta di Fratelli d’Italia, sempre sottomessa al governo di Israele.
Ma non è finita. Sempre Lombardo su “La Stampa” aggiunge l’ultimo fallimento del sabato bestiale del governo Ducioni: “Meloni ha rinviato di venti giorni il bilaterale, previsto per domani, con Robert Fico, primo ministro slovacco, filoputiniano e unico capo di governo presente nella Piazza Rossa di Mosca il 9 maggio, alle celebrazioni della Grande Vittoria contro i nazisti”.
Certo, spedire baci e abbracci a Zelensky e contemporaneamente ricevere a Palazzo Chigi un servetto di Mosca, beh, sarebbe stata davvero la sua fine…

(da Dagoreport)

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ELEZIONI IN ALBANIA, GLI EXIT POLL DANNO AL FINTO SOCIALISTA RAMA AMPIA MAGGIORANZA

Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile

IL FINTO SOCIALISTA AL 51%, IL FINTO DESTRO BERISHA AL 38%

Urne chiuse in Albania per le elezioni parlamentari 2025. La sfida è tra il premier in carica Edi Rama e il suo sfidante, il leader storico del conservatore Partito Democratico (Pd) Sali Berisha.
Per gli exit poll di Albanian Post, l’unico media ad aver fatto sondaggi fuori dai seggi, Rama otterrebbe la maggioranza assoluta con il 51% dei voti e 79 deputati (su 140), mentre Berisha si fermerebbe al 38% con 54 seggi.
Pochi i seggi alle altre forze politiche: i socialdemocratici di Tom Doshi, vicini a Rama, con il 2,2% hanno 3 seggi, mentre il partito Mundësia di Agron Shehaj ottiene il 3,6% dei voti a livello nazionale, ma ottiene solo 2 seggi.
A contendersi un seggio a testa, l’ex leader del centro destra Lulzim Basha, anche lui con una nuova formazione politica, e il Movimento Insieme, di un docente universitario, Arlind Qorri.
Arresti e accuse di brogli
Le procedure di voto sono state infuocate: si sono registrate tensioni e scontri nei seggi. La polizia ha arrestato quattro elettori che avevano fotografato il loro voto, uno lo aveva anche pubblicato su Instagram. Un deputato del partito socialista, Erion Brace, deputato socialista e candidato, è stato denunciato dal Pd perché stava organizzando una riunione ritenuta illegale nel quartiere Petro Nini di Tirana.
A Vora c’è stata una colluttazione all’uscita da un seggio tra un esponente del Pd e un esponente socialista ritenuto vicino alla criminalità. Berisha ha pubblicato numerosi video nel quale si notano gruppi di sostenitori di Rama che secondo lui si aggirerebbero per i seggi per comprare voti, ma secondo il ministro dell’Interno Taulent Balla si sta precostituendo un alibi per non riconoscere la sconfitta.
L’affluenza alle urne è stata in linea con lo scorso voto: secondo la Commissione elettorale centrale (Kqz), fino alle ore 18 aveva votato circa il 41 per cento dei 3,7 milioni di elettori chiamati alle urne (l’affluenza finale nel 2021 è stata del 46,33%). Nel pomeriggio, rappresentanti sia della maggioranza che dell’opposizione hanno rivolto appelli pubblici alla partecipazione.
Va considerato che nei 3,7 milioni sono contati, anche i cittadini della diaspora, ormai residenti all’estero, stimati in circa 2 milioni. Di questi, solo 245.935 hanno risposto all’appello e si sono registrati presso la Kqz, e quindi sono stati autorizzati a votare per corrispondenza.
In Albania vige un sistema proporzionale per eleggere i 140 membri del Parlamento. La piena adesione all’Ue è stata la promessa principale appoggiata da tutti i partiti durante la campagna elettorale.

(da agenzie)

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ZELENSKY SFIDA PUTIN: “LO ASPETTO DI PERSONA GIOVEDI A ISTANBUL”

Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile

L’ULTIMATUM, DI TRUMP: “SE LA RUSSIA BLEFFA, AGIREMO DI CONSEGUENZA”

