Maggio 6th, 2025 Riccardo Fucile
E XI INVITA VON DER LEYEN A PECHINO
La presidente della Commissione europea potrebbe incontrare a luglio il leader cinese
per «un nuovo ciclo di incontri Cina-Ue». A Strasburgo si discute su come rispondere alle tariffe imposte dagli Usa
Di fronte alla guerra dei dazi scatenata da Donald Trump, persino la Cina – a lungo osteggiata dall’Occidente – appare un partner commerciale più affidabile degli Stati Uniti. Nel giorno in cui si celebrano i 50 anni dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche bilaterali, il governo di Pechino e la Commissione europea hanno deciso di «abolire simultaneamente e completamente le restrizioni sugli scambi commerciali». Non solo: Xi Jinping ha invitato Ursula von der Leyen e António Costa – rispettivamente presidenti della Commissione europea e del Consiglio europeo – a partecipare a un summit a Pechino a fine luglio per «un nuovo ciclo di incontri», che possano condurre a «dialoghi ad alto livello in settori quali economia, commercio e sviluppo verde».
Cina e Ue verso nuovi accordi commerciali
Negli ultimi anni, ha fatto notare il portavoce del ministero degli Esteri cinese nel consueto briefing quotidiano, gli scambi tra Cina e Unione europea «hanno subìto alcune battute d’arresto per motivi ben noti». Uno degli esempi più recenti riguarda la querelle sulle auto elettriche, un mercato su cui Pechino ha raggiunto una posizione di forza a livello mondiale, al punto da spingere Bruxelles ad applicare una serie di dazi compensativi sui veicoli a batteria importati dalla Cina e venduti sul mercato europeo. A rilanciare il dialogo tra Xi Jinping e i vertici Ue è stato il terremoto commerciale scatenato da Donald Trump, che ha convinto Cina e Unione europea a «rafforzare dialogo e cooperazione» per favorire «comunicazione e comprensione reciproche, imprimendo nuovo slancio allo sviluppo sostenibile, sano e stabile delle relazioni».
Lo sgambetto di Bruxelles a Trump
L’annuncio della Commissione europea rappresenta di fatto uno sgambetto a Trump, che aveva minacciato di imporre nuove sanzioni – oltre a quelle già in vigore – contro quei Paesi che avrebbero stretto nuovi accordi commerciali con Pechino, principale avversario di Washington. Ma se l’obiettivo della Casa Bianca era isolare la Cina, gli sforzi finora si sono rivelati vani. Anzi, la politica commerciale aggressiva e prepotente adottata da Trump ha finito per spingere il Vecchio Continente nelle braccia di Pechino. Allo stesso tempo, Bruxelles ha accelerato la ricerca di mercati alternativi a quello americano, così da compensare un’eventuale contrazione dell’export verso gli Usa.
I dazi già in vigore tra Usa e Ue
D’altronde, la disputa commerciale tra Usa e Ue è tutt’altro che chiusa. Al momento, Washington impone dazi del 25% su alluminio, acciaio e componenti per automobili e un’aliquota base del 10% su tutte le importazioni dal Vecchio Continente. L’aliquota del 39% annunciata in occasione del «Liberation Day»
stata sospesa per 90 giorni, così da permettere alle due parti di negoziare un nuovo accordo commerciale, mentre nelle prossime settimane potrebbero scattare nuove tariffe anche sui prodotti farmaceutici. Mentre i negoziati procedono, seppur a rilento, al Parlamento europeo si è svolto un dibattito su come Bruxelles dovrebbe reagire ai dazi americani. «L’unità più che mai fondamentale. L’Ue e gli Stati Uniti rappresentano il 30% del commercio globale, ma non dobbiamo dimenticare il restante 70%. Pertanto, prosegue il lavoro di diversificazione», ha spiegato il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic.
Il dibattito Ue su come reagire ai dazi di Trump
Per Manfred Weber, presidente dei Popolari, «è importante non sprecare i novanta giorni di pausa per trovare una soluzione con gli Usa sui dazi». I socialisti europei definiscono Trump «una minaccia per il mondo, non solo sul fronte dei dazi» e spingono per la linea della fermezza nel negoziato con Washington. «Noi dobbiamo difendere il modello europeo. l’Ue deve rispondere con forza a difesa dei suoi lavoratori. Serve fermezza, senza cedere a nessun ricatto. Dobbiamo prevedere sanzioni e oneri per le big tech che non rispettano le norme, penso anche all’esclusione delle imprese Usa dagli appalti europei», ha incalzato Iratxe Garcia Perez, capogruppo di S&D, parlando in plenaria. Più tiepidi i gruppi di destra, con il francese Jordan Bardella, leader dei Patrioti, che invita comunque a reagire: «L’Europa ha il diritto di ribattere con dazi graduati per negoziare e tornare alla normalità, sarebbe incomprensibile restare con le mani in mano».
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Maggio 6th, 2025 Riccardo Fucile
HA OTTENUTO 325 VOTI FAVOREVOLI, 9 IN PIU’ DEL NECESSARIO
Friedrich Merz è il nuovo Cancelliere tedesco. Dopo una prima battuta d’arresto ai limiti dell’imbarazzante, il leader conservatore della Cdu ha ottenuto la fiducia del Bundestag con 325 voti favorevoli, nove in più rispetto ai 316 necessari.
