Maggio 1st, 2025 Riccardo Fucile
DUE ANNI FA CI FU IL POMPOSO ANNUNCIO DEL “PIÙ IMPORTANTE TAGLIO DELLE TASSE DEGLI ULTIMI DECENNI”, OVVERO IL CUNEO FISCALE. LO SCORSO ANNO, FU LA VOLTA DI UNA MANCIA POST-DATATA: IL BONUS DI CENTO EURO UNA TANTUM SLITTÒ A GENNAIO DELL’ANNO SUCCESSIVO. QUEST’ANNO C’È SOLO L’IMPEGNO A STANZIARE RISORSE PER LA SICUREZZA SUL LAVORO E LA PROPAGANDA SUI RISULTATI IN TERMINI DI SALARI E OCCUPAZIONE (SMENTITA DAI NUMERI)
Anche il Primo maggio diventa un format per Giorgia Meloni. Ormai piuttosto
consolidato. Due anni fa ci fu il pomposo annuncio del «più importante taglio delle tasse degli ultimi decenni», ovvero il cuneo fiscale.
Molta enfasi, ma comunque rappresentava qualcosa di concreto. Lo scorso anno, invece, sempre a ridosso della Festa dei lavoratori, fu la volta di una mancia post-datata: il decreto fu varato giusto in tempo per le Europee, ma il bonus di cento euro una tantum slittò a gennaio dell’anno successivo.
Quest’anno il provvedimento non c’è, c’è solo l’impegno a stanziare risorse per la sicurezza sul lavoro, dramma su cui è arrivata anche la sferzata del capo dello Stato.
L’altro oggetto della sferzata, ovvero la gigantesca questione salariale che rende l’Italia un unicum europeo, è invece del tutto affogata nella retorica autocompiaciuta sui presunti risultati “storici” raggiunti, in termini di salari e occupazione.
Un format, appunto. Medesimo set (palazzo Chigi), al termine del consiglio dei ministri, per trasmettere il messaggio di un governo operoso, che i più arditi sovente contrappongono a quei perdigiorno della sinistra avvezzi ad andare in piazza per cantare o a manifestare.
Medesimo svolgimento: un video con annuncio incorporato, in perfetto stile populista, che predica e pratica la disintermediazione totale. Tanto con le forze sociali, mai convocate prima, quanto con l’informazione cui raramente è concesso il privilegio di qualche domanda. Medesimo leaderismo: il video viene trasmesso mentre i ministri competenti svolgono la conferenza stampa, a conferma di un governo come “one woman show”. Esiste solo Giorgia Meloni,
gli altri sono dei trascurabili comprimari.
Si chiama tecnicamente propaganda, con l’obiettivo di costruire una narrazione governativa che non lasci la scena del Primo maggio alla sinistra e ai sindacati. Col populismo il salto che compie è il suo essere pressoché sostitutiva del principio di realtà che, nel caso specifico, manca del tutto.
È evidente che mettere a disposizione risorse per la sicurezza del lavoro è un’ottima intenzione ma ciò non rende scontato l’impegno sul “come”. Quali cioè siano i capitoli di spesa e quale sia la visione d’assieme su come assicurare salute e incolumità del lavoro, che riguarda anche altro: normativa sugli appalti, precariato, tema della rappresentanza, eccetera.
Insomma, un tipico spot, all’interno del quale non c’è la questione salariale. Anzi, si dice: maciniamo record.
Eppure le retribuzioni sono inferiori del 40 per cento rispetto a quelle tedeschi negli stessi settori, si registrano ritardi sul rinnovo dei contratti collettivi, la giungla dei contratti pirata (dati del Cnel) è immutata.
Temi, questi, che chiamano in causa l’assenza di una politica per la crescita, di una politica industriale e di strategie per il lavoro, grandi assenti in un governo che “narra” molto, ma incide assai poco come misure e riforme.
Ecco, la notizia rischia di diventare proprio questa, l’alterato rapporto col principio di realtà. Vi si riscontra, e qui il discorso va oltre il video specifico, l’insorgenza dei primi sintomi di un virus piuttosto noto e riconoscibile. Quello di Palazzo Chigi, che più o meno ha contagiato tutti i suoi inquilini, anche quelli più insospettabili.
Il principale è una certa sottovalutazione delle priorità domestiche. Tra un vertice internazionale e qualche grande della terra che ti dà del tu, la tendenza è sentirsi un po’ ombelico del mondo.
Anche qui: racconto più che risultati, tutto incentrato su un “nuovo protagonismo italiano”.
Quando era all’opposizione, Giorgia Meloni avrebbe parlato, guardando i suoi predecessori, di distacco dal Paese reale, a parti invertite il medesimo atteggiamento diventa “grandeur”.
L’altro sintomo è un’inclinazione spiccata verso l’autoelogio.