Colloquio telefonico tra il presidente russo Vladimir Putin e il suo omologo turco Recep Tayyip Erdogan, dove quest’ultimo si è detto pronto a ospitare negoziati per la pace in Ucraina. «I colloqui di pace tra Russia e Ucraina proseguiranno a Istanbul da dove si erano interrotti (nel 2022, ndr) e la Turchia è pronta a ospitare i negoziati per una una soluzione permanente», ha detto Erdogan a Putin, secondo quanto riportato in una dichiarazione della presidenza turca. Nelle scorse ore, il presidente turco ha avuto una telefonata anche con Emmanuel Macron e ha detto di aver raggiunto «un punto di svolta storico» nel conflitto in Ucraina.
Putin: «Trattiamo il 15 maggio in Turchia»
Putin aveva anticipato che avrebbe chiesto a Erdogan di organizzare il 15 maggio a Istanbul i negoziati diretti tra Mosca e Kiev, non escludendo che possa portare ad un cessate il fuoco esteso. In una dichiarazione notturna, ripresa da Ria Novosti, ha accusato Kiev di avere rifiutato varie proposte di cessate il fuoco, compresa l’ultima di tre giorni, scaduto alla scorsa mezzanotte. «Nonostante tutto – ha proseguito – proponiamo alle autorità di Kiev di riprendere i negoziati che loro hanno interrotto nel 2022, riprendere trattative dirette, e senza precondizioni. Proponiamo di cominciare senza indugi il prossimo giovedì, 15 maggio, a Istanbul, dove sono state tenute in precedenza e dove erano state interrotte». Il leader russo ha inoltre ingraziato l’amministrazione americana di Donald Trump per gli sforzi di mediazione.
Trump non ha più tempo da perdere
Nel pomeriggio è poi arrivata la reazione dello stesso Donald Trump, che ormai non nasconde più tutta la sua frustrazione per la difficoltà di risolvere il conflitto, distribuendo le sue ire ora su Mosca ora su Kiev: «Il presidente russo Putin non vuole un accordo di cessate il fuoco con l’Ucraina, ma vuole incontrarsi giovedì per negoziare una fine possibile al bagno di sangue», scrive su Truth il presidente Usa, per poi intimare: «L’Ucraina dovrebbe accettare IMMEDIATAMENTE». In tal modo se non altro, argomenta Trump, Kiev «sarà in grado di determinare se un accordo sia possibile o meno, e se così non
è i leader europei e gli Usa sapranno come stanno le cose e agiranno di conseguenza!». Trump lascia intendere di credere ormai ben poco in un’intesa: «Inizio a dubitare che l’Ucraina voglia un accordo con Putin, che a sua volta è troppo impegnato a celebrare la Vittoria della Seconda guerra mondiale, che non avrebbe mai vinto senza gli Usa. Incontratevi ora!»
Zelensky pronto a incontrare Putin
Poco dopo, guarda a caso, è arrivata la reazione “definitiva del presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla proposta russa. «Attendiamo un cessate il fuoco completo e duraturo, a partire da domani, per fornire la base necessaria alla diplomazia. Non ha senso prolungare le uccisioni», scrive il leader ucraino su X. Per poi sfidare direttamente il leader del Paese che ha invaso il suo da ormai oltre tre anni: «Aspetterò Putin in Turchia giovedì. Personalmente. Spero che questa volta i russi non cerchino scuse».
Le reazioni europee
Il presidente francese Emmanuel Macron ha definito la mossa di Putin «un primo passo, ma non sufficiente». «Un cessate il fuoco incondizionato non è preceduto da negoziati», ha affermato Macron ai giornalisti scendendo da un treno nella città polacca di Przemysl, tornando dalla sua visita in Ucraina di ieri. Putin sta «cercando una via d’uscita, ma vuole comunque guadagnare tempo», ha aggiunto. Arriva anche la reazione del cancelliere tedesco Friedrich Merz, in una nota diramata dalla cancelleria. «Ieri a Kiev abbiamo chiesto ai nostri partner un cessate il fuoco di 30 giorni per creare uno spazio per i negoziati. L’Ucraina ha accettato senza se e senza ma. Se la parte russa sta ora segnalando la volontà di parlare, questo è inizialmente un buon segno. Ma non è affatto sufficiente», ha affermato. «Ci aspettiamo che Mosca accetti subito un cessate il fuoco, che renderebbe possibile un vero e proprio negoziato. Prima devono tacere le armi, poi possono iniziare i colloqui».
Putin e i rapporti con l’Ue
Ieri Macron, Starmer e Merz si sono recati a Kiev, da Zelensky, per il summit dei volonterosi dell’Unione Europea, chiedendo un ultimatum al leader russo con un cessate il fuoco immediato di 30 giorni. Il Cremlino inizialmente ha sembrato rifiutare l’offerta lasciando poi in serata uno spiraglio di valutazione. Fino alla controproposta notturna. Putin si è detto «fiducioso» che «prima o poi» ci si «muova verso il ripristino di relazioni costruttive» tra la Russia e i paesi europei inclusi quelli che, a suo dire, si rivolgono a Mosca «in modo sostanzialmente villano e tramite ultimatum». «Siamo ottimisti e fiduciosi che prima o poi, basandoci sulle lezioni della storia e sulle opinioni dei nostri popoli, inizieremo a muoverci verso un ripristino di rapporti costruttivi con gli Stati europei. Compresi quelli che oggi come prima non rinunciano a retorica antirussa e ad azioni chiaramente aggressive nei nostri confronti, cercano tuttora, lo vediamo direttamente in questi giorni, di parlarci in modo sostanzialmente villano e tramite ultimatum», ha dichiarato.