Una crisi politica lampo, dunque, quella che da stamattina sembrava aver paralizzato Berlino, dopo l’inaspettata battuta d’arresto e la fiducia mancata per qualche voto.
Ora l’inizio dell’era Merz è ufficiale, sulle spalle di una coalizione fragile – almeno sulla carta – con il blocco conservatore e con i socialdemocratici della Spd. Calcolatrice in mano, la maggioranza avrà in mano il 52% dei seggi: uno dei vantaggi più risicati nel Bundestag dal 1945, anno della fine della Seconda Guerra Mondiale.
Come si spiega la singolare defaillance della maggioranza CDU-SPD in Germania? Stamani al primo voto di fiducia per eleggere il cancelliere, Friedrich Merz, sono mancati 18 sì.
A fare lo sgambetto è stato lo stesso partito del primo ministro, la CDU: una piccola minoranza dei cristiano-democratici ha voluto mandare un “messaggio” al decisionista Merz, che aveva stilato una lista di ministri senza concordarla con nessuno.
Lo scherzo da prete puntava a ridimensionare l’ambizioso e assertivo leader, come a dire: attento, che senza di noi non vai da nessuna parte.
Avrà ricevuto il messaggio? Di certo, dopo la seconda votazione (dove comunque sono mancati tre voti alla maggioranza), la poltrona da cancelliere è finalmente sotto le sue natiche.
Domani, Merz incontrerà il presidente francese, Emmanuel Macron, a Parigi, con l’obiettivo di rilanciare di rimettere sui binari la locomotiva franco-tedesca, che tradizionalmente tiene le fila dell’Unione europea
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2025 Riccardo Fucile
IL CASO DELLA “LARAN”, SOCIETÀ DEL SETTORE DIFESA FONDATA GLI EX DEPUTATI DEL M5S, MASSIMO ARTINI E TATIANA BASILIO, CHE NEL 2014 ALLA CAMERA TUONAVA: “LE ARMI CHE VOI APPROVATE SONO ORRIBILI MACCHINE PER UCCIDERE, MUTILARE” … L’EX SOTTOSEGRETARIO ALLA DIFESA , ANGELO TOFALO, HA CREATO UNA SOCIETÀ DI “CONSULENZA STRATEGICA” SU INTELLIGENCE E SICUREZZA. MENTRE MANLIO DI STEFANO HA OTTENUTO UN INCARICO ALL’AMERICANA “AXIOM SPACE”
Non è solo una questione di politica e valori, ma anche — a volte soprattutto — affari.
L’inchiesta “Furbi di guerra” andata in onda ieri su La7 a 100 minuti , la trasmissione di Corrado Formigli e Alberto Nerazzini, racconta la corsa al riarmo con il sottobosco di lobbisti, politici ed ex pronti a fare bei guadagni.
Un sistema che sembra funzionare bene: nel 2016 l’Italia spendeva 19,4 miliardi in armamenti, nel 2025 siamo passati a 31,3: l’unica spesa pubblica cresciuta tanto in una stagione di tagli e sacrifici. Di mezzo ci sono anche (ex esponenti di un partito che era nato, e rimane, pacifista, cioè il M5S.
A pochi metri da Montecitorio, ad esempio, sono sorti gli uffici della Laran: società del settore difesa che fa parte del consorzio Aiad, i produttori dei sistemi d’arma; consorzio guidato da Guido Crosetto prima della nomina a ministro della Difesa del governo Meloni. Laran l’hanno fondata gli ex deputati 5 Stelle Massimo Artini e Tatiana Basilio.
Tra i soci ci sono altri parlamentari del passato come Luca Carabetta, Gianluca Rizzo, Roberto Rossini, Luca Frusone, Filippo Gallinella (erano tutti nelle commissioni Difesa) e il già sindaco di Parma Federico Pizzarotti.
Una classica storia di cosiddette porte girevoli: eletti che anni fa col M5S audivano la Laran in Difesa e che una volta non rieletti diventano lobbisti del settore. Altro nome coinvolto l’ex europarlamentare Fabio Massimo Castaldo, che abbandonò il M5S per Azione. «Le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, fare orfani e vedove», diceva indignandosi Basilio in suo intervento alla Camera nel 2014, da poco eletta.
Nel mondo ex Movimento ci sono anche altri impegnati professionalmente nel settore: già sottosegretario alla Difesa , Angelo Tofalo ha fondato una società di “consulenza strategica” su intelligence e sicurezza.
Manlio Di Stefano, uscito dal M5S per andare con Luigi Di Maio e che negli anni antisistema di Beppe Grillo aveva posizioni filo-russe, lavora per Axiom come consulente già dal 2022. Da sottosegretario agli Esteri con delega a spazio e aerospazio si è ritrovato quindi a lavorare subito dopo per una azienda specializzata in infrastrutture spaziali commerciali.