Alessandro De Angelis
per la Stampa
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 1st, 2025 Riccardo Fucile
QUESTE NOTIZIE DOVEVANO RIMANERE RISERVATE E, INVECE, SAREBBERO STATE RIVELATE DAL PROCURATORE AGGIUNTO DELLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA, MICHELE PRESTIPINO: INTERCETTATO DURANTE UN PRANZO CON GIANNI DE GENNARO E FRANCESCO GRATTERI, ORA RISULTA INDAGATO PER RIVELAZIONE DI SEGRETO D’UFFICIO
Le microspie di cinque procure, coordinate dalla direzione nazionale antimafia, stanno registrando un notevole fermento della criminalità organizzata attorno alla grande opera che ancora non c’è. Il ponte sullo stretto è al centro di attenzioni ben precise: esponenti dell’ndrangheta e della mafia siciliana avrebbero già stipulato un patto per cercare di spartirsi una fetta dei lavori che verranno.
Anche riattivando alcuni contatti con la politica locale. Intanto, si sarebbero mossi per acquisire terreni da offrire per lo stoccaggio dei materiali. […] Notizie che dovevano restare segrete e invece, accusa la procura di Caltanissetta, alcune informazioni riservate sarebbero state rivelate dal magistrato che coordinava le inchieste, il procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia Michele Prestipino, adesso indagato.
Destinatari delle notizie sarebbero stati Gianni De Gennaro, l’ex capo della polizia oggi presidente di Eurolink, il general contractor che si occupa della progettazione e della costruzione del ponte, e Francesco Gratteri, consulente per la sicurezza della società “Webuild, socio di maggioranza del consorzio. I due ex superpoliziotti hanno incontrato Prestipino il primo aprile, al ristorante
romano Vinando: non sono indagati, ma dopo il pranzo i carabinieri del Ros hanno continuato a tenerli sotto controllo su disposizione dei pubblici ministeri nisseni. Tre giorni dopo, Gratteri ha telefonato a un dirigente della struttura che si occupa del ponte e gli ha detto che avrebbero dovuto incontrarsi per parlare di alcune notizie avute da lui e da De Gennaro. Un’altra intercettazione contestata dal procuratore di Caltanissetta Salvatore De Luca a Prestipino il giorno dell’interrogatorio.
Nell’avviso di garanzia è scritto che il magistrato avrebbe svelato non solo le indagini delle cinque procure, «ma anche l’attuale svolgimento di attività di intercettazione delle procure di Catanzaro, Messina e Reggio Calabria, indicando — scrivono i pubblici ministeri — le indagini di tali uffici come le più importanti per la tutela degli interessi delle società».
C’è anche un altro passaggio interessante nell’avviso di garanzia, quello in cui il procuratore De Luca e il suo pool scrivono che è «in valutazione la connessione» del reato contestato a Prestipino «con altri delitti per i quali si procede separatamente». Segno che questo pezzo di indagine maturato all’improvviso, nel corso di intercettazioni riguardanti De Gennaro e il depistaggio dell’inchiesta sulla strage Borsellino, è ben più ampio della fuga di notizie del primo aprile avvenuta a Roma. Per questa ragione, i magistrati di Caltanissetta non hanno già trasmesso gli atti alla procura della Capitale, ma «stanno valutando» sulle prossime mosse da fare.
Anche perché, intanto, con l’operazione Prestipino, fatta d’intesa con la procura nazionale per bloccare una fuga di notizie, i pm nisseni hanno dovuto svelare l’indagine delicata che stavano conducendo: intercettavano De Gennaro per provare a decifrare i misteri di un suo fedelissimo, l’ex questore di Palermo Arnaldo La Barbera, oggi ritenuto il “ladro” dell’agenda rossa di Paolo Borsellino. Un’indagine segretissima, che potrebbe essere rimasta «contro ignoti», le intercettazioni possono essere infatti disposte anche nei confronti di soggetti non indagati.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 1st, 2025 Riccardo Fucile
LE BORDATE CONTRO I “DEMOCRATICI INCONCLUDENTI CHE VOGLIONO DARE LA COLPA DELLE NOSTRE SCONFITTE ALLA DIFESA DEI NERI, DEI RAGAZZI TRANS E DEGLI IMMIGRATI, INVECE CHE ALLA MANCANZA DI CORAGGIO E DETERMINAZIONE
C’è un democratico capace di mettere in apprensione i repubblicani e non è Barack
Obama: si chiama JB Pritzker. Il governatore dell’Illinois ha chiesto agli americani di organizzare una “mobilitazione di massa”, una “protesta continua”. “I repubblicani – ha detto – non devono conoscere un attimo di pace”. La dichiarazione è diventata virale sui social, da X a Facebook, ha provocato le proteste dei conservatori, che lo hanno accusato di voler “scatenare le guerra civile”. Quando era Donald Trump a invocare la rivolta, per i repubblicani era un legittimo gesto politico, se lo fanno gli oppositori diventa un “atto illegale e pericoloso”.