(da agenzie)

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“PERCHE’ A GAZA NON ENTRANO LATTE, CIBO E MEDICINE?”. IL DOLORE DI UNA MAMMA: “PERDERO’ LA MIA BIMBA”

Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile

“VOGLIO CHE MIA FIGLIA VIVA COME TUTTI GLI ALTRI BAMBINI”… OCCIDENTE COMPLICE DI UN GENOCIDIO ORDINATO DA UN CRIMINALE

“Il mondo non può aprire i valichi per far entrare latte, cibo e medicine a Gaza? Tutto ciò che voglio è che mia figlia viva come tutti gli altri bambini del mondo”, è il grido di dolore di Najwa Aram, 23enne palestinese la cui bimba, nata a novembre, non ha conosciuto altro che distruzione e fame. Come tutti i palestinesi, dall’inizio dell’attacco israeliano a Gaza, seguito al massacro del 7 ottobre, Najwa Aram ha dovuto lasciare la sua casa distrutta dai bombardamenti e vaga tra i campi profughi affidandosi agli aiuti umanitari.
Ad aggravare la sua condizione la cecità del marito e soprattutto i problemi fisici della primogenita, affetta da una grave malnutrizione come tanti bimbi a Gaza. La piccola infatti ha avuto un problema all’esofago che le ha reso difficile bere il latte materno e l’ha resa dipendente dal latte artificiale specializzato, la cui disponibilità a Gaza è estremamente limitata.
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“Quando è nata, era bellissima nonostante la debolezza visibile sui suoi lineamenti”, ha detto la donna alla Bbc, aggiungendo: “Ma ora è innaturalmente magra. I bambini della sua età dovrebbero pesare sei chili o più, ma lei ne pesa meno di 4″. Najwa, che ha scoperto il mese scorso di essere incinta del suo secondo figlio, ora vive nel terrore di perdere la bimba.
La famiglia non ha fonti di reddito e si affida a gli aiuti che a Gaza scarseggiano dopo il blocco israeliano. Inoltre le cure sanitarie a cui è costretta la neonata sono praticamente impossibili nei pochi ospedali ancora in funzione nella Striscia. “Soffro anche di malnutrizione. Eppure, cerco di allattarla ma lei si rifiuta e continua a piangere, respingendomi completamente” ha spiegato la 23enne.
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A marzo il latte artificiale in ospedale aveva funzionato facendo aumentare di peso la bimba fino a 4 kg ma, dopo le dimissioni, la neonata è tornata a perdere peso. “I medici stanno facendo tutto il possibile per prendersi cura di lei, ma non tollera il latte artificiale che le preparano. La situazione in ospedale è pessima. Ci sono sei pazienti in ogni stanza. Ovunque si guardi, si vede sofferenza” ha detto Najwa.
“Siamo impotenti di fronte ai loro bisogni: non possiamo fornire cibo, integratori, farmaci o vitamine adatti alle loro condizioni” ha confermato il direttore del reparto pediatrico e maternità del complesso medico Nasser, concludendo: “Invito il mondo a considerarci esseri umani: siamo stati creati come tutti gli altri.”