Quanto ad Aiad, affiliata a Confindustria, oggi — racconta La 7 con il servizio di Danilo Lupo — è guidata da Giuseppe Cossiga, ex parlamentare di FdI, ex sottosegretario alla Difesa, figlio di Francesco
L’approfondimento di 100 minuti tocca anche Massimo D’Alema, che tentò di fare da mediatore per l’acquisto di armamenti con dei paramilitari colombiani di estrema destra. La posizione dell’ex premier ed esponente Pci-Pds-Ds-Pd-Art.1 è stata archiviata. Resta la domanda di chi ha curato l’inchiesta tv: perché mettere a disposizione la propria influenza per una compravendita del genere? Ma D’Alema sceglie di non rispondere.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2025 Riccardo Fucile
“HO PRESO PARTE ATTIVA IN UN PROGETTO POLITICO DI CUI NON È RIMASTO QUASI NULLA E CHE NON HA MIGLIORATO IL NOSTRO PAESE” … L’ADDIO A FORZA ITALIA: “CERTE FIGURE UMILIAVANO GLI ESPONENTI PIÙ SERI DEL PARTITO”… IL GIUDIZIO SPIETATO SU RENZI: “UNA DELUSIONE, SUL PIANO SIA POLITICO CHE UMANO”
Appare dimagrito, specie se messo a confronto con i due elefanti che ha accanto nella foto scattata in Thailandia a gennaio. Sulle prime, rifiuta l’intervista: «Ho scelto da tempo di farmi dimenticare. Compito non facile». Infatti.
Lo ritrovo a Novi Ligure, dov’è direttore artistico del teatro Marenco. «Ho accettato l’incarico, gratuitamente, è ovvio, per dare un contributo alla comunità di cui faccio parte», e pronuncia l’avverbio come se in Italia fosse davvero una condizione naturale. «Pur privo di competenze specifiche, cerco di adempiere all’impegno con serietà. È un teatro bellissimo, ottocentesco, restaurato grazie anche all’intervento del ministero dei Beni culturali». Nessun accenno al fatto di essere stato a capo di quel dicastero nel governo Berlusconi IV.
Con la politica ha chiuso.
«È un mondo che non mi appartiene più».
Abita a Novi Ligure per amore di Manuela Repetti?
«Sì. Ormai viviamo insieme da circa 15 anni. Siamo felici. Ci eravamo conosciuti in Parlamento. Entrambi ci siamo reinventati la vita».
Che cosa l’ha conquistata di questa donna?
«La sua estrema sensibilità e intelligenza. La sua sincera compassione per tutti gli esseri viventi. Passando gli anni, è naturale che il pensiero della morte mi attanagli. Ma quello che più mi angoscia è l’idea di non rivedere più, mai più, le persone care che ho amato, a partire da mio figlio Francesco, da Manuela, dai miei genitori».
Suo padre Renzo era un operaio, sua madre Maria Bertoli una casalinga.
«Il babbo lavorava in una cava di pietra in Svizzera, poi ha fatto il pavimentista. Sgobbava tutto il giorno per non far mancare nulla alla famiglia. Un uomo forte e coraggioso. Ho sempre sofferto per il fatto di non essere come lui».
Per quale motivo nel 2018 si è ritirato a vita privata?
«Avvertivo di aver preso parte attiva in un progetto politico di cui non è rimasto quasi nulla e che non ha migliorato il nostro Paese».
Conobbe Silvio Berlusconi attraverso lo scultore Pietro Cascella, che gli stava preparando il mausoleo nel parco di Arcore.
«Ho vissuto con il Cavaliere anni di lavoro appassionato. Mi restano molti ricordi. Belli e meno belli. Era un uomo estremamente complesso, indecifrabile anche per me che avevo un rapporto molto stretto e profondo con lui».
Si racconta che Berlusconi le abbia detto al vostro primo incontro: «Come può una persona intelligente quale è lei essere comunista?».
«No, disse “una persona perbene”».
Quante ore passava ad Arcore come suo collaboratore?
«Tante, senza limiti».
Lo seguiva nei viaggi?
«Quasi mai. Avevo il terrore dell’aereo. Una paura che mi ha impedito incontri importanti nei miei ruoli politici e di governo. Poi, con pazienza e volontà, insieme a Manuela ho superato l’handicap».
Aveva l’ufficio a villa San Martino. Mangiava lì? Le capitava anche di dormirci?
«Sì, ci pranzavo quasi sempre, nei giorni di lavoro. Ma non vi ho mai dormito. La sera tornavo a casa mia».
Mi dicono che l’hanno avvistata di recente ad Arcore.
«O io ho un sosia a mia insaputa oppure lei deve cambiare le sue fonti».
Nel panorama politico vede qualcuno che potenzialmente potrebbe raccogliere l’eredità di Berlusconi?
«No. Parliamo di una personalità irripetibile».
Perché uscì da Forza Italia?
«Certe figure avevano espropriato il partito delle sue regole e della sua autonomia. Soprattutto ne umiliavano gli esponenti più seri».
Non era tenuto a schierarsi con Matteo Renzi, però.
«Intanto vorrei ricordare che fu Berlusconi per primo a siglare il Patto del Nazareno. nHo cercato di essere coerente, anche dopo l’uscita dal mio partito, per esempio sulla riforma costituzionale, inizialmente votata anche da Forza Italia. Ho ritenuto alcune idee di Renzi coraggiose, innovatrici, di stampo liberale e dunque le ho sostenute. Poi anche quel progetto, in cui molti italiani avevano riposto fiducia, è fallito».
Cosa pensa di Renzi oggi?