In realtà, secondo il giudizio di vari commentatori politici, a preoccupare i conservatori è proprio Pritzker come persona, perché sembra avere tutto per diventare l’oppositore vincente di Trump: è miliardario come lui, non catalogabile come “comunista”, appartiene alla famiglia Pritzker, una delle più ricche e influenti degli Stati Uniti, a capo della catena di hotel Hyatt. Tra gli elettori democratici molti cominciano a vedere in lui il candidato ideale nel 2028.
Eletto governatore dell’Illinois nel 2018, sconfiggendo il repubblicano in carica Bruce Rauner, Pritzker è stato rieletto nel 2022, a conferma del forte sostegno elettorale di cui gode. Lui ci ha messo del suo per diventare popolare: sotto la sua amministrazione, l’Illinois ha registrato l’aumento del salario minimo a 15 dollari l’ora, l’introduzione della cannabis legalizzata per uso ricreativo,
investimenti massicci in infrastrutture e istruzione e politiche fiscali progressiste, tra cui il tentativo – non andato in porto – di una tassa progressiva sulle ricchezze.
Nonostante i miliardi di famiglia, Pritzker è considerato una persona alla mano, diretta, empatica, lontano dall’elite politica. Sostenitore dei diritti civili, si è dimostrato anche pragmatico quando ha affrontato l’emergenza Covid con politiche restrittive che hanno riscosso il consenso della popolazione. Il governatore è anche un deciso oppositore alla circolazione di armi d’assalto. Da settimane i suoi interventi in difesa della democrazia stanno spopolando sui social e attirando critiche dall’opposizione.
La presidente del partito repubblicano in Illinois, Kathy Salvi, ha definito i suoi commenti “pericolosi e incendiari”, altri hanno parlato di “intervento sconsiderato”.
Pritzker ha risposto alla sua maniera: “Sono accuse ridicole. Si tratta di usare megafoni e microfoni e di salire su una cassetta della frutta e andare alle urne per sconfiggere le persone che stanno cercando di togliere così tante cose agli americani”.
Il governatore, il cui nome era stato fatto l’anno scorso come possibile vice di Kamala Harris, ne ha anche per il suo stesso partito. In un recente intervento nel New Hampshire, il governatore ha criticato i “democratici inconcludenti che vogliono dare la colpa delle nostre sconfitte alla difesa dei neri, dei ragazzi trans e degli immigrati, invece che alla mancanza di coraggio e determinazione”. Parole che hanno riacceso l’entusiasmo nella base, dopo mesi di sbandamento.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 1st, 2025 Riccardo Fucile
“INOLTRE, ROMPERE CON LA CINA SAREBBE RISCHIOSO: NON DIMENTICHERÀ E DIFFICILMENTE PERDONERÀ” – “PER PECHINO LA GUERRA COMMERCIALE È SOPRATTUTTO UNO SHOCK DELLA DOMANDA, MENTRE PER GLI STATI UNITI È SOPRATTUTTO UNO SHOCK DELL’OFFERTA. È PIÙ FACILE SOSTITUIRE LA DOMANDA PERSA CHE L’OFFERTA MANCANTE”
La “giornata di liberazione” di Donald Trump, che prevedeva “tariffe reciproche” contro il resto del mondo […] dopo una precipitosa ritirata sotto il fuoco dei mercati, si è trasformata in una guerra commerciale con la Cina. Questo potrebbe essere (o non essere) ciò che era previsto fin dall’inizio.
Può Trump vincere questa guerra contro la Cina? […] La risposta è “no”. Non perché la Cina sia invincibile, tutt’altro. È perché gli Stati Uniti stanno gettando
al vento tutti gli asset di cui hanno bisogno per mantenere il proprio status nel mondo contro una potenza enorme, capace e determinata come la Cina.
“Le guerre commerciali sono buone e facili da vincere”, ha scritto Trump nel 2018. Come proposizione generale, questa è falsa: le guerre commerciali danneggiano entrambe le parti. È possibile che si raggiunga un accordo che faccia stare entrambe le parti meglio di prima. Più probabilmente, qualsiasi accordo farà sì che una parte stia meglio di prima e l’altra peggio. Quest’ultimo tipo di accordo è, presumibilmente, quello che Trump spera che emerga: gli Stati Uniti vinceranno, la Cina perderà.
Uno dei motivi è che anche la Cina ha carte potenti. Molte potenze importanti commerciano già più con la Cina che con gli Stati Uniti: tra queste Australia, Brasile, India, Indonesia, Giappone e Corea del Sud.
Certo, gli Stati Uniti sono un mercato di esportazione più importante della Cina per molti Paesi importanti, in parte a causa dei deficit commerciali di cui Trump si lamenta. Ma anche la Cina è un mercato importante per molti. Inoltre, la Cina è una fonte di importazioni essenziali, molte delle quali non possono essere facilmente sostituite. Le importazioni sono, dopo tutto, lo scopo del commercio.
Soprattutto, gli Stati Uniti sono diventati inaffidabili. Gli Stati Uniti “transazionali” sono sempre alla ricerca di un accordo migliore.