(da Fanpage)

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I BAMBINI DI GAZA MUOIONO DI FAME, UN SOLO PESCE COSTA 100 EURO”: IL RACCONTO DI UN OPERATORE UMANITARIO

Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile

“ORA NON RESTA PIU’ NULLA DA MANGIARE, I BAMBINI STANNO INIZIANDO A MORIRE DI FAME, DA 65 GIORNO NON ENTRANO AIUTI UMANITARI”… MA GUAI A PRENDERE POSIZIONE CONTRO IL CRIMINALE NETANYAHU E SUOI SERVI INTERNAZIONALI

“Attualmente, la situazione umanitaria è drammatica: da 65 giorni non entra alcun aiuto nella Striscia di Gaza. La fame e la sete colpiscono in modo sempre più grave. I panifici hanno chiuso ormai da tempo e le scorte di farina distribuite dal World Food Programme e da altre organizzazioni si sono completamente esaurite. Anche le piccole cucine di quartiere e quelle gestite da World Central Kitchen hanno smesso di funzionare”. È il racconto, fornito a Fanpage.it, di un operatore umanitario di un’organizzazione internazionale presente nella Striscia di Gaza, che ai nostri microfoni ha descritto una situazione umanitaria ogni giorno più disastrosa. Da oltre due mesi, infatti, lo stato di Israele non solo ha ripreso i raid, ma sta anche impedendo l’accesso di beni di prima necessità dai valichi di frontiera.
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Niente cibo, niente farmaci e forniture ospedaliere, niente acqua potabile. Così la popolazione, stremata da più di un anno e mezzo di bombardamenti, vede di giorno in giorno allungarsi lo spetto di una carestia: “Ora non resta più nulla da mangiare. I bambini stanno iniziando a morire di fame: non esistono più nemmeno gli ultimi biscotti ad alto valore nutrizionale che venivano distribuiti in passato e che davano un minimo di sollievo”.
Una rara confezione di biscotti ad alto valore nutrizionale
Una rara confezione di biscotti ad alto valore nutrizionale
Scorte d’acqua ai minimi termini, carburante riservato agli ospedali”
Alla fame si deve aggiungere la sete. Israele non lascia entrare neppure le scorte d’acqua, e la popolazione è sempre più costretta a berne di infetta, aumentando il rischio di epidemie: “L’acqua potabile viene razionata e distribuita tramite autobotti in alcuni punti della Striscia. Le persone si avvicinano con pentole e ciotole per raccoglierla, ma la quantità è minima, appena sufficiente per bere. Per lavarsi, si usa acqua di mare o salmastra. Questo perché il carburante è ormai esaurito, e gli impianti di desalinizzazione non funzionano più. Il poco carburante rimasto viene destinato esclusivamente agli ospedali, per alimentare i generatori: non esiste più una rete elettrica funzionante”, spiega l’operatore umanitario.
Al mercato nero un pesce costa 100 euro
In questo quadro si fa largo anche la speculazione. Chi dispone di un po’ di
cibo, magari coltivato oppure accumulato nei mesi scorsi, non di rado lo vende a prezzi esorbitanti al mercato nero: “Nei mercatini improvvisati si vendono talvolta ortaggi coltivati in piccoli orti domestici; un singolo pesce, appena sufficiente per una persona, può arrivare a costare anche 100 o 120 euro. La pesca è praticamente impossibile: il limite imposto da Israele è di zero miglia dalla costa, quindi solo pochi pescatori riescono a lanciare lenze dalla spiaggia o ad avventurarsi con piccole canoe, rischiando la vita per recuperare qualche pesce da vendere. Alimenti come patate e melanzane sono diventati beni di lusso”.
Aumentando di frequenza e intensità i bombardamenti notturni
La popolazione è ormai esausta. I bombardamenti, soprattutto notturni, sono aumentati in intensità, provenendo da elicotteri, aerei, carri armati e navi. “Con l’appoggio tacito o esplicito di altri attori internazionali, molti temono che la situazione peggiorerà ulteriormente. La Striscia è ormai per il 70% sotto ordine di evacuazione – spiega la nostra fonte -. Tuttavia, spostarsi è quasi impossibile: il 30% restante non è abitabile, in gran parte coperto da macerie. Le persone si rifugiano ovunque: in tende per strada, nelle rotonde, negli spartitraffico. Molti scelgono di restare nelle zone pericolose, dicendo: ‘Se dobbiamo morire, moriamo qui’. La situazione è di completo collasso. All’inizio, quando le frontiere furono chiuse, ci fu una certa attenzione mediatica e diplomatica. Ora, dopo 66 giorni, il silenzio è quasi totale. Si teme che la crisi venga dimenticata”.
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Il piano di Israele per escludere ONU e ONG da Gaza
In questo contesto, di per se gravissimo, Israele sta portando avanti un progetto che desta forte preoccupazione: escludere completamente le Nazioni Unite e le ONG dalla gestione degli aiuti umanitari, affidando la distribuzione del cibo a società private. “Questo ente – spiega l’operatore umanitario – avrebbe il compito di schedare la popolazione, controllare la distribuzione e decidere chi può ricevere assistenza. Si tratta di un’iniziativa in palese violazione del diritto umanitario internazionale e dei principi di neutralità e trasparenza che regolano gli interventi umanitari. È un precedente pericolosissimo: delegittima le
organizzazioni internazionali come l’ONU, la Croce Rossa e Medici Senza Frontiere, rischiando di stravolgere il sistema globale di risposta alle crisi”.