«Una delusione, sul piano sia politico che umano».
Non avverte mai nostalgia per la vita in Parlamento?
«No, per nulla. Ci ho passato quasi 20 anni. Più che sufficienti».
E per il ministero della Cultura?
«Ancora meno. Non è un’esperienza che ricordo con piacere. Ogni cosa che accadeva veniva strumentalizzata. L’esempio più eclatante fu il linciaggio mediatico e la richiesta di sfiducia per il crollo di un piccolo muro a Pompei, causato dalle forti piogge».
Vittorio Sgarbi la capirebbe. Ha sue notizie?
«Manuela e io gli abbiamo mandato un messaggio attraverso la sorella Elisabetta. Forse il vero uomo Vittorio, quello che cerca il mistero della vita attraverso l’arte, è lo Sgarbi che oggi sta soffrendo. Spero che possa sanare le sue ferite e rinascere».
Qual è il peggior difetto per un uomo?
«L’avarizia, anche nei sentimenti».
Di lei Vittorio Feltri ha scritto che è un cattolico di fede profonda. Si è laureato in filosofia con una tesi su frate Leonardo Valazzana da Fivizzano, predicatore agostiniano passato alla storia come colui che diede lettura della bolla che scomunicava Girolamo Savonarola.
«La mia fede non è affatto profonda. Anzi, a ogni giorno che passa è sempre più fragile. L’episodio della mia tesi, che lei cita, insegna quanto la storia della Chiesa sia complessa, anche oggi».
Come le piacerebbe essere ricordato, un giorno?
«Come un uomo normale, con le sue paure. Bisognoso di ricevere e di dare amore».
(da Il Corriere della Sera)
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Maggio 6th, 2025 Riccardo Fucile
“LE SUE POSIZIONI SONO NOTE: ANTI-UCRAINA, ANTI-NATO E ANTI-UE”
Il risultato delle elezioni presidenziali in Romania, che si sono ripetute domenica dopo
il clamoroso annullamento da parte della Corte Costituzionale della tornata elettorale d’autunno, a causa delle interferenze russe, preoccupa non poco le istituzioni europee.
Ha vinto infatti il primo turno, con oltre il 40% delle preferenze (3.862761 voti), George Simion, 38enne leader del secondo partito rumeno, l’Alleanza per l’Unione dei Romeni (AUR) di estrema destra, che incarna una nuova destra populista, ispirata esplicitamente al modello americano MAGA di Trump, apertamente ostile all’Unione Europea, considerata una zavorra per la sovranità nazionale.
L’aspirante presidente, anti-Nato e anti-Ue, ha dichiarato fedeltà al controverso ex candidato presidenziale Calin Georgescu, escluso dal primo turno e sotto indagine per sospetti legami con Mosca.
Ora Simion dovrà vedersela al secondo turno, al ballottaggio del 18 maggio, con il sindaco di Bucarest, l’europeista Nicusor Dan (20,99% e 1.979.767 voti), favorevole invece all’adesione alla Nato e agli aiuti all’Ucraina.
Simion, in caso di vittoria, ha promesso di nominare primo ministro proprio Georgescu. Al terzo posto nella competizione elettorale è arrivato il candidato
della coalizione di governo, Crin Antonescu (20%). Secondo i sondaggi rumeni, Simion è favorito nella battaglia elettorale contro Dan al ballottaggio.
Il leader dell’ultradestra è accusato da Kiev di “attività anti-ucraine” e vorrebbe ridurre gli aiuti militari al Paese invaso dalla Russia. Una sua eventuale vittoria rappresenterebbe un cambio di passo per la Romania, che passerebbe da una linea filo-occidentale a posizioni euroscettiche e illiberali. Ne abbiamo parlato con l’ambasciatore Stefano Stefanini, consigliere scientifico dell’Ispi, già rappresentante d’Italia presso la Nato
Simion ha avuto una vittoria netta con oltre il 40% delle preferenze, staccando di quasi 20 punti il filo-europeista sindaco di Bucarest Nicușor Dan (il 20,7%). Secondo lei è possibile ribaltare questo risultato al ballottaggio?
Sì, aritmeticamente è un risultato sperabile. Basti pensare che la somma dei voti presi da Dan e Antonescu, secondo e terzo posto, supera il 40%. Questa dinamica si è ripetuta più volte, per esempio in occasione delle elezioni francesi: Marine Le Pen è stata battuta al secondo turno da Macron. Il punto è che il panorama politico interno romeno è molto fazioso, caratterizzato da un certo settarismo negli schieramenti, per cui sarà difficile che gli altri candidati facciano causa comune, e soprattutto sarà difficile che lo facciano i loro bacini elettorali, per fermare Simion.
Nicusor Dan, nel commentare i risultati del primo turno, ha sottolineato che il ballottaggio non sarà solo una competizione tra due uomini, ma sarà uno scontro tra due idee opposte di Romania: una moderna, aperta, occidentale; l’altra chiusa, reazionaria, nostalgica. È così? Siamo davanti a un bivio?
Dan, essendo indietro di 20 punti, deve necessariamente metterla in questi termini, parlando di due visioni del futuro della Romania completamente diverse, piuttosto che raccontare il ballottaggio come una sfida tra due personalità. Perché su quest’ultimo campo parte svantaggiato. Se Dan riesce a ribaltare l’approccio, mostrando che la competizione aperta è fra due idee della Romania, ha più probabilità di farcela, e di far confluire anche i voti degli altri
candidati dalla sua parte.