Nessun Paese sano di mente dovrebbe scommettere il proprio futuro su un partner del genere, soprattutto contro la Cina.
Inoltre, rompere con la Cina sarebbe rischioso: la Cina non dimenticherà e difficilmente perdonerà.
Non da ultimo, la Cina ritiene che il suo popolo possa sopportare il dolore economico meglio degli americani. Inoltre, per la Cina la guerra commerciale è soprattutto uno shock della domanda, mentre per gli Stati Uniti è soprattutto uno shock dell’offerta. È più facile sostituire la domanda persa che l’offerta mancante.
Insomma, gli Stati Uniti non otterranno gli accordi che apparentemente cercano e la vittoria sulla Cina che sperano. La mia ipotesi è che, quando questo diventerà evidente alla Casa Bianca, Trump si ritirerà almeno in parte dalle sue guerre commerciali, dichiarando la vittoria, ma andando avanti in qualche altra direzione.
Tuttavia, ciò non cambia la realtà che gli Stati Uniti sono effettivamente in competizione con la Cina per l’influenza globale.
L’America di Trump non farà bene. La sua popolazione è un quarto di quella cinese. La sua economia ha le stesse dimensioni, perché è molto più produttiva. La sua influenza, culturale, intellettuale e politica, è ancora di gran lunga superiore a quella della Cina, perché i suoi ideali e le sue idee sono più attraenti.
Gli Stati Uniti sono stati in grado di creare potenti alleanze con Paesi che la pensano allo stesso modo e che rafforzano questa influenza. In sintesi, hanno ereditato e sono stati benedetti da enormi risorse.
Consideriamo ora ciò che sta accadendo sotto il regime di Trump: tentativi di trasformare lo stato di diritto in uno strumento di vendetta; smantellamento del governo degli Stati Uniti; disprezzo per le leggi che sono il fondamento del governo legittimo; attacchi alla ricerca scientifica e all’indipendenza delle grandi università statunitensi; guerra alle statistiche affidabili; ostilità nei confronti degli immigrati (e non solo di quelli clandestini), anche se sono stati alla base del successo degli Stati Uniti in ogni generazione; il ripudio totale della scienza medica e della scienza del clima; il rifiuto totale delle idee più elementari dell’economia del commercio; l’equivalenza o (peggio ancora) la preferenza per Vladimir Putin, il tiranno della Russia, rispetto a Volodymyr Zelenskyy, leader della democratica Ucraina; l’aperto disprezzo per la serie di alleanze e istituzioni di cooperazione su cui poggia l’ordine globale costruito dagli Stati Uniti. Tutto questo per mano di un movimento politico che ha abbracciato l’insurrezione del gennaio 2021.
Sì, l’ordine economico globale aveva bisogno di essere migliorato. Gli argomenti a favore del passaggio della Cina a una crescita guidata dai consumi sono schiaccianti. È chiaro anche che gli Stati Uniti hanno bisogno di molte riforme. Tuttavia, ciò che sta accadendo ora non è una riforma, ma la rovina delle fondamenta del successo degli Stati Uniti, in patria e all’estero. Sarà difficile invertire il danno. Sarà impossibile per la gente dimenticare chi e cosa l’ha causato.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 1st, 2025 Riccardo Fucile
PER ANNI HANNO OSTEGGIATO LE RIFORME DI BERGOGLIO E ORA SOGNANO LA RESTAURAZIONE MA NON HANNO ANCORA UN CANDIDATO … LE IPOTESI ARBORELIUS E PIZZABALLA. MA I CONSERVATORI SI DOMANDANO SE, ALLA FINE, LA COSA MIGLIORE NON SAREBBE CONVERGERE SU PAROLIN?
Il cardinale dalla netta impronta tradizionale si interrogava, già mesi fa: «Chi
possiamo sostenere come candidato? Peter Erdo? O forse Timothy Dolan? O invece è meglio che convergiamo su Pietro Parolin? ». La confidenza fa trasparire tutto lo spaesamento del fronte conservatore che si appresta a entrare in Conclave dopo dodici anni di Bergoglio. Tra tradizionalisti, conservatori, moderati i porporati che pensano sia opportuno un colpo di freno, o quanto meno un po’ più di ordine, non sono pochi.
In realtà, come ha notato la teologa americana Cathleen Kaveny, Jorge Mario Bergoglio «non ha cercato di cacciare i cattolici conservatori dalla Chiesa, ma ha fermato decisamente i loro sforzi per espellere tutti gli altri». Il Pontefice argentino ha scelto l’ottanta per cento dei cardinali elettori ma tra loro c’è di tutto: il progressista Jean-Claude Hollerich, l’astro nascente dei moderati Francis Leo e un conservatore come Gerhard Ludwig Müller.