(da Fanpage)

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“BASTA CON L’IPOCRISIA, MANCA LA LEGGE SULLA GESTIONE DEL FINE VITA. CI PENSI IL GOVERNO”: L’ATTACCO DEL PRESIDENTE DEL VENETO ZAIA DOPO L’IMPUGNAZIONE DELLA LEGGE TOSCANA DA PARTE DELL’ESECUTIVO PERCHÉ “LEDE LE COMPETENZE DELLO STATO”

Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile

“E’ UN TEMA ETICO, NON DI DESTRA O DI SINISTRA, SI CONVOCHINO LE REGIONI PER AFFRONTARLO. ALTRIMENTI FINIRÀ COME PER ELUANA ENGLARO, CON UNA SENTENZA DI TRIBUNALE. UN PAESE CIVILE NON DOVREBBE GESTIRLA COSÌ”

«Lo dico come premessa: bisogna uscire da questa ipocrisia, tutta italiana, di far finta che il tema del suicidio assistito — o come preferisco chiamarlo, la gestione del fine vita — non esista. Esiste eccome. Il governo ascolti le Regioni che di questo argomento, loro malgrado, si devono occupare quotidianamente per poter dare risposte adeguate».
Queste le parole del presidente del Veneto Luca Zaia, intervistato dal Corriere della Sera. Sull’impugnazione della legge toscana da parte del governo perché «lede le competenze dello Stato», Zaia afferma: «Ne prendiamo atto. E che sia competenza dello Stato è ciò che ha detto anche la Corte sollecitando il Parlamento.
Con coerenza il governo impugna una legge per rivendicare la propria competenza, con altrettanta coerenza dovrebbe fare questa legge di propria competenza. Perché non è un problema politico. Si convochino le Regioni per affrontare il tema. Altrimenti finirà per accadere di nuovo ciò che è successo a Eluana Englaro: un padre che ottiene la sospensione dell’alimentazione artificiale con una sentenza di Tribunale. Un Paese civile non dovrebbe gestirla così».
«Non è questione di destra o sinistra»
Secondo il governatore del Veneto «è un tema etico, non di destra o sinistra. C’è un mantra: che chi è contro il fine vita è di destra. Beh, io non sono di sinistra, e sappiamo che a sinistra ci sono sacche importanti di persone che non sono d’accordo con la gestione del fine vita. Proprio che ci siano favorevoli e contrari in entrambi gli schieramenti è la prova che è un tema etico e non politico. È il momento di trovarci attorno a un tavolo, ascoltando le istanze di tutti. Se non arriveremo alla legge in maniera programmata e per scelta, la subiremo per necessità».

(da Open)

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PIÙ CHE LA DEMOCRAZIA, TRUMP HA A CUORE IL BUSINESS: NON È UN CASO CHE, COME PRIMA MISSIONE INTERNAZIONALE DA PRESIDENTE, “THE DONALD” ABBIA SCELTO DI VOLARE IN ARABIA SAUDITA DOVE PARLERÀ AL SUMMIT SAUDI-US SUGLI INVESTIMENTI E TROVERÀ IL GOTHA DELL’IMPRENDITORIA STATUNITENSE, DA ELON MUSK A SAM ALTMAN

Maggio 11th, 2025 Riccardo Fucile

MOHAMMED BIN SALMAN HA PROMESSO DI INVESTIRE MILLE MILIARDI DI DOLLARI NELL’ECONOMIA STATUNITENSE ED È IL MOTIVO PER CUI TRUMP È PIÙ INTERESSATO AD ANDARE IN QATAR E NEGLI EMIRATI ARABI CHE IN ISRAELE CHE VERRÀ SNOBBATO DURANTE IL VIAGGIO