Il successo di Simion, leader del partito Alleanza per l’Unione dei Romeni, secondo lei dimostra ancora una volta l’ascesa della nuova destra in Europa orientale?
Mi sembra un segnale di ascesa in tutta Europa, non solo in quella orientale, di quello che chiamerei ‘un arcipelago’ putinista, nazionalista, di estrema destra. Guardiamo alle elezioni inglesi, che hanno visto il successo del partito di Farage, Reform Uk, sui due partiti tradizionali, laburisti e conservatori. Quello che colpisce è che questo stia avvenendo quasi esclusivamente in Europa. In altre due elezioni di due Paesi occidentali, Canada e Australia, è successo l’opposto: i candidati conservatori, non di estrema destra, hanno pagato la vicinanza a Trump, e sono stati sconfitti. È il paradosso dell’effetto Trump sulle elezioni: in Europa il presidente americano dà una mano a forze politiche che gli sono vicine. Ricordo che Simion va in giro con i cappellini MAGA. Mentre in altre parti dell’Occidente, avviene l’opposto: Trump è stato ‘il bacio della morte’ per i conservatori in Canada, ma è stato anche uno dei motivi per cui gli australiani hanno eletto un ministro laburista, Anthony Albanese, che comunque non ha preso particolari posizioni anti-Trump e che non ha certo un contenzioso con gli Stati Uniti paragonabile a quello del Canada.
Come si spiega questo paradosso?
Penso sia da imputare a una maggiore vulnerabilità dell’Europa a varie pulsioni nazional populiste. E poi il fattore immigrazione sicuramente influisce. Questo tema sicuramente non è sconosciuto ai canadesi e agli australiani, ma non ha quel carattere pressante che ha in Unione europea. Basta pronunciare la parola ‘immigrazione’, e immediatamente si ha una percezione drammatica del problema.
Lei ha detto che questo voto in Romania preoccupa per la tenuta dell’Europa. Simion è anti-Ue, anti-Nato e anti-Kiev. Quale di questi aspetti le fa più paura?
Nell’immediato mi preoccupa il Simion anti-Ucraina, anche per motivi
puramente geografici, perché la Romania è un Paese strategico sul Mar Nero, è un Paese chiave per la deterrenza della Nato, confinando con l’Ucraina, con la Moldova, verso cui addirittura Simion avanza delle rivendicazioni territoriali. Per quando riguarda gli altri due aspetti comunque la Romania è uno dei 32 Paesi della Nato e uno dei 27 Paesi dell’Ue, quindi ci sono dei limiti rispetto alla libertà di azione di Simion. Ma pensando all’Unione europea, la Romania potrebbe scivolare in un blocco allineato su un certo euro-scetticismo che comprende già Ungheria e Slovacchia, in cui potrebbe confluire l’anno prossimo anche la Repubblica Ceca. D’altra parte si tratta di Paesi che hanno bisogno dell’Ue, perché ne ricevono un grosso supporto economico, e per questo Bruxelles nei loro confronti ha delle leve. Infatti Simion, pur essendo un sovranista, considera l’Ue un sistema da cambiare, ma non dice che la Romania dovrebbe uscirne.
Simion può creare delle difficoltà alla Nato?
Certo, la Nato opera sempre sul principio del consenso: basta un solo Paese a bloccare qualsiasi decisione. Questo alla fine non avviene, perché è vero che nell’Alleanza tutti i Paesi sono uguali, ma c’è un Paese che è molto più uguale degli altri, e sono gli Stati Uniti. Quanto questo equilibrio possa essere sconvolto dall’amministrazione Trump è da vedere, aspettiamo di capire cosa succederà al vertice Nato di giugno. Trump potrebbe incoraggiare la Romania a prendere posizioni eccentriche, ad esempio sul sostegno all’Ucraina, e questo creerebbe un problema all’Alleanza. Su Kiev abbiamo registrato in questi ultimi giorni diversi cambi di direzione e aggiustamenti da parte di Trump. In questa fase di stallo delle trattative, il Cremlino ha praticamente invitato Trump a un summit con Putin, e ha detto per bocca del portavoce di Peskov che lo ritiene ‘necessario’. Un incontro ufficiale non è stato ancora fissato, ma chissà cosa ne potrebbe uscire. Un incontro Trump-Putin prima del vertice Nato per noi europei sarebbe un segnale disastroso, perché significherebbe che i primi contatti di Trump fuori porta non sarebbero con l’Ue: verrebbero prima Arabia
Saudita e Russia, e solo in un secondo momento toccherebbe all’Europa.
Questa tornata elettorale è stata segnata da una forte affluenza, al 53,2%, in crescita rispetto alle elezioni annullate dalla Corte Costituzionale in autunno, a cosa è dovuto secondo lei questo forte interesse?