L’arcivescovo di Budapest Peter Erdo è il più papabile dei conservatori, ma non è sicuro. Questo gran canonista mitteleuropeo, 72 anni, era considerato papabile
già al Conclave del 2013. Asceso all’epoca di Wojtyla e molto legato a Ratzinger, non ha mai avuto sintonia con Francesco ma non lo ha mai contestato. È l’uomo autorevole dalla dottrina sicura ma anche i suoi sostenitori riconoscono che non è carismatico. Motivo per il quale i conservatori in cerca d’autore scrutano altri profili.
C’è Malcom Ranjith, 77 anni, il vecchio leone srilankese, poliglotta con esperienza diplomatica, un passato nella Curia romana, tra Propaganda fide e il Culto divino, e una ricca esperienza pastorale sul terreno. Il sito conservatore The College of Cardinals Report assicura che «gode di una salute relativamente buona». Altro nome che rispunta anche a questo Conclave è quello dell’arcivescovo di New York Timothy Dolan, 75 anni: stile spigliato — invitò i fedeli a prepararsi alla morte di Francesco nei primissimi giorni del ricovero — è in realtà improbabile che gli altri cardinali convergano su un porporato proveniente dalla superpotenza a stelle e strisce, o quanto meno su un trumpiano convinto come Dolan.
Se i tre conservatori più radicali del collegio cardinalizio, pur molto diversi l’uno dall’altro, hanno poca o nessuna chance di coagulare un ampio consenso — il ratzingeriano Gerhard Ludwig Müller, l’altro statunitense trumpiano, Raymond Leo Burke, tendenza messa in latino, e il guineano Robert Sarah — i cardinali conservatori e i loro spin doctors si guardano in giro nel tentativo di scorgere anche altri talenti emergenti.
Qualcuno fa il nome dell’olandese Willem Jacobus Eijk, bioeticista di destra (il suo ultimo libro è una rassegna dell’insegnamento tradizionale su rapporti prematrimoniali, omosessualità, masturbazione, eiaculazione e via dicendo).
Suscita molta curiosità l’affabile carmelitano svedese Anders Arborelius: uomo moderato, più che conservatore, classico ma abituato a muoversi, dialogando, in una società molto secolarizzata, con aperture sociali come la netta difesa dei migranti. Se non si trova il candidato espressione di un conservatorismo tondo, però, c’è l’ipotesi di convergere su chi potrebbe fornire comunque qualche garanzia.
C’è una certa fibrillazione, in questi giorni, attorno a Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme: carismatico, le sue coraggiose posizioni sul Medio Oriente sono note, meno noto cosa pensi dei dossier caldi che agitano la
Chiesa, ma si sa che è fermo nella dottrina. E infine c’è il cardinale Pietro Parolin: al Segretario di Stato di Francesco guardano in molti, da sinistra da destra e dal centro, dalla Curia romana, dalle Americhe e dall’Asia. E anche i conservatori si domandano se, alla fine, la cosa migliore non sarebbe convergere su di lui per una transizione morbida dagli anni bergogliani ad un pontificato autorevole ma più ordinato.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 1st, 2025 Riccardo Fucile
“SCAPPARONO, LUI RIMASE PER 5 ORE CON L’AMMONIACA SUL VISO”…. “OGNI GIORNO PER DUE VOLTE VADO A TROVARLO AL CIMITERO”
Non li vedranno crescere, non li vedranno prender casa. Non li accompagneranno all’altare. Sono le mamme del 19enne Patrizio Spasiano e Mattia Battistetti, 23 anni, morti sul posto di lavoro. Giovanissimi. Per loro non ci sarà mai un primo maggio felice. «Noi veniamo da Secondigliano, un quartiere difficile. E abbiamo cresciuto i nostri figli con il senso del lavoro. E mio figlio così ha fatto. È andato a cercare lavoro. Voleva imparare un mestiere onestamente», ha detto, dal palco di Cgil Cisl Uil in piazza Municipio, Simona Esposito, la madre di Patrizio, morto a gennaio scorso in una fabbrica nel Casertano.