Come nel maggio del 2017, Donald Trump sceglie l’Arabia Saudita come destinazione della sua prima missione internazionale da presidente, considerando la visita in Vaticano per le esequie di Papa Francesco non certo un viaggio di lavoro. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, parla di «storico ritorno» in una regione dove «l’estremismo è stato eliminato a favoredelle relazioni culturali e commerciali».
In quest’ultima espressione c’è gran parte dell’essenza del viaggio del presidente. L’Air Force partirà domani sera. Il presidente sbarcherà a Riad martedì mattina e nel pomeriggio parlerà al summit Saudi-US sugli investimenti, poi ci sarà la cena di Stato. Lì troverà il gotha dell’imprenditoria statunitense. In viaggio verso l’Arabia infatti ci sono, per quella che è chiamata la “Maga in the Desert”, capi di molte aziende, da Elon Musk a Mark Zuckerberg a Larry Fink. Ci sarà il ceo di Boeing, Kelly Ortberg, così come Sam Altman di OpenAI.
Con loro lo zar per intelligenza artificiale e criptovalute della Casa Bianca, David Sacks. Un parterre che ben spiega quanto siano gli investimenti il cuore di questa missione.
Le tappe successive in Qatar e Emirati Arabi Uniti, dal 14 sino al 16, hanno altri incontri con imprenditori. In Qatar, Trump terrà anche un discorso ai militari Usa alla base dell’Air Force di Al-Udeid, nella periferia di Doha. Non è esclusa una visita alla Casa della famiglia Abramitica ad Abu Dhabi.
Trump ritiene le economie del Golfo fondamentali e vuole attrarre investimenti. Missione a cui sta lavorando il genero Jared Kushner, marito di Ivanka, che era stato nella prima Amministrazione consigliere speciale per il Medio Oriente. Il suo fondo di investimento ricevette dai sauditi due miliardi di dollari nel 2021. Nulla in confronto, comunque, ai 600 miliardi che il 23 gennaio Mohammed Bin Salman, principe ereditario e leader de facto saudita, ha promesso di investire nell’economia Usa. Gli Emirati promettono mille miliardi di dollari.
Le tensioni regionali saranno presenza costante e ingombrante: la lista è lunga, dal Mar Rosso, al cessate il fuoco e ostaggi a Gaza, sino al nucleare iraniano e al nuovo governo siriano. Trump sbarcherà nel Golfo forte anche di una collaborazione con i sauditi che, secondo alcune fonti, è stata decisiva per interrompere ieri l’escalation fra Pakistan e India sul Kashmir. Mediazione che Trump ha rivendicato, ma che i pachistani hanno smentito sostenendo che l’intesa è frutto di colloqui fra Islamabad e New Delhi.
A differenza del 2017, questa volta Trump non andrà in Israele, una “dimenticanza” che alcuni analisti interpretano come l’esistenza di tensioni fra due Paesi. Alcune vicende sembrano avvalorare questa lettura. La prima è che Pete Hegseth, capo del Pentagono, ha cancellato la missione – lunedì – nello Stato ebraico per seguire invece Trump sull’Air Force One nel Golfo; in secondo luogo Trump ha manifestato la sua frustrazione a Netanyahu per la lentezza degli aiuti ai civili a Gaza; c’è il capitolo Houthi: lo stop ai bombardamenti sui miliziani yemeniti annunciato da Trump martedì scorso non era stato anticipato agli israeliani; infine il dossier iraniano su cui le differenze fra Washington e Gerusalemme non sono solo di metodo, ma anche nel merito. Oggi a Muscat, Oman, c’è la quarta tornata di colloqui e Washington, pur volendo il completo abbandono del nucleare da parte del regime, non ha chiuso all’ipotesi di un nucleare a scopi civili. Cosa che in Israele non è contemplata.
A questo si aggiunge un nuovo capitolo. Secondo un alto diplomatico arabo citato dal Jerusalem Post, Trump potrebbe da Riad nel corso del Consiglio di Cooperazione dei Paesi del Golfo (sarà mercoledì 15 mattina) annunciare il riconoscimento Usa di uno Stato palestinese privo di Hamas. Un’uscita che la stragrande maggioranza degli esperti ritiene «spericolata» e improbabile.
Trump però martedì ha parlato di un «grande annuncio» in arrivo che potrebbe stravolgere ogni cosa. Certamente un’America “filo-Palestina” rientra nell’etichetta stravolgimento. L’unica reazione ufficiale è stata quella di Mike Huckabee, ambasciatore Usa a Gerusalemme che su X ha liquidato con un ironico «mio nipote Terry di 4 anni è più affidabile» (di quelle fonti, ndr)

(da agenzie)

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