La Romania è una democrazia parlamentare, e chi governa, il primo ministro, viene deciso dalla maggioranza in Parlamento. Le elezioni presidenziali dunque sono meno importanti rispetto a quelle francesi e americane. Ma il fatto che l’affluenza alle urne sia aumentata, confrontando la tornata elettorale di novembre 2024 e quella del 4 maggio, è da attribuire a una reazione della gente all’intervento della magistratura. Del resto il candidato populista e filo-russo Georgescu, la cui vittoria è stata annullata, e che è stato poi escluso da queste elezioni, a novembre aveva vinto con il 23%, con 2.120.401 voti. Se la strada per chiunque si opponesse a questo tipo di candidati era in salita a novembre, adesso è doppiamente in salita, visto che Simion ha preso al primo turno quasi il doppio di Georgescu.
Da dove deriva secondo lei questo forte consenso di Simion? Cosa c’è dietro l’affermazione dell’ultradestra?
Ci sono dei sentimenti generali in Europa, che stanno dietro al 20% preso da Afd in Germania, al successo del partito di Marine Le Pen alle elezioni parlamentari dell’anno scorso: un senso di stanchezza e disaffezione nei confronti dei partiti tradizionali. Non è un caso se Dan, sindaco di Bucarest, che correrà al ballottaggio, aveva una piattaforma che puntava sull’anti-corruzione. Questo sentimento di sfiducia verso i partiti che negli anni hanno guidato la Romania, ha orientato anche il voto della diaspora romena, che per la maggior parte ha votato per Simion. C’è un generale desiderio di cambiamento, che il candidato dell’ultradestra, giovane, brillante, con un certo carisma e un tocco di genialità, ha interpretato molto bene.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2025 Riccardo Fucile
VON DER LEYEN ANNUNCIA UN PACCHETTO DA 500 MILIONI PER ATTIRARE RICERCATORI IN EUROPA MENTRE TRUMP TAGLIA I FONDI A UNIVERSITA’ E CENTRI SCIENTIFICI… MELONI APPREZZA SOLO LE COSE DOVE LEI PUO’ FARE PASSERELLA E ATTRIBUIRSI I MERITI E HA PAURA DI “URTARE” TRUMP
“Proporremo un nuovo pacchetto di 500 milioni di euro, per il 2025-2027, per fare dell’Europa un polo di attrazione per i ricercatori”. Con queste parole Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha lanciato ieri alla Sorbona di Parigi l’iniziativa chiamata Choose Europe for Science, ‘scegli l’Europa per la scienza’. Una mossa che serve a “sostenere i più brillanti ricercatori e scienziati provenienti dall’Europa e da tutto il mondo”.
Enfasi soprattutto su “da tutto il mondo”, dato che al momento questo significa soprattutto un posto: gli Stati Uniti, dove la guerra dell’amministrazione Trump alle università (oggi ha annunciato che Harvard non riceverà più sovvenzioni) e a quasi tutte le istituzioni scientifiche del Paese sta smantellando i progetti di numerosi ricercatori. Ma il governo italiano non ha gradito l’iniziativa.
“Intendiamo creare una nuova ‘super sovvenzione’ della durata di sette anni nell’ambito del Consiglio europeo della ricerca, per offrire una prospettiva a lungo termine ai migliori”, ha detto von der Leyen. Sottolineando, quasi come una frecciatina tra le righe a Trump: “La priorità è che la scienza in Europa sia aperta e libera”.
Cosa c’è nel piano europeo per attirare ricercatori dagli Usa e non solo.
Concretamente il progetto dovrebbe essere messo in atto con “una prima legge europea sull’innovazione e una strategia per le startup, per eliminare le barriere normative e di altro tipo, e per facilitare l’accesso al capitale di rischio per le startup”. In sostanza, “dobbiamo rendere più facile e attraente venire in Europa per fare ricerca. Metteremo meglio in contatto i ricercatori con gli istituti di ricerca. Accelereremo il processo di ingresso sul sito e di permanenza in Europa”.
Come detto, l’intenzione sembrerebbe quella di approfittare della linea Trump: più gli Stati Uniti attaccano i propri ricercatori e gli tolgono fondi, più l’Ue si sforza per diventare un’alternativa attraente: “L’Europa ha fatto la sua scelta. Stiamo scegliendo di iniziare una nuova era di invenzione e ingegno”.
E ancora: “Abbiamo scelto di mettere la ricerca e l’innovazione, la scienza e la tecnologia, al centro della nostra economia. Abbiamo scelto di essere il continente in cui le università sono i pilastri delle nostre società e del nostro stile di vita. Abbiamo scelto di essere il continente in cui l’innovazione è al servizio dell’umanità. Dove il talento globale viene accolto”. Anche se al momento le risorse annunciate, 500 milioni di euro in tutto, non sembrano permettere piani così ambiziosi.
Perché il governo Meloni si è arrabbiato
Sui motivi per cui il governo Meloni sia irritato dall’iniziativa ci sono soprattutto retroscena e dichiarazioni informali. Ciò che è certo è che all’annuncio erano invitati tutti i ministri della Ricerca Ue, oltre ai rappresentanti di numerosi atenei e i commissari europei competenti. Eppure l’Italia non ha mandato la ministra Bernini, ma solo l’ambasciatrice a Parigi.