«Mio figlio è entrato in un capannone con tubi di ammoniaca, è stato ucciso»
«Chiedo giustizia per mio figlio – ha aggiunto Simona Esposito – perché mio figlio è stato ucciso. Non ha avuto un incidente di lavoro. Mio figlio è stato mandato senza competenze, aveva 19 anni, lavorava da due mesi in una fabbrica per imparare un mestiere, quello del saldatore. Eravamo convinti che mio figlio dovesse stare in una fabbrichetta ad imparare. Così ci avevano promesso. E invece con un subappalto è andato in un’altra fabbrica. Hanno avuto il coraggio di mandare lì mio figlio, senza competenze, senza un corso di sicurezza». «Mio figlio – ha detto ancora Simona Esposito – è entrato in un capannone con tubi di ammoniaca. Sono sicura che mio figlio non sapesse nemmeno cosa ci fosse. Lo hanno mandato su un trabattello da solo. Quando è scoppiato il tubo di ammoniaca gli altri sono scappati via. Lui è rimasto su questo trabattello per 5 ore con l’ammoniaca sul viso, protetto solo dalle sue mani»
«Ogni volta essere in quell’aula è una coltellata. Ma lo devo a Mattia»
«Vado al cimitero a trovarlo due volte al giorno, sempre. Per me non c’è Primo maggio, Natale o Ferragosto. Non ho più niente da festeggiare. Mattia era un ragazzo buono, era l’amico degli ultimi fin da quand’era bambino: amici in difficoltà, immigrati che faticavano a stare al passo, disabili da aiutare; lui c’era sempre. Lavorava anche 14 ore al giorno. Inizio turno alle sei del mattino, e non l’ho ma sentito lamentarsi per gli orario per la stanchezza». Questo il ricordo di Monica Michielin al Corriere della Sera. Da quattro anni suo figlio Mattia Battistetti, 23 anni, non c’è più. Morto in un cantiere edile di Montebelluna (Treviso): un bancale di 15 quintali si è staccò dalla gru uccidendolo sul colpo e ferendo un altro lavoratore. Si era spezzata la coppiglia, un ingranaggio che impedisce a un dado di svitarsi o a un perno di sfilarsi. Sei a processo fra cui Gianantonio Bordignon, titolare del cantiere e responsabile dei lavori. «Ogni volta essere in quell’aula è una coltellata. Ma lo devo a Mattia – spiega Monica – perché lui si merita la giustizia e la verità, e la verità è che in quel cantiere la sicurezza non c’era. Le do un dettaglio (dice rivolta all’inviata Giusi Fasano ndr) per farle capire come giravano le cose: mentre Mattia era lì, ancora caldo di vita, sono comparsi come per magia i cartelloni per la sicurezza che non c’erano fino a poco prima. Ci sono fotografie che lo provano…Sa cosa ho
pensato un milione di volte da quando non ho più mio figlio? Che il presidente Mattarella ha proprio ragione quando dice che non ci sono più parole per definire le stragi quotidiane sul lavoro. È vero, non esistono le parole per l’indecenza della non sicurezza sui luoghi di lavoro».
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 1st, 2025 Riccardo Fucile
C’E’ CHI E’ VICINA A CHI ASSISTE I POVERI E CHI SALIVA SULLO YACHT DI SPINELLI, L’IMPRENDITORE CONDANNATO CON TOTI
Silvia Salis, candidata sindaca, ha incontrato la Comunità per parlare di cibo e
povertà, gentrificazione e spazi sociali.
Insieme a Marco Malfatto, presidente della Comunità, ha visitato l’ufficio di Don Gallo, nella sede storica di via San Benedetto 12, e ha discusso della grande varietà di bisogni di cui la Comunità già si occupa.
L’incontro è iniziato dal civico 12 di via San Benedetto davanti a quel portone in cui lo stesso Don Gallo fu accolto l’8 dicembre 1970.
La visita è stata un modo per introdurre uno dei temi chiave dell’incontro: tutto ciò che riguarda le politiche del cibo in città e la mancanza di un sostegno strutturato, concreto e duraturo da parte del Comune.
Nella Comunità di Accoglienza di via Buozzi 17 l’incontro è entrato nel vivo: “Tutti sanno un po’ come la pensiamo, puoi immaginare come ce la siamo passata in questi anni, riguardo ai bisogni delle persone in condizioni più fragili – ha esordito Marco Malfatto- Don Gallo prendeva posizioni pubbliche rispetto alle persone che si candidavano, e ora noi ereditiamo questa passione politica, anche perché noi qui facciamo politica con ogni progetto di cui ci occupiamo, dobbiamo per forza dialogare sui temi che ci stanno a cuore. Siamo preoccupati e volevamo confrontarci su alcuni temi per capire qual è il tuo sguardo”
“Penso che ci sia un approccio generale da cambiare – Silvia Salis – ci sono stati solo interventi a spot sul sociale, che non hanno una regia e quindi non hanno una ricaduta reale. È quello che io chiamo voucherismo: interventi non strutturati.
Credo che si dovrebbe iniziare con un tavolo permanente di gestione di ciò che rimane nei supermercati, che vede il Comune come regia di un’operazione che sarebbe a costo zero, perché si tratterebbe di gestire in primis le eccedenze. Il
tema dello spreco e dei rifiuti è poi strettamente collegato. Ci vuole anche un impegno del Comune per sostenere i privati contro lo spreco: ognuno, commisurato al suo potere di incidere, deve fare qualcosa.