Stando a quanto riferito da fonti ministeriali, l’evento sarebbe stato organizzato in pochi giorni e il governo italiano non avrebbe apprezzato la centralità della Francia nell’iniziativa. Il fatto che l’annuncio sia avvenuto alla Sorbona di Parigi, e non a Bruxelles, e che tutte le principali foto dell’evento vedano von der Leyen accanto al presidente francese Macron. E il fatto che, allo stess
evento, proprio Macron abbia lanciato pubblicamente il piano di investimento del proprio Paese, da 100 milioni di euro, per attirare ricercatori dall’estero. Infine, non si può escludere che il governo Meloni sia scettico all’idea di fare concorrenza a Trump, anche sul piano della ricerca, per evitare tensioni.
(da Fanpage)
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Maggio 6th, 2025 Riccardo Fucile
FDI, LEGA E FORZA ITALIA IN CALO, CRESCONO PD E AVS
Recupera terreno il Partito democratico e cala leggermente Fratelli d’Italia, che però
resta ampiamente in testa. Tutto il centrodestra, a dire la verità, risulta in difficoltà nell’ultimo sondaggio politico condotto da Swg per La7, e le due principali forze che ne escono ‘bene’ sono proprio il Pd e Verdi-Sinistra. Ecco i risultati della rilevazione.
Fratelli d’Italia scende al 30,1%. È un calo di due decimi (lo stesso che ha colpito anche gli altri due partiti del centrodestra) che non impedisce comunque a Giorgia Meloni di restare tranquilla. FdI si trova sopra il 30% e qualunque avversario, che sia nell’opposizione o nella maggioranza, è a parecchi punti di distanza.
Non è quello che può dire la Lega: cala all’8,6% e resta per soli due decimi davanti a Forza Italia, che perde lo 0,3% e va all’8,4%. I due partiti qui sono in ordine opposto rispetto ad altre rilevazioni, che piazzano stabilmente i forzisti davanti ai leghisti. Ma la sostanza cambia poco. Nel centrodestra il dominio di Fratelli d’Italia non è in discussione, e i suoi alleati – che spesso si sono messi in competizione tra loro – possono solo puntare al secondo posto.
La coalizione è completata da Noi moderati, che resta stabile all’1%. Nel complesso, quindi, il centrodestra raccoglie il 48,1% dei voti, in grandissima parte grazie a FdI. Ma il dato è comunque più basso dello 0,7% rispetto alla settimana scorsa.
Nel frattempo il Partito democratico guadagna mezzo punto e sale al 22,5%.
Una boccata d’ossigeno per un Pd che nelle ultime settimane ha visto i consensi prima rallentare e poi scendere leggermente. Il livello è ancora più alto rispetto a quello che si registrava un anno fa, prima delle elezioni europee, ma sembra ancora lontano quel ‘salto’ che possa effettivamente mettere in difficoltà, numeri alla mano, il governo di Giorgia Meloni.
Il Movimento 5 stelle scende al 12,2% (-0,2%), battuta d’arresto in un percorso che comunque ha visto una ripresa graduale dall’inizio dell’anno. Il M5s, che resta comunque a più di dieci punti di distanza dal Pd, finora è riuscito a ‘cavalcare’ il tema del riarmo e sfruttare la propria posizione decisa per guadagnare terreno. Ma l’unico altro partito dell’opposizione, oltre ai dem, che riesce a registrare un guadagno significativo è Alleanza Verdi-Sinistra: +0,2% e salita al 6,4%.
Meno entusiasmanti invece i progressi dei partiti centristi. Azione di Carlo Calenda è al 3,5% e Italia viva di Matteo Renzi al 2,8%, entrambi guadagnano un decimo. Invece +Europa resta stabile all’1,7%.
Sommando tutti i partiti dell’opposizione si arriverebbe al 49,1%, un punto in più della maggioranza. Ma come è noto, una coalizione che unisca tutte le forze elencate oggi appare difficilissima da costruire.
(da agenzie)
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Maggio 6th, 2025 Riccardo Fucile
DA DUE GIORNI I PORPORATI NON SI FANNO PIU’ VEDERE NEI RISTORANTI INTORNO AL VATICANO… GLI INCONTRI RISTRETTI SI FANNO ALTROVE
Fuori dall’aula dove, seduti in emiciclo, passano pensosamente in rassegna i problemi della Chiesa del futuro, i cardinali si danno appuntamento in giro per Roma, a pranzo o ancora meglio a cena, al riparo da sguardi indiscreti, per sondare disponibilità e convergenze, pesare i grappoli di voti, vagliare i nomi dei papabili.
I cardinali africani sono stati avvistati alla sede dei Missionari d’Africa, i cosiddetti padri Bianchi, sulla via Aurelia. Il loro leader è l’arcivescovo di Kinshasa Fridolin Ambongo, personalità molto ascoltate e con buone relazioni internazionali sono il sudafricano Stephen Brislin e l’arcivescovo di Rabat, lo spagnolo Cristobal Lopez Romero.
Ha seguito un criterio linguistico il gruppo, piuttosto variegato, dei cardinali di lingua inglese: hanno fatto più di una cena insieme, e un giorno il pasto si è allargato a molti dei porporati del Commonwealth, dall’America del Nord all’Australia passando dall’Asia e l’Africa. Si tratta di una compagine
composita, difficilmente i cardinali anglofoni muoveranno di conserva, ma la lingua comune facilita il confronto sui possibili nomi forti, uno tra gli altri lo statunitense Robert Francis Prevost, che però molti, in ragione dei 20 anni che ha trascorso in Perù, considerano un po’ latino-americano.