“Voglio ringraziarvi per l’opportunità di parlare di questi temi, penso che la campagna elettorale vada umanizzata il più possibile, perché lo spettacolo che hanno davanti le cittadine e i cittadini è pessimo – ha concluso Silvia Salis – voglio che durante la campagna emergano le realtà di questa infrastruttura potentissima di solidarietà di Genova, ma non è giusto che voi facciate così tanta fatica da soli, il Comune deve dare un impegno strutturale nel sociale”.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 1st, 2025 Riccardo Fucile
TRA I SUOI PUNTI DI FORZA L’ARTE DI SAPER ASCOLTARE E LO STILE DEL CURATO DI PAESE…. CONSERVATORI LO VEDONO COME FUMO NEGLI OCCHI BERGOGLIANO DOC
Ascoltare e cambiare. Ruota attorno a questi due atteggiamenti il percorso
umano e spirituale di Mario Grech, 68 anni, maltese, attuale segretario generale del Sinodo. Il porporato ha molto ascoltato ed è molto cambiato nel corso della sua vita. Da giovane era tutt’altro che un riformista, oggi è alla guida del più ampio movimento di mutamento istituzionale della Chiesa.
E poiché la sinodalità, il coinvolgimento di laici, l’apertura del dibattito sui temi caldi come la morale sessuale o i ministeri delle donne, sarà una delle faglie del prossimo Conclave, di qua chi vuole proseguire sulla strada tracciata da Francesco di là chi vuole frenare se non tornare indietro, c’è da giurare che quello che dirà Grech nelle congregazioni generali catturerà l’attenzione dell’aula. C’è chi lo stima molto, come il gesuita progressista Jean-Claude Hollerich, chi lo considera un portabandiera dei “bergogliani doc”, chi lo immagina già come papabile.
Grech ha trascorso buona parte della sua vita a Gozo, la seconda isola più grande dell’arcipelago di Malta.
Qui è nato il 20 febbraio 1957, qui ha studiato dapprima nella scuola pubblica e poi, sentita la vocazione verso la fine del liceo, filosofia e teologia al locale seminario, e qui nel 1984 è stato ordinato sacerdote. Dopo un periodo di studi superiori a Roma, è tornato nella sua isola da parroco, vicario giudiziale, professore di diritto canonico.
Personalità gioviale, ma all’epoca piuttosto rigida nella difesa della dottrina tradizionale, nel 2005 papa Benedetto XVI lo nominò vescovo di Gozo: uno dei due vescovi maltesi, accanto al più noto (fino a pochi anni fa) monsignor Charles Scicluna, per molti anni in Vaticano come “promotore di giustizia” in tanti casi di abuso sessuale su minori.
Risale agli anni di Ratzinger un episodio, raccontato da Christopher White del National Catholic Reporter , che ha segnato la rotta esistenziale di Mario Grech. Un episodio di ascolto e cambiamento. A Natale del 2008 Benedetto XVI criticò con durezza l’omosessualità in un discorso nel quale si scagliava contro il “ gender ”, e Mario Grech mise il carico da novanta: «Chiunque non accetta gli insegnamenti di Cristo dovrebbe essere onesto con se stesso e scomunicarsi dalla Chiesa».
Uno schiaffo per un’associazione maltese di cattolici sensibili alla causa delle persone lgbtq+ chiamata Drachma. Anni dopo, nel 2014, Grech si presentò
sorpresa ad un loro incontro pubblico. Il Papa, che a questo punto era Francesco, lo aveva nominato membro dell’assemblea sinodale sulla famiglia.
«Sono venuto ad ascoltare», disse Grech. Alcuni dei presenti lo accusarono di aver allontanato persone omosessuali dalla Chiesa, lui chiese scusa.
Pochi mesi dopo, nell’aula del Sinodo Grech prese la parola per chiedere agli altri padri sinodali di «ascoltare le famiglie che hanno una persona omosessuale e gli stessi omosessuali che si sentono feriti dal linguaggio usato nei loro confronti in alcuni testi, ad esempio nel Catechismo». Il discorso di Grech non passò inosservato, alcuni lo criticarono apertamente. E qualche giorno dopo, durante il coffee break, sentì che qualcuno gli toccava la spalla: era Francesco che lo ringraziò per il coraggio dimostrato.
Per il Papa argentino la trasformazione della Chiesa in una Chiesa sinodale, con la partecipazione di tutti i battezzati, donne e laici compresi, è stata probabilmente la principale riforma del pontificato, nonché l’eredità che ha più voluto assicurare per il futuro. Tanto che dal Gemelli ha convocato per il 2028 una assemblea ecclesiale a Roma, annunciata ai vescovi di tutto il mondo da Grech
Qualche anno dopo, nel 2019, Bergoglio ha chiamato il maltese a Roma come segretario generale del Sinodo, una macchina gigantesca che deve organizzare le assemblee periodiche nella capitale, le infinite discussioni tra un’assemblea e l’altra, le tensioni tra culture e idee diverse.
Un compito che Mario Grech ha svolto con efficienza e cordialità, senza mai farsi scoraggiare da molte difficoltà, nonché dalle molte resistenze dei settori più conservatori della Curia romana e della Chiesa cattolica mondiale. Attaccatissimo ai genitori, che trascorrono lunghi periodi dell’anno con lui a Roma, Grech ha mantenuto lo stile del curato di paese, mentre gestisce, in diverse lingue, riunioni e viaggi negli angoli più remoti del mondo. «Spendiamo enormi energie per cercare di convertire la nostra società secolare», ha spiegato in un’intervista alla Civiltà cattolica , «mentre è più importante convertirci per realizzare la conversione pastorale di cui parla spesso papa Francesco».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Maggio 1st, 2025 Riccardo Fucile
POI CONTESTA IL FACT-CHECK DEL GIORNALISTA CON UN’ARGOMENTAZIONE SURREALE… NON HA ANCORA CAPITO CHE L’IMMAGINE DA LUI MOSTRATA ERA STATA ALTERATA CON PHOTOSHOP
«Aveva la scritta MS-13 sul tatuaggio sulle nocche» dichiara Donald Trump durante
un’intervista rilasciata ad ABC per sostenere che Abrego Garcia, l’uomo che senza alcuna prova e processo è stato incarcerato e deportato per
errore a El Salvador, facesse parte della banda criminale nota come Mara Salvatrucha (MS-13).
Smentito dall’intervistatore, Terry Moran, il Presidente americano non l’ha presa molto bene, pretendendo di avere ragione avendo lui stesso mostrato una foto dei tatuaggi presenti nella mano dell’uomo durante un suo passato intervento presso lo Studio Ovale.
Nella fotografia, fornita dal suo staff, si vedono delle figure tatuate e le scritte MS-13, ma queste erano state palesemente aggiunte con un programma di fotoritocco solo per fornire l’interpretazione infondata dei veri tatuaggi di Abrego Garcia.
Terry Moran, affrontando ancora la vicenda, spiega al presidente americano che Abrego Garcia «non faceva parte di una gang» e che c’era una disputa riguardo l’interpretazione dei suoi tatuaggi. A quel punto, Trump inizia a infastidirsi, sostenendo che le scritte sulla mano fossero reali: «Aspetta un attimo, aspetta un attimo. Aveva la scritta MS-13 sul tatuaggio sulle nocche».
Moran tenta di chiarire che quelle scritte erano state aggiunte “con Photoshop”, ma Trump lo interrompe con un’argomentazione surreale, lasciando intendere che l’intervistatore dovrebbe solo ringraziarlo per l’occasione ricevuta e senza contraddirlo: «Aspetta un attimo, Terry, Terry, Terry… Terry, non puoi farlo. Ehi, ti stanno dando la grande occasione della vita. Sai, stai facendo l’intervista. Ti ho scelto perché, sinceramente, non ti avevo mai sentito nominare, ma va bene. Ti ho scelto, Terry, ma non sei molto gentile. Aveva tatuata la sigla MS-13».
Nonostante i toni, l’assurda argomentazione e le accuse di “fake news”, Moran non demorde e spiega a Trump che le foto di Abrego Garcia scattate a El Salvador non mostravano affatto le scritte da lui indicate.
Niente da fare, perché il presidente americano, evidentemente seccato, prosegue con la sua narrazione: «Guarda la fotografia. Ci sono ora, giusto? Ha l’MS-13 sulle nocche».
La foto “alterata” mostrata nello Studio Ovale
Donald Trump aveva diffuso su Truth la foto dei tatuaggi nelle nocche di Abrego Garcia, come prova della sua appartenenza alla banda criminale. Nell’immagine leggiamo MS13, ma le scritte risultano aggiunte con un
programma di fotoritocco.
Le scritte sono troppo precise, a partire dal colore, e non seguono correttamente le forme delle nocche.
Confrontando le foto reali di Abrego Garcia, risultano presenti i tatuaggi sottostanti ma senza le scritte MS13.
Nelle foto scattate durante l’incontro a El Salvador tra Abrego Garcia e il senatore americano Van Hollen (DEM), le mani non presentano affatto le scritte.
Il tatuaggio con le scritte obbligatorio della banda criminale
Come riportato dal New York Post, l’agenzia federale Immigration and Customs Enforcement (ICE) ritiene che un tatuaggio con la scritta MS-13 sia obbligatorio per i membri della banda: «Una fonte dell’ICE ha detto al Post che un tatuaggio con il numero “13” sarebbe stato obbligatorio per Abrego Garcia se fosse entrato a far parte della famigerata gang mentre viveva negli Stati Uniti». Di fatto, nessuno ha mai riscontrato simili scritte tatuate sul corpo di Abrego Garcia. Di seguito, uno scatto del fotografo Adam Hinton che mostra come i membri della banda si tatuino le scritte sul corpo.
Un’altra foto, pubblicata dal repubblicano Riley M. Moore, dimostra come i membri della banda tatuino vistosamente le scritte sul proprio corpo.
Nonostante tutte le evidenze e l’intervento della Corte Suprema, riguardo all’errata deportazione di Abrego Garcia, Donald Trump prosegue a sostenere la sua narrazione e la sua intenzione di non far tornare negli Stati Uniti l’uomo. Di fatto, crede a un’immagine “photoshoppata” come prova della colpevolezza dell’uomo.
(da Open)
argomento: Politica | Commenta »