Nella sede della diocesi di Monaco di Baviera, in viale delle Medaglie d’Oro, il cardinale Reinhard Marx ha ricevuto alcuni dei 54 porporati europei: un arcipelago molto diversificato dove non pochi, in particolare i progressisti, guardano al tedesco come punto di riferimento.
Se durante le riunioni in Vaticano la mescolanza è massima, nei conciliaboli riservati i cardinali tendono a coagularsi su base nazionale o linguistica. I 19 porporati italiani, da parte loro, non fanno gruppo compatto, e si vedono a cena in formazioni ridotte, magari con qualcuno degli ultraottantenni che non entreranno in Cappella Sistina ma hanno molte lezioni da condividere dai Conclavi del passato.
Da due giorni i cardinali non si fanno vedere nelle trattorie attorno al Vaticano. Alcuni incontri serali vengono facilitati da qualche ambasciatore presso la Santa Sede e hanno luogo in una sede diplomatica, qualche cena viene organizzata in un seminario nazionale, una casa religiosa, ma si sono discretamente attivati, con inviti ai porporati venuti da fuori, anche i cardinali residenti a Roma, che hanno a disposizione appartamenti spaziosi vicino o dentro il Vaticano.
Se solo oggi molti cardinali traslocheranno a Casa Santa Marta, dove rimarranno per tutto il Conclave, già ieri, quando ormai l’edificio era stato bonificato e predisposto per i giorni del voto, diversi porporati, a esempio lo statunitense Blaise Cupich e Charles Bo del Myanmar, si sono dati appuntamento al refettorio per qualche chiacchierata.
(da La Repubblica)
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Maggio 6th, 2025 Riccardo Fucile
LE GRANDI FAMIGLIE ROMANE, CON ALMENO UN PAPA NELL’ALBERO GENEALOGICO, HANNO ORGANIZZATO INCONTRI AL CIRCOLO DELLA CACCIA … IL RITRATTONE DELLA THURN UND TAXIS, EX PUNK CONVERTITA ALLE MESSE TRADIZIONALI IN LATINO, GIÀ BUONA AMICA DEL CARDINAL MULLER E LEGATISSIMA A RATZINGER
Il principe Stefano Pignatelli di Cerchiara, discendente di papa Innocenzo XII
(«come Francesco anche lui morì durante il Giubileo», ricorda) ha letto l’articolo del Times e non si meraviglia per niente: «Queste due settimane di preconclave — dice — sono state molto intense qui a Roma, non penso che solo la principessa Gloria von Thurn und Taxis abbia aperto le porte di casa sua ai cardinali. Andate a chiedere al Circolo della Caccia, io penso che i soci — tra loro ci sono molti principi romani con almeno un Papa in famiglia — abbiano organizzato incontri ad altissimo livello con i porporati, anche per tener fede alla tradizione».
In attesa di conferme dal Circolo della Caccia, ecco dunque che il Times , citando due sicuri protagonisti del Conclave che inizia domani, il cardinale statunitense Raymond Burke e il collega tedesco Gerhard Müller, ha scritto che entrambi «sono buoni amici dell’artista, esponente dell’alta società ed ex punk tedesca, la principessa Gloria Thurn und Taxis, il cui palazzo vicino a Piazza di Spagna ha funzionato come ambasciata spirituale e sociale per i prelati più conservatori».
Insomma, del futuro della Chiesa si è parlato anche a tavola da lei.
In effetti, dice il principe Pignatelli di Cerchiara, la principessa Thurn und Taxis, fervente frequentatrice di messe tradizionali in latino («qualche volta la incontrai tra i banchi, col velo nero, nella chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini, vicino piazza Farnese»), è una buona amica del cardinale Müller («lui era il vescovo di Ratisbona e i Thurn und Taxis a Ratisbona hanno tuttora il castello di famiglia»).
Ma soprattutto lei, 65 anni, rigidissima su temi come il matrimonio e il ruolo della famiglia, era legata a papa Ratzinger e ne frequentava la casa già quando lui era cardinale, in piazza della Città Leonina.
Burke e Müller sono i giganti della corrente conservatrice, più vicini senz’altro a Benedetto XVI che a Bergoglio («ma non al mio antenato, Innocenzo XII — sottolinea il principe di Cerchiara — che invece la pensava come Francesco: i poveri, diceva, sono i miei nipoti»).
Papa Ratzinger conosceva molto bene i Thurn und Taxis, da sempre suoi benefattori. Insieme con Alessandra Borghese, nipote di papa Paolo V, la principessa Gloria durante il pontificato era diventata una sorta di consulente stilistica: camauri, pelliccette di ermellino, perfino le famose babbucce scarlatte gli furono consigliate da loro due.
Figlia di Joachim, conte di Schönburg-Glauchau, discendente dei principi del Sacro Romano Impero, e di Beatrix, contessa di Schönburg-Glauchau, la chiamavano la «principessa punk» perché nel 1980, dopo il matrimonio con Johannes, XI Principe di Thurn und Taxis, Gloria pure a palazzo sfoggiava creste improbabili. Ma ora decisamente ha cambiato look.